Sommario: 1. L’area “grigia” tra violazione della regola deontologica e tipizzazione dell’illecito. 2. Le decisioni del 2018 sulle fattispecie disciplinari di più comune applicazione: a) Ritardi nel deposito di provvedimenti. 3. Segue. b) i casi di ritardata scarcerazione (lett. g). 4. L’abuso dei social: a) la violazione dei doveri di correttezza, equilibrio ed imparzialità. 5. Segue. b) la violazione dei doveri di riserbo.
PARTE II
3. Segue. b) i casi di ritardata scarcerazione (lett. g)
Ancor più che nei casi di ritardo nel deposito di provvedimenti, per la ritardata adozione dei dovuti provvedimenti di scarcerazione per effetto della sopravvenuta inefficacia delle misure cautelari personali restrittive adottate nei confronti dei soggetti indagati od imputati, assume rilievo la funzione giudicante penale od inquirente svolta dal magistrato interessato dalla omissione, in ragione del principio, più volte affermato dalla giurisprudenza disciplinare, della effettiva disponibilità degli atti del procedimento, quale fondamento per la esigibilità del dovere di attivarsi onde evitare una protrazione della misura in violazione dei termini previsti dalla legge.
Ai fini della valutazione della diligenza del magistrato nel rispetto dei termini di legge previsti per le misure cautelari personali, si individua uno specifico obbligo di dotarsi di uno scadenzario o di un sistema che consenta di rilevare tempestivamente l’inefficacia della misura in atto.
Si osserva, in particolare, che fonda la responsabilità per l’illecito del giudice del dibattimento, la disponibilità degli atti in ragione del rinvio a giudizio disposto, per il quale integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni per grave violazione di legge determinato da ignoranza o negligenza inescusabile, la omessa previsione ed adozione di un efficace sistema di controllo dei termini delle misure cautelari determini l’indebito protrarsi della carcerazione dell’imputato per venti giorni. Ciò in particolar modo allorquando non siano stati forniti dall’incolpato elementi idonei a sorreggere la prospettazione volta al riconoscimento della esimente di cui all’art. 3-bis D. Lgs.n.109/2006, tenuto conto della gravità delle conseguenze derivate all’imputato dall’omesso diligente rilievo della intervenuta scadenza dei termini massimi di custodia cautelare (sentenza n. 25 del 2018).
Quanto al Giudice per le indagini preliminari, si è ritenuto sussistere l’illecito nel caso in cui questi abbia disatteso il termine di durata massima della custodia cautelare della detenzione in carcere, intervenendo la scarcerazione con un ritardo di 60 giorni, allorquando il magistrato abbia addotto a sua giustificazione la difettosa formulazione del capo di incolpazione. La scusabilità della condotta può identificarsi con la inesigibilità della stessa, situazione questa che porta ad escludere, in via generale, la riprorevolezza solo allorquando ricorrano circostanze eccezionali ed anomale che inducano a ritenere la obiettiva impossibilità di tenere una condotta diversa da quella tenuta. Circostanze queste non ravvisabili allorquando la vigilanza del magistrato titolare del fascicolo non sia stata diuturna al fine di adeguatamente tutelare la libertà personale in quanto bene di primaria importanza (sentenza n. 147 del 2018 - R.G.109/2017).
In caso di organo collegiale la responsabilità disciplinare dei componenti è ancorata al medesimo principio della effettiva disponibilità degli atti e conoscibilità della circostanza che imponeva l’adozione del provvedimento di scarcerazione.
Nella specie, con sentenza n.139 del 2018 (R.G.87/2017), sempre con riferimento alla fase dibattimentale, seppur di appello, si è ritenuto sussistere la responsabilità disciplinare del consigliere d’appello, il quale essendo relatore della sentenza di riforma della sentenza di primo grado abbia omesso di valutare e riferire al collegio la circostanza che l’imputato fosse detenuto agli arresti domiciliari, determinando quale conseguenza del mancato corretto computo dei termini il grave effetto della mancata immediata scarcerazione del medesimo. Non può infatti ritenersi che il fatto contestato sia configurabile come di scarsa rilevanza, trattandosi di una ingiustificata protrazione, per 15 giorni, dello stato di detenzione agli arresti domiciliari.
