SOMMARIO: 1. Una premessa. - 2. Il problema. - 3. La decisione delle Sezioni Unite della Cassazione. - 4. Il patto fiduciario è un atto senza forma? - 5. Sulla morfologia del contratto. Dal formalismo, al nihilismo, al salvagente della forma. - 6. Autoregolamento e titolo dell’acquisto nei rapporti fiduciari. - 7. Circolazione dei beni e utilità sociale. - 8. La prova del pactum fiduciae.
Abstract. La recente pronuncia delle Sezioni Unite n. 6459/2020 ha escluso la necessità di forma scritta del pactum fiduciae avente ad oggetto beni immobili. Lo scritto svolge alcune riflessioni critiche sulla morfologia del contratto alla luce delle vecchie e delle nuove funzioni che il requisito formale assume, all’interno della dinamica contrattuale, con riferimento alla circolazione dei beni.
The recent judgment of the United Sections no. 6459/2020 has excluded the need for a written form of the pactum fiduciae concerning immovable properties. This paper carries out some critical reflections on the morphology of the contract in light of the old and new functions that the formal requirement assumes, within the contractual dynamic, with reference to the circulation of goods.
- Una premessa.
La pregevole sentenza della Cassazione a Sezioni Unite ribalta precedenti consolidati e contiene, nella motivazione, idee nuove e antiche sulla forma che inducono ad alcune osservazioni, in particolare su due aspetti[1].
Anzitutto sulla possibilità che il patto fiduciario orale relativo ad immobili sia idoneo titolo per il trasferimento del bene oggetto dell’accordo fra fiduciante e fiduciario. Scelta che urta, come si dirà, con i principi di certezza e sicurezza della circolazione dei beni immobili che superano gli interessi particolari dei soggetti del patto.
In secondo luogo sull’esistenza di un principio di libertà della forma del contratto. Sul punto la decisione contiene una visione che unisce aspetti difficili da conciliare: da un lato, l’esistenza di contratti a struttura forte (con la forma) e a struttura debole (senza la forma), fra cui le Sezioni unite comprendono il patto fiduciario e il mandato senza rappresentanza con oggetto immobiliare; dall’altro, la conclamata validità, in quei casi, di una manifestazione orale di volontà, in ossequio al principio di libertà delle forme, appunto. Idolo abbattuto anche dall’elegante e autorevolissima prosa che ispira la sentenza[2].
Da qui l’occasione per alcune riflessioni sulla morfologia del contratto alla luce delle nuove esigenze e funzioni che il requisito assume nella dinamica contrattuale.
Iniziamo con ordine. Dal problema e dal fatto.
- Il problema.
Il fatto concerne un’alienazione immobiliare (del 1984) fra alcuni fratelli con l’accordo (orale) che il prezzo sarebbe stato anticipato da uno di essi, a cui gli altri riconoscono la proprietà, con obbligo di ritrasferire la cosa, come e quando sarebbe stato indicato dal fiduciante. Nel 2002 i fiduciari confermarono con due diverse dichiarazioni unilaterali tali circostanze e, in mancanza di adempimento della prestazione dovuta, fu iniziato un giudizio. Fra alcuni di essi venne poi raggiunto un accordo, mentre la causa proseguì fra il fiduciante e una sola parte dell’operazione.
Il Tribunale di Napoli dispose il trasferimento coattivo del bene dopo aver accertato l’interposizione reale e l’esistenza del patto fiduciario, riconosciuto come esistente in base al collegamento di più atti e alla dichiarazione unilaterale ricognitiva delle parti. La Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza sulla base di alcune considerazioni: si rileva la necessità della forma scritta ad substantiam del patto fiduciario immobiliare e, dunque, la sua nullità; si prende atto di quanto contenuto in via confessoria nella dichiarazione dei fiduciari e si reputa efficace e provata un’operazione frazionata di vendita sulla base di un effettivo negozio fiduciario, realizzato tramite un collegamento di atti, seppur realizzati in tempi diversi e distanti fra loro.
Da qui il ricorso per Cassazione, ove si contesta l’efficacia della scrittura unilaterale quale valido titolo dell’obbligo di trasferimento sostanzialmente per aver riconosciuto, in mancanza di un accordo fiduciario valido, la efficacia di un atto unilaterale con l’impegno di trasferire.
Con ordinanza la Seconda sezione della Corte ha rimesso la questione al Primo presidente della Cassazione per un contrasto giurisprudenziale sulla forma del negozio fiduciario relativo ad immobili, e sulla efficacia, a fronte di un accordo orale, di una dichiarazione unilaterale scritta, con cui il fiduciario si impegna a trasferire al fiduciante la proprietà, in esecuzione dell’accordo[3]. Fissata l’udienza pubblica, il Procuratore Generale ha chiesto la formulazione di un principio di diritto atto a comporre il contrasto, secondo cui la dichiarazione unilaterale scritta di impegno a trasferire la proprietà su immobili individuati, in esecuzione di un patto fiduciario non scritto, costituisce legittima ed autonoma fonte di obbligazione suscettibile di esecuzione ex art. 2932 c.c.
- La decisione delle Sezioni unite della Cassazione.
La Cassazione ha isolato due problemi di diritto: la forma richiesta per il patto fiduciario con oggetto immobiliare e la validità per il trasferimento dovuto di una dichiarazione unilaterale ricognitiva posteriore e scritta del fiduciario, con a monte un accordo orale.
L’argomentazione inizia con l’analisi delle possibili manifestazioni del negozio fiduciario che può comporsi di diverse sequenze e realizzare diverse funzioni poste in luce dalla dottrina [4] e dalla giurisprudenza[5] divisa in una pluralità di visioni: i) l’idea di un negozio obbligatorio che limita l’effetto reale[6]; ii) il riconoscimento di una pluralità di negozi collegati con un'unica finalità economica[7] o in sequenza fra di loro[8]; iii) la scelta di un’operazione unitaria che può essere realizzata con una pluralità di negozi[9].
Preso atto di tutto ciò, la sentenza dichiara di non prendere posizione sulla diversità di opinioni e si concentra sul problema della forma nella manifestazione della volontà delle parti ponendo in luce, ancora, le diverse possibili ricostruzioni.
Alle sentenze più risalenti, si contrappone un indirizzo recente e minoritario che non ritiene necessaria la forma scritta per il pactum fiduciae con oggetto immobiliare, e necessaria, invece, per il negozio di ri-trasferimento del bene quantomeno una dichiarazione unilaterale scritta del fiduciario[10]. Ciò, in parallelo con una recente giurisprudenza sul mandato senza rappresentanza, ove si è esclusa la necessità di forma scritta in presenza di una dichiarazione unilaterale del mandatario anche successiva all’acquisto[11].
