L’autore affronta i principali aspetti legati ad una questione di successione transnazionale decisa dalla Corte di Cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 2867 del 2021, sia sotto l’aspetto dell’individuazione della norma di conflitto nell’ambito del rinvio di qualificazione, sia sotto l’aspetto della disciplina in caso di applicazione di norma ordinamentale che contempli il principio scissionista e non quello della personalità ed universalità della successione.
1. Premessa: la fattispecie concreta. Nel febbraio del 2001 la moglie italiana di un cittadino inglese, di origini italiane ma residente nel Regno Unito, conveniva in giudizio i figli del de cuius, con il quale aveva contratto matrimonio nell'anno 1999 e deceduto poi in Italia due mesi dopo le nozze, sostenendo che il marito nel 1997 - quindi quando ancora non vi era il vincolo matrimoniale - con testamento le aveva lasciato un legato in lire sterline, attribuendo i restanti beni ai figli nati dal primo matrimonio; e che, essendo il de cuius di nazionalità inglese, il testamento doveva considerarsi revocato per effetto del secondo matrimonio, cioè quello contratto con la parte attrice in giudizio nell’anno 1999, in virtù del Will Act del 1837, cosicché la successione si doveva ritenere ab intestato; di conseguenza, chiedeva di riconoscerle la piena proprietà di tutti i beni mobili rientranti nell'asse, in aggiunta al legato, oltre alla quota di un terzo degli immobili siti in Italia, questo in applicazione della legge successoria italiana. In via subordinata, chiedeva, nell'ipotesi in cui il testamento fosse ritenuto valido, di ridurre le disposizioni testamentarie lesive della sua quota e di ordinare agli eredi il rendimento del conto.
I figli si costituivano in giudizio, deducendo che il testamento fosse regolato dalla legge italiana e che non potesse essere dichiarato inefficace, non conoscendo l’ordinamento italiano l’istituto della revoca testamentaria per susseguente matrimonio.
Il Tribunale di Milano accoglieva le domande della vedova attribuendole la quota di 1/3 degli immobili; la pronuncia veniva confermata in sede di appello, ritenendo la Corte territoriale, in assenza di professio iuris in favore della legge inglese per disciplinare la successione, ai sensi dell’articolo 46, comma 2, l.n. 218 del 1995, che la successione fosse regolata dal diritto inglese, avendo il de cuius mantenuto il domicilio di origine.
Affermava, quindi, la Corte meneghina che il testamento dovesse ritenersi revocato per effetto del secondo matrimonio, ritenendo quindi che l'intera successione dovesse considerarsi ab intestato; ed altresì che, considerato che il diritto internazionale privato inglese prevede un rinvio alla legge dell'ultimo domicilio del defunto per la successione relativa ai beni mobili ed alla legge di situazione per la successione relativa a quelli immobili, la vedova avesse diritto ad un terzo dei cespiti situati in Italia, in applicazione della lex rei sitae.
2. L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite. Per la cassazione della sentenza proponeva ricorso uno degli eredi, nonché controricorso in replica al ricorso incidentale della originaria attrice, mentre un altro degli eredi proponeva ricorso incidentale e controricorso in replica al ricorso incidentale della vedova del di lui padre.
La seconda sezione civile della Corte di Cassazione, nel delibare il caso, riteneva di investire le Sezioni Unite al fine di chiarire quale fosse la legge applicabile per la successione di un cittadino inglese in presenza di suo testamento precedente alle nozze e richiesta di annullamento dello stesso da parte della moglie italiana, in considerazione della presenza di immobili sul suolo italiano che costituivano la quasi totalità dell’asse ereditario e dell’avvenuto decesso in Italia.