Nello stesso senso, con sentenza n.149 del 2018 (R.G.25/2017) con riferimento alla condotta del giudice di appello il quale, a seguito di assoluzione dell’imputato, abbia omesso di riferire in camera di consiglio al fine di disporne la scarcerazione immediata per la perdita di efficacia della misura. Non valgono infatti quali cause di giustificazione della condotta la circostanza relativa alla disorganizzazione dell’ufficio e al carico di lavoro, così come deve ritenersi irrilevante la severa condanna definitiva inflitta al medesimo soggetto, in seguito all’annullamento della decisione di secondo grado da parte della Cassazione
Si è, inoltre, per gli stessi motivi, ritenuto la responsabilità del Presidente del Collegio giudicante che abbia omesso, alla definizione del procedimento penale, di attivarsi al fine di disporre la scarcerazione dell’imputato, a seguito della scadenza del termine di durata massima della custodia cautelare disposta, con la conseguente privazione della libertà dell’indagato per un periodo di giorni 22 eccedente rispetto alla scadenza ordinaria. Ciò nonostante la durata maggiore, rispetto alla misura cautelare, della successiva condanna subita. Ed invero i beni giuridici tutelati non sono identici con la conseguenza che la illegittima privazione della libertà personale in sede cautelare non può essere compensata da una successiva condanna ad una pena detentiva di durata maggiore (sentenza n. 30 del 2018 - R.G. 39/2016).
In tal senso, assume valenza decisiva, sotto il profilo della imputabilità soggettiva dell’illecito, il fatto che il magistrato non possa aver avuto alcuna conoscenza della scadenza della misura, escludendosi qualsiasi forma di negligenza nella trattazione del fascicolo. Un caso emblematico è quello di cui alla sentenza n. 80 del 2018 (R.G. 33/2016) in cui si è esclusa la responsabilità del giudice che abbia omesso di dichiarare l’inefficacia della misura stante il conclamato caos gestionale di un intero Tribunale, ritenuto per tale motivo all’oscuro della pregressa applicazione della misura cautelare dell’obbligo di firma dell’imputato sottoposto a giudizio, oltre che in assenza di annotazione della misura sullo scadenzario.
Si è, inoltre, escluso l’illecito disciplinare nel comportamento del giudice che abbia omesso, alla definizione del procedimento penale, di attivarsi al fine di disporre la scarcerazione dell’imputato, a seguito della scadenza del termine di durata massima della custodia cautelare disposta, allorquando in ragione dell’interposto gravame il magistrato si sia convinto della tempestiva trasmissione del fascicolo alla Corte d’Appello. Ciò in ragione della effettiva indisponibilità da parte del giudice del fascicolo, riposto da parte del personale amministrativo, in grandi scatoloni contenenti almeno 300 fascicoli da inviare alla Corte d’Appello. Ciò a seguito della soppressione della sezione distaccata del Tribunale (sentenza n. 71 del 2018 - R.G. 36/2017).
Si è, infine, rilevato che la configurabilità dell’illecito in esame debba essere sempre esclusa quando il ritardo nella scarcerazione dipenda dalla interpretazione della norma processuale. Così, nel caso del Consigliere di Corte d’Appello che, incaricato di controllare i termini di durata massima della custodia cautelare cui era sottoposto un soggetto imputato del reato di cui all’art.73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, in epoca precedente all’introduzione dell’ipotesi di cui al comma 5 del medesimo art.73, abbia ritenuto erroneamente effettuato il bilanciamento tra le attenuanti generiche e la recidiva contestata, in ragione della equivocità del dispositivo della sentenza di appello, ed abbia quindi ritenuto applicabile ai fini della determinazione della durata massima della misura cautelare l’art.303 comma 4 lett. b) c.p.p. e non la lettera a) (Ordinanza n. 95 del 2018 - R.G. 23/2017); ovvero nel caso in cui, sempre il Consigliere di Corte di Appello, incaricato di controllare i suddetti termini, abbia ritenuto erroneamente non scaduto il termine massimo di durata della misura nella convinzione, condivisa del collegio e dalle parti dell’applicabilità della opzione ermeneutica sostenuta in giurisprudenza relativa all’applicazione dei termini di durata complessiva della custodia cautelare previsti dagli artt.303 comma 4 e 304 comma 6 cpp. (sentenza n. 172 del 2018 - R.G. 37/2017).