Sulla scia di questa pronunzia si reputa che la dichiarazione unilaterale scritta del fiduciario non sia una semplice promessa, ma un’autonoma fonte di obbligazione che consente la domanda di esecuzione in forma specifica (art. 2932 c.c.), purché l’atto contenga una corretta individuazione dell’immobile e sia sorretto dalla causa espressa nel patto fiduciario orale, valido in ossequio al principio di libertà della forma[12].
Queste premesse inducono le Sezioni Unite a ripensare il tema.
Si inizia da una qualificazione del pactum fiduciae assimilato non più al contratto preliminare, ma al mandato senza rappresentanza. Per alcune ragioni. In entrambi vi sarebbe un’interposizione reale di persona e, dunque, una distanza concettuale e strutturale fra preliminare e patto fiduciario che esclude la possibilità di equiparare le due figure rispetto all’obbligo formale disposto nell’art. 1351 c.c. Norma peraltro che si reputa eccezionale e non estensibile in via analogica. Quanto poi al collegamento fra vicenda traslativa immobiliare e art. 2932 c.c., si precisa che tale norma trova applicazione anche per gli acquisti mobiliari e quindi anche per trasferimenti non formali.
Tale qualificazione orienta la soluzione del problema sulla base di un richiamo, discutibile come si dirà, all’idea della esistenza di contratti con struttura debole (senza la forma) e di contratti con struttura forte (comprensivi di forma). Idea brillante, espressa da una autorevole dottrina, ma, come vedremo, non condivisa in modo generale. Comunque, la conseguenza di tale scelta è chiara. Il mandato senza rappresentanza è un contratto a struttura debole e non necessita di forma solenne, così come il pactum fiduciae che ad esso può essere assimilato.
Questo ragionamento deve essere verificato con attenzione perché sul punto la sentenza affronta il problema delicatissimo della forma nei contratti e della circolazione dei beni. Vediamo da vicino come continua la motivazione.
- Il patto fiduciario è un atto senza forma?
La sentenza ripensa alcuni precedenti[13] e intende dare continuità ad alcune pronunzie che, in ossequio al principio di libertà delle forme, escludono che il mandato immobiliare senza rappresentanza debba avere necessariamente forma scritta[14].
Ciò perché la forma scritta si impone “per gli atti che costituiscono titolo per la realizzazione dell’effetto reale”, mentre fra mandante e mandatario il rapporto è meramente obbligatorio e dunque non soggetto a forme solenni, mentre l’art. 1351 c.c. è norma eccezionale, non estensibile per analogia.
Analoghe osservazioni si svolgono per il patto fiduciario che crea, si osserva, un assetto di interessi di natura solo obbligatoria fra le parti, anche quando ha ad oggetto beni immobili, sicché si potrebbe porre un problema di prova, ma non di validità per difetto di forma scritta[15].
Questa conclusione secondo la Corte, “riconcilia la soluzione giurisprudenziale con la storia e con l’esperienza pratica del negozio fiduciario” assai diffuso in una serie di rapporti tra coniugi, conviventi, familiari e amici ove per “motivi di opportunità, lealtà e fiducia reciproca” le parti sono “restie a consegnare” la loro reciproca e solidale volontà ad atto scritto, il cui rigore formale “potrebbe escludere la rilevanza pratica della fiducia in molte ipotesi di fiducia cum amico” dato che “la formalità del patto finirebbe quasi sempre per incidere sulla dimensione pratica del comportamento”[16].
Sulla base di tali premesse, discutibili e discusse[17] si esclude la necessità della forma scritta del patto fiduciario immobiliare per la sua validità e si ammette la sua esecuzione in forma specifica fra fiduciante e fiduciario. Decisione che si presta ad alcuni rilievi critici sulla forma del contratto e sui principi che regolano la circolazione dei beni e la trascrizione. Vediamo perché cominciando dal primo.
- Sulla morfologia del contratto. Dal formalismo, al nihilismo, al salvagente della forma.
Il tema della forma, come si è detto benissimo è “tutt’uno con la concreta e specifica indagine, col modo di impostarla svolgerla concluderla”[18] e la morfologia[19] si serve di due metodi: uno “strutturale che “considera la forma soltanto come condizione di esistenza giuridica dell’atto” e “uno teleologico, che stima la forma come mezzo per raggiungere uno scopo”[20].
A cavallo del Novecento due letture diverse indicavano il requisito formale ora “come strumento della volontà”[21], ora “come vaso, entro il quale essa si versa”[22]. Queste impostazioni erano unite, però, da una comune visione della separazione fra forma e contenuto di un atto, il quale, si diceva, non è che uno “stampo che rimane al di là del contenuto”, quasi un “segno rivelatore” o una “fonte di prova” per mezzo della quale “il fatto interno del volere si appalesa nel mondo sensibile”[23].
Un autorevolissimo pensiero, che incide su alcuni tratti dalla sentenza, segue con finezza rara un diverso orientamento. Vediamo come.
La separazione fra forma e contenuto, pare al Nostro Autore, superata dalla filosofia del Novecento, da De Sanctis a Croce, e dai giuristi che, con qualche eccezione autorevole, prendono contezza, secondo questo pensiero, della inscindibile “unità dell’atto”, perché “la forma è sempre forma di un contenuto, e questo è tale in quanto “calato e risolto in una forma” da altri “percepita ed interpretata” nel “suo obbiettivarsi e distaccarsi dall’autore”[24].
Questa sollecitazione è raccolta, in particolare, dagli studiosi di diritto internazionale sino a maturare una piena “coscienza metodologica” sulla identità di forma e contenuto[25], fatta propria, poi, dai civilisti con l’analisi di Osti[26], nei primi decenni del Novecento, e, come vedremo, pur con qualche dubbio, di Betti, che supera, questo sì, ogni riferimento volontaristico[27].
Da qui il corollario. “L’atto è unità di forma e contenuto” e non si può aggiungere niente dall’esterno “perché in esso tutto è già compreso: il segno ed il significato, la parola e il pensiero”. E così, quando l’art. 1321 descrive il contratto come accordo in “questo accordo c’è l’unità di forma e contenuto” e “la stessa unità ritorna nell’art.1325 n.1 ove l’accordo “è uno tra i molteplici requisiti del contratto” mentre causa ed oggetto “non si pongono accanto, ma dentro l’accordo”.
Tutto ciò con una conseguenza estrema.
