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Magistratura Indipendente

CIVILE  

Sospensione necessaria e sospensione facoltativa nel processo civile

  Civile 
 martedì, 14 settembre 2021

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Effetti della pronuncia di sentenza non definitiva nella causa pregiudicante

di Corrado MISTRI, Sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione

 
 

Sospensione necessaria e sospensione facoltativa nel processo civile: effetti della pronuncia di sentenza non definitiva nella causa pregiudicante

Corrado Mistri, Sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione

L’autore, Sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, affronta i principali aspetti legati ai rapporti tra sospensione necessaria e sospensione facoltativa nel processo civile, in particolare esaminando gli effetti della pronuncia di sentenza non definitiva nel procedimento ritenuto pregiudicante sulla sospensione del procedimento pregiudicato, disposta ai sensi dell’articolo 295 cod. proc. civ., alla luce del recente arresto delle Sezioni Unite civili (sentenza n. 21763 del 2021).


1.     Premessa:    Il tema del rapporto tra l’istituto della sospensione necessaria del giudizio civile, disposta ai sensi dell’articolo 295 cod. proc. civ., e della sua durata in relazione alla definizione del processo pregiudicante con sentenza non ancora passata in giudicato, nonché quello del rapporto tra tale istituto e quello della c.d. sospensione facoltativa del giudizio, di cui all’articolo 337, secondo comma, cod. proc. civ., è stato di recente oggetto di specifica pronuncia da parte delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza indicata in epigrafe, che ha affermato il principio di diritto secondo cui, salvo i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una specifica disposizione normativa che imponga di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non ancora passata in giudicato, è possibile proporre istanza di prosecuzione del giudizio pregiudicato, ai sensi dell’articolo 297 cod. proc. civ., che potrà comunque essere sospeso in via facoltativa in virtù del disposto di cui all’articolo 337, secondo comma, cod. proc. civ., da parte del giudice designato, applicandosi, nel caso del sopravvenuto eventuale verificarsi di un conflitto tra giudicati, il disposto dell’articolo 336, secondo comma, cod. proc. civ., secondo il quale la riforma della sentenza pronunciata nel processo pregiudicante estende i suoi effetti anche ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata.

Per meglio comprendere la questione di diritto trattata dalla Corte è opportuna una previa disamina e l’illustrazione della concreta fattispecie che ha portato all’arresto di cui si tratta nel presente articolo.

 

2.       La fattispecie concreta.   In un primo giudizio Tizio, proprietario di un immobile destinato ad uso esercizio commerciale, conveniva in giudizio Caio, proprietario del lastrico sovrastante, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito del cedimento del lastrico stesso.

            A seguito di successive chiamate in garanzia, intervenivano in causa il progettista e direttore dei lavori, nonché la compagnia assicuratrice per la responsabilità civile del professionista.

Istruita la causa, il Tribunale dichiarava la responsabilità solidale del proprietario del lastrico e del direttore dei lavori, condannando quest’ultimo a manlevare il committente ed escludendo la copertura assicurativa del professionista da parte della compagnia assicuratrice, statuizione quest’ultima oggetto di appello.

 In un secondo giudizio, invece, Tizio notificava a Sempronio, conduttore dell’immobile destinato ad uso esercizio commerciale, atto di intimazione di sfratto per morosità, formulando contestuale richiesta di ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti.

Si costituiva in tale giudizio Sempronio, che: in via pregiudiziale di rito, chiedeva di autorizzare la chiamata in causa di Caio, proprietario del lastrico solare il cui cedimento aveva motivato il mancato pagamento dei canoni di locazione; in via principale, formulava richiesta di rilascio dell’immobile al fine di non far maturare ulteriori canoni di locazione, contestando peraltro la fondatezza dell’intimazione di sfratto; in via riconvenzionale, chiedeva dichiarare risolto il contratto di locazione per grave inadempimento del locatore e condannare il proprietario dell’immobile locato e quello del lastrico sovrastante, in solido tra loro, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

Il giudice istruttore autorizzava la chiamata in causa del proprietario del lastrico sovrastante e del progettista e direttore dei lavori, nonché della compagnia assicuratrice del professionista, che adduceva l’inoperatività della garanzia assicurativa in forza della clausola claims made contenuta nelle condizioni generali di assicurazione.

Caio, chiamato in causa, chiedeva la riunione del giudizio con il procedimento riguardante le richieste risarcitorie avanzate da Tizio nei suoi confronti ed il giudice, ai sensi dell’articolo 295 cod. proc. civ. e ritenuta la pregiudizialità dei due giudizi, sospendeva il procedimento pregiudicato avente ad oggetto l’intimazione di sfratto per morosità.