Quanto alle ipotesi di responsabilità del pubblico ministero per il ritardo nell’adozione dei provvedimenti di scarcerazione, si osserva (sentenza n.133 del 2018 - R.G.79/2016) che l’illecito in esame deve ritenersi integrato nel caso in cui il sostituto Procuratore della Repubblica, pur avendo la piena disponibilità degli atti del procedimento, non si sia avveduto della scadenza del termine di durata massima della misura degli arresti domiciliari imposta all’indagato e, quindi, abbia omesso qualsiasi iniziativa volta determinarne la scarcerazione, ivi compresa la segnalazione della scadenza al giudice delle indagini preliminari. Si è, in particolare, ritenuta non configurabile come di scarsa rilevanza la violazione di norme individuatrici di comportamenti disciplinarmente rilevanti che produca la indebita privazione della libertà personale di un individuo (nel caso di specie per ben 49 giorni).
In senso conforme, con sentenza n.115 del 2018 (R.G. 111/2016) la autonoma responsabilità per l’illecito è stata affermata riguardo alla condotta del Sostituto Procuratore della Repubblica il quale abbia omesso di effettuare il necessario controllo sulla scadenza del termine massimo di durata della misura cautelare custodiale, ed abbia altresì omesso di attivarsi per la tempestiva scarcerazione, determinando il ritardo della stessa per 62 giorni. Ciò nonostante il grave disagio organizzativo della segreteria e l’assenza di una disposizione nel progetto organizzativo dell’ufficio che imponeva l’obbligo di tenuta di uno scadenzario. Proprio la consapevolezza della inefficienza della sua segreteria avrebbe dovuto infatti indurre il magistrato a non affidarsi passivamente e a seguire la movimentazione del fascicolo in questione, trattandosi di procedimento a carico di soggetto in stato di detenzione, con termine di fase in scadenza, e poi scaduto.
Di contro, in ragione di un difetto riscontrato al sistema di monitoraggio delle scadenze vigente presso la Procura emergente dal compendio probatorio acquisito, è stato ritenuto che nessuna negligenza è addebitabile al magistrato, peraltro di prima nomina, il quale, affidatatosi al suddetto sistema informatico, non mai aveva dato luogo ad alcun incidente, non si sia avveduto della mancata restituzione del fascicolo trattenuto dalla cancelleria (sentenza n. 158 del 2018 - R.G. 108/2017, nel caso di specie, l’omesso controllo contestato sulla scadenza del termine massimo di durata della misura cautelare custodiale aveva prodotto un ritardo di dieci giorni nella scarcerazione).
Ancora, si è ritenuto non integrare l’illecito del Sostituto Procuratore della Repubblica, che abbia omesso di effettuare il necessario controllo sulla scadenza del termine massimo di durata della misura cautelare custodiale agli arresti domiciliari, ed abbia altresì omesso di attivarsi per la tempestiva scarcerazione, determinando il ritardo della stessa per ventisei giorni, quando lo stesso, nel periodo in oggetto, era particolarmente impegnato in un’indagine complessa e delicata; la segreteria del pubblico ministero, era sprovvista di un cancelliere, in ragione della carenza di personale amministrativo dell’ufficio; la scadenza del termine di fase, verificatasi in periodo feriale, era stata erroneamente annotata sul fascicolo; che quest’ultimo non era nella disponibilità materiale del pubblico ministero. La condotta doverosa in conclusione può ritenersi nel caso di specie non esigibile alla stregua di elementi di fatto di natura oggettiva e soggettiva riscontrati in sede dibattimentale (sentenza n.184 del 2018 - R.G. 20/2018).
La giurisprudenza disciplinare ha individuato, infine una particolare casistica in cui la condotta per ritardo nella scarcerazione, pur astrattamente sussumibile nella fattispecie tipizzata di illecito disciplinare, si presenti priva di offensività per scarsa rilevanza del fatto.
In particolare, quanto alla posizione del pubblico ministero, si ritiene sussistente l’ipotesi di scarsa rilevanza del fatto illecito nella condotta del Sostituto Procuratore della Repubblica che abbia omesso di effettuare il necessario controllo sulla scadenza del termine massimo di durata della misura cautelare custodiale, ed abbia altresì omesso di attivarsi per la tempestiva scarcerazione, determinando il ritardo della stessa per sette giorni, allorquando: 1) il magistrato sia risultato, nel periodo in oggetto, particolarmente gravato in quanto investito, senza alcuno sgravio, dalle funzioni dirigenziali; 2) non sia derivato dal fatto alcuno strepitus fori, per essere gli indagati ristretti altrove senza che nessun difensore avesse sollecitato la loro liberazione; 3) l’episodio si collochi quale episodio del tutto isolato nell’arco di una carriera connotata da grande laboriosità ed impegno (sentenza n.59 del 2018 - R.G. 5/2016).