“Dove il legislatore richiede soltanto l’accordo (e, nell’accordo, una causa ed un oggetto), il problema giuridico si condensa ed esaurisce nell’accertare l’esistenza di tale elemento e si possono separare due ipotesi diverse di contratto. Con struttura forte quando è richiesta la forma e con struttura debole quando quel requisito non è richiesto”[28]. Il mutamento rispetto al passato è evidente: “non più la misteriosa ed invisibile volontà, che si esterna mediante servizievoli forme, ma l’identità di forma e contenuto, di parole e di pensiero”[29]. Non solo, osserva ancora Irti, “è vano ed erroneo, discettare di una forma indispensabile che sta nell’atto” perché il criterio di rilevanza di tale requisito è offerto “dalla valutazione legislativa e solo da questa”[30]. Dunque “i contratti previsti con struttura debole, sono, nel profilo giuridico, contratti privi di forma: negozi amorfi”[31]. D’altra parte, si continua, “l’esigenza di una forma idonea allo scopo non è una necessità giuridica, ossia imposta dalla legge e costitutiva di un onere delle parti: è una mera necessità pratica onde ciascuno di noi calcola e sceglie la tecnica espressiva più opportuna”. Non esiste, dunque, una naturalità della forma e non si può convertire quella naturalità fingendo una “norma che conceda alle parti la libera scelta della forma”.
Cade, con questo serrato ed elegante argomentare, un idolo: il principio di libertà delle forme.
E l’idolo viene abbattuto con forte sciabolata.[32]. “l’unica norma sulla forma, unica ed esclusiva, è l’art.1325 n.4 c.c., “la descrizione della fattispecie debole non contiene il requisito della forma, ma soltanto il requisito dell’accordo. Né illibertà né libertà; piuttosto irrilevanza del problema della forma, il quale affiora, sulla superficie legislativa, solo con riguardo alle fattispecie forti”.[33]
Le quali sono norme (né generali né eccezionali) e dunque “al pari di ogni altra suscettibili di applicazione analogica”[34]. Tenendo conto del formalismo legale per quanto attiene ai beni immobili, dell’a-formalismo che domina il mondo degli affari e del crescente formalismo contenuto in leggi speciali di protezione che domina il presente.
Tale costruzione non sarebbe scalfita, secondo Irti, dalle analisi funzionali o teleologiche della forma[35] che non troverebbero fondamento per gli atti privati nell’art. 1325 n. 4 al contrario di quanto prevedono gli articoli 121 e 156, III comma, del codice di procedura civile per gli atti processuali. Le linee ricostruttive sono dunque chiare.
Il problema della forma deve essere depurato da ogni suggestione giusnaturalistica e va posto e risolto sulla base del solo diritto positivo, e in particolare dell’art. 1325, che prevede due strutture di contratto, una forte con la forma e una debole sorretta solo dall’accordo. Mentre “il principio di libertà delle forme non ha alcun valore giuridico” e le norme sulla forma “non sono eccezionali rispetto ad una norma regolare”. Sono norme e basta, suscettibili di applicazione analogica, ma non per i contratti tipici a struttura debole “che non sollevano (e non possono sollevare) problemi di forma”[36].
Sicché la norma e non il principio di libertà è alla base della morfologia del contratto e ciò conduce il nostro Illustre autore, dopo pochi anni, direttamente ad una riflessione sul nihilismo.
“Ancora da scrivere”, si dice in un volume che porta quel titolo, come itinerario per riscoprire una “ratio tutta storica e terrena” e un diritto “posto che non imita né rispecchi un diritto sovrastante”. Una norma che “orienta a perseguire uno scopo, determina il mezzo idoneo” senza alcun “criterio esterno o controllo di ammissibilità”. Un nihilismo, dunque, che è non è assenza di scopi, ma “un’apertura a tutte le scelte e a tutte le soluzioni” perché “la volontà non ha pace e trascorre di scopo in scopo, da emergenza ad emergenza, da posizione a posizione di norme”[37]. E il nihilismo trova un seguito logico nella forma[38] come “estrema salvazione” in uno scenario lucidissimo e agghiacciante che allunga la sua ombra sul presente.
“Il formalismo si delinea come corrispettivo dell’indifferenza contenutistica”. Se nessuna norma è interdetta; se tutte giacciono nella possibilità di essere o non essere; se le norme vigenti sono rose dal “tarlo del nulla”, e ciascuna altra è in grado di tenerne il luogo; allora rimane soltanto la stabilità della forma”. E di un diritto che “non ha punti di appoggio esterni, che siano al di fuori o al di sopra di esso”, ma si “ritira nella forma” appunto “nell’ordine delle procedure produttive” di norme. Con funzione tecnica perché “la forma non è più al servizio di un contenuto. Questo scompare, per così dire, dietro e dentro la forma che campeggia nuda e solitaria”. Dunque un salvagente. Perché “se nessun contenuto è vincolante, e tutti i contenuti oscillano fra essere e non essere, allora la forma è l’unica realtà sicura. Essa non può né illudere né deludere, né svegliare attese né spengere speranze, poiché tutto è in grado di accogliere e tutto, nel mondo giuridico tramutare in norme”. Si consolida così “l’intima connessione fra formalismo e nihilismo” perché in assenza di “qualsiasi vincolo di contenuto”, solo “la forma, struttura oggettiva e impersonale, ospitante aperta e indifferente, corrisponde al divenire delle norme, al loro nascere dal nulla e ritornare nel nulla[39].
Un discorso che ha di recente un esito sistematico altrettanto forte[40] nel portare a compimento nel XX e XXI secolo la dissoluzione dell’idea universale di Dike[41].
- Autoregolamento e titolo dell’acquisto nei rapporti fiduciari.
L’impressione che si trae da questa lucidissima analisi è duplice.
Anzitutto la certezza ricercata solo nella norma abbatte l’idolo della libertà di forma, ma apre la via ad altri idoli[42]. L’adorazione della legge sostituisce ad un valore di libertà un altro assoluto: la lettera della norma, da cui emergerebbero negozi senza forma. I quali non esistono neppure nell’analisi di Betti[43] e di Carnelutti[44] pur nella diversità di valutazioni[45].
A ben vedere l’equivoco sta nel ridurre la forma alla forma solenne, mentre il requisito indicato nell’art. 1325 c.c. esprime un “modo di esistere dell’atto” sia esso “dichiarazione, silenzio, manifestazione tacita, comportamenti concludenti, negozi di attuazione, dichiarazioni legali tipiche” od altro[46]. Tutto ricondotto “sotto l’indice concettuale della forma, che va perciò intesa come morfologia dell’atto”. Mentre la visione restrittiva che riduce la forma alla solennità (art.1325 n.4 c.c.), ignora le “diverse angolature, dalle quali la stessa realtà economico-sociale può essere analizzata per una più esatta comprensione della struttura e più rigorosa soluzione dei problemi di trattamento”[47].
Ed è proprio il passaggio dalla norma isolata al confronto con altre norme che apre ad una diversa visione della forma del contratto.
