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PENALE  

SEQUESTRO DI DATI INFORMATICI: CHI PUO' PROVVEDERE E COME

  Penale 
 martedì, 25 marzo 2025

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(A proposito di Cass. pen., Sez. V, 28 gennaio 2025, n. 8376)

di Cesare PARODI, procuratore aggiunto presso a procura della Repubblica di Torino

 
 

Sommario: 1. La sentenza della Corte di cassazione – 2. Le argomentazioni. – 3. Il raffronto con la decisione C-548/21 CGUE.

1. La sentenza della Corte di cassazione.
La Corte di cassazione, Sezione Quinta penale, con la sentenza 28 gennaio 2025, n. 8376 [1] valuta un provvedimento di rigetto del Tribunale del Riesame, relativo a un decreto di perquisizione e sequestro, in un procedimento avente ad oggetto i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e truffa ai danni dello Stato. Con il primo motivo di ricorso la difesa ha chiesto di dichiarare la nullità del sequestro per mancanza di convalida da parte del giudice in violazione dell'articolo 355, comma 2, del codice di rito. In particolare, si assume che il P.M. avrebbe, ex art. 247 cod. proc. pen., disposto la perquisizione e sequestro dei supporti informatici con un'indicazione generica, che avrebbe resa necessaria una individuazione dei beni da sequestrare nella fase esecutiva, anch’essa tale da richiedere un successivo provvedimento di convalida.
La difesa desume la necessità della convalida del sequestro anche da parte del G.I.P., in base a quanto stabilito dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea con la sentenza 4 ottobre 2024 in causa 548/21, per la quale l'accesso ai dati dei telefoni cellulari è subordinato a un controllo preventivo effettuato dal giudice o da un organo amministrativo indipendente, salvo in casi di urgenza debitamente comprovati [2].
La sentenza, rigetta il primo motivo ed accoglie il secondo, disponendo rinvio, sul presupposto che, a fronte della complessità della vicenda, il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato in punto sussistenza del fumus dei reati provvisoriamente contestati.
L’interesse della decisione, tuttavia, nasce dalla soluzione data al primo motivo di ricorso e dal confronto del principio espresso dalla CGUE con i principi propri dell’ordinamento italiano circa la posizione istituzionale del P.M.

2. Le argomentazioni.
Il tenore della motivazione di rigetto del primo motivo di ricorso impone una ricognizione di alcuni principi fondamentali in materia.
In primo luogo, la sentenza rammenta le proprie indicazioni in tema di perquisizione e sequestro su personal computer di immagini relative alla diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (ai sensi dell’art. 612-ter cod. pen.), per fatto commesso mediante accesso alla "rete".
In questo senso «l'attività della polizia giudiziaria non necessita di convalida, nel caso in cui, il decreto del pubblico ministero disponga, senza ulteriori specificazioni, l'ablazione di dispositivi informatici in uso all'indagato, in quanto, trattandosi di beni correlati alla tipologia del reato per cui si procede, l'indicazione non lascia spazio alla discrezionalità degli operanti (Cass. pen., Sez. V, 15 settembre 2022 n. 38219, Rv. 283800 - 01)».
Ciò che “fa la differenza” ai fini della valutazione «è che il pubblico ministero adotti una motivazione che espliciti le ragioni per cui è necessario disporre il sequestro,
in ragione del tipo di reato per cui si procede, della condotta e del ruolo attribuiti alla persona titolare dei beni, e della difficoltà di individuare “ex ante”, in maniera più specifica, l'oggetto del sequestro. La motivazione deve, cioè, essere tale da far emergere, sia pure per relationem rispetto alle condotte descritte, l'oggetto del sequestro e la plausibile aspettativa del rinvenimento di ciò che si ricerca ai fini di prova proprio attraverso le cose da sequestrare».
Una situazione ritenuta certamente riscontrabile, a giudizio della S.C., nel caso di specie, atteso che «in relazione ad un computer o altro dispositivo informatico o elettronico, il cui, ampio, contenuto non è conoscibile preventivamente, il criterio di selezione non può che essere quello della pertinenzialità del dato rispetto al reato ipotizzato ed è pertanto sufficiente che emerga l’ambito - circoscritto - entro il quale deve eseguirsi il sequestro».
Nello specifico l’indicazione delle finalità del provvedimento, unitamente «ai criteri dettati per la selezione dei contenuti da porre in sequestro, strettamente connessi alle prime e alla tipologia delle condotte che si reputano già venute in evidenza, consentono di ritenere che il provvedimento del P.M. non sia affatto generico e
non lasci spazio alla discrezionalità degli operanti che devono eseguirlo».
Il secondo profilo affrontato dalla Corte di cassazione riguarda la rilevanza, nel caso di specie, di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 170 del 2023 e dalla giurisprudenza di legittimità a seguito di tale sentenza. In sintesi, il Collegio ritiene che i messaggi di posta elettronica, i messaggi WhatsApp e gli SMS conservati nella memoria di un dispositivo elettronico costituiscono “corrispondenza”, anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo o per altra causa, essi non abbiano perso ogni carattere di attualità in rapporto all'interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero “documento storico", sicché, fino a quel momento, la loro acquisizione deve avvenire secondo le forme previste dall'art. 254 cod. proc. pen. per il sequestro della corrispondenza (Cass. pen., Sez. II, 15 maggio 2024, n. 25549, Rv. 286467), ovvero, quanto al sequestro in questione, con decreto motivato del pubblico ministero.
Al proposito, recentemente la Corte di cassazione ha stabilito (sentenza, Sez. VI, 11 settembre 2024, n. 39548, Rv. 287039 - 01) che, in tema di mezzi di prova, sono affetti da “inutilizzabilità patologica”, in considerazione della loro natura di corrispondenza, i messaggi WhatsApp acquisiti, in violazione dell'art. 254 cod. proc. pen., mediante "screenshots" eseguiti dalla polizia giudiziaria, di propria 2 iniziativa e senza ragioni di urgenza, in assenza di decreto di sequestro del pubblico ministero.
Non solo: la tutela prevista dall'art. 15 Cost. non richiede che per la limitazione della libertà e segretezza della corrispondenza e, dunque, per la sua acquisizione ad un procedimento penale, sia necessario un provvedimento del giudice (Cass. pen., S.U., 29 febbraio 2024, n. 23756, in motivazione, par. 14.2; nonché Cass. pen. S.U, n. 23755, 29 febbraio 2024, in motivazione, par. 11.2).
La conclusione, è, pertanto logica e perfettamente consequenziale alle premesse:
si deve ritenere non necessario il provvedimento del giudice ai fini del sequestro di dati informatici assimilabili al concetto di corrispondenza, risultando sufficiente un
provvedimento dispositivo del P.M., «che nel caso di specie sussiste e, per le ragioni suesposte, presenta contenuti idonei a supportare ciò che è stato poi acquisito in sede di esecuzione da parte della P.G.(sicché non necessitava alcun provvedimento successivo di convalida, né da parte del giudice né da parte del P.M.)».

