ABSTRACT: il contributo analizza i nuovi “poteri di controllo” sull’attività del PM, che la riforma Cartabia riserva al giudice. In particolare, superando l’impostazione fatta propria in passato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (che – sin dalla sentenza a SS. UU. n. 16 del 21 giugno 2000 – aveva propeso per l’orientamento di sottrarre al sindacato del giudice l’apprezzamento sulla tempestività dell’iscrizione, avendo ritenuto che lo stesso dovesse rientrare nella sfera di esclusiva valutazione discrezionale del pubblico ministero), il d.lgs. n. 150/2022, da un lato, riconosce al giudice la possibilità di ordinare al titolare delle indagini, con decreto motivato, di provvedere all’iscrizione (art. 335-ter cpp); dall’altro, disciplina l’inedito istituto della retrodatazione su impulso di parte (art. 335-quater cpp). Istituto, quest’ultimo, che rischia di impattare in maniera dirompente sulle risultanze dell’attività di indagine sino a quel momento svolta. E, infatti, la retrodatazione comporterà necessariamente il ricalcolo del termine di durata delle indagini, con conseguente inutilizzabilità degli esiti delle attività espletate ex post.
Il tema incrocia l’altra questione -su cui pure l’autore concentra la sua attenzione- che concerne la eventuale efficacia sanante dell’ammissione al rito abbreviato del vizio dell’inutilizzabilità degli atti di indagine espletati fuori termine.
Da ultimo, il contributo pone in evidenza alcune tra le principali criticità potenzialmente derivanti dall’applicazione dei meccanismi di controllo codificati dalla riforma, che se, da un lato ruota, attorno ai pilastri della speditezza ed efficienza, dall’altro, rischia (proprio attraverso l’innesto di nuove forme di controlli incidentali) di dilatare ulteriormente i tempi del procedimento, onerando le Procure e i Tribunali di notevoli, defatiganti adempimenti.
Sommario: 1. Dal “tabù” della insindacabilità delle iscrizioni ai controlli di cui agli artt. 335-ter e 335-quater cpp. 2. Iscrizione ex officio e retrodatazione su impulso di parte. 3. Retrodatazione ed inutilizzabilità degli atti di indagine: cenni sulla questione dell’efficacia sanante del giudizio abbreviato. 4. Aporie della riforma.
Premessa: l’iscrizione della notizia di reato
Com'è noto, la riforma cd. “Cartabia” ha posto la celerità e la snellezza del processo quale obiettivo a cui tendere per raggiungere la sua durata ragionevole, con una chiara ispirazione efficientista, senza tuttavia trascurare l’aspetto che attiene alla tutela delle garanzie che il nostro codice, e prima ancora la Costituzione, riconosce ad ogni persona sottoposta a procedimento penale.
In tale ottica il D.Lgs. n. 150 del 2022 ha agito anche sul piano del rapporto tra PM e GIP, riservando a quest’ultimo un potere di controllo non più soltanto incidentale sulla legalità delle indagini preliminari.
In tale contesto, si può intravedere una tensione con gli equilibri del nostro sistema codicistico, di matrice tendenzialmente accusatoria, tenuto conto che il codice di rito riserva al PM il compito di dirigere le indagini (art. 327 cpp), riconoscendo al GIP il potere di esercitare un controllo meramente incidentale, proprio durante la fase delle indagini preliminari.
Al fine di soddisfare le esigenze di garanzia, certezza e uniformità delle iscrizioni, determinanti nell'individuazione del momento in cui le indagini hanno inizio e allo scopo di garantire quello che si potrebbe definire come un vero e proprio "principio di coerenza" nell'evoluzione dell'addebito nel corso del procedimento, la nuova versione dell'art. 335, comma 1, c.p.p. prevede espressamente i criteri in base ai quali è possibile procedere all'iscrizione oggettiva e soggettiva della notitia criminis.
In particolare, le disposizioni che attribuiscono al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria il compito di acquisire la notizia di reato e che dettano le modalità tipiche di presentazione o trasmissione delle notizie di reato “qualificate” (artt. 331 ss.), non forniscono alcuna nozione di notizia di reato.
Pertanto, prima del d.lgs. n. 150 del 2022, i requisiti dell’istituto dovevano essere individuati in via esegetica, al fine di definire i presupposti dell’iscrizione nel registro di cui all’art. 335.
Va considerato che il tema dell’acquisizione e quello dell’iscrizione della notizia erano collegati, e lo sono tuttora, in quanto l’acquisizione della notitia criminis è quanto basta a far sorgere il dovere di iscrizione nel registro, ai sensi dell’art. 335, co. 1.
Il dovere del pubblico ministero d’iscrivere la notizia di reato sorge «immediatamente» dopo la presentazione o la trasmissione ovvero l’acquisizione di propria iniziativa di una notizia di reato.
Il d.lgs. n. 150 del 2022 ha innovato la materia, introducendo una definizione di notizia di reato nell’art. 335, co. 1. Alla luce di questa disposizione, il pubblico ministero, al fine di provvedere sull’iscrizione, deve verificare se la notizia acquisita o ricevuta contenga «la rappresentazione di un fatto».
Inoltre, deve emergere un fatto «determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice», secondo la formula ellittica impiegata dalla medesima disposizione. Pertanto, occorre svolgere un giudizio prognostico di basso titolo logico, caratterizzato da una valutazione meramente possibilistica e non probabilistica: il criterio del fatto “non inverosimile” richiede che gli elementi acquisiti dimostrino la possibile esistenza di un fatto.
Questo deve in ipotesi integrare un reato. Se il fatto fosse indeterminato o inverosimile, non vi sarebbe l’ipotetico reato, e non emergerebbe una notizia di reato[1].
Questo assetto normativo porta a far coincidere il momento di acquisizione della notizia di reato con quello in cui emerge l’indizio di un reato, come si desume dall’interpretazione sistematica e dalla stessa formulazione del co. 1 bis dell’art. 335, che fa coincidere il momento di acquisizione della notizia di reato nei confronti di una persona con quello in cui emergono “indizi a suo carico”. Non sarebbe ragionevole richiedere, ai fini dell’iscrizione della notizia oggettiva, elementi di minor peso di quelli necessari ai fini dell’iscrizione della notizia soggettiva. Né sarebbe ragionevole ammettere che i mezzi di ricerca della prova possano essere disposti nel secondo caso, caratterizzato dall’emersione di indizi di reato, e non nel primo. Non è contestabile che il pubblico ministero possa disporre un mezzo di ricerca della prova, sulla sola base di una notizia “qualificata”.