Anzitutto perché “in un mutato quadro generale delle fonti i principi costituzionali non si pongono in una semplice contrapposizione linguistica rispetto allo ius positum, ma sono a quest’ultimo sovraordinati”, attribuendo agli interpreti un diverso e più complesso compito di cogliere la ragione giustificatrice del requisito formale. Il quale è difficilmente ricostruibile in termini unitari stante le diverse funzioni realizzate dalla legge speciale che prevede un vincolo formale e il diverso utilizzo dei rimedi con i quali reagire alla violazione[48].
Insomma una risposta al problema della forma dei contratti può essere risolto solo da un esame della norma (1325 c.c.) e dei principi che regolano la circolazione dei beni. Principi di certezza e stabilità posti nell’interesse generale che non ampliano tutele, ma esigono il rispetto di un’esigenza di ordine che responsabilizza chi contrae in vista di un effetto traslativo rilevante anche per i terzi, siano essi creditori o altre categorie di interessati ad un requisito posto nell’interesse di tutti.
Basta pensare, solo in via esemplificativa, al formalismo immobiliare, previsto dal codice civile ai numeri 1-6 e 11 e 12 dell’art.1350, al neo-formalismo della legislazione speciale in tema di contratti del consumatore, alla commercializzazione a distanza di servizi finanziari, alla vendita di pacchetti turistici, ai contratti bancari e di intermediazione finanziaria, ai contratti di sub-fornitura, alle transazioni commerciali tra imprese e PA, ai contratti di affiliazione commerciale, alla locazione di immobili adibiti ad uso abitativo[49].
In questi e altri casi sono diverse le conseguenze sottese alla eventuale violazione del vincolo formale. Si parla per alcuni di forma ad substantiam, in altri di valida stipulazione dell’atto, in altri ancora di una forma finalizzata alla prova dell’esistenza della pattuizione (locazioni). Si esplicita, a volte, la funzione informativa della forma che sfocia in una nullità relativa e parziale che va ben oltre il rilievo di vestimentum dell’atto e investe a volte “ la determinazione di un contenuto minimo essenziale dell’atto, quasi sempre di natura informativa e diretto a condizionare il valido perfezionamento del contratto” o richiede “la consegna di una copia del contratto già sottoscritto o di un supporto durevole, così da assicurare al destinatario la possibilità di ricostruire agevolmente i suoi contenuti” che dovranno essere sempre “chiari e comprensibili”[50]. Non solo
La giurisprudenza della forma dei negozi di secondo grado è univoca. A partire dalla risoluzione del contratto preliminare immobiliare[51] per cui si esige la stessa forma in base ad un’identica ratio[52]; sino a tutti i contratti modificativi solutori o estintivi[53] e alla risoluzione [54] o recesso da un contratto formale[55], mentre solo una parte della giurisprudenza esclude in taluni casi, la forma scritta degli elementi non essenziali[56] e la prova per testimoni di modificazioni che incidono sull'effetto traslativo [57].
In tutti questi casi si tratta di negozi atipici ove non esiste una norma esplicita e si opta per il rigore formale, totale o parziale, sulla base di una coerenza sistematica e di analogia con vicende traslative immobiliari.
Resta da chiedersi come questa soluzione si coordini con quanto affermato oggi dalle Sezioni Unite.
Il ragionamento della sentenza si fonda su due argomenti, come si è visto: un’analisi strutturale della figura del mandato senza rappresentanza, qualificato come figura tipica con struttura debole, alla quale è equiparato il negozio fiduciario. Una visione finalistica tesa a non sacrificare contegni basati sulla fiducia e restii ad essere contenuti in schemi rigidi formali. In entrambi i casi, si considerano gli effetti obbligatori, del mandato e della fiducia, idonei ad escludere l’analogia con i contratti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari. Ma non si spiega in modo appagante perché il mandato e il pactum fiduciae non debbano avere una forma scritta come tutti gli altri negozi con effetti obbligatori atipici, finalizzati ad una vicenda traslativa immobiliare. In particolare l’idea che in tal caso tali contratti siano privi di forma non convince. Di più.
Credo che tale premessa condizioni la scelta di fondo. Se si concorda con quanto si è prima affermato. Non esistono negozi tipici o atipici senza forma. L’assenza di una norma sulla forma non legittima la scelta per una forma libera, perché la soluzione va ricercata nella comprensione dell’art. 1325 n.4 c.c. oltre il significato letterale delle parole. Quando si indica la forma “prescritta dalla legge sotto pena di nullità” si intende la forma solenne richiesta nell’art. 1350 c.c. e in tutte le altre norme speciali che richiedono, per fini speciali, un requisito formale.
Norme che non sono eccezionali, perché non esiste un principio di libertà delle forme.
Esiste solo un problema ermeneutico di estensione analogica della ratio di quelle norme a casi simili e materie analoghe e una coerente valutazione del contratto. Separando ciò che attiene al regolamento fra le parti e ciò che attiene al titolo per il trasferimento di beni che riguarda tutti i terzi. Su questo profilo occorre fare il massimo di chiarezza.
“Il piano degli effetti del negozio traslativo e quello dell’obbligo assunto con il patto, seppur collegati, restano distinti come distinto deve rimanere il piano dell’atto e del comportamento, il piano della validità di un negozio e il piano della responsabilità, che la legge riferisce ai contegni e non alle dichiarazioni di volontà”[58]. Sicché il mandato senza rappresentanza e il patto fiduciario si possono ritenere validi ed efficaci fra le parti anche se stipulati oralmente ma, comunque, per essi si pone il problema del titolo dell’acquisto in presenza sia di un trasferimento fra fiduciante e fiduciario sia di una cessione del bene immobile a terzi.
In tali casi, la forma scritta si impone per una coerenza sistematica ed un’esigenza di controllo che non si può ignorare.
- Circolazione dei beni immobili e utilità sociale.
È solo il caso di ricordare che in Germania (par. 301 b BGB) è necessario per ogni vicenda immobiliare un atto scritto e una certificazione notarile, mentre in Francia si dispone che il contratto di fiducia sia redatto in forma scritta, registrato e comunicato all’amministrazione finanziaria e alle autorità competenti per il controllo antiriciclaggio (L. 9 febbraio 2007, n.211). Esigenza questa avvertita anche in Italia contro il pericolo di “sottrazioni fraudolente ai tributi “e di illeciti ancora più gravi[59].
D’altra parte non credo che giovi in questo caso una riflessione sulla compenetrazione fra fatto e diritto o un richiamo esclusivo alle vicende concrete del fiduciante e del fiduciario[60], senza una riflessione sulle regole e i principi della circolazione dei beni. Solo qualche cenno ancora su questo punto.