Sempronio, atteso che l’appello avverso la sentenza definitoria del procedimento ritenuto pregiudicante veniva proposto nei confronti di tutte le parti ad esclusione di Tizio - proprietario danneggiato e controparte di Sempronio nel procedimento sospeso - presentava istanza di fissazione dell’udienza di prosecuzione del giudizio sospeso, a norma dell’articolo 297 cod. proc. civ.; il Tribunale, con ordinanza oggetto di ricorso per cassazione, rigettava però l’istanza sul presupposto che non fosse venuta meno la situazione pregiudiziale sottesa all’adozione del provvedimento di sospensione ex articolo 295 cod. proc. civ., argomentando succintamente nel senso che la decisione definitoria del giudizio pregiudicante, che comunque avrebbe dovuto riguardare tutte le parti, non era ancora passata in giudicato e che doveva ritenersi non pertinente il richiamo dell’istante all’articolo 337 cod. proc. civ., in quanto <<la sentenza di primo grado non era antecedente al provvedimento di sospensione ma è intervenuta nelle more>>.


3.    Il ricorso per regolamento di competenza e l’ordinanza interlocutoria di Cass. civ., sez. VI, 13 gennaio 2021, n. 362.  

Avverso la decisione del Tribunale Sempronio propone regolamento di competenza, ai sensi dell’articolo 42 cod. proc. civ., sostenendo che il Tribunale avrebbe violato la disciplina sulla sospensione necessaria di cui all’articolo 295 cod. proc. civ., col ritenere indispensabile, al fine di poter proseguire nel giudizio sospeso, il passaggio in giudicato della decisione relativa al giudizio pregiudicante, in quanto la sospensione necessaria deve ritenersi possibile solamente nell’ipotesi di contemporanea pendenza delle due controversie, pregiudicante e pregiudicata, nel primo grado del giudizio, trovando infatti applicazione la disposizione da ultimo richiamata al solo spazio temporale delimitato dalla contemporanea pendenza dei due giudizi di primo grado, senza che quello pregiudicante sia stato ancora deciso; conseguentemente avrebbe errato il Tribunale nel negare l’applicazione dell’articolo 337 cod. proc. civ., in luogo dell’articolo 295 cod. proc. civ., alla concreta fattispecie, essendo stata emessa, nel giudizio pregiudicante, sentenza non definitiva, e considerato che il diritto pronunciato dal giudice in primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario della lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado.

Decidendo sull’istanza di regolamento di competenza, la Corte di Cassazione ha pronunciato ordinanza interlocutoria ritenendo sussistere i presupposti per la rimessione del giudizio alle Sezioni Unite.

L’ordinanza di rimessione, in particolare, attraverso una approfondita disamina della decisione resa da Cass. civ., sez. Un., 19 giugno 2012, n. 10027, nonché richiamando alcune pronunce a questa successive in tema di rapporti tra sospensione necessaria e facoltativa del processo, ai sensi degli articoli 295 e 337, cod. proc. civ., ritiene essersi verificato un <<mancato assorbimento>> della pronuncia delle Sezioni Unite nella successiva giurisprudenza di legittimità in riferimento agli effetti della sospensione necessaria, in quanto successive decisioni del giudice di legittimità inquadrano l’istituto della sospensione necessaria del processo, di cui all’articolo 295 cod. proc. civ., nella esigenza, ritenuta di ordine pubblico, di evitare il conflitto di giudicati, da tanto conseguendo che l’effetto della sospensione necessaria del processo è giocoforza quello dell'attesa del giudicato e non già di un giudicato potenziale, non dovendosi ravvisare nel sistema uno <<sfavore verso la sospensione che la intenda come un elemento rallentatore del processo, e dunque non conforme al novellato art. 111 Cost., o comunque un simile sfavore di livello tale da sovrastare il tradizionale valore dell'armonia dei giudicati creando una presunzione di giusto accertamento non appena viene emessa una pronuncia non ancora qualificabile giudicato>>, introducendosi altrimenti un potere dispositivo delle parti che <<potranno decidere di attendere il giudicato, o di attenderlo per una certa misura temporale, o comunque anche mutare per sopravvenute ragioni la loro volontà di attesa. Evitare il conflitto di giudicati a questo punto si trasforma in una scelta delle parti - che possono tra loro concordare l'attesa -, la valutazione affidata poi al giudice ai sensi dell'art. 337 c.p.c., comma 2, potendosi qualificare una mera eventualità, in quanto richiedente come presupposto una scelta di riassunzione>>.