Va precisato che, in tale contesto dell’ordinamento processuale, non rileva la nozione di “indizio” fatta propria dall’art. 192, co. 2, con riguardo all’elemento probatorio posto alla base del ragionamento inferenziale. In questo ambito, l’indizio assume rilevanza in quanto grave, preciso e concordante con gli ulteriori indizi. Nell’ambito dell’art. 335, il termine “indizio” rimanda al grado logico del giudizio di esistenza dell’illecito penale, caratterizzante i provvedimenti che segnano gli sviluppi del procedimento penale. Un giudizio compiuto nella fase iniziale del procedimento, quale è quello sotteso al provvedimento di iscrizione della notizia di reato nel registro, è necessariamente di basso titolo logico, in quanto si basa sugli scarni elementi sino a quel momento raccolti o pervenuti. L’incompletezza conoscitiva di partenza rende per natura provvisoria l’ipotesi di reato rappresentata nella notizia, sulla quale s’innesta l’attività ricostruttiva del fatto compiuta nelle indagini preliminari. Pertanto, per dare avvio alla fase investigativa, non occorre l’acquisizione di un’ipotesi di reato particolarmente “credibile” o “sostenibile”, ma soltanto “verosimile”.
Al contrario, al termine della fase investigativa, svolte tutte le indagini necessarie per accertare il fondamento della notizia di reato, ha senso richiedere un giudizio più pregnante sull’esistenza del reato e sulla colpevolezza dell’indagato. Non c’è più un’ipotesi di reato fluida (e da ricostruire), ma un fatto ricostruito, da enunciare nell’imputazione in forma chiara e precisa, per essere rappresentato nel dibattimento.
Si spiega, pertanto, l’innalzamento del grado logico del giudizio prognostico, in termini probabilistici, ai sensi dell’art. 408, co. 1, al quale corrisponde un abbassamento del grado logico del giudizio nel momento d’inizio della fase. L’acquisizione di una notizia di reato semplicemente “verosimile” spiega perché l’iscrizione «non può, da sola, determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa per la persona alla quale il reato è attribuito», secondo l’art. 335 quater, introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2022. Le disposizioni civili e amministrative da cui derivano effetti pregiudizievoli per la persona sottoposta a indagini devono, invece, intendersi nel senso che esse si applicano alla persona nei cui confronti è stata emessa una misura cautelare personale o è stata esercitata l’azione penale, ai sensi del nuovo art. 110 quater disp. att. Tali situazioni si basano su una pregnante valutazione prognostica della colpevolezza.
L’esistenza di un indizio di reato è, pertanto, la condizione necessaria e sufficiente per l’iscrizione della notizia di reato. Potrebbe trattarsi di un indizio acquisito tramite atti a iniziativa del pubblico ministero o della polizia giudiziaria, nell’ambito delle indagini pre-procedimentali, oppure di un indizio tratto dalla stessa rappresentazione del fatto contenuta nella notizia di reato “qualificata”.
Da questa disciplina discende che il procedimento penale può iniziare prima dell’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335. In particolare, quando la notizia di reato è stata acquisita a iniziativa del pubblico ministero o della polizia giudiziaria, il primo atto del procedimento penale è quello immediatamente successivo all’emersione di un indizio di reato. Gli atti di indagine compiuti da questo momento, seppure anteriori all’iscrizione della notizia nel registro, rientrano, a tutti gli effetti, nelle indagini preliminari e devono essere compiuti nell’osservanza delle norme del codice. Invece, l’iscrizione è il primo atto del procedimento penale, quando viene effettuata subito dopo la presentazione o trasmissione di una notizia di reato “qualificata”, prima di compiere atti di indagine.
La disciplina dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato tiene conto dell’ipotesi in cui gli indizi a carico della persona alla quale il reato è attribuito emergano in un momento non coincidente con quello in cui emergono indizi di reato. Pertanto, l’iscrizione del nome della persona sottoposta alle indagini viene effettuata contestualmente o successivamente all’iscrizione della notizia di reato, «non appena risultino» gli «indizi a suo carico», secondo l’art. 335, co. 1 bis. L’iscrizione soggettiva può avvenire successivamente all’iscrizione oggettiva sia nell’ipotesi in cui la notizia di reato venga presentata o trasmessa al pubblico ministero con un mezzo tipico, per esempio una denuncia di reato contro ignoti, sia nell’ipotesi in cui la notizia venga acquisita di propria iniziativa, nel corso delle indagini pre-procedimentali. Al contrario, quando emergono indizi di reato a carico della persona nei cui confronti vengono compiute attività ispettive e di vigilanza, regolate dall’art. 220 disp. coord., i due momenti dell’iscrizione (oggettiva e soggettiva) coincidono.
- La fine della insindacabilità delle iscrizioni e i controlli giurisdizionali sull’iscrizione nel registro delle notizie di reato
La riforma operata con il d.lgs. n. 150/2022 scardina il “tabù” della insindacabilità, da parte del GIP, del momento dell’iscrizione nel registro ex art. 335 cpp, delineando un duplice sistema di controlli, in funzione propulsiva del procedimento penale (art. 335 ter) e, rispettivamente, repressiva della stasi procedimentale (art. 335 quater).
Come è noto, la giurisprudenza di legittimità aveva escluso un sindacato giurisdizionale sulla tempestività dell’iscrizione, osservando che quest’ultima presuppone un’attività di valutazione da parte del pubblico ministero la cui durata non può essere predeterminata in astratto, salva l’eventuale responsabilità disciplinare, ed eventualmente penale, del magistrato in caso di evidente abuso[2]; in ogni caso, la retrodatazione dell’iscrizione nel registro delle notitiae criminis – e, di conseguenza, della decorrenza dei termini di durata delle indagini preliminari – avrebbe potuto determinare l’inutilizzabilità degli ultimi atti d’indagine compiuti, ma non di quelli eseguiti prima del momento in cui l’iscrizione sarebbe dovuta avvenire.
Rispetto a questo quadro, le nuove regole sull'iscrizione trovano il loro naturale completamento nella previsione di un potere di controllo del giudice.
La disciplina introdotta dal d.lgs. n. 150/2022 rinviene il proprio presupposto concettuale nella presa d'atto che l'iscrizione comporta l'esercizio di una discrezionalità tecnica ed è una precondizione per il rispetto dell'obbligatorietà dell'azione penale[3].