In particolare si richiedeva alle Sezioni Unite di decidere: a) se la lex rei sitae potesse costituire essa stessa la fonte di regolazione del titolo successorio per effetto del rinvio contenuto nelle norme di diritto internazionale privato straniero che contemplano il sistema della scissione; b) ovvero, se invece detta legge venisse in rilievo, anche nel sistema della legge n. 218 del 1995, ai soli fini della regolazione della modalità di acquisto dei beni ereditari, in particolare evidenziando le seguenti questioni di particolare rilevanza:
- se per il combinato disposto degli articoli 13, comma 1, 15 e 46, comma 1, legge n.ro 218 del 1995, la qualificazione degli istituti e delle materie, ai fini dell'individuazione delle norme sostanziali applicabili nei singoli casi, debba operarsi in base all'inquadramento effettuato dall'ordinamento straniero ovvero in base alle norme della lex fori;
- se l'operatività del rinvio ex articolo 13, comma 1, legge n. 218 del 1995 sia escluso quando la legge straniera sia in contrasto con il principio di universalità e unitarietà della successione recepito dal nostro ordinamento nell'articolo 46, legge n. 218 del 1995;
- ove si debba tenere conto delle norme di rinvio contenute nella legge straniera e queste prevedano il sistema della scissione, se e in quali limiti e con quale modalità detto rinvio investa anche la validità e l’efficacia del titolo successorio e quindi possa operare in modo parziale, cioè con riferimento solamente a taluni beni facenti parte dell’asse ereditario;
- se il rinvio alla lex rei sitae, oggetto della norma straniera richiamata, comporta invece solamente l'applicabilità delle norme concernenti le modalità di acquisto dei beni ereditari.
3. Il compendio normativo applicabile. La questione ha suscitato grande interesse quale leading case per l’ipotesi di successione transnazionale che implichi riferimenti al diritto inglese ed a quello nazionale, al qual proposito va premesso che, ai fini della decisione della controversia di che trattasi, viene in applicazione la l.n. 218 del 1995, trattandosi di successione aperta nell’anno 2000.
Vengono allora in evidenza: l’articolo 46, comma 1, l.n. 218 del 1995, secondo cui la successione per causa di morte è regolata dalla legge nazionale del de cuius al momento della morte; va altresì considerato l’articolo 13, l.n. 218 del 1995, che riconosce l’istituto del rinvio operato dal diritto internazionale privato straniero alla legge di un altro Stato[1] (c.d. rinvio oltre e rinvio indietro), prima vietato dall’articolo 30 delle preleggi[2], secondo cui <<1. Quando negli articoli successivi è richiamata la legge straniera, si tiene conto del rinvio operato dal diritto internazionale privato straniero alla legge di un altro Stato: a) se il diritto di tale Stato accetta il rinvio; b) se si tratta di rinvio alla legge italiana. 2. L'applicazione del comma 1 è tuttavia esclusa: a) nei casi in cui le disposizioni della presente legge rendono applicabile la legge straniera sulla base della scelta effettuata in tal senso dalle parti interessate; b) riguardo alle disposizioni concernenti la forma degli atti; c) in relazione alle disposizioni del Capo XI del presente Titolo. 3. Nei casi di cui agli artt. 33, 34 e 35 si tiene conto del rinvio soltanto se esso conduce all'applicazione di una legge che consente lo stabilimento della filiazione. 4. Quando la presente legge dichiara in ogni caso applicabile una convenzione internazionale si segue sempre, in materia di rinvio, la soluzione adottata dalla convenzione>>.
Il suddetto compendio normativo conferma la tradizione propria dei sistemi di civil law della personalità ed universalità della successione, che intende l’asse ereditario come universitas iuris, sottoposta ad unica legge che considera e regola unitariamente i vari rapporti ovunque si trovino i beni che la compongono[3].
Tale principio vale anche per l’ipotesi di professio iuris (articolo 46, comma 2, l.n. 218 del 1995, ove si fa riferimento, infatti, alla legge dello Stato di residenza) ed è finalizzato ad assicurare la certezza del diritto e l’eguaglianza di trattamento, ma subisce oggi uno sfaldamento[4] conseguente:
- al dinamismo della vita contemporanea, ove l’attività economica si svolge su scala globale allentando il legame tra soggetto e territorio[5], cosicché il criterio della cittadinanza può non risultare ancorato al reale centro di interessi del de cuius;
- alle convenzioni internazionali[6] ed all’istituto della professio iuris (art. 46, comma 2, legge ult. cit.), che aprono la porta al superamento del sistema personalista ed universalista per riconoscere anche quello c.d. scissionista, che riferisce l’istituto successorio non già alla persona e quindi all’universitas iuris, ma atomisticamente ai singoli beni dell’asse, frazionandolo, in genere, nella disciplina mobiliare ed immobiliare e così creando una pluralità di masse soggette ad esiti differenti;
- all’orientamento giurisprudenziale, che afferma il principio della non assolutezza e non inderogabilità dell’universalità della divisione ereditaria: si vedano, in tal senso, Cass. civ., sez. II, 8 aprile 2016, n. 6931, secondo la quale <<il principio dell'universalità della divisione ereditaria non è assoluto e inderogabile ed è possibile una divisione parziale, sia quando al riguardo intervenga un accordo tra le parti, sia quando, essendo stata richiesta tale divisione da una delle parti, le altre non amplino la domanda, chiedendo a loro volta la divisione dell'intero asse. In definitiva, la divisione parziale tra comproprietari è ammissibile quando essi vi consentano o quando formi oggetto di domanda giudiziale che nessuna delle parti estenda, chiedendo la trasformazione, in porzioni concrete, delle quote dei singoli comproprietari sull'intero asse>>; nonché Cass. civ., sez. Un., 12 luglio 2019, n. 18832, secondo cui <<è ben possibile per i coeredi, nel procedere allo scioglimento in via contrattuale, con atto stipulato al di fuori del territorio italiano, della comunione ereditaria con riferimento a uno specifico bene immobile collocato all'estero, devolvere ogni controversia derivante dal negozio di divisione parziale alla competenza giurisdizionale del giudice di quel Paese straniero>>.