Per tali ragioni la sezione remittente individua nell’interpretazione della endiadi composta dagli articoli 295 e 297 cod. proc. civ., una questione di massima di particolare importanza, senza peraltro formulare alcuna specifica indicazione della questione di rilievo nomofilattico che si ritiene di rimettere alle Sezioni Unite, ma che comunque può individuarsi nel quesito se, qualora sopraggiunga nella causa pregiudicante una sentenza non ancora passata in giudicato, la sospensione necessaria disposta ai sensi dell’articolo 295 cod. proc. civ., possa venir meno per dar luogo ad una sospensione facoltativa e se effettivamente tale istituto trovi applicazione nel solo spazio temporale delimitato dalla contemporanea pendenza dei due giudizi di primo grado, senza che quello pregiudicante sia stato ancora deciso.

 

4.     Gli orientamenti giurisprudenziali.     In disparte dalla analitica ricostruzione dei precedenti operata dall’ordinanza remittente, può senza alcun dubbio affermarsi che l’istituto della sospensione necessaria del processo, la cui funzione è stata sempre tradizionalmente ricondotta all’esigenza di evitare il conflitto tra giudicati, abbia subito con il tempo un ridimensionamento, con conseguente attenuazione della rilevanza del principio dell’uniformità del giudicato a scapito dei superiori principi costituzionali e sovranazionali che tutelano la ragionevole durata del processo e l’effettività della tutela giurisdizionale e che tale indirizzo restrittivo si sia progressivamente affermato nella giurisprudenza di legittimità sino ad essere consacrato dal fondamentale arresto di Cass. civ., Sez. Un., 19 giugno 2012, n. 10027.

            In tale pronuncia le caratteristiche essenziali della sospensione necessaria ex articolo 295 cod. proc. civ., vengono ravvisate non soltanto nel rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra causa pregiudicante e causa pregiudicata, ma anche nello stato di incertezza in cui il giudizio su quei fatti versa.

E’ allora agevole intuire, a dire della Corte a Sezioni Unite, come lo stato di incertezza che ha determinato la sospensione necessaria della controversia pregiudicata sia destinato a venire inevitabilmente meno laddove, nel procedimento pregiudicante, venga emessa sentenza; ciò: sia alla luce del disposto di cui all’articolo 282 cod. proc. civ., che, nel riconoscere la provvisoria esecutività alla sentenza di primo grado, determina necessariamente una cesura tra la posizione delle parti in controversia tra loro nel giudizio di primo grado e la situazione in cui le stesse parti vengono poste dalla decisione del giudice di primo grado, che, conosciuta la controversia, dichiara lo stato del diritto tra loro qualificando la rispettiva posizione in modo diverso da quello dello stato originario di lite e giustificando, appunto, l’esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado; e sia alla luce del disposto di cui all’articolo 337, secondo comma, cod. proc. civ., che demanda alla valutazione del giudice della causa pregiudicata decidere se mantenere o meno la sospensione del processo di cui una delle parti abbia sollecitato la ripresa, affidandogli la delibazione se l’efficacia e l’autorità della sentenza pronunciata nella causa pregiudicante debba essere provvisoriamente rifiutata ed il conseguente potere di sospendere il giudizio sulla causa pregiudicata.

In tale ottica, la pronuncia resa a Sezioni Unite ritiene priva di rilievo la circostanza - richiamata nell’ordinanza impugnata ai sensi dell’articolo 42 cod, proc, civ. - secondo cui la sospensione facoltativa non sarebbe pertinente al caso di che trattasi in quanto la sentenza di primo grado era intervenuta nelle more del provvedimento di sospensione; a tale proposito, infatti, viene specificamente affermato che <<quando nel processo sulla causa pregiudicante la decisione è sopravvenuta, quello sulla causa pregiudicata è in grado di riprendere il suo corso, perché ormai il sistema giudiziario è in grado di pervenire al giudizio sulla causa pregiudicata fondandolo sull’accertamento che sulla questione comune alle due cause si è potuto raggiungere nell’altro processo tra le stesse parti, attraverso l’esercizio della giurisdizione>>.

Tra le altre successive pronunce che abbracciano l’indirizzo interpretativo restrittivo, in piena adesione e continuità all’arresto delle Sezioni Unite, piace citare, per la chiarezza espositiva, la pronuncia resa da Cass. civ., sez. VI, 9 luglio 2018, n. 17936, che specificamente rimarca come <<quando tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato può essere disposta soltanto ai sensi dell'art. 337, comma 2, c.p.c., sicché, ove il giudice abbia provveduto ex art. 295 c.p.c., il relativo provvedimento è illegittimo e deve essere, dunque, annullato, ferma restando la possibilità, da parte del giudice di merito dinanzi al quale il giudizio andrà riassunto, di un nuovo e motivato provvedimento di sospensione in base al menzionato art. 337, comma 2, c.p.c.>>.