In questo contesto, sono disciplinati due rimedi[4], volti a per garantire la ragionevole durata delle indagini preliminari e, pertanto, l’efficienza dell’intero procedimento penale, poste le intuibili ricadute che l’omissione e il ritardo nelle iscrizioni possono provocare sul singolo procedimento e sull’intera macchina giudiziaria.
Il ritardato avvio della fase delle indagini preliminari può mettere a rischio l’attività di assicurazione delle fonti di prova, necessaria per garantire l’osservanza dell’obbligo di esercitare l’azione penale, evitando la formulazione di imputazioni “azzardate” o “apparenti”. A sua volta, il ritardo nell’assicurazione delle fonti di prova può mettere a rischio l’attività dibattimentale di formazione della prova, nell’osservanza delle garanzie epistemiche del giusto processo, a partire dall’oralità, dall’immediatezza e dal contraddittorio, per non parlare delle ricadute sul diritto di difesa. Infine, il ritardo accentua le difficoltà operative degli organi investigativi e drena risorse impiegabili in altre vicende giudiziarie.
Il primo congegno, costituito dall’ordine di iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini (art. 335 ter), presenta la caratteristica distintiva di essere applicabile dal giudice per le indagini preliminari d’ufficio. L’istituto è attivabile quando il giudice è chiamato a provvedere sulle richieste delle parti e della persona offesa dal reato, secondo lo schema dell’art. 328, nel corso della fase investigativa (per esempio, in caso di richiesta cautelare o di autorizzazione a disporre le intercettazioni o di proroga del termine per la conclusione delle indagini preliminari), oppure al termine della fase (nel procedimento di archiviazione). Per facilitare il controllo giurisdizionale, è prevista una «informativa sulla iscrizione»: il pubblico ministero, quando presenta una richiesta al giudice per le indagini preliminari, indica sempre la notizia di reato e il nome della persona a cui il reato è attribuito (art. 110 ter disp. att.).
Il giudice ordina al pubblico ministero con decreto motivato di provvedere all’iscrizione soggettiva, necessaria per far decorrere il termine per la conclusione delle indagini (art. 405, co. 2), qualora ritenga che il reato per cui si procede debba essere attribuito a una persona il cui nome non è stato ancora iscritto nel registro, in quanto rilevi che dagli atti d’indagine emergano indizi a carico di questa persona.
Ordinata l’iscrizione, sorge per il pubblico ministero il dovere di provvedere all’adempimento, ai sensi dell’art. 335 ter, co. 2. Pertanto, il decreto del giudice per le indagini preliminari vincola il pubblico ministero, che non può posticipare il momento dell’iscrizione, compiendo indagini finalizzate a valutare il fondamento della attribuzione soggettiva del reato prospettata dall’organo giurisdizionale. Inoltre, la disposizione prevede che il pubblico ministero indichi «la data a partire dalla quale decorrono i termini delle indagini», in linea con la disciplina del controllo preventivo sulla tempestività delle iscrizioni (art. 335, co. 1 ter)[5]. Pertanto, in mancanza di una disposizione di segno contrario, sul tipo di quella contenuta nell’art. 335 quater, co. 8, il decreto del giudice non dovrebbe vincolare il pubblico ministero nell’individuazione del dies a quo delle indagini preliminari. Tanto è vero che lo stesso art. 335 ter, nel co. 2, salvaguarda la facoltà della persona sottoposta alle indagini di proporre la richiesta di cui all’art. 335 quater, finalizzata a un controllo giurisdizionale vincolante sulla data dell’iscrizione.
La diversa ipotesi in cui il giudice rilevi la notizia di un ulteriore reato non è espressamente prevista e non può dar luogo all’applicazione analogica dell’art. 335 ter, alla luce del principio di tassatività degli interventi del giudice per le indagini preliminari.
Altro è che tale lacuna venga accertata all’esito della fase investigativa, nel corso del procedimento di archiviazione, ipotesi in cui la giurisprudenza ravvisa il potere del giudice per le indagini preliminari di ordinare l’iscrizione.
Il secondo strumento introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2022, con l’art. 335 quater, quale rimedio contro la stasi iniziale del procedimento penale, è costituito dalla retrodatazione dell’iscrizione a richiesta della persona sottoposta alle indagini. Si tratta di un innovativo istituto repressivo della ritardata iscrizione, che impone al giudice di accertare le cause del ritardo del pubblico ministero. Inoltre, l’operatività dell’istituto è estesa alla fase processuale, come si desume dal co. 4 dell’art. 335 quater, che attribuisce la competenza funzionale «al giudice che procede o, nel corso delle indagini preliminari, al giudice per le indagini preliminari».
Con la richiesta di retrodatazione, la persona sottoposta alle indagini richiede al giudice di accertare la tempestività dell’iscrizione della notizia di reato che la riguarda e del suo nome, rispetto al momento in cui sono insorti gli indizi di reato e gli indizi a carico dell’indagato. Coerentemente, è previsto che la richiesta debba indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni che la sorreggono e gli atti del procedimento dai quali è desunto il ritardo. La persona sottoposta alle indagini ha pertanto l’onere di dimostrare, ex art. 187, co. 2, l’esistenza del fatto processuale da cui dipende la decisione del giudice per le indagini preliminari. Inoltre, il ritardo, per dar luogo alla retrodatazione, deve essere «inequivocabile» e «non giustificato», secondo la formulazione dell’art. 335 quater, co. 2[6]. Pertanto, in primo, luogo, non devono residuare dubbi sull’esistenza del fatto processuale. In secondo luogo, non devono emergere ragioni che giustifichino la ritardata iscrizione, cioè la rendano legittima dal punto di vista processuale. È ragionevole ritenere che, sulla scorta degli elementi disponibili, il pubblico ministero non avrebbe potuto anticipare l’iscrizione.