La sentenza attribuisce alla dichiarazione unilaterale scritta il ruolo di pagamento traslativo e non di fonte autonoma dell’obbligo di trasferire. E ciò è condivisibile [61]anche sul piano della formazione del titolo dell’acquisto. Perché si è già in altre occasioni ritenuto idoneo un atto unilaterale e respinto l’idea che sia sempre necessario un atto bilaterale scritto. Per un motivo chiaro. Basta pensare alla norma sulla trascrizione del preliminare che fa espresso riferimento ad un atto e non ad un contratto e alle sentenze che nella specie reputano necessario un negozio unilaterale per il trasferimento[62]. Tale opinione emerge da un ripensamento del principio del consenso traslativo espresso nell’art. 1376 c.c che una parte della dottrina ha effettuato da molto tempo[63].
Tutto ciò ha condotto a tener distinti la validità di un auto-regolamento obbligatorio fra le parti e il titolo idoneo per un trasferimento immobiliare che trova causa in quell’accordo, valido anche se espresso in forma orale. Non fosse altro perché il problema del titolo si risolve coordinando fra loro l’art. 1325 n. 4, l’art. 1350 e 1351 c.c., al di là di un’analisi letterale della prima norma e ragionando, invece, sugli effetti e sulla funzione del contratto.
Occorre aver presente la “pluralità di valutazioni che la legge opera nei confronti dello stesso negozio”[64], la cui “unità si distingue in una serie di prospettive diverse, a seconda che si consideri la formazione dell’accordo, la sua giustificazione causale”[65], gli effetti fra le parti e il suo rilievo esterno. La formazione del contratto rinvia ad una serie di procedimenti, la causa e il tipo riguardano la giustificazione e meritevolezza dell’atto. “Al fatto così integrato l’ordinamento fa seguire effetti impegnativi fra le parti (art.1372 c.c.) e, in prospettiva diversa, attribuisce rilevanza al negozio nei confronti dei terzi, come conseguenza autonoma del titolo dell’acquisto e della sua trascrizione”.
Se è così il patto fiduciario non è un contratto “senza forma”, ma ha una forma coerente ai suoi effetti e alla operazione più ampia di cui fa parte.
Credo insomma che la soluzione delle Sezioni unite dovrebbe essere ripensata anche perché il caso di specie, su cui si dovrebbe formare il precedente, si basa su di un accordo verbale e un atto unilaterale ricognitivo scritto[66]. In presenza di un giudizio specifico sull’adempimento di un patto verbale con sentenza costitutiva, senza alcun atto scritto, credo si debba ancora giustificare la seguente conclusione.
La validità ed efficacia inter partes del patto fiduciario e del mandato senza rappresentanza sono coerenti con il semplice rilievo degli effetti obbligatori che non richiedono formalità. Resta il problema del titolo dell’acquisto.
L’art. 1351c.c. non è una norma eccezionale e può essere applicata assieme al contesto delle ipotesi normative previste nell’art. 1350 c.c., con un procedimento analogico che tenga conto di materie analoghe e di principi, anche per l’atto di trasferimento fra fiduciante e fiduciario. Perché la tutela del fiduciante non può prevalere su quella di tutti i terzi. Né si può aggirare l’esigenza di controllo dell’eventuale illiceità del patto fiduciario per violazione delle norme antiriciclaggio, delle disposizioni fiscali o penali, e, comunque, del divieto costituzionale di violare l’utilità sociale (art.41 2 comma).
Condivisibile è invece l’idea che l’atto unilaterale scritto con un expressio causae o comunque correlato ad un patto orale valido, possa contribuire a formare un titolo idoneo all’acquisto in base al ruolo della promessa e alla produzione dell’effetto reale immobiliare che non necessita sempre di un atto bilaterale scritto.
Peraltro la validità del patto orale consente un’azione di responsabilità per il suo inadempimento che può comportare eventuali restituzioni e, dunque, una tutela effettiva del fiduciante, senza il ricorso all’art. 2932 c.c.
Credo che così si eviti un traumatico orientamento anti-formalistico criticato da una parte della dottrina[67] e si possa affrontare in modo coerente anche il profilo della prova del patto. Di estrema delicatezza[68]. Solo un cenno.
- La prova del pactum fiduciae.
Una antica sentenza della Cassazione ha escluso che alla prova del pactum fiduciae si applichino le preclusioni di cui agli articoli 2721 e seguenti[69], mentre alcune sentenze più recenti escludono tali preclusioni “soltanto nel caso in cui il patto sia volto a creare obblighi connessi e collaterali rispetto al regolamento contrattuale”. Nel caso di impegni, quindi, idonei a realizzare uno scopo “ulteriore in rapporto a quello naturalmente inerente al tipo di contratto stipulato, senza contraddire il contenuto espresso di tale regolamento”. Ciò implica che solo quando l’accordo “si ponga in antitesi con quanto risulta dal contratto si applicano le disposizioni che vietano la prova testimoniale di patti aggiunti e contrari al (suo) contenuto”[70].
Non è facile comprendere quando l’obbligo fiduciario sia connesso e collaterale allo scopo del contratto stipulato e quando, invece, si ponga in antitesi con esso. Si può solo osservare che il pactum fiduciae non contrasta, di regola, con gli effetti del negozio traslativo né amplia il suo contenuto, ma “opera sul piano dei comportamenti e della responsabilità, prevedendo un obbligo che, se inadempiuto, produrrà, in una prospettiva diversa dall’efficacia delle dichiarazioni, alcune conseguenze fra le parti”. Come si è osservato, “il piano degli effetti del negozio traslativo e quello dell’obbligo assunto con il patto, seppur collegati, restano distinti come distinto deve rimanere il piano dell’atto e del comportamento, il piano della validità di un negozio e il piano della responsabilità che la legge riferisce ai contegni e non alle dichiarazioni di volontà”[71].
Ma non mancano decisioni ove si afferma che il contratto di ri-trasferimento immobiliare è soggetto alla forma scritta sicché il patto fiduciario o il mandato dovrebbero essere conclusi nella stessa forma e non potrebbero essere provati per testimoni ai sensi degli artt. 1325 e 1326[72] per un’esigenza di conformità con l’art.1351 c.c.[73].
A tale tesi si può opporre la diversità fra l’accordo verbale e il titolo dell’acquisto che esclude la corrispondenza delle forme per il trasferimento e non per il negozio gestorio o fiduciario da cui deriva solo un comportamento dovuto, oggetto di una possibile prova per testi non soggetta a formalità[74].
Ma anche su questo aspetto è opportuno un ulteriore intervento chiarificatore della giurisprudenza teorica e pratica
[1] Cass. Sez. Un., 6 marzo 2020, n. 6459, in www.personaemercato.it.