Va però rimarcato che il principio della personalità ed universalità della successione connota anche il Regolamento UE n. 650 del 2012[7], che regola le sole successioni apertesi dopo il 17 agosto 2015 e che, all’articolo 21, rimette la disciplina dell’intera successione ad un’unica legge nell’ottica di assicurare la coincidenza tra forum e ius individuando quale criterio di collegamento oggettivo la legge di residenza abituale del de cuius al momento della morte.
4. Il problema dell’individuazione dell’ordinamento alla cui stregua va effettuata la qualificazione dei singoli istituti. Il primo quesito posto dall’ordinanza remittente, pregiudiziale e dirimente sia ai fini della risoluzione degli altri quesiti posti alle Sezioni Unite, sia ai fini della decisione della controversia, riguarda il tema se, ai fini dell'individuazione delle norme sostanziali applicabili nei singoli casi, la qualificazione degli istituti e delle materie oggetto della controversia debba operarsi in base all'inquadramento effettuato dall'ordinamento straniero ovvero in base alle norme della lex fori[8].
Al proposito va ricordato che la qualificazione giuridica è l’operazione dell’interprete diretta ad individuare la categoria astratta prevista da una norma nella quale deve farsi rientrare una determinata fattispecie.
L’individuazione della norma regolatrice di una specifica materia riguardo alla quale si configuri un conflitto di leggi pone quindi, in via preliminare, il problema di coordinamento delle, eventualmente divergenti, qualificazioni dei singoli istituti operate dagli ordinamenti in conflitto (c.d. rinvio di qualificazione), che nel caso oggetto di giudizio attiene specificamente all’istituto della revoca testamentaria, venendo al proposito in rilievo la questione se la stessa sia da ricomprendere nella materia successoria, come avviene per il diritto italiano, ovvero in quella matrimoniale, come invece avviene per il diritto inglese in quanto la revoca testamentaria consegue al susseguente matrimonio.
La tesi maggioritaria in dottrina insegna che la qualificazione degli istituti e delle materie deve essere effettuata in base alla lex fori, ossia secondo il diritto nazionale del giudice[9]; confortano tale orientamento:
- da un lato, la scelta legislativa che si legge nella disposizione onnicomprensiva di cui all’articolo 46, l.n. 218 del 1995, che, non procedendo ad una elencazione delle ipotesi qualificabili come questioni successorie, intende evidentemente considerare come lo statuto successorio abbracci tutti gli aspetti collegati al trasferimento di ogni situazione giuridica facente capo al de cuius;
- dall’altro, l’insegnamento di Cass. civ., sez. Un., 12 luglio 2019, n. 18832 (in tal senso si veda anche Cass. civ., sez. Un., 24 luglio 2007, n. 16296), secondo cui la giurisdizione del giudice italiano e quella del giudice straniero vanno determinate non già in base al criterio della prospettazione della domanda (ossia in base alla qualificazione soggettiva che l'istante dà all'interesse di cui chiede domanda la tutela), ma in base al diverso criterio secondo cui, ai fini del relativo riparto, non è sufficiente e decisivo avere riguardo alle deduzioni ed alle richieste formalmente avanzate dalle parti, ma occorre tener conto della vera natura della controversia, da stabilire con riferimento alle concrete posizioni soggettive delle parti in relazione alla disciplina legale della materia;
- e dall’altro ancora, alcune pronunce del giudice di legittimità, dalla lettura delle quali emerge la tesi che la qualificazione degli istituti e delle materia deve essere effettuata alla luce del diritto interno, ossia della lex fori.