Non può sfuggire, invero (secondo quanto osservato da alcuni autori), come l’espressione “quando il ritardo è inequivocabile e non è giustificato” «sembri fare implicito riferimento ad una sorta di colpevolezza soggettiva, a una negligenza in ipotesi rimproverabile alla persona del magistrato inquirente»[7]. Parametro forse più adatto a fondare un giudizio di responsabilità disciplinare, laddove, invece, il giudizio sulla tempestività dell’iscrizione dovrebbe fondarsi su parametri rigorosamente oggettivi. È di tutta evidenza, ad ogni modo, che, al fine di legittimare l’iscrizione tardiva del nominativo dell’indagato, il PM potrebbe essere indotto a trincerarsi dietro la “causa di giustificazione” delle carenze organizzative dell’ufficio (si pensi, a titolo di esempio, alla trasmissione tardiva al PM, da parte della Segreteria, degli esiti dell’attività di indagine delegata, depositati in data antecedente dalla Polizia Giudiziaria; ovvero alle eventuali disfunzioni del Portale notizie di reato sempre avuto riguardo agli esiti di attività di indagine delegate alla polizia giudiziaria); circostanza che finirebbe per rendere la norma priva di una reale efficacia innovativa. Sul punto, è interessante notare come, nella Relazione Illustrativa, sia stato precisato che la giustificazione del ritardo «può rinvenirsi non certamente nel sovraccarico dell’ufficio inquirente, bensì nella complessità della vicenda oggetto del procedimento»[8]. Si tratta di aspetti di grande rilevanza, sui quali sarà opportuno monitorare gli orientamenti giurisprudenziali della Corte di cassazione in funzione nomofilattica.
Il giudice accerta la tempestività delle iscrizioni in presenza di una richiesta della persona sottoposta alle indagini o, dopo l’esercizio dell’azione penale, dell’imputato. La richiesta presentata nel corso delle indagini preliminari viene decisa in un procedimento incidentale autonomo oppure in un procedimento incidentale già instaurato su un altro oggetto (quando il giudice «deve adottare una decisione con l’intervento del pubblico ministero e dell’indagato »).
Nel primo caso, si applicano le forme previste dai commi 3 e 6 dell’art. 335 quater. La richiesta deve essere presentata, a pena di inammissibilità, entro venti giorni da quando la persona sottoposta alle indagini possa avere conoscenza degli atti che dimostrano il ritardo nell’iscrizione, e può essere riproposta, se fondata su atti diversi in precedenza non conoscibili (art. 335 quater, co. 3).
La richiesta viene decisa in un procedimento senza l’intervento delle parti, attraverso un “contraddittorio scritto” che prevede: il deposito della richiesta presso la cancelleria del giudice, con la prova della notificazione al pubblico ministero; l’eventuale deposito di memorie del pubblico ministero, entro i successivi sette giorni, e del difensore del richiedente (e dello stesso pubblico ministero) entro gli ulteriori sette giorni. Decorso tale ultimo termine, il giudice può provvedere sulla richiesta oppure disporre che il procedimento si svolga con l’intervento delle parti, se ritiene che un “contraddittorio orale” sia necessario; in tal caso, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio, dandone avviso al pubblico ministero e al difensore del richiedente, che sono sentiti in udienza se compaiono. La decisione che conclude il procedimento incidentale è assunta con ordinanza (art. 335 quater, co. 6).
Nel caso in cui la richiesta di retrodatazione sia presentata nell’ambito di un altro procedimento incidentale, si applicano le forme di questo (art. 335 quater, co. 5). La legge stabilisce un requisito autonomo della richiesta, costituito dalla rilevanza della retrodatazione ai fini della decisione. Pertanto, è inoperante il termine di venti giorni previsto per il caso precedente (co. 3).
Si pensi, per esempio, a una decisione cautelare influenzata dall’inutilizzabilità degli atti d’indagine che sarebbero considerati tardivi, a norma dell’art. 407, co. 3, se l’iscrizione fosse retrodatata.
Al contrario, per la richiesta presentata dall’imputato nel corso dell’udienza preliminare o del giudizio deve ritenersi operante il termine di venti giorni. Altrimenti, non avrebbe senso imporre all’indagato di attivarsi nel corso delle indagini preliminari, in presenza di atti dimostrativi del ritardo conoscibili. Nella fase del processo, l’istituto è pertanto destinato ad essere applicato residualmente, qualora vengano introdotti atti non conoscibili dall’imputato nella fase procedimentale. La richiesta, se non è proposta in udienza, viene depositata nella cancelleria del giudice e decisa in udienza (art. 335 quater, co. 7).
Gli effetti della decisione di accoglimento della richiesta di retrodatazione ex art. 335 quater sono più penetranti di quelli che si sono sopra visti relativamente all’ordine di iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini ex art. 335 ter.
Qui è il giudice a indicare la data dalla quale deve intendersi iscritta la notizia di reato e il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito, ai sensi dell’art. 335 quater, co. 8, senza che nessun margine di valutazione residui in capo al pubblico ministero.
Inoltre, la decisione del giudice, sia di rigetto che di accoglimento, è a sua volta sindacabile nell’ulteriore corso del procedimento. Il richiedente, nel primo caso, e il pubblico ministero e la parte civile, nel secondo, possono chiedere che la questione della retrodatazione venga nuovamente esaminata, a pena di decadenza: prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manca, entro il termine previsto per la trattazione delle questioni preliminari nel giudizio (art. 491, co. 1); nel dibattimento, solo se la domanda di nuovo esame della richiesta di retrodatazione sia stata già avanzata nell’udienza preliminare (art. 335 quater, co. 9); nei successivi gradi del giudizio, solo se l’ordinanza dibattimentale venga impugnata «nei casi e nei modi previsti dai primi due commi dell’art. 586», secondo l’art. 335 quater, co. 9, pertanto con l’impugnazione contro la sentenza.
- Retrodatazione ed inutilizzabilità degli atti di indagine: cenni sull’efficacia sanante del giudizio abbreviato
La retrodatazione dell’iscrizione nel registro ex art. 335 cpp rischia di incidere in maniera dirompente sulle risultanze dell’attività di indagine sino a quel momento svolta.
In particolare, ai sensi dell'art. 335-quater, comma 8, c.p.p., in caso d'accoglimento della richiesta, il giudice indica la data nella quale deve intendersi iscritta la notizia di reato e il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito.
La norma in esame nulla precisa in ordine agli effetti della decisione del giudice, dando adito a qualche incertezza proprio sull'aspetto più rilevante. In realtà, essi sono da ricondursi all'operatività dell'art. 407, comma 3, c.p.p. secondo cui, ricalcolato il termine per le indagini dal dies dell'iscrizione retrodatata, gli atti compiuti dopo la scadenza dello stesso, risultano inutilizzabili[9]. Per contro, gli atti compiuti prima dell'iscrizione conservano validità(54). Invero, viene da chiedersi cosa accada qualora il ritardo riguardi soltanto l'iscrizione del nome: in tal caso, è stato rilevato che gli atti conoscibili, compiuti senza il rispetto del contraddittorio nei confronti dell'indagato di fatto non iscritto, dovrebbero essere colpiti da nullità ex art. 178, lett. c) c.p.p.[10].