Nonostante l’arresto richiamato, si rintracciano comunque, nel panorama anche recente delle decisioni del giudice di legittimità, pronunce che ribadiscono la cogenza dell’ambito di applicazione della sospensione necessaria, aderendo all’orientamento tradizionale che proietta tale istituto nella finalità di ottenere una pronuncia con efficacia di giudicato nella causa pregiudicante, al fine di impedire il contrasto tra giudicati; al proposito, tra le pronunce più recenti, piace richiamare:

-   Cass. civ., sez. VI-3, 26 settembre 2019, n. 23989, secondo cui la <<sospensione necessaria del processo per pregiudizialità, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., rispondendo all'esigenza, di ordine pubblico, di evitare il conflitto di giudicati, deve essere disposta dal giudice di merito, non appena ne ravvisi i presupposti, anche d'ufficio, indipendentemente, cioè, da un'istanza di parte che, qualora formulata, equivale ad una semplice sollecitazione all'esercizio del potere officioso>>;

-   Cass. civ., sez. III, ord. 24 gennaio 2020 n. 1580, che peraltro richiama integralmente Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 2013, n. 3718, secondo cui <<Durante la sospensione del processo non possono essere compiuti, ai sensi dell'art. 298, comma 1, c.p.c., atti del procedimento, con la conseguenza che è inefficace, poiché funzionalmente inidonea a provocare la riattivazione del giudizio e motivo di nullità per derivazione di tutti gli eventuali atti successivi, l'istanza di riassunzione proposta prima della cessazione della causa di sospensione, ovvero anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza che abbia definito la controversia pregiudiziale, senza che rilevi, al fine del superamento di detta sanzione, il sopravvenuto venire meno della medesima causa>>;

-   Cass. civ., sez. VI-1, 25 agosto 2020, n. 17623, secondo cui <<La sospensione del processo ex art. 337, comma 2, c.p.c. è solo facoltativa, perché può essere disposta in presenza di un rapporto di pregiudizialità in senso lato tra la causa pregiudicante e quella pregiudicata, senza che la statuizione assunta nella prima abbia effetto di giudicato nella seconda, né richiede che le parti dei due giudizi siano identiche, mentre quella disciplinata dall'art. 295 c.p.c. è sempre necessaria, essendo finalizzata ad evitare il contrasto tra giudicati nei casi di pregiudizialità in senso stretto e presuppone altresì l'identità delle parti dei procedimenti>>.

 

5.     La dottrina.      In dottrina sono sostanzialmente presenti due orientamenti in tema di sospensione del processo civile disposta ai sensi dell’articolo 295 cod. proc. civ.

Un primo orientamento[1] individua nel richiamato disposto normativo il mezzo processuale finalizzato a risolvere i conflitti e le interferenze che sorgono dalla relazione di pregiudizialità esistente tra due cause pendenti nello stesso o in diverso grado di giudizio, la causa pregiudicata e la causa pregiudicante, nell’intento di privilegiare l’uniformità dei giudicati e di prevenirne possibili contrasti.

Un secondo orientamento[2] ritiene invece che la sospensione necessaria, in considerazione della gravità delle sue conseguenze pratiche sulla sollecita definizione del processo, si applichi soltanto quando l’accertamento con autorità di giudicato della questione pregiudiziale è richiesto dalla legge e la causa pregiudiziale è iniziata prima di quella pregiudicata; tale orientamento restrittivo, che configura l’applicazione dell’istituto di cui all’articolo 295 cod. proc. civ., quale extrema ratio, trova fondamento nella volontà di privilegiare il principio di economia processuale, assicurando la ragionevole durata del giusto processo secondo il disposto di cui all’articolo 111, commi primo e secondo, Cost.

In tale orientamento restrittivo vanno altresì inquadrate le posizioni[3] che, nell’ottica di favorire il simultaneus processus, vedono nell’articolo 295 cod. proc. civ., lo strumento accessorio e residuale per garantire la coerenza delle decisioni soltanto qualora la stessa finalità non possa essere perseguita con meccanismi primari quali la riunione officiosa per mezzo della trattazione cumulativa delle cause.

