1. “Ci sono le condizioni per portare a termine la riforma della giustizia penale, compresa quella della prescrizione, come uscita dalla Commissione”: così si è espresso il Ministro Orlando all’indomani dell’insediamento del governo Gentiloni. Il titolare del dicastero della Giustizia è tornato a ribadire la decisività per la manovra anche del nuovo governo del disegno di legge governativo – il n. 2067 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi, nonché all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena) – confluito, assieme ad altri disegni di legge, in un testo posto all’esame del Senato. Un progetto ambizioso - secondo l’esponente dell’esecutivo - che tocca i gangli vitali del sistema penale: il fronte sanzionatorio, oggetto di un costante affanno emergenziale; il versante decisorio, in cui si annidano le critiche alla lentezza della macchina giudiziaria; il profilo dell’esecuzione della pena, sempre più pervaso dalle istanze umanizzatrici e rieducative della sanzione; un programma che si prefigge di realizzare l’efficienza, la semplificazione e la rapidità dell’intervento penalistico nel suo insieme.
2. La scelta operativa è stata quella di scindere le modalità dell’azione novellatrice. Si è, cioè, inteso incidere mediante una regolamentazione normativamente definita su quei settori del diritto penale – sostanziale e processuale – avvertiti dalla coscienza sociale come ‘nervi scoperti’ del sistema, la cui ‘cura’ non può più attendere (la disciplina della prescrizione ed il recupero di tempi ragionevoli del processo), ed, invece, affidare ad una legge delega i principi e i criteri direttivi per la disciplina di materie che, in ragione delle loro peculiarità, necessitano di un intervento regolatore specialistico (la disciplina dell’infermità mentale e con essa del sistema del cd. “doppio binario” - caratterizzato dalla compresenza delle pene, ancorate alla colpevolezza del soggetto per il fatto di reato e commisurate in base della gravità di quest'ultimo, e le misure di sicurezza, imperniate sul concetto di pericolosità sociale dell'autore del reato e di durata indeterminata – nonché delle cd. “Rems”; il regime di procedibilità dei reati; la regolamentazione delle intercettazioni telefoniche, dell’appello, del casellario giudiziale e dell’ordinamento penitenziario).
3. La strategia riformatrice condotta attraverso la regolamentazione normativamente definita si è estrinsecata secondo precise direttrici guida. La prima si coglie nel potenziamento della risposta sanzionatoria rispetto a reati di particolare allarme sociale (reato di scambio elettorale politico-mafioso ex art. 416 ter c.p. e reati c.d. ‘predatori’) e in un congelamento del decorso del termine di prescrizione dei reati, secondo una scansione predeterminata, dopo la pronuncia delle sentenze di primo e secondo grado. La seconda deve essere individuata nel rafforzamento delle modalità di definizione anticipata dei procedimenti e dei processi penali, della quale si prevede l’attuazione, sul piano sostanziale, mediante l’introduzione dell’art. 162-ter c.p., che, ispirato da ragioni di deflazione ma anche di risocializzazione, istituisce una causa di estinzione del reato di portata generale, strutturata sul presupposto che l’indagato/imputato abbia, entro un termine perentorio, riparato il danno causato dall’illecito, attraverso comportamenti post factum, quali il risarcimento, la riparazione e l’eliminazione delle conseguenze del reato, e – sul piano processuale - mediante interventi sui riti speciali. In particolare, le innovazione in tale settore sono apportate alla disciplina del giudizio abbreviato (con riguardo, ad esempio, all’impossibilità di rilevare nel corso di esso nullità diverse da quelle assolute ed inutilizzabilità “salvo quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio” ed eccezioni di competenza territoriale; alla riduzione della metà della pena per le contravvenzioni), dell’applicazione della pena su richiesta (con limitazione della possibilità di ricorrere per cassazione avverso la sentenza che ne costituisce l’epilogo, vale a dire solo per motivi attinenti alla volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione del fatto, all’illegalità della pena), del decreto penale di condanna (con la rimodulazione dei termini per la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria) e con la (re)introduzione del c.d. ‘concordato in appello’ sulla pena. La terza linea di tendenza si riferisce alla semplificazione delle impugnazioni e della revisione dei giudizi, in vista di una generale razionalizzazione delle stesse e, in particolare, di un decongestionamento della Corte di Cassazione, della quale si intende potenziare funzione nomofilattica. Tale ultimo obiettivo è perseguito mediante l’eliminazione della ricorribilità per cassazione della sentenza di proscioglimento pronunciata all’esito dell’udienza preliminare ai sensi degli artt. 425 e 428 c.p.p. e della legittimazione della persona offesa costituitasi parte civile ad impugnare la sentenza di non luogo a procedere, ex art. 428, comma 3, secondo periodo, c.p.p.; mediante la reclamabilità dinanzi al Tribunale monocratico del decreto di archiviazione affetto da <<specifica>> nullità per violazione del contraddittorio; mediante l’attribuzione alla competenza della Corte d’Appello della rescissione del giudicato, come disposto dal nuovo art. 629-bis c.p.p.; mediante la previsione della possibilità di proporre ricorso per cassazione solo per violazione di legge nei confronti della decisione pronunciata dal tribunale monocratico in appello delle sentenze del giudice di pace e della sentenza d’appello che conferma quella di proscioglimento. La quarta direttrice lungo la quale si muove l’auspicato riordino dell’operatività del sistema penale consiste nell’introduzione di meccanismi che assicurino una scansione temporale più stringente per i processi penali, mediante, ad esempio, una più precisa regolamentazione dei colloqui tra il difensore e l’indagato o imputato detenuto; il necessario assenso del difensore d’ufficio all’elezione di domicilio da parte dell’indagato presso di sé; il contingentamento dei tempi (nella misura di tre mesi dalla chiusura delle indagini) per la richiesta di archiviazione da parte del P.M., pena l’avocazione del procedimento da parte del Procuratore Generale presso la Corte di Appello, o per adottare da parte del G.i.p. il decreto di archiviazione; il potenziamento dei diritti d’informazione della parte offesa; la regolamentazione dell’incapacità processuale irreversibile.