In tal senso possono richiamarsi Cass. civ., sez. II, 29 dicembre 2016, n. 27365, secondo cui l’individuazione della legge applicabile è un dovere officioso del giudice che procede, e Cass. civ., sez. III, 5 dicembre 2014, n. 25735, secondo cui dall’articolo 15 l.n. 218 del 1995, ai cui sensi la legge straniera è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo, discende che il diritto straniero deve essere interpretato dal giudice italiano secondo i criteri ermeneutici suoi propri, ma una volta riconosciuto applicabile alla fattispecie concreta.
L’orientamento minoritario[10] (c.d. teoria della doppia qualificazione), invece, rifacendosi sostanzialmente all’articolo 15, l.n. 218 del 1995, sostiene che tale qualificazione debba operarsi in considerazione della qualificazione data alla fattispecie dall’ordinamento straniero richiamato, per dare significato all’istituto nel quadro e nel contesto normativo complessivo di tale ordinamento.
Accanto a questi vi è poi un terzo orientamento, sostenuto da settori della dottrina comparatistica, secondo il quale la qualificazione degli istituti deve essere effettuata ricercando il comune significato delle espressioni impiegate dalla norma di conflitto nelle legislazioni degli Stati, approccio che potrebbe essere giustificato dalla comune origine e dagli sviluppi similari dei vari istituti civilistici nei sistemi giuridici interessati, ma che nel mondo contemporaneo si scontra con la possibilità di poter eventualmente essere utilizzato solo con riguardo ad un numero ristretto di ordinamenti giuridici tra loro sufficientemente omogenei.
5. La soluzione della Corte. Sulla base delle considerazioni svolte al paragrafo che precede, allora, in ordine al quesito se, per il combinato disposto degli articoli 13, comma 1, 15 e 46, comma 1, l.n. 218 del 1995, la qualificazione degli istituti e delle materie, ai fini dell'individuazione delle norme sostanziali applicabili nei singoli casi, debba operarsi in base all'inquadramento effettuato dall'ordinamento straniero ovvero in base alle norme della lex fori, ad avviso di chi scrive merita darsi continuità all’indirizzo secondo cui questa debba seguire la lex fori, ossia essere effettuata secondo il diritto nazionale del giudice adito (nel nostro caso, quindi, la legge italiana); e ciò, sia in virtù della scelta legislativa che si legge nella disposizione onnicomprensiva di cui all’articolo 46, l.n. 218 del 1995, che, si ribadisce, non procedendo ad una elencazione delle ipotesi qualificabili come questioni successorie, intende evidentemente considerare come lo statuto successorio abbracci tutti gli aspetti collegati al trasferimento di ogni situazione giuridica facente capo al de cuius; sia in virtù delle pronunce rese giudice di legittimità ed indicate al precedente paragrafo 4. (supra, pagine 5 e 6), dalla lettura delle quali emerge la tesi che la qualificazione degli istituti e delle materia deve essere effettuata alla luce del diritto interno; e sia, last but non least, per ragioni di certezza del diritto derivanti dall’uniformità del decisum che assicura il principio della lex fori al c.d. rinvio di qualificazione.
Le norme di diritto internazionale privato, infatti, pur essendo dirette alla determinazione del diritto applicabile a fattispecie con elementi di estraneità, appartengono comunque all’ordinamento interno, ed in mancanza di indicazioni contrarie non si può ritenere che il legislatore abbia inteso dare alle espressioni adoperate in questo contesto un significato diverso da quello solito; l’interpretazione di qualificazione della fattispecie astratta, infatti, consiste nel vedere qual è il campo di applicazione della norma di conflitto che, essendo norma dell’ordinamento interno, non potrà che essere interpretata sulla base della lex fori.
Va poi osservato come l’individuazione dell’ordinamento sulla cui base qualificare la fattispecie avvenga applicando la norma di conflitto e come costituisca quindi un’evidente inversione logica servirsi di categorie giuridiche e di canoni ermeneutici propri dell’ordinamento straniero richiamato per individuare la norma di conflitto del foro che deve operare il richiamo.
La Corte di Cassazione ha riconosciuto la bontà di una tale soluzione, affermando, nella sentenza Cass. civ., sez. Un, 5 febbraio 2021, n. 2867, il principio di diritto secondo cui <<In tema di diritto internazionale privato, il giudice che debba individuare quale sia la norma di conflitto applicabile è tenuto preliminarmente a qualificare la fattispecie sottoposta al suo esame secondo i canoni propri dell'ordinamento italiano, cui tale norma appartiene>>.