[2] N. Irti, Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano,1985, p. 20 ss.
[3] Cass., 5 agosto 2019, n. 20934, in Corr. giur., 2019, p. 1473, con nota di A. Gentili, La forma scritta nel patto fiduciario immobiliare.
[4] Sono note le diverse visioni: l’esistenza di una causa fiduciaria che sorregge un’operazione unitaria (C. Grassetti, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, in Riv. Dir. comm., 1936, I, pp. 351 e 356); la critica a tale tesi sulla base della presenza nel sistema di negozi tipici di trasferimento e il rilievo, dunque, come motivo della fiducia (F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1979, p. 180); l’idea che un effetto reale piegato a fini ulteriori creerebbe un assetto stabile sulla res derivante dalla volontà dei privati “quando invece l’ordinamento riserva a sé la configurazione di tali rapporti” (S. Pugliatti, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Riv. Int. sc. giur., 1948, p. 182, ora in Diritto civile. Metodo teoria pratica, Milano, 1951, p. 327 ss.); la presenza di due negozi fra loro collegati, uno con effetti reali e l’altro con effetti solo obbligatori (N. Lipari, Il negozio fiduciario, Milano,1964, p. 304). Si veda per tale sintesi G. Vettori, La prova del “pactum fiduciae”, in Foro it., 1991, c. 2496 (p. 4 ss. dell’estratto) e le analisi di L. Santoro, Il negozio fiduciario, Torino, 2002, nonché di P. Marra, Fiduciae causa, Padova, 2018.
[5] V. per una sintesi schematica già, Cass., 7 agosto 1982, n. 4438, in Foro it., Rep., 1982, Contratto in genere, n. 66.
[6] Cass., 2 aprile 2009, n. 8024, in Foro it., 2010, I, c. 551; Cass., 9 maggio 2011, n. 10163, in Giur. it., 2012, p. 1045, con nota di F. Michetti, Intestazione fiduciaria e onere di forma; Cass. 17 settembre 2019, n. 23093, in Notariato, 2019, p. 647.
[7] Cass., 18 aprile 1957, n. 1331, in Giust. civ., 1957, I, c. 1961.
[8] Di recente, Cass., 1 aprile 2003 n. 4886, in Corriere giur., 2003, p. 1041 con nota di V. Mariconda, Una decisione della cassazione a critica libera sulla rilevanza della intestazione fiduciaria di immobili; Cass. 8 settembre 2015, n. 17785, in Trusts, 2016, p. 513.
[9] Cass., 15 maggio 2014, n. 10633, in Contratti, 2015, p. 12 con nota di M. Patrone, Impegno unilaterale del fiduciario al trasferimento del bene ed esecuzione in forma specifica.
[10] Cass. 10633/2014, cit.
[11] Cass, 02 settembre 2013, n. 20051, in Foro it., 2014, I, c. 522.
[12] Cass., 30 gennaio 1985, n. 560, in Dir. e giur., 1987, p. 268; Cass., 27 agosto 2012, n. 14654, in www.webgiuridico.it.
[13] Cass., 19 ottobre 1954 n. 3861, in Foro it., 1955, I, c. 9.
[14] Cass., 20051/2013, cit.; Cass. 28 ottobre 2016, n. 21805 in Foro it. Mass., 2016, 764.
[15] Se il fiduciante ha difficoltà di provare il patto orale, gli è di aiuto, si osserva, la dichiarazione ricognitiva riconducibile alla promessa di pagamento che dispensa dalla prova del rapporto fondamentale, perché l’atto unilaterale assolve dall’onere della prova e rafforza la posizione del fiduciante che non dovrà provare il rapporto fondamentale. Ciò in base ad un’astrazione processuale e non sostanziale perché il titolo esiste e la sua esistenza è presunta iuris tantum. Il fiduciario, insomma, è già obbligato con un atto verbale e ha l’onere della prova contraria (Cass., 13 ottobre 2016, n. 20689, in Foro it. Mass., 2016, 741).. D’altra parte, la promessa di pagamento non ha natura confessoria, sicché il promittente può dimostrare, a sua volta se del caso, l’inesistenza della causa e la nullità dell’atto (da ultimo, Cass., 05 ottobre 2017, n. 23246, in Foro it. Mass., 2017, 776; ma già Cass., 05 luglio 2004, n. 12285, in Giur. it., 2005, p. 1156).
[16] Cass., 6459/2020, cit., §6.5.
[17] A. Gentili, Un dialogo con la giurisprudenza sulla forma del “mandato fiduciario” immobiliare, in Corriere giuridico, 2020, 589 ss.
[18] N. Irti, Idola libertatis, op. cit., p.41.
[19] V. Frosini, La struttura del diritto, Milano, 1968, p.79 ss.
[20] N. Irti, Idola libertatis, op. cit. p.45.
[21] F.C. Savigny, Sistema del diritto romano attuale, trad.it. V.Scialoja, v. III, Torino, 1900, p. 342.
[22] F. Carnelutti, Sistema del diritto processuale civile, II, Padova, 1938, p.160.
[23] N. Irti, Idola libertatis, op. cit., p. 5 ed ivi l’ultimo periodo tratto da F.C. Savigny, Sistema, op. cit., p. 316.
[24] N. Irti, Idola libertatis, op. cit., p. 6-7, ed ivi il richiamo a A. Pagliaro, Necessità della forma, in Il segno vivente. Saggi sulla lingua e altri simboli, Napoli, 1958, p. 32.
[25] G.C. Buzzati, L’autorità delle leggi straniere relative alla forma degli atti civili-Locus regit actum, Torino, 1894, p. 81-82, ove assai spesso si “deve regolare la sostanza di un atto secondo una legge” e “la forma secondo un’altra”.
[26] G. Osti, voce Forma (negli atti), in Diz. prat. dir. priv., III, i, Milano, 1923, p. 200 ss., e, con più cautela, nelle voci Contratto nel Nuovo dig.it., 1938 e nel Noviss.dig.it. 1957, ora in Id., Scritti giuridici, II, Milano,1973, pp. 613-618, 808-816.
[27] E. Betti, Riflessioni sul negozio giuridico, in Temi, 1963, p. 609.
[28] N. Irti, Idola libertatis, op. cit., p.13-14.
[29] N. Irti, Idola libertatis, op. cit., p. 8.
[30] N.Irti, Idola libertatis, op. cit.p.14.
[31] N. Irti, op. loc. cit.
[32] N. Irti, op. cit., p. 21 non si può pensare che “dove sia assente la norma, ivi si apra e trionfi il regno dell’umana libertà” perché questa libertà è “giuridicamente neutra”. Non è una regola generale rispetto ad altre, eccezionali, impositive di forme, proprio perché non c’è una norma sulla libertà ma solo un’assenza di norma in tale senso.