Secondo questa prospettazione lo stretto legame corrente tra gli articoli 295 e 337, secondo comma, cod. proc. civ., consentirebbe di giustificare la possibilità, per la parte interessata, di riassumere il processo pregiudicato già dopo la pronuncia della decisione pregiudiziale in primo grado, attribuendo peraltro al giudice i margini di discrezionalità ritenuti necessari per contemperare - tramite valutazioni di economia processuale oggetto di specifica motivazione - il diritto delle parti ad un giudizio di merito in tempi ragionevoli con quello contrapposto di potersi giovare della decisione pregiudiziale nella causa dipendente.

Da ultimo, può ricordarsi la posizione assolutamente minoritaria[4] di chi ritiene che l’articolo 295 cod. proc. civ., contempli una ipotesi particolare di improponibilità della domanda, che ricorre nei soli casi in cui la soluzione della controversia dipende da un accertamento che deve essere fatto da altro giudice, o anche, più in generale, da altro organo, esclusivamente competenti.

Analogamente, si pongono in dottrina due orientamenti anche per quanto concerne l’ambito applicativo dell’articolo 337, secondo comma, cod. proc. civ.

Un primo orientamento[5], che si riallaccia alla tradizionale interpretazione che legge nell’articolo 295 cod. proc. civ., lo strumento per prevenire il contrasto tra giudicati, ritiene che il disposto di cui all’articolo 337, secondo comma, cod. proc. civ., vada interpretato limitando la possibilità di sospendere il processo nel quale è invocata l’autorità di una sentenza resa in altro processo ai soli casi in cui la sentenza pregiudicante sia stata impugnata con mezzi di impugnazione straordinaria; tanto sulla base di una esegesi ricondotta alla radice storica del testo normativo, individuata negli articoli 504 e 515 del previgente codice del 1865, valorizzando, quindi, la tradizionale impostazione secondo la quale l’istituto della sospensione necessaria del processo di cui all’articolo 295 cod. proc. civ., si ricollega necessariamente e strettamente al giudicato.

Un secondo orientamento[6], invece, legge l’espressione <<autorità di una sentenza>> riportata dall’articolo 337, secondo comma, cod. proc. civ., come riferito sia alla sentenza passata in giudicato (ed impugnata con mezzi di impugnazione straordinari), sia a quella non ancora passata in giudicato ed oggetto di ordinaria impugnazione. In tale prospettiva si interpreta la disposizione richiamata nel senso che la stessa consente al giudice della causa pregiudicata: o di sospendere il processo ed attendere che sulla causa pregiudiziale si pronunci il giudice dell'impugnazione; ovvero di proseguirlo, salvo il vincolo derivante dagli accertamenti contenuti nella sentenza, ancora non passata in giudicato, pronunciata nella causa pregiudicante, da tanto conseguendo che l’articolo 295 cod. proc. civ., opera solo fino al momento in cui non è decisa la causa pregiudiziale, mentre quando la stessa è stata decisa, la sentenza emessa, ancorchè non passata in giudicato, produce effetti immediati nel giudizio dipendente, fatta salva la facoltà del giudice di questo, in caso di impugnazione, di disporne discrezionalmente la sospensione, ex articolo 337, secondo comma, cod. proc. civ.

A tale orientamento può ricondursi la specifica posizione[7] che aderisce a quest’ultima opzione interpretativa, con la precisazione peraltro che, nei soli casi in cui la causa pregiudiziale sia relativa ad una questione che deve essere conosciuta con autorità di cosa giudicata per volontà di legge (ad esempio qualora la causa pregiudiziale sia relativa allo stato o alla capacità delle persone), il relativo accertamento, per acquistare qualsiasi efficacia, deve necessariamente essere passato in giudicato e prima di tale momento non può essere soggetto alla disciplina prevista dall’articolo 337, secondo comma, cod. proc. civ. 

Pienamente adesiva alla posizione assunta con il richiamato arresto delle Sezioni Unite del 2012, infine, è la posizione di chi[8], definendo “savia” l’interpretazione data dalla Corte di legittimità al rapporto tra gli articoli 295 e 337, secondo comma, cod. proc. civ., rimarca come, alla luce del principio della ragionevole durata del processo costituzionalmente garantito dall’articolo 111 Cost., debba ritenersi che <<l’ordinamento preferisca all’attesa del giudicato la possibilità che il processo dipendente riprenda assumendo a suo fondamento la decisione, ancorché suscettibile di impugnazione, che si è avuta sulla causa pregiudicante, perché, essendo il risultato di un accertamento in contraddittorio e provenendo dal giudice, giustifica la presunzione di conformità al diritto>>.