4. Quanto, invece, all’azione novellatrice condotta attraverso lo strumento della legge – delega, la cui formulazione, peraltro, è stata aspramente criticata per la genericità (in spregio all’art. 76 Cost.) dei principi e dei criteri direttivi, l’intervento investe la materia delle intercettazioni, mediante la prescrizione di disposizioni dirette a garantire la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche[1], incidendo sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni e sulla previsione di una più precisa scansione procedimentale per la selezione di materiale intercettativo nel rispetto del contraddittorio tra le parti e fatte salve le esigenze di indagine; la riscrittura della disciplina dell’appello, in considerazione del ruolo nevralgico che tale mezzo di gravame riveste nell’economia del sistema giudiziario, mediante, ad esempio, la previsione di una mirata attività impugnatoria dell’Ufficio del P.M.; l’organica disciplina della partecipazione a distanza al dibattimento, ex art. 146 bis disp. attt. c.p.p.; la revisione dell’ordinamento penitenziario onde assicurare l’effettività rieducativa della pena.
5. Gli elementi centrali della riforma sono, tuttavia, rappresentati, sul piano del diritto sostanziale, dalla disciplina della prescrizione, e, sul piano processuale, dal ripensamento del sistema delle impugnazioni ed assegnano all’interprete la sfida culturale di una rinnovata riflessione sul ruolo del tempo e della ragione nel processo penale.
6. Sul tema delle modifiche apportate al regime di prescrizione, al di là delle notazioni di dettaglio incidenti sul regime della sospensione e dell’interruzione, i primi commentatori della riforma[2] hanno avviato la riflessione sul tempo come dimensione della giustizia penale, in cui l’istituto della prescrizione segna il ‘segmento ragionevole’ entro cui può legittimamente dispiegarsi il potere dello Stato di comprimere la libertà del cittadino, stigmatizzando <<l’imbarbarimento della filosofia stessa” dell’istituto. Tale decadimento deriverebbe dall’opzione, cui ha acceduto la novella in itinere, per la commistione di elementi sostanziali con profili processuali, per effetto della concorrenza del momento dell’accertamento con quello della commissione del fatto. Opzione, dettata, ad avviso dei più da pulsioni emergenziali – si pensi, solo per citare un esempio, all’allungamento della metà dei termini prescrizionali per i reati di cui agli artt. 318, 319 e 319 ter c.p. -, che, con il reiterato ricorso a provvedimenti frammentari diretti a tamponare situazioni contingenti, obnubilano la visione garantista di una riforma organica del sistema penale, in linea con le esigenze di un equo contemperamento tra la tutela dei diritti individuali (il diritto all’oblio del reato) – soprattutto, con riguardo al tema che ci occupa, di colui destinato ad uscire indenne dall’accertamento giudiziario della responsabilità penale - e l’effettività della risposta sanzionatoria (al riparo da intoppi processuali) erogata in un arco di tempo accettabile[3]. Senza contare le possibili ricadute negative di tale istituto ibrido sulla riparazione per le vittime del reato, sugli interventi di rieducazione del condannato e sugli effetti delle misure cautelari reali, suscettibili di depotenziarsi per effetto della distanza dal tempo di commissione del reato[4].