Ancora, altro elemento fattuale di scarsa rilevanza del fatto si individua nella episodicità del fatto e nella mancata lesione della credibilità del magistrato, come nel caso del Consigliere di appello che, chiamato a sostituire in udienza il relatore del procedimento, abbia omesso di disporre la immediata liberazione dell’imputato per l’intervenuta inefficacia della misura cautelare, come previsto dall’art. 300 comma 4 c.p.p. In tali condizioni risultano, invero: le difficili condizioni ambientali e di lavoro, per l’avvenuta sostituzione del titolare del procedimento nella medesima data di udienza; le indicazioni contraddittorie risultanti dal registro delle udienze; il legittimo affidamento invocato nella presidenza del collegio che conosceva il procedimento; l’episodicità del fatto (ordinanza n.182 del 2018 - R.G. 74/2018).
Sempre con rifermento alla condotta del Consigliere di Corte di Appello, con sentenza n.194 del 2018 (R.G. 47/2018), si è affermato che deve ritenersi il fatto di scarsa rilevanza allorquando l’immagine del magistrato non sia stata compromessa dalla condotta illecita. Nel caso di specie, l’avvenuto accertamento dell’illecito era conseguito ad ispezione ordinaria, intervenuta tre anni dopo i fatti, l’imputato non aveva presentato istanza di riparazione del danno, il fatto era connotato da episodicità e non aveva determinato alcun strepitus fori all’interno di un percorso professionale caratterizzato da grande laboriosità ed impegno (Fattispecie di omessa tempestiva scarcerazione conseguente alla riforma della sentenza di primo grado, in cui il relatore, riqualificato il fatto e rideterminato la pena irrogata, abbia omesso di ravvisare, pur non essendo relatore del procedimento, l’intervenuta inefficacia della misura cautelare tanto ai sensi dell’art.300 comma 4 c.p.p., quanto ai sensi degli artt.299 co.1 e 280 co.1 c.p.p.).
Alla stessa conclusione sulla inoffensività della condotta è giunta la giurisprudenza disciplinare (sentenza n.207 del 2018 - R.G. 3/2018) nel caso del Giudice per le indagini preliminari che, pur essendo nella disponibilità del fascicolo, abbia ritardato la scarcerazione dell’imputato nonostante l’intervenuta scadenza dei termini di durata della misura cautelare della custodia in carcere, allorquando sussistano elementi di valenza esimente in grado di integrare gli estremi del fatto di scarsa rilevanza. Sussistono tali elementi allorquando a) l’illecito è stato accertato solamente a seguito di ispezione; b) l’imputato ha definito il suo processo con richiesta di applicazione della pena di anni due di reclusione senza sospensione condizionale ed il periodo di detenzione cautelare sofferto dopo la scadenza è stato computato nel periodo di pena espiata; c) il periodo di ritardo non appaia di eccessiva durata.
Nello stesso senso vi è la sentenza n.156 del 2018 (R.G. 17/2018) che ha escluso l’offensività della condotta del Giudice per le indagini preliminari che abbia omesso di disporre la scarcerazione, per scadenza del termine di durata massima della custodia cautelare previsto dall’art.303 comma 1 lett.a) n.1 c.p.p., erroneamente avendo ritenuto in prima istanza di non dovere computare nel calcolo il periodo di detenzione sofferto dall’imputato all’estero, ed in seconda istanza avendo ricevuto indicazione erronea in ordine alla data di esecuzione della misura all’estero, allorquando risulti dalla lettura complessiva dei fatti che il ritardo nella scarcerazione dell’imputato, di un solo giorno abbia compromesso in misura minimale l’immagine del magistrato e sia qualificabile come di scarsa rilevanza.
[1] Tratto dalla relazione alla tavola rotonda del 12 aprile 2019 a conclusione del corso S.S.M. “Il punto della responsabilità civile dei Magistrati. Questioni aperte e casi controversi” – Palazzo Spada – Roma.