 

6.       La questione nomofilattica posta dall’ordinanza n.ro 362 del 2021 - La soluzione proposta.                     L’ordinanza remittente prefigura dubbi in ordine all’interpretazione data dalla pronuncia a Sezioni Unite n.ro 10027 del 2012, con riferimento al concetto di “giudicato” contenuto nell’articolo 297 cod. proc. civ., che, nell’ottica della Corte, varrebbe quale mero indice temporale e non più contenutistico ai fini della riassunzione, così dilatando il potere dispositivo delle parti che infatti potranno decidere di attendere il giudicato oppure di attenderlo per una certa misura temporale, o anche mutare, per sopravvenute ragioni, la loro volontà di attesa, di talché evitare il conflitto di giudicati si trasformerebbe in una mera scelta delle stesse e non più in un principio di interesse generale e l’impulso processuale verrebbe a condizionare il paradigma del giudicato quanto alla pregiudizialità.

            Una tale interpretazione, infatti, laddove ammette che la sospensione necessaria esaurisce i suoi effetti nel momento in cui nel processo pregiudicante viene pronunciata sentenza suscettibile di impugnazione e non impedisce che chi ne rivendichi l'autorità possa sollecitare la prosecuzione del processo pregiudicato (anche se poi il giudice potrà di nuovo sospenderlo, ma sulla base di una nuova e specifica valutazione), ad avviso dell’ordinanza remittente si pone in radicale controtendenza con quanto da sempre affermato in ordine al necessario collegamento tra sospensione necessaria disposta ex articolo 295 cod. proc. civ., e l’istituto del giudicato.

            Ad avviso di chi scrive, invece, merita darsi piena continuità all’insegnamento contenuto nella pronuncia, più volte richiamata, n.ro 10027 del 2012, resa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, laddove si restringe l’ambito di operatività dell’istituto della sospensione necessaria consentendo alle parti, una volta decisa con sentenza poi oggetto di impugnazione la causa pregiudicante, di instare per la prosecuzione del processo sospeso rimettendo ad una nuova valutazione del giudice il permanere delle esigenze di sospensione della causa pregiudicata, secondo il disposto del secondo comma, dell’articolo 337 cod. proc. civ.

            L’insegnamento delle Sezioni Unite, infatti, a ben vedere si rivela pienamente conforme con l’interpretazione letterale, sistematica, logica e costituzionalmente orientata dell’ordito normativo, dappoiché:

-   quanto al primo profilo, la lettera dell’articolo 295 cod. proc. civ., a differenza dell’articolo 75, comma 3, cod. proc. pen., non dispone affatto che la sospensione perduri sino al passaggio in giudicato della decisione relativa alla causa pregiudicante, né distingue a seconda che la sospensione sia stata dichiarata quando era già stata oppure non era ancora stata pronunciata una decisione nel processo pregiudiziale; ancora, la lettera dell’articolo 337, secondo comma, cod. proc. civ., non prevede affatto che l’autorità della sentenza invocata in un diverso processo (ossia in quello pregiudicato) si riferisca ad una pronuncia dotata di autorità di cosa giudicata formale e soggetta ai soli mezzi di impugnazione straordinaria, quali la revocazione e l’opposizione di terzo;

-   quanto all’interpretazione sistematica, la recente evoluzione normativa evidenzia in maniera palmare lo sfavore del legislatore verso l’istituto della sospensione del processo, come si desume dalle seguenti circostanze:

  • l’articolo 295 cod. proc. civ., nel testo novellato dall’articolo 35, l.n. 353 del 1990, ha attenuato il riferimento al nesso di pregiudizialità penale espungendo dal testo il riferimento all’articolo 3 cod. proc. pen., in consonanza con l'autonomia voluta dal nuovo codice di procedura penale per le azioni civili restitutorie e risarcitorie, eliminandone il relativo riferimento nonché quello relativo al nesso di pregiudizialità amministrativa ed esprimendo così l’evidente disfavore nei confronti del fenomeno sospensivo in quanto tale;
  • l’articolo 42, cod. proc. civ., nel testo novellato dall’articolo 6, l.n. 353 del 1990, laddove estende il rimedio del regolamento necessario di competenza ai provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo ex articolo 295 cod. proc. civ., manifesta l’evidente disfavore del legislatore per la collocazione di un procedimento in stato di quiescenza, onde l’opportunità di un immediato controllo, tramite impugnazione, sull'esistenza dei presupposti in diritto della sospensione, così da ovviare al rischio che l’effettività della tutela giurisdizionale del diritto azionato possa essere vanificata dalla stasi del processo;
  • l’articolo 63, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in tema di controversie relative ai rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni (già articolo 68 decreto legislativo n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'articolo 33 decreto legislativo n. 546 del 1993 e poi dall'articolo 29 decreto legislativo n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'articolo 18 decreto legislativo n. 387 del 1998), esclude che l’impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto o del provvedimento amministrativo rilevante nella controversia sia causa di sospensione del processo;