5. L’altro elemento centrale della riforma è costituito dalla volontà di razionalizzare lo strumento impugnatorio, istituendo una connessione logica e funzionale tra la motivazione del provvedimento giurisdizionale e il momento di sua critica attraverso i motivi di gravame. La questione investe, in effetti, l’essenza stessa della giurisdizione, nel suo manifestarsi come “dare ragione” a quello dei litiganti che ha subito la lesione di un diritto o di un interesse e come “dare ragione delle ragioni della decisione”. Interrelazione di ragioni – quelle della decisione e quelle dell’impugnazione - che sollecita, altresì, una profonda riflessione sul fondamento stesso della legittimazione di chi è chiamato a rendere giustizia e sulla tenuta complessiva dello Stato di diritto, la cui credibilità è basata non solo su una risposta degli organi giudiziari resa in tempi rapidi, ma anche sulla chiarezza e sulla prevedibilità dei loro ‘dicta’[5].
Nel cono d’ombra di queste riflessioni si colloca la riscrittura dell’art. 546 c.p.p., che mira a scandire i passaggi della motivazione della sentenza di primo grado, mediante una messa a punto nella struttura della decisione – con una previsione in dettaglio dei relativi punti e capi – al fine di correlarvi i motivi di impugnazione. Nella prospettazione di uno schema di decisione che, sia pure in maniera concisa, dia conto con chiarezza e precisione, del percorso seguito dal giudice per ricondurre ad un’unità significante - in cui logica e legalità finiscono per integrarsi - il momento accertativo ed il momento valutativo della delibazione in ordine alla responsabilità penale , vi è anche il paradigma dell’impugnazione, cui, sempre nell’ottica della riforma - per effetto della modifica dell’art. 581 c.p.p. - si associa la specifica enunciazione non solo dei motivi in fatto e in diritto, a sostegno delle richieste anche istruttorie, ma anche dei capi e dei punti impugnati e delle prove di cui si sostiene l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’omessa o erronea valutazione.
Ed in questo contesto non poteva mancare l’intervento regolatore sulla Corte di Cassazione, della quale la riforma mira a definire il ruolo nomofilattico, con le due importanti previsioni: quella secondo la quale, allorché una Sezione semplice ritenga di non condividere l’orientamento delle Sezioni unite, dovrà rimettere a queste la risoluzione della questione, e quella che sancisce la possibilità per il collegio riunito di fissare il principio di diritto anche in caso di inammissibilità sopravvenuta. Ma indirettamente sono dirette a conseguire il medesimo scopo anche le disposizioni che prevedono un ampliamento, in capo al giudice di legittimità, dei poteri di poteri di annullamento senza rinvio e un rafforzamento del principio della rappresentanza tecnica delle parti, per effetto dell’eliminazione della legittimazione al ricorso da parte dell’imputato.
6. Tempo e ragione, dunque, come momenti dialettici del processo penale, in cui l’interesse tutelato prende vita e forma in una logica dialogante che si articola in una successione di scansioni preordinate a realizzare uno scopo interno al processo – che è quello dell’affermazione della verità in esso raggiunta – ed uno esterno: la pacifica convivenza civile e la tutela dell’innocente.
Nel progetto di riforma della giustizia penale, però, il pur lodevole intento di affermare un modello di giurisdizione improntato all’idea di “istituzione della ragione”, si scontra con la scelta politica di consegnare alla logica onnivora del processo la misura del tempo in cui la libertà personale è soggetta al potere autoritativo dello Stato. L’antinomia tra tempo e ragione segna, dunque, la cifra dell’intervento novellatore prossimo al varo: ma questa fa presagire, ancora una volta, per la giustizia penale non una navigazione di lungo corso, ma una navigazione a vista.
[1] Al tal fine è prevista l’introduzione del delitto di diffusione di riprese o registrazioni fraudolentemente effettuate, che dovrà essere punito con la reclusione non superiore a quattro anni. La condotta incriminata consiste nella diffusione, al solo fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui, di riprese audiovisive o registrazioni di conversazioni, anche telefoniche, svolte in presenza dell’interessato ed effettuate fraudolentemente.
[2] G. SPANGHER, Il processo penale e le riforme, Riflessioni sulla “Riforma Orlando”, Relazione al Convegno organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Chieti dell’11/11/2016 e La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, In Diritto penale contemporaneo, 5/10/2016.
[3] F. PALAZZO, La Riforma penale alza il tiro? Considerazioni sul disegno di legge A.S. 2067 e connessi, in Diritto penale contemporaneo, rivista trimestrale, n. 1/2016.
[4] B. ROMANO, Prescrizione del reato e ragionevole durata del processo: principi da difendere o ostacoli da abbattere? in Diritto penale contemporaneo, 15/2/2016.
[5] G. CANZIO, Intervento alla tavola rotonda organizzata, nell’ambito del corso di studio su ‘La motivazione dei provvedimenti’, dalla Scuola Superiore della Magistratura e tenutasi in Roma il 16/11/2016.