Tornando all'operatività dell'art. 407, comma 3, c.p.p., poiché la richiesta può essere presentata in vari momenti, variegate sono le situazioni che possono determinarsi.
Qualora a seguito della retrodatazione i termini per le indagini risultino scaduti, scatterà anche l'inutilizzabilità degli atti. Qualora, viceversa, a seguito della retrodatazione il termine sia ancora in corso, il risultato sarà quello di inibire il compimento di atti di indagine dopo la scadenza del limite temporale, giacché essi sarebbero altrimenti votati all'inutilizzabilità.
La norma di recente conio non ha previsto che, contestualmente all'ordine di retrodatazione, il giudice dichiari l'inutilizzabilità degli atti compiuti oltre il termine in ragione della varietà di contesti in cui l'incidente sulla retrodatazione può configurarsi: in particolare, se esso si svolge nel corso delle indagini preliminari, gli atti sono ancora coperti dalla regola del segreto e il giudice conosce soltanto il materiale sul quale l'indagato basa la richiesta di retrodatazione.
Merita osservare, ancora, che la previsione di un termine a pena di decadenza per la presentazione della richiesta di retrodatazione finisce per ripercuotersi sul regime dell'inutilizzabilità stabilita dall'art. 407, comma 3, c.p.p.
Ed infatti, lo stesso comporterà necessariamente il ricalcolo del termine di durata delle indagini, con il conseguente rischio di inutilizzabilità degli esiti delle attività espletate ex post[11].
Difatti, il termine a pena di decadenza previsto per la presentazione della richiesta di retrodatazione finisce per bloccare la possibilità di ottenere quest'ultima e la conseguente inutilizzabilità, finendo per trasformarsi in una sorta di preclusione alla operatività dell'inutilizzabilità che potrà colpire soltanto gli atti compiuti alla scadenza del termine originario, a meno che, nel frattempo, il pubblico ministero non decida autonomamente di retrodatare l'iscrizione.
In ogni caso, tuttavia, la giurisprudenza, secondo un costante orientamento, ritiene che l’inutilizzabilità prevista dall’art. 407, comma 3, cpp. non possa essere equiparata a quella di cui all’art. 191 cpp; con la conseguenza che, con riferimento agli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine, non opera il principio della rilevabilità di ufficio in ogni strato e grado del procedimento, ma il diverso principio della rilevabilità su eccezione di parte[12].
Proprio in ragione dell’impatto che la retrodatazione eventualmente disposta dal Giudice rischia di produrre sul compendio probatorio acquisito in fase indagini, è stata introdotta una disciplina transitoria all’interno del nuovo art. 88 bis inserito nel D.lgs. n. 150 del 2022. Tale norma stabilisce che le disposizioni degli artt. 335-quater , 407-bis e 415-ter c.p.p. «(…) non si applicano nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso in relazione alle notizie di reato delle quali il pubblico ministero ha già disposto l’iscrizione nonché in relazione alle notizie di reato iscritte successivamente, quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 12 del codice di procedura penale e, se si procede per taluno dei delitti indicati nell’articolo 407, comma 2, del codice di procedura penale, anche quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 371, comma 2, lettere b) e c), del medesimo codice».
Al contempo, il legislatore ha precisato che le disposizioni dell’articolo 335-quater del Codice di procedura penale si applicheranno in ogni caso in relazione alle iscrizioni che hanno ad oggetto notizie di «reati commessi dopo la data di entrata in vigore del decreto».
- Il problema dell’efficacia sanante della richiesta di giudizio abbreviato
Il nuovo regime della retrodatazione pone un problema pratico di particolare rilievo, segnatamente se le risultanze degli accertamenti espletati oltre la scadenza del termine delle indagini preliminari, così come (ri)calcolato a seguito della retrodatazione disposta dal giudice, siano utilizzabili o meno in sede di giudizio abbreviato.
Ed invero, il comma 6 bis dell’art. 438 cpp , introdotto con la legge n. 103/2017, dispone che “la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio”.
La norma recepisce un orientamento giurisprudenziale consolidato, fatto proprio dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione a partire dal 2000, che avevano già avuto modo di evidenziare come la richiesta di giudizio abbreviato non possa essere intesa come una rinuncia a dolersi dell’invalidità degli atti probatori acquisiti contra legem.
Sebbene, infatti, il rito abbreviato rappresenti un giudizio «a prova contratta, alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito», per la Suprema Corte la scelta dell’imputato di definire allo stato degli atti il procedimento non può per ciò solo determinare l’utilizzabilità degli elementi acquisiti in violazione di divieti stabiliti dalla legge. In particolare, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16 del 2000, escludeva che gli atti viziati da inutilizzabilità di tipo “patologico” potessero fondare la decisione del giudice. In tale pronuncia afferma che “il giudizio abbreviato costituisce un procedimento “a prova contratta”, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all’udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova (…). Tuttavia, tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che in esso - mentre non rilevano né l’inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova […], in virtù della quale il giudice non può utilizzare prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento, né le ipotesi di inutilizzabilità “relativa” stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale […] - va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell’inutilizzabilità cosiddetta “patologica”, inerente, cioè, agli atti probatori assunti “contra legem”, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, nonché le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito”. La Corte, al contempo, delineava i contorni della inutilizzabilità “patologica”: «queste Sezioni Unite hanno peraltro sottolineato come nel descritto fenomeno rientrano tanto le prove oggettivamente vietate quanto le prove comunque formate o acquisite in violazione - o con modalità lesive - dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione e, perciò, assoluti e irrinunciabili, a prescindere dall’esistenza di un espresso o tacito divieto al loro impiego nel procedimento contenuto nella legge processuale. In questo caso la disciplina normativa costruisce il divieto di utilizzazione della prova in termini di operatività assoluta (…)».