[33] N. Irti, op. cit., p.22
[34] N. Irti, Idola libertatis, op. cit., p. 19-22.
[35] V. in particolare, M. Giorgianni, Forma, op. cit., p. 995 ss.
[36] N. Irti, Idola libertatis, op. cit, p. 91.
[37] N. Irti, Nihilismo giuridico, Roma-Bari, 2004, p. IV-VIII.
[38] N. Irti, Il salvagente della forma, Roma-Bari, 2007, p. V.
[39] N. Irti, Il salvagente della forma, op. cit., p VII-VIII.
[40] M. Cacciari e N. Irti, Elogio del diritto, Milano, 2019 ed., ivi, N. Irti (Destino di Nomos, p. 115 ss.) con un’analisi raffinata, del presente, stretto fra la secolarizzazione dell’idea di Dike sottratta alla visione cosmica del passato e ridotta ad una occasionalità del diritto che lascia solo l’uomo di fronte ad un dilemma tutto umano. Accettare l’ordine di una lex espressa da una pluralità di ordinamenti legittimi o “andarsene”, rifiutando una legalità per sceglierne un’altra, altrettanto occasionale e contingente.
[41] N. Irti, Destino di Nomos, op. cit, p. 115.
[42] Sulla “lezione crociana” che ispira la teoria di Irti e sull’affermata identità di forma e contenuto v. P. Vitucci, Applicazioni e portata del principio di tassatività delle forme solenni, in Quadrimestre, 1989, p. 55 ss., e, soprattutto, P. Perlingieri, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli,1987, pp. 39 e 56, ove si osserva che “La relazione fra libertà di forma e le forme vincolate non si deve intendere nel senso che ogni regolamento vincolante sia espresso in norme eccezionali”. Tale relazione configura piuttosto un sistema composito, ove “forma volontaria e forma legale sono entrambe strumentali alla realizzazione di interessi” secondo una valutazione di sistema”. Per queste notazioni v. espressamente G. Vettori, La prova del “pactum fiduciae”, op. cit., p. 14.
[43] E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1952, p. 126: “La comune classificazione dei negozi in “formali” e “non formali” non deve indurre nella erronea credenza che vi siano negozi nei quali si possa fare a meno di qualsiasi forma. In verità un atto, come atto socialmente rilevante, non sussiste senza una forma di contegno attraverso la quale sia riconoscibile agli altri consociati.” E ancora, ivi, p. 126 nota 3 “A nostro avviso la forma, comunque la si voglia intendere, si contrappone concettualmente al contenuto, né questo è riassumibile in essa”
[44] F. Carnelutti, Sistema, II, op. cit., p. 175 “ Atti non formali nel senso che non ne sia affatto regolata la forma, non esistono; esistono però degli atti, la cui forma è libera dal lato dell’azione: tali sono quelli che comunemente si chiamano non formali”
[45] E. Betti, Teoria generale del negozio, op. cit., p. 126 nota 3, non condivide la “identificazione che Carnelutti propone dell’evento che negli atti illeciti viene contrapposto all’azione, col ‘contenuto’ degli atti giuridici, così da ricomprendere questo nella forma latamente intesa”.
[46] G. Benedetti, Il diritto dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, Napoli, 1997, p. 47-48.
[47] G. Benedetti, Il diritto dei contratti, op. cit., p. 48-49.
[48] Mi permetto di richiamare quanto richiamato in sintesi in G. Vettori, Contratto e rimedi, Padova, 2017, p. 359 ss.
[49] Sul punto, per tutti, V. Scalisi, Forma solenne e regolamento conformato: un ossimoro del nuovo diritto dei contratti?, in Riv. dir. civ., 2011, p. 415.
[50] G. Vettori, Contratto e rimedi, op. cit., p.366 ss.
[51] Cass., 23 novembre 2018, n. 30446, in www.italgiure.giustizia.it, ove si osserva che “la risoluzione consensuale di un contratto preliminare riguardante il trasferimento, la costituzione o l’estinzione di diritti reali immobiliari è soggetta al requisito della forma scritta “ad substantiam” e, pertanto, non può essere provata mediante deferimento di giuramento decisorio, inammissibile ai sensi dell’art. 2739 c.c.”
[52] Cass., 22 febbraio 2018, n. 4313, in www.italgiure.giustizia.it, ove si osserva che il preliminare è soggetto “ al requisito della forma scritta ad substantiam, al pari del contratto risolutorio di un definitivo, rientrante nell'espressa previsione dell' articolo 1350 del codice civile, dato che la ragione giustificativa dell'assoggettamento del preliminare alla forma ex articolo 1351 del codice civile, da ravvisare nell'incidenza che esso spiega su diritti reali immobiliari sia pure in via mediata, tramite l'assunzione di obbligazioni, si pone in termini identici per il contratto risolutorio del preliminare stesso”. Nello stesso senso Cass,, 26 giugno 2015, n. 13290, in Giust. Civ. Mass., 2015; Cass., 11 ottobre 2002, n. 14524, in Giust. civ., 2003, I, c. 352; Cass., 19 ottobre 1998, n. 10328, in Riv. Notariato, 1999, p. 723; Cass., 29 gennaio 1994, n. 928, in Foro it. 1994, I, c. 709; Cass. 11 ottobre 1991, n. 10707, in Giust. civ. Mass. 1991; Cass., Sez. Un., 28 agosto 1990, n. 8878, in Riv. Notariato, 1991, p. 1033; Cass., 24 novembre 1983, n. 7047, in Giust. civ. Mass. 1983; Corte App. Firenze, 24-02-2006, n. 320, in Redazione Giuffrè, 2006.
[53] Cass., 14 novembre 2000, n. 14730 in Contratti, 2001, p. 221, con nota di P.F. Giuggoli, La forma del recesso da contratti formali per cui “Nei contratti formali (tra cui il preliminare di compravendita di beni immobili, ai sensi del combinato disposto degli art. 1350 e 1351 c.c.), le cause modificative o estintive del rapporto debbono risultare da fattori prestabiliti dalle parti nello stesso contratto e debbono essere, comunque, espresse nella forma richiesta per il contratto al quale si riferiscono, con la conseguenza che tanto l'accordo solutorio quanto la dichiarazione di recesso debbono rivestire la stessa forma scritta richiesta per la stipulazione del contratto preliminare”. Si veda, anche, Cass., 24 giugno 1982, n. 3839, in Giust. civ., 1983, I, c. 553.