Argomenta in particolare la Corte che l’articolo 15 l.n. 218 del 1995, pur imponendo di interpretare il diritto straniero, operante in Italia alla stregua delle norme di diritto internazionale privato, secondo le norme sue proprie, non affronta specificamente la questione della qualificazione degli istituti, e che, di conseguenza, il significato delle espressioni giuridiche connotanti le categorie di fattispecie deve essere determinato sulla base dei canoni della lex fori, nel caso di che trattasi della legge italiana essendo stato adito il giudice italiano.
Sulla base di tanto, allora, in relazione alla fattispecie concreta deve ritenersi che l’istituto del Wills Act 1837, ed in particolare il profilo relativo alla natura della revoca testamentaria che lo connota, debba essere ricondotto nell’alveo del diritto successorio e non già in quello del matrimonio, come vorrebbe invece la legge inglese, e conseguentemente essere regolato dalle norme di conflitto contenute negli articoli 13 e 46, l.n. 218 del 1995.
6. Il principio di personalità ed universalità della successione e l’istituto del rinvio. Il sistema successorio previsto dalla legge inglese.
La successione nell’ordinamento inglese si caratterizza per la seguente disciplina:
- la delazione riguarda individualmente i singoli beni facenti parte dell'asse ereditario e non già l’intero asse ereditario inteso come universitas iuris;
- i diritti successori non si trasmettono agli eredi in via automatica alla morte del de cuius, essendo prevista una fase di amministrazione conferita ad un organo terzo (executor o administrator), che ha il compito di procedere alla ricognizione dell'attivo e del passivo, alla liquidazione dei beni, ove occorra, al pagamento dei debiti ed alla successiva attribuzione del residuo agli aventi titolo;
- non è conosciuto il diritto di legittima;
- trattasi di ordinamento che adotta il c.d criterio scissionista, postulando l’assoggettamento della successione a discipline diverse in base alla natura ed alla situazione dei beni compresi nell’eredità; in particolare la successione relativa ai beni mobili è disciplinata dalla legge del domicilio del de cuius, mentre per gli immobili si applica la legge di situazione dei beni (lex rei sitae).
Abbracciando, invece, il nostro ordinamento il diverso principio dell’unità e dell’unitarietà della successione, si pone il problema se l'operatività del rinvio ex articolo 13, comma 1, legge n. 218 del 1995, sia esclusa quando la legge straniera sia in contrasto tale principio, recepito dal nostro ordinamento nell'articolo 46, legge n. 218 del 1995.
Ad avviso di chi scrive deve escludersi che tale principio costituisca un limite di operatività all’istituto del rinvio[11], sia perché non è principio di ordine pubblico[12], avente quindi portata assoluta e inderogabile, in quanto derogato da Convenzioni internazionali, sia perché tale limite non è specificato in relazione alla materia successoria, sia in virtù dell’istituto della professio iuris di cui all’articolo 46, comma 2, l.n. 218 del 1995, sia, infine, in adesione alle esigenze legate al dinamismo della vita contemporanea, ove l’attività economica si svolge su scala globale allentando inevitabilmente il legame tra soggetto e territorio, con la conseguenza che la disciplina successoria ben può essere sottoposta ad una pluralità di legislazioni che determinino la formazione di una pluralità di masse sottoposte ad autonoma disciplina, posizione questa già sostenuta dalla Procura generale della Corte di Cassazione nel ricorso definito con ordinanza n.ro 18832 del 12 luglio 2019, anche se va rimarcato come, sul piano interpretativo, la dottrina sostenga che deve comunque garantirsi un ruolo di rilievo, ai fini della risoluzione di problemi di coordinamento, al principio di personalità ed universalità della successione, anche alla luce del richiamato Reg. UE n. 650 del 2012.