-   quanto all’interpretazione logica, corretta deve ritenersi, ai nostri fini, la valorizzazione dell’articolo 282 cod. proc. civ., che, nel riconoscere la provvisoria esecutività alla sentenza di primo grado, determina necessariamente una cesura tra la posizione delle parti in controversia tra loro e la situazione in cui le stesse vengono poste dalla decisione del giudice di prime cure, in quanto la decisione della controversia, pur se con sentenza soggetta ad impugnazione, dichiara lo stato del diritto tra le parti qualificando la loro posizione in modo diverso da quello dello stato originario di lite, anche considerando il progressivo restringersi degli elementi di novità suscettibili di essere introdotti nel giudizio di impugnazione.

Tanto consente di ritenere, come recita la più volte richiamata decisione a Sezioni Unite n.ro 10027 del 2012, che <<l’ordinamento preferisca all’attesa del giudicato la possibilità che il processo dipendente riprenda assumendo a suo fondamento la decisione, ancorché suscettibile di impugnazione, che si è avuta sulla causa pregiudicante, perché, essendo il risultato di un accertamento in contraddittorio e provenendo dal giudice, giustifica la presunzione di conformità al diritto>>, prevedendo peraltro espressamente il disposto normativo che, ove la controversia si riaccenda nei successivi gradi di impugnazione, spetterà alla valutazione del giudice della causa dipendente decidere se mantenere in stato di sospensione il processo di cui una delle parti abbia sollecitato la ripresa, ai sensi dell’articolo 337, secondo comma, cod. proc. civ., sulla base di una valutazione specifica da compiere in relazione alla plausibile controvertibilità che il confronto tra la decisione intervenuta e la critica che ne è stata svolta abbia fatto emergere.

            Alla luce delle considerazioni che precedono, allora, il disegno del legislatore si rivela pienamente logico e coerente, assicurando l’effettività della tutela giurisdizionale alle parti, il cui potere dispositivo nella volontà di proseguire il processo pregiudicato, però, trova un naturale bilanciamento nel potere riconosciuto al giudice del processo riassunto, che potrà decidere di proseguire il processo, conformandosi al contenuto della decisione assunta nella causa pregiudicante (anche se non ancora passata in giudicato), oppure potrà sospenderlo nuovamente se ritiene verosimile che l’esito finale della lite potrà essere, nel prosieguo di quel giudizio, mutato, allo scopo di preservare l’uniformità del giudicato.

            La decisione delle Sezioni Unite n.ro 10027 del 2012, infine, si rivela pienamente conforme ad una interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto in totale sintonia con il principio di economia processuale declinato come ragionevole durata del processo dagli articoli 111 Cost, e 6 CEDU, e con il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale declinato dall’articolo 24 Cost., laddove ritiene che, intervenuta decisione, ancorché soggetta ad impugnazione, nel giudizio pregiudicante, l’ordinamento attribuisce al giudice del giudizio pregiudicato e non ad automatismi normativi la valutazione se l’autorità della sentenza pronunciata nella lite pregiudicante debba essere provvisoriamente rifiutata, ai sensi dell’articolo 337, secondo comma, cod. proc. civ., in questo caso attribuendo al giudice del giudizio sulla lite pregiudicata il potere di sospenderlo.

            In tale ottica possono essere richiamate, pur se risalenti, le sentenze 31 maggio 1996, n. 182 e 12 aprile 2005, n. 132, con cui la Corte costituzionale, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 279, comma 2, n. 4 e comma 4, 277 e 295 cod. proc. civ., aveva evidenziato il <<disfavore verso il fenomeno sospensivo in quanto tale, espresso dal legislatore, con la riforma del 1990, soffermandosi sugli orientamenti restrittivi che s'erano manifestati nella giurisprudenza di legittimità al riguardo della precedente interpretazione dell'art. 295>>.

 

7.     La soluzione della Corte.     In piena adesione alle argomentazioni ed alle conclusioni delineate al paragrafo che precede, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza 29 luglio 2021, n. 21763, hanno ritenuto che, quando vi è rapporto di pregiudizialità tra due giudizi, si avrà sospensione di quello pregiudicato fino alla pronuncia della sentenza definitiva nel giudizio pregiudicante solamente se lo prevede la legge, affermando il principio di diritto secondo cui <<salvi i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione normativa specifica, che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria ai sensi dell'art. 295 c.p.c. (e, se sia stata disposta, è possibile proporre subito istanza di prosecuzione in virtù dell'art. 297 c.p.c., il cui conseguente provvedimento giudiziale è assoggettabile a regolamento necessario di competenza), ma può essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell'art. 337 c.p.c., comma 2, applicandosi, nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati, il disposto dell'art. 336 c.p.c., comma 2>>.