Invero, con riferimento agli atti d’indagine compiuti dopo la scadenza del termine ordinario, la giurisprudenza, di legittimità e anche quella di merito, ha più volte escluso la possibilità di eccepirne l’inutilizzabilità in sede di rito abbreviato: non essendo, infatti, l’ipotesi contemplata dall’art. 407 comma 3 cpp equiparabile a un divieto probatorio, la stessa non sarebbe rilevabile d’ufficio, ma solo su eccezione di parte[13]. Ed ancora, più di recente, la Suprema Corte[14] ha affermato che “la scelta del giudizio abbreviato preclude all’imputato la possibilità di eccepire l’inutilizzabilità degli atti d’indagine compiuti fuori dai termini ordinari di inizio e fine delle indagini preliminari in quanto, non essendo equiparabile alla inutilizzabilità delle prove vietate dalla legge (all’art. 191 cod. proc. pen.), la stessa non è rilevabile d’ufficio ma solo su eccezione di parte, sicché essa non opera nel giudizio abbreviato”[15].
L’orientamento è stato da ultimo ribadito[16] da una pronuncia secondo cui l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo il termine previsto dall’art. 407, comma 3, cpp ha natura fisiologica. La stessa, infatti, si riferisce ad atti acquisiti comunque secondo la legge. Tale inutilizzabilità, pertanto, può essere rilevata esclusivamente su eccezione di parte e ogni questione sul punto sarà preclusa dopo che il giudizio abbreviato sia stato ammesso, in quanto in tal caso «il vizio-sanzione dell’atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale della parte, di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti d’indagine compiuti».
Di qui, alla luce di quanto più volte ribadito dalla Corte di Cassazione e recepito, da ultimo, dal legislatore, deve ritenersi che – una volta ammesso il giudizio abbreviato – non vi sarà alcuno spazio per eccepire l’inutilizzabilità “fisiologica” di un atto compiuto oltre il termine di scadenza delle indagini preliminari, così come calcolato a seguito della retrodatazione disposta dal Giudice ai sensi dell’art. 335-quater cpp, ostandovi quanto disposto dall’art. 438 comma 6 bis cpp[17].
Su queste basi, va evidenziata la tendenza giurisprudenziale volta a precludere all’imputato di rilevare nel rito abbreviato tutte le patologie sanabili, attraverso interpretazioni che hanno ricondotto a vizi meno gravi numerose ipotesi di nullità assoluta e inutilizzabilità «patologica».
Si tratta di un orientamento non formalistico ed attento alla sostanza degli interessi tutelati nell’individuazione della nozione di divieto probatorio, oltre che funzionale alla tutela dell’interesse alla ricerca della verità che costituisce il cuore del diritto processuale penale consacrato nella Costituzione.
- Aporie della riforma
Volendo svolgere qualche breve considerazione finale, può essere evidenziato che diverse sono le perplessità che suscita l’applicazione degli inediti meccanismi di controllo disciplinati dalla riforma. Criticità in buona parte già evidenziate dal Consiglio Superiore della Magistratura nel parere espresso, con delibera del 22 settembre 2022, con riguardo allo “Schema di decreto legislativo recante delega al governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.”
È anzitutto intuitivo e immediato il riscontro di una chiara distonia tra la ratio sottesa all’entrata in vigore della novella legislativa (che, come anticipato in premessa, mira a snellire i tempi del procedimento) e l’iter procedimentale disciplinato dagli artt. 335-ter cpp e 335-quater cpp.
A dispetto dell’obiettivo dichiarato di accelerare i tempi del processo penale, l’innesto di un nuovo controllo incidentale rischia anzitutto di dilatarli ulteriormente, onerando le Procure e i Tribunali (ed in particolare l’Ufficio GIP) di notevoli adempimenti.
E ciò a maggior ragione se solo si pensa al fatto che la novella legislativa riconosce al PM, alla parte civile o all’indagato, la possibilità di impugnare il provvedimento di accoglimento o rigetto dell’istanza di retrodatazione (art. 335-quater co. 9 cpp).
Neppure può sfuggire come l’individuazione del dies a quo a partire dal quale decorrerà il termine perentorio di 20 giorni entro e non oltre il quale l’interessato avrà l’opportunità di sollecitare il controllo disciplinato dall’art 335-quater cpp non sia affatto intuitiva[18]. Prima ancora di accertare l’inequivocità e la non giustificabilità del ravvisato ritardo, al giudice è, infatti, richiesto di verificare il momento esatto nel quale sarebbe emersa la tardività patologica dell’iscrizione («entro venti giorni a decorrere da quello in cui la persona sottoposta alle indagini ha avuto la facoltà di prendere conoscenza degli atti che dimostrano il ritardo nell’iscrizione»). Accertamento di certo non semplice, non rispondendo ad una “logica matematica”, proprio in ragione della valutazione tecnica posta pur sempre alla base della scelta riservata al PM[19]. D’altro canto, non può sfuggire – come pure è stato osservato nei primissimi commenti pubblicati all’indomani dell’entrata in vigore della riforma – che il compito riservato al giudice si rivelerà ancor più arduo nel momento in cui la questione verrà posta alla sua attenzione in fase indagini, allorquando cioè la sfera cognitiva del GIP sarà inevitabilmente ridotta ai soli atti sino a quel momento acquisiti dal PM. Il giudice per le indagini preliminari sarà infatti tenuto a esaminare solo l’istanza della parte, con le memorie e i documenti eventualmente prodotti, ma non disporrà dell’intero fascicolo delle indagini.
Ulteriore rischio derivante dall’applicazione della novella legislativa è quello di alimentare l’incertezza rispetto alla definizione del procedimento e di catapultare in un “limbo” sine die gli atti di indagine, sospesi al confine tra utilizzabilità ed inutilizzabilità. E, infatti, il meccanismo immaginato dal legislatore consente alle parti, in ogni stato e grado, di porre in discussione la tempestività dell’iscrizione ex art. 335 cpp, lasciando così nell’incertezza – fino al termine del giudizio – la questione circa l’utilizzabilità o meno del compendio probatorio raccolto.
Sarà, dunque, ben possibile trovarsi di fronte a decisioni contrastanti assunte in tempi diversi da giudici diversi. Rischio accentuato dall’ampio potere discrezionale riservato al Giudice tenuto a valutare, ai fini dell’accoglimento della richiesta, le due condizioni costituite dal carattere inequivocabile e non giustificato del ritardo nell’iscrizione in cui sia incorso il PM[20].