Tale orientamento viene espressamente confermato dalle Sezioni Unite della Corte di legittimità nella pronuncia richiamata, n.ro 2867 del 2021, laddove espressamente viene escluso che il principio dell’unità e dell’unitarietà della successione costituisca principio di ordine pubblico, ai sensi del disposto di cui all’articolo 16 l.n. 218 del 1995, e si afferma invece che il principio della scissione opera sia nell’ambito di una successione ab intestato che di una successione testamentaria; nella concreta fattispecie, quindi, quale conseguenza del rinvio del diritto internazionale privato italiano al diritto privato internazionale inglese e del correlato rinvio indietro previsto da quest'ultimo, si determina l'effetto della cosiddetta "scissione" tra i beni immobili e i beni mobili del defunto, e la legge che governa la successione inerente ai beni immobili viene identificata nella legge italiana, ovvero quella dello Stato in cui i beni si trovano (lex rei sitae), mentre la legge che governa la successione inerente ai beni mobili, per contro, è la legge inglese, quale legge del domicilio del defunto.
7. Il problema dell’individuazione dell’ordinamento alla cui stregua va effettuata la qualificazione dei singoli istituti. Ove si debba tenere conto delle norme di rinvio contenute nella legge straniera e queste prevedano il sistema della scissione, in ordine al quesito se e in quali limiti e con quale modalità detto rinvio investa anche la validità ed efficacia del titolo successorio e quindi possa operare in modo parziale, cioè con riferimento solamente a taluni beni facenti parte dell’asse ereditario, dalla ritenuta non assolutezza del principio di universalità ed unità della successione consegue che, in virtù dell’istituto del rinvio riconosciuto dalla legge nazionale all’articolo 13 l.n. 218 del 1995, la stessa disciplina successoria ben può essere sottoposta ad una pluralità di legislazioni, come avviene nella concreta fattispecie, per la decisione della quale trova applicazione il diritto inglese basato sul principio c.d. scissionista, in virtù del quale, come ricordato, la successione relativa ai beni mobili è disciplinata dalla legge del domicilio del de cuius, mentre per gli immobili si applica la legge di situazione dei beni (lex rei sitae), con la conseguente formazione di una pluralità di masse sottoposte ad autonoma disciplina.
In effetti, va rimarcato come lo scopo delle disposizioni di diritto internazionale privato sia quello di individuare la legge materiale applicabile alla concreta fattispecie che, secondo il diritto inglese, contempla, in caso di immobili situati all’estero, il rinvio alle disposizioni di altro ordinamento, se esso è accettato; né deve ritenersi abbia fondamento l’argomentazione puramente letterale secondo la quale l'articolo 13, legge n. 218 del 1995, prevede solo il rinvio “altrove” ed il rinvio “indietro”, ma non anche il rinvio parziale: è evidente, infatti, che, accettando l'articolo 13 il rinvio tout court, si deve ritenere che esso accetti anche il rinvio parziale, altrimenti il legislatore avrebbe espressamente esplicitato eventuali limiti in deroga alla regola generale dell'accettazione, in quanto è solamente la professio iuris, espressa nelle forme vincolate di cui all’articolo 46, comma 2, legge n. 218 del 1995, che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, legge n. 218 del 1995, esclude il rinvio indietro, mentre, in assenza di professio iuris espressa nelle suddette forme vincolate, trova applicazione il comma 1, dell’articolo 13, legge ult. cit., che regola il diverso caso in cui non vi è stata alcuna scelta e deve trovare applicazione la legge nazionale del de cuius, dovendosi quindi tener conto, in questo caso, del rinvio indietro operato dalla legge inglese alla lex rei sitae.
Sulla base delle considerazioni che precedono, allora, ad avviso di chi scrive il rinvio alla lex rei sitae, oggetto della norma straniera richiamata quanto alla disciplina successoria relativa al compendio immobiliare, opera con riferimento alla disciplina stessa del titolo successorio e non già limitatamente all’applicabilità delle disposizioni concernenti le modalità di acquisto dei beni ereditari[13]; non trova infatti alcun riscontro letterale né interpretativo, nella legge n. 218 del 1995, l’avversa prospettazione secondo la quale il rinvio della legge inglese a quella italiana, riguardo alla successione dei beni immobili che si trovano nel territorio italiano, debba intendersi limitato agli atti amministrativi di autorizzazione, di immissione in proprietà, delle formalità di controllo e di vidimazione e non debba invece riguardare la devoluzione dell'eredità stessa intesa quale individuazione delle categorie dei successibili ed attribuzione delle relative quote, in quanto una tale interpretazione non trova conforto nella legge italiana ed è contraria al principio vigente nell'ordinamento inglese, secondo il quale il modo in cui l’eredità si devolve, quanto ai beni immobili, è proprio quello della legge del luogo ove essi si trovano secondo le disposizioni che disciplinano la materia della successione in tale Stato, in ossequio al brocardo latino quot territoria tot haereditates.