3. Il raffronto con la decisione C-548/21 CGUE
L’analisi della decisione in commento, infine, impone una breve ricognizione circa la rilevanza, nel caso di specie, della sentenza della Corte di Giustizia UE nella causa C-548/21 sopra menzionata.
Nel caso esaminato dal giudice europeo l’A.G. austriaca chiedeva alla Corte di verificare la compatibilità con il diritto dell’Unione - in particolare con la Direttiva (UE) 2016/680 relativa al trattamento dei dati personali a fini di tutela penale [3] - della possibilità per la normativa austriaca di consentire alla polizia di accedere ai dati contenuti su un cellulare in assenza di un’autorizzazione del pubblico ministero o del giudice, inoltre non documentando i tentativi di sblocco del cellulare stesso, senza informare l'interessato.
La sentenza della CGUE sottolineava che «l'accesso da parte della polizia, nell'ambito di un'indagine penale, ai dati personali conservati in un telefono cellulare può costituire un'ingerenza grave, o addirittura particolarmente grave, nei diritti fondamentali dell’interessato…», in quanto «tali dati, che possono includere messaggi, foto e la cronologia di navigazione su Internet, possono, se del caso, consentire di trarre conclusioni molto precise riguardo alla vita privata di tale persona. Inoltre, alcuni di questi dati possono essere particolarmente sensibili».
Tra le altre indicazioni, la decisione precisava che l’accesso al cellulare deve, essere subordinato a una previa autorizzazione da parte di un giudice o di un'autorità indipendente, salvo in casi di urgenza debitamente comprovati.
Sul tema, la decisione della Corte di cassazione oggetto di commento rileva che la CGUE ha concluso che «non osta a una normativa nazionale che concede alle autorità competenti la possibilità di accedere ai dati contenuti in un telefono cellulare, a fini di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati in generale, se tale normativa: definisce in modo sufficientemente preciso la natura o le categorie dei reati in questione, garantisce il rispetto del principio di proporzionalità, e subordina l'esercizio di tale possibilità, salvo in casi di urgenza debitamente comprovati, al controllo preventivo di un giudice o di un organo amministrativo indipendente».
L’ente amministrativo autonomo, a giudizio della Corte di cassazione, è «certamente individuabile, quanto all'ordinamento italiano, nella figura del Pubblico Ministero, quale autorità giudiziaria che nell'esercizio delle sue funzioni pubbliche procede alle indagini secondo le specifiche regole dettate dal legislatore, idonee a garantire anche i diritti dell'indagato». Ciò in quanto, come emerge anche dalla giurisprudenza della Corte UE (cfr. Corte (Giustizia, 08/12/2020, Staatsanwaltschaft Wien, in causa C584/19), il sintagma «autorità giudiziaria» indica una categoria in cui sono compresi sia ìl giudice che il pubblico ministero.

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[1] Cass. penale, sez. V, 28 gennaio 2025 (dep. 28/02/2025), n. 8376 (massima): In relazione ai principi espressi dalla Grande Camera della Corte di giustizia dell’Unione del 4/10/2024, causa C-548/21, è legittimo il sequestro di dati informatici senza un controllo preventivo da parte è G.I.P., su disposizione del P.M., dovendosi quest’ultimo organo essere ricondotto al concetto di “autorità indipendente” precisato dalla decisione sopra menzionata, trattandosi di autorità giudiziaria che nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche procede alle indagini secondo le specifiche regole dettate dal legislatore idonee a garantire anche i diritti dell’indagato.


[2] Corte Giustizia Ue, Gran Camera, 4 ottobre 2024, Causa C-548/21) ritiene che “non osta a una normativa nazionale che concede alle autorità competenti la possibilità di accedere ai dati contenuti in un telefono cellulare, a fini di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati in generale, se tale normativa: definisce in modo sufficientemente preciso la natura o le categorie dei reati in questione, garantisce il rispetto del principio di proporzionalità, e subordina l’esercizio di tale possibilità, salvo in casi di urgenza debitamente comprovati, ad un controllo preventivo di un giudice o di un organo amministrativo indipendente“.
In proposito si veda C. PARODI, Accesso ai dati presenti sul cellulare: quando, come e perché. le indicazioni della Corte di giustizia dell’Unione europea, in questa rivista, fasc. 1/2025.


[3] Direttiva (Ue) 2016/680 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio.


 

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