Ma, forse, il rischio ancor più allarmante e paradossale (proprio in quanto distonico rispetto ai principi che pure hanno ispirato l’approvazione della riforma) è quello per il quale – a fronte del pericolo di incappare nella mannaia della retrodatazione e dunque nella declaratoria di inutilizzabilità degli atti di indagine sino a quel momento espletati – i PM si sentano legittimati in futuro ad iscrivere con maggiore leggerezza soggetti rispetto ai quali non si ravvisino ancora quegli indizi di reità richiesti dall’art. 335 cpp. Ciò determinerebbe un ritorno alla concezione dell’iscrizione quale atto dovuto, cagionando un appesantimento ulteriore del procedimento.
[1] Per la valorizzazione delle disposizioni che delineano i requisiti della notizia di reato in chiave di implementazione del principio di stretta legalità, cfr. L. Della Ragione, L’iscrizione della notizia di reato e la valorizzazione delle garanzie costituzionali nei risvolti del diritto penale sostanziale, in questa Rivista, secondo cui “il riferimento al "fatto" va inteso come richiamante la fattispecie oggettiva e soggettiva della tipicità. Il fatto deve poi essere "determinato", in tal modo valorizzandosi i canoni della precisione/determinatezza/tassatività. Il “non inverosimile” non va inteso nel senso di “fantasioso”, non potendosi intendere per tale l’attività degli inquirenti, ma come quale sinonimo di “empiricamente verificabile”, segnatamente provabile nel processo penale tendenzialmente accusatorio, valorizzandosi il versante processuale della determinatezza[1]. Allo stesso tempo, il riferimento alla "fattispecie incriminatrice" riafferma il valore della legalità e inibisce interpretazioni (vieta nella materia penale) analogiche, in ossequio al nuovo corso del divieto di analogia inaugurato dalla sentenza n. 98/2021 della Corte costituzionale”
[2] È noto quanto stabilito sul punto dalla Corte di Cassazione con la sentenza a Sezioni Unite n. 16 del 21 giugno 2000: «Presupponendo l’obbligo d’iscrizione che a carico di una persona emerga l’esistenza di specifici elementi indizianti e non di meri sospetti, ne consegue che l’apprezzamento della tempestività dell’iscrizione rientra nell’esclusiva valutazione discrezionale del pubblico ministero ed è comunque sottratto, in ordine all’an e al quando, al sindacato del giudice, ferma restando la configurabilità di ipotesi di responsabilità disciplinari o addirittura penali nei confronti del p.m. negligente (…)». Prendendo atto della complessità della valutazione richiesta al PM al fine di procedere (nel «ponderato esercizio dell’attività che l’ordinamento gli affida») all’iscrizione nel registro degli indagati di una notitia criminis concernente fatti astrattamente sussumibili in una determinata norma incriminatrice, la Corte di Cassazione escludeva dalla sfera di controllo del GIP la verifica della tempestività dell’iscrizione. I confini di un siffatto eventuale controllo si sarebbero, invero, rivelati evanescenti. Si tratta, peraltro, di orientamento ribadito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, successivamente, con la sentenza n. 40538 del 24 settembre 2009, secondo cui «L’unico tassello normativo per il tramite del quale è forse possibile configurare un potere di “apprezzamento”, da parte del giudice, circa la “tempestività” delle iscrizioni, è offerto, a ben guardare, soltanto dalla disciplina che regola il regime delle proroghe del termine per le indagini preliminari (art. 406 cod. proc. pen.), non apparendo estranea a quel sistema l’idea di un giudice che, in presenza di iscrizioni tardive, calibri la concessione o il diniego della proroga in funzione, anche, della durata delle indagini eventualmente espletate prima della tardiva iscrizione. Al di fuori di tale ipotesi, manca una struttura normativa di riferimento. Non esiste, infatti, nel sistema, né un principio generale di “sindacabilità” degli atti del pubblico ministero, né un altrettanto generalizzato compito di garanzia affidato al giudice per le indagini preliminari. Si tratta, infatti, di un giudice “per” le indagini, e non “delle” indagini preliminari, il quale - proprio per impedire la riproduzione di funzioni lato sensu istruttorie - non governa l’attività di indagine né è chiamato a controllarla, svolgendo funzioni, si è detto, intermittenti, che sono soltanto quelle previste dall'ordinamento. Stabilisce, infatti, l’art. 328 cod. proc. pen., che il giudice per le indagini preliminari provvede sulle richieste del pubblico ministero, delle parti private e della persona offesa «nei casi previsti dalla legge. Compiti, dunque, non soltanto limitati, ma anche tassativamente tipizzati. Per poter configurare un sindacato giurisdizionale sulla tempestività delle iscrizioni operate dal pubblico ministero, occorrerebbe, dunque, una espressa previsione normativa che disciplinasse non soltanto le attribuzioni processuali da conferire ad un determinato organo della giurisdizione, ma anche il “rito” secondo il quale inscenare un simile accertamento “incidentale” (…)».
[3] C. Conti, L’iscrizione della notizia di reato nel prisma dell’azione: nuovi requisiti e finestre di giurisdizione, in Dir. pen. proc., 2023, 142 ss.
[4] F. Alvino, Il controllo giudiziale dell’azione penale. Appunti a margine della riforma Cartabia, in Sistema Penale n. 3/2022.
[5] Può essere di ausilio quanto riportato nella Nota del Procuratore della Repubblica di Bologna, il 19 ottobre 2022, a pagina 7, laddove si precisa che il potere di retrodatazione va inteso necessariamente in termini ragionevoli, nel senso che non può non essere considerato fisiologico il lasso temporale di alcuni giorni o anche di alcune settimane imposto dalla lettura delle informative da parte del magistrato e dall'espletamento materiale dell'attività di registrazione da parte della segreteria. Il potere di retrodatazione, infatti, investe ipotesi patologiche che fanno seguito ad un errore nella registrazione a modello 45. Cfr. sul tema anche Cass., Sez. I, 4 gennaio 1999, n. 3192.
[6] Quanto al carattere della “inequivocità” del ritardo, secondo quanto evidenziato dalla Procura Generale della Corte di Cassazione nella nota del 19 gennaio del 2023 (p. 19), «è ragionevole prevedere che le maggiori problematiche si porranno nel caso di indagini particolarmente complesse, anche per la pluralità di persone coinvolte, nelle quali l’esatta individuazione del passaggio fra sospetto e indizio è spesso il risultato posteriore di analisi e di sintesi di corpose informative di polizia giudiziaria; ai fini allora della individuazione del momento in cui non è più controversa la consistenza probatoria nei confronti dell’indagato, potrebbe rilevare quanto già osservato in precedenza circa i criteri giurisprudenziali in tema di tempo obiettivamente occorrente per l’apprezzamento dell’esistenza degli indizi a carico».