Tanto non può comportare, peraltro, sempre ad avviso di chi scrive, l’abbandono del tradizionale principio nemo pro parte intestato pro parte testato decedere potest, in quanto l’individuazione della vocazione ereditaria, ossia di chi è chiamato a succedere al de cuius, deve necessariamente sempre avvenire sulla base delle disposizioni vigenti nell’ordinamento la cui legge è stata ritenuta applicabile per disciplinare la fattispecie, ossia l’evento successorio, e nel caso di che trattasi, quindi, la legge inglese, ossia la legge nazionale del de cuius al momento della morte, in virtù del disposto di cui all’articolo 46, comma 1, l.n. 281 del 1995, unico rimanendo, infatti, l’evento successorio che è, prima che giuridicamente, naturalmente collegato ad un unico accadimento, ossia la morte di un soggetto della cui eredità si controverte.
E secondo l’ordinamento inglese, ritenuto applicabile, va quindi determinata la vocazione ereditaria che, in virtù del Will Acts del 1946, deve considerarsi effettuata ab intestato, dovendosi ritenere revocato, per effetto del susseguente matrimonio, il testamento redatto dal de cuius; solo successivamente all’individuazione del titolo di vocazione - eredità ab intestato - vigendo nell’ordinamento inglese il c.d. principio scissionista e riguardando la delazione individualmente i singoli beni facenti parte dell'asse ereditario, la successione relativa ai beni mobili seguirà la legge del domicilio del de cuius, mentre quella relativa agli immobili seguirà la legge di situazione dei beni (lex rei sitae), ossia la legge italiana, nella cornice, peraltro, della individuata e qualificata chiamata ab intestato degli eredi.
8. La soluzione della Corte. In difformità da quanto argomentato al paragrafo che precede, invece, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella richiamata sentenza n. 2867 del 2021, hanno affermato il principio secondo cui <<Allorché la legge nazionale che regola la successione transnazionale, ai sensi della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 46 sottopone i beni mobili alla legge del domicilio del de cuius e rinvia indietro alla legge italiana, come consentito dalla L. n. 218 del 1995, art. 13, comma 1, lett. b), per la disciplina dei beni immobili compresi nell'eredità, si verifica l'apertura di due successioni e la formazione di due distinte masse, ognuna assoggettata a differenti regole di vocazione e di delazione, ovvero a diverse leggi che verificano la validità e l'efficacia del titolo successorio (anche, nella specie, con riguardo ai presupposti, alle cause, ai modi ed agli effetti della revoca del testamento), individuano gli eredi, determinano l'entità delle quote e le modalità di accettazione e di pubblicità ed apprestano l'eventuale tutela dei legittimari>>.
Le ragioni poste alla base di tale conclusione si fondano sull’argomentare che la ricorrenza di un sistema scissionista nella disciplina della successione transazionale comporta l'apertura di due (o più, se più sono gli Stati in cui esistono beni immobili del defunto) successioni e la formazione di due distinte masse, ognuna assoggettata a differenti regole di vocazione e di delazione, ovvero a diverse leggi deputate a verificare il titolo della chiamata, la validità e l'efficacia del titolo successorio, ad individuare gli eredi, a determinare l'entità delle quote e le modalità di accettazione e di pubblicità.
Ad avviso della Corte, quindi, l'ambito di applicazione della lex successionis, a fronte di un ordinamento che contempli il c.d. principio scissionista distinguendo, come nella concreta fattispecie, la successione mobiliare e quella immobiliare, abbraccia tutti i momenti in cui si sviluppa il procedimento successorio, compreso quello iniziale della devoluzione, oltre a quelli successivi della trasmissione ereditaria dei beni ed eventualmente della divisione, regolando così anche il momento iniziale dell’individuazione dei soggetti chiamati a succedere e quindi la stessa vocazione ereditaria, oltre a quelli successivi della determinazione delle quote, delle modalità materiali e delle formalità di acquisto dei beni.