            La Corte a sezioni unite ha così ritenuto di dare continuità alla precedente decisione di Cass. civ., sez. Un., 19 giugno 2012, n. 10027, qui più volte richiamata, ritenendo pienamente condivisibili le argomentazioni poste a fondamento di tale pronuncia ed indicando ulteriori argomenti a sostegno della suddetta decisione, in primo luogo valorizzando l’esigenza di limitare i casi di applicazione dell’articolo 295 cod. proc. civ., per evitare la dilatazione della durata dei processi che la sospensione necessaria comporterebbe e quindi per assicurare, nella sua effettività, il principio della durata ragionevole del processo, nella specie di quello pregiudicato, in ossequio ai generali principi desumibili dagli articoli 111, comma 2, Cost, e 6 CEDU, esigenza alla quale contribuisce una razionale e mirata concezione dell'ambito e dei presupposti di operatività dell’articolo 337, secondo comma, cod. proc. civ., che consente, nella lettura proposta dalla Corte, una rivalutazione della permanenza delle esigenze di sospensione della causa pregiudicata una volta decisa, con sentenza impugnata, la causa pregiudicante.

            La decisione della Corte a sezioni unite, inoltre, assicura alle parti interessate il diritto di scegliere se riassumere il giudizio dipendente subito dopo la pronuncia della decisione sulla causa pregiudiziale ovvero di attendere che su di essa di formi il giudicato, rimettendo alla scelta ed alla volontà delle parti, nel cui esclusivo interesse si svolgono i giudizi in rapporto di pregiudizialità, l'operatività in concreto del meccanismo sospensivo delineato dall’articolo 295 cod. proc. civ., cui si ricollega la correlativa facoltà di individuare il momento in cui attivare la prosecuzione del giudizio, ai sensi dell’articolo 297 cod. proc. civ., bilanciata dal potere discrezionale del giudice nel disporre, in via ulteriore ed eventuale, la sospensione del processo pregiudicato, ai sensi dell’articolo 337 cod. proc. civ., in piena sintonia con l’innovato sistema normativo processuale che tende a dilatare le ipotesi di valutazioni prognostiche giudiziali sulla fondatezza o meno dell'impugnazione, al qual proposito basti pensare alla nuova regolamentazione del c.d. filtro in appello, di cui agli articoli 348 bis e 348 ter, cod. proc. civ.

            Il principio di diritto affermato dalla Corte a sezioni unite, ad avviso di chi scrive, deve ritenersi pienamente condivisibile perché frutto di un'interpretazione costituzionalmente orientata come imposta dalla diretta applicazione degli articoli 111, comma 2, Cost, e 6 CEDU, che consente, in ultima analisi, di coordinare la primazia del diritto costituzionalmente protetto alla celerità dei processi con l'esigenza di assicurare un'equilibrata efficienza all'amministrazione della giustizia nel suo complesso, demandando il  raggiungimento di questo obiettivo di efficienza non già ad automatismi normativi, quanto piuttosto ad un esame della fattispecie concreta che consenta al giudicante di distinguere le ipotesi in cui effettivamente l'esito della causa pregiudiziale si presenti talmente incerto da rendere opportuno l'arresto del giudizio pregiudicato.



[1]  E.T. Liebman: Manuale di Diritto processuale civile, vol. II, p. 187 e ss.

[2]  A. Proto Pisani: Pregiudizialità e ragionevole durata del processo, in Foro It., 1981, I, c. 1058; G. Trisorio Luzzi: La sospensione del processo civile di cognizione, 1987, p. 501 e ss.

[3]  A. Giussani, voce Sospensione del processo, in Digesto disc. priv., 1998, p. 603 e ss.

[4]  S. Satta: Diritto processuale civile, 1987, p. 391 e ss.

[5]  E. Allorio, Postilla, in Riv. Dir. Proc., 1948, II, p. 27.

[6]  F. Carpi, L’efficacia “ultra partes” della sentenza, 1974, p. 23 e ss.; C. Vocino: Considerazioni sul giudicato, 1963, p.46.

[7]  A. Proto Pisani: Ancora sulla sospensione c.d. necessaria dei processi civili per pregiudizialità, in Foro It., 2014, c. 952.

[8]  C. Consolo: Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di <<svaporamento>>, in Corriere giuridico, 2012, pag. 1133 e ss.

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