[54] Cass., 10 gennaio 1996, n. 162, in Riv. giur. Edilizia, 1996, I, p. 671: “La risoluzione consensuale di un contratto riguardante il trasferimento o l'estensione di diritti reali immobiliari è soggetta al requisito della forma scritta “ad substantiam” non solo quando il contratto da sciogliere è definitivo ma anche quando è preliminare in quanto esso si pone riguardo agli effetti che produce sui diritti reali immobiliari in termini identici per il contratto risolutorio del preliminare medesimo”; Cass., 18 febbraio 1995, n. 179; Corte App. Roma, 26 aprile 2018, n. 2780, in Guida al diritto, 2018, p. 43, 62 “La ragione giustificativa dell'assoggettamento del preliminare alla forma ex articolo 1351 del cc è da ravvisarsi nella incidenza che esso spiega su diritti reali immobiliari e si pone in termini identici per il contratto di risoluzione del preliminare stesso”; Trib. Torino, 08 aprile 2003, in Foro pad., 2003, I, p. 345. Sulla necessità di forma scritta con riferimento alle modifiche del contratto preliminare, si veda invece Cass., 23 agosto 2019, n. 21645 in www.italgiure.giustizia.it; sulla clausola risolutiva espressa di un contratto preliminare Cass., 05 novembre 2015, n. 22662, in Diritto & Giustizia 2015, 6 novembre con nota di Di Michele.
[55] Cass., 14730/2000, cit.
[56] Cass., 27 febbraio 2008, n. 5197, in Obb. Contr., 2009, p. 18, con nota di F. Garatti, Forma del termine per la stipula del contratto definitivo, “Nei contratti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam, la volontà comune delle parti deve rivestire tale forma soltanto nella parte riguardante gli elementi essenziali (consenso, res, pretium); ne consegue che, qualora sia previsto un termine per la stipula del contratto definitivo, la modifica di detto elemento accidentale e la rinuncia della parte ad avvalersene non richiedono la forma scritta”.
[57] Cass., 16 settembre 1981, n. 5137, in Giust. civ. Mass., 1981 “Ai sensi degli art. 1350 e 2725 c.c. non può provarsi per testimoni la modifica dei diritti che sorgono da un contratto diretto a trasferire la proprietà di un immobile, qualora si tratti di modificazioni che incidono sull'effetto traslativo”.
[58] G. Vettori, La prova del “pactum fiduciae”, op. cit., p. 11 e Id., Efficacia ed opponibilità del patto di preferenza, Milano 1988, p. 50 ss.
[59] Così U. Morello, La “ricognizione” degli accordi fiduciari, in Notariato,2020,3, p.282 ss.ed ivi il richiamo a N. Parodi, Le operazioni fiduciarie, Torino, 2019; Ass. H. Capitant, La fiducie dans tous ses Etats, Dalloz, Paris, 2011; G. Ponteprimo, L’uso distorto del trust: i labili confini dell’art.11 D.L.vo 74/2000, in Trusts, 2020, p. 151 ss.
[60] N. Lipari, Oltre la fiducia in Foro it., 2020, I, c. 1951; M. Palazzo, La forma del negozio fiduciario in materia immobiliare tra principio di libertà delle forme e neo- formalismo contemporaneo, in Giustizia civile.com, 2019.
[61] U. Carnevali, Le sezioni unite sulla forma del pactum fiduciae con oggetto immobiliare, in i Contratti, 2020, 3, p. 265 ss.
[62] Mi permetto di richiamare, G. Vettori, Contratto e rimedi, op. cit., p. 621 e p. 623. Inoltre, si vedano, almeno, C. Camardi, Principio consensualistico, produzione e differimento degli effetti reali, in Contr. Impr., 1998, p. 591, e, sulla necessità in tal caso di un expressio causae, M. Giorgianni, Causa (voce), in Enc. dir., Milano,1960, III, p. 547.
[63] Per una sintesi G. Vettori, Contratto e rimedi, op. cit., p. 621
[64] G. Vettori, Consenso traslativo e circolazione dei beni. Analisi di un principio, Milano, 1995, p. 71-72.
[65] G. Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969, p. 62.
[66] M. Lupoi, Che cosa hanno veramente detto le Sezioni Unite, Webinar del 27 aprile 2020.
[67] V. Mariconda, Note in tema di forma del mandato immobiliare, in Studi in onore di Giorgio De Nova, Milano, 2015, p.1977; G. De Nova, La forma del negozio fiduciario in materia immobiliare, in Jus civile, 2019, 5, p. 557 ss; A. Gentili, Un dialogo con la giurisprudenza sulla forma del “mandato fiduciario” immobiliare, in Corriere giuridico, cit., 589 ss. Per una visone diversa v. U. Carnevali, Le sezioni unite sulla forma del pactum fiduciae con oggetto immobiliare, cit., p. 265 ss.
[68] Si pensi a che cosa può accadere seguendo il risultato della sentenza. Il fiduciante in assenza di alcun atto scritto può richiedere e trascrivere, se e in quanto possibile la domanda di sentenza costitutiva ( 2932 c.c.) che paralizza, in attesa della prova dell’esistenza dell’atto, ogni interesse o garanzia dei creditori e dei terzi.
[69] Cass. 21 novembre 1988, n. 6263 in Foro it., 1991, I, c. 2496 con nota di G. Vettori, La prova del “pactum fiduciae”, op. cit..
[70] Cass. 23 marzo 2017, n.7416 in www.italgiure.giustizia.it. Nello stesso senso, già, Cass. 26 maggio 2014 n. 11757; Cass. 01 agosto 2007, n. 16992, in Foro it. Rep., 2007, Procedimento civile, n. 265.
[71] G. Vettori, La prova del “pactum fiduciae”, op. cit., p. 10-11 (estr.).
[72] Cass., 18 ottobre 1988, n. 5663, in Foro it., 1989, I, 101.
[73] Né è possibile operare un parallelo con la simulazione, ove la prova per testi è graduata a seconda che vi sia una simulazione assoluta o relativa .E’ noto che nel primo caso si reputa oggetto di prova non il negozio formale, ma l’inesistenza del negozio simulato sicché è applicabile l’art. 2722 con le eccezioni del 2724 e non l’art. 2725..Nella simulazione relativa, invece, dovendosi dimostrare l’esistenza e la validità del negozio dissimulato, si applica l’art. 2725 perché quest’ultimo negozio deve rivestire il necessario requisito formale del negozio apparente (art.1414, 2 comma). Si v. Cass. 21 luglio 1981, n.4704, in Giur. it., 1983, I, p. 172.
[74] M. Giorgianni, Contratto preliminare,esecuzione in forma specifica e forma del mandato, in Giust. Civ., 1961, I, p. 70; N. Irti, Idola libertatis, op. cit., p.92.