Trattasi di tesi che, secondo chi scrive, non merita di essere condivisa in quanto prova troppo, giungendo a sostenere la duplicità delle delazioni ereditarie, testamentaria ed ab intestato, nelle successioni transnazionali caratterizzate dall’applicazione del principio scissionista, ossia non solo formazione di una pluralità di masse, ma addirittura <<l'apertura di due successioni>>, evento questo che, da un lato contrasta con l’accadimento fenomenico e naturale dell’unicità dell’evento successorio conseguente all’unicità dell’evento mortale e del soggetto de cuius hereditate agitur, e dall’altro non trova alcun fondamento positivo negli ordinamenti richiamati, ossia in quello inglese ed italiano, tanto è vero che, abbracciando tale costruzione, deve conseguentemente sostenersi, per coerenza di ragionamento, la revoca di quella sola parte del testamento del de cuius destinato ad essere disciplinato dalla legge inglese e non già di quella inerente la successione immobiliare disciplinata dalla lex rei sitae e quindi dal diritto italiano, affermandosi quindi una ancora più singolare revoca parziale del testamento che non solo contrasta con il tradizionale principio nemo pro parte intestato pro parte testato decedere potest, ma che non trova alcun concreto precipitato normativo a sostegno negli ordinamenti interessati.
Corrado Mistri
[1] L’introduzione dell’istituto costituisce una assoluta novità per il nostro ordinamento, ed è stata definita una piccola rivoluzione copernicana da F. Mosconi, Art. 13, in Riv. dir. intern. priv. e process., ottobre-dicembre 1995, n. 4, pg. 957. Si veda anche P. Picone, Rinvio indietro implicito e coordinamento tra metodo classico e metodo giurisdizionale dei conflitti di leggi, in Riv. dir. intern., 1998, pg. 925
[2] Si veda D. Damascelli, Testamenti redatti all’estero. Successione di cittadini stranieri e beni siti in Italia, in Fondazione italiana del notariato.
[3] Si vedano in proposito: E. Vitta, Diritto internazionale privato, III, 1975, pg. 110; L. Fumagalli, Rinvio e unità della successione nel nuovo diritto internazionale privato, in Riv. dir. intern. priv. e proc., ottobre-dicembre 1997, 835.
[4] Si veda L. Fumagalli, Rinvio e unità della successione nel nuovo diritto internazionale privato, in Riv. dir. intern. priv. e proc., ottobre-dicembre 1997, 840.
[5] P. Biavati parla, al proposito, di globalizzazione del diritto: si veda Deroghe alla giurisdizione statuale e fungibilità dei sistemi giudiziari, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2009, vol. 63, n. 2, 523-524-527.
[6] Si ricorda, in proposito, la Convenzione consolare stabilita con la Turchia (Roma, 9 settembre 1929).
[7] Sul Regolamento si vedano: D. Damascelli, Diritto internazionale privato delle successioni a causa di morte, 2013, 44 e segg.; O. Feraci, La nuova disciplina europea della competenza giurisdizionale in materia di successioni mortis causa, 291 e segg.
[8] Trattasi di uno dei problemi più dibattuti nel diritto internazionale privato; si veda, tra gli altri, A. Bifulco, Compendio di diritto internazionale privato, 2017, pg. 13.
[9] In tal senso, tra gli altri, E. Calò, Le successioni nel diritto internazionale privato, 2007, pgg. 11-12; A. Bifulco, Compendio di diritto internazionale privato, 2017, pg. 14.
[10] Si veda F. Mosconi e C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale, Vol. I, Parte generale e obbligazioni, 2010, pg. 233 e ss.; P. De Cesari, Autonomia della volontà e legge regolatrice delle successioni, 2001,, pg. 143.
[11] In tal senso si vedano: F. Mosconi e C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale, Parte speciale, 2006, pg. 147. L. Fumagalli, Rinvio e unità della successione nel nuovo diritto internazionale privato, in Riv. dir. intern. priv. e proc., ottobre-dicembre 1997, 837; R. Clerici, Articolo 46, (Successioni per causa di morte), in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, pg.1134; M.B. Deli, Art. 46, Successioni, in Le nuove leggi civili commentate, n. 5-6-, 1996, pg. 1284. E. Calò, Le successioni nel diritto internazionale privato, 2007, 38-39.
[12] In tal senso L. Fumagalli, Rinvio e unità della successione nel nuovo diritto internazionale privato, in Riv. dir. intern. priv. e proc., ottobre-dicembre 1997, 840.
[13] In relazione a tale distinzione si vedano: E. Vitta, Diritto internazionale privato, III, 1975, pg. 179; P. De Cesari, Autonomia della volontà e legge regolatrice delle successioni, 2001, pg. 150; F. Mosconi e C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale, Parte speciale, Seconda edizione, 2006, 158-159.
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