[7] Cfr. G. Civiello, Il controllo sull’operato del Pubblico Ministero nella riforma Cartabia, in http:!www.centrostudilivatino.it (Novembre 2022).
[8] Cfr. sul punto anche la Nota della Procura della Repubblica di Bologna del 19 ottobre 2022.
[9] Propendeva per tale soluzione anche l'indirizzo minoritario che, già prima della riforma, riteneva possibile la retrodatazione con conseguente inutilizzabilità. Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 6 luglio 1992, n. 3249, Barberio, in CED 191719; Cass. Pen., Sez. I, 27 marzo 1998, n. 1840, Dell'Anna, in Dir. pen. proc., 2007, 869; Cass. Pen., Sez. V, 8 ottobre 2003, n. 41131, Liscai, in Riv. pen., 2004, 1244; Cass. Pen., Sez. V, 21 settembre 2006, n. 1410, Boscarato, in CED, 236029.
[10] A. Cabiale, I nuovi controlli giudiziali sui tempi della fase investigativa: una riforma tanto attesa quanto indispensabile, in Leg. pen., 2022, 18 ss.
[11] Cfr. ancora Cass., Sez. III, 31 gennaio 2012, n. 426: «La valutazione in ordine all’inutilizzabilità degli atti di indagine, prevista dall’art. 407, comma 3, c.p.p., deve effettuarsi tenendo conto del contenuto e della funzione del singolo atto, con la conseguenza che non devono essere inclusi nel novero degli atti passibili di inutilizzabilità quelli costituenti mera rielaborazione di attività precedentemente svolte (quali, ad esempio, le note riassuntive o conclusive, solitamente redatte dalla polizia giudiziaria all’esito di investigazioni complesse, per fornire una illustrazione organica e definitiva dell'attività compiuta ed agevolare la consultazione della relativa documentazione), ovvero quelli meramente ricognitivi, finalizzati a documentare la permanenza ed attualità di situazioni, già in precedenza compiutamente accertate (…)».
Cfr. ancora Cass., Sez. III, 4 ottobre 2012, n. 38732. Tra le più recenti pronunce relative ai limiti di inutilizzabilità delle prove acquisite oltre il termine di durata delle indagini preliminari, cfr. anche Cass. n. 22016 del 6 marzo 2019.
[12] Cfr., sul punto, in particolare Cass., Sez. VI, 18 maggio 2005, n. 32869; Cass., Sez. I, 28 aprile 1998, n. 2383; Cass., Sez. I, 17 marzo 1992, n. 1176.
[13] Cfr. in particolare Cass., Sez. VI, 24 febbraio 2009, n. 16986; Cass., Sez. V, 12 luglio 2010, n. 38420; Cass., Sez. VI, 15 dicembre 2011, n. 21265; Cass., Sez. VI, 19 dicembre 2011, n. 12085.
[14] Cass., 24 ottobre 2017, n. 4694.
[15] In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso relativo all’inutilizzabilità delle intercettazioni attivate prima dell’iscrizione del ricorrente nel registro degli indagati e proseguite dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari.
[16] Cfr. la sentenza n. 30989 del 10 maggio 2022.
[17] Giova evidenziare come, in contrasto rispetto all’orientamento tradizionale, si ponga la sentenza della Corte di Cassazione n. 31171 del 5 giugno 2014. Ed invero, in quella circostanza la Suprema Corte ebbe ad affermare quanto segue: «In tema di rito abbreviato, gli atti di indagine dichiarati inutilizzabili prima della formulazione della richiesta di accesso a riti alternativi, anche nel caso di inutilizzabilità fisiologica o relativa (nella specie, sommarie informazioni testimoniali rese dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari), non possono essere successivamente utilizzati per la definizione del processo con il giudizio abbreviato richiesto dall’imputato».
Tuttavia, non può certo sfuggire in primo luogo come tale principio sia stato affermato dalla Corte in epoca antecedente rispetto all’introduzione dell’art. 438 comma 6 bis cpp che – come evidenziato in precedenza – limita la possibilità di eccepire in sede di giudizio abbreviato la sola inutilizzabilità patologica della prova. Ad ogni modo, occorre rilevare come l’applicazione dei corollari della pronuncia de qua non incida direttamente sulla questione che attiene alla utilizzabilità in sede di abbreviato degli elementi acquisiti fuori termine, così come ricalcolato ex post a seguito della retrodatazione disposta dal GIP. A ben vedere, infatti, la Corte di Cassazione nel 2014, lungi dall’ammettere la deducibilità dell’inutilizzabilità fisiologica in sede di rito abbreviato, si preoccupava piuttosto di evidenziare come i soli atti affetti da inutilizzabilità c.d. fisiologica rispetto ai quali sarà preclusa l’utilizzabilità ai fini della definizione del processo, siano esclusivamente quelli già dichiarati inutilizzabili dal giudice al quale è attribuita la cognizione del procedimento principale prima della formulazione della richiesta di accesso al rito. Orbene, con riguardo al meccanismo di controllo contemplato dall’art. 335-quater cpp, non può sfuggire come il Giudice – all’esito dell’accertamento di un ritardo inequivocabile ed ingiustificato – sarà tenuto a disporre la retrodatazione dell’iscrizione nel registro ex art. 335 cpp, senza tuttavia pronunciarsi direttamente sulla eventuale inutilizzabilità delle risultanze dell’attività di indagine. Pertanto – in assenza di una previa declaratoria di inutilizzabilità – a seguito dell’istanza di rito abbreviato formulata da parte dell’imputato, finanche a fronte di una retrodatazione disposta dal Giudice ex art. 335-quater cpp, gli atti di indagine compiuti fuori termine saranno utilizzabili in quella sede.
[18] Si v. sul punto il Parere del Consiglio Superiore della Magistratura espresso con delibera del 22 settembre del 2022, lì dove si legge: «Permangono le criticità derivanti dalla verifica postuma della tempestività dell’iscrizione a fronte di un sistema che, come sopra già evidenziato, del tutto condivisibilmente riconosce al P.M. ampi margini valutativi. Innanzitutto, l’accertamento, da parte del giudice, del rispetto del termine di 20 giorni può risultare assai defatigante, potendo essere plurimi, e depositati in momenti diversi, gli atti dai quali l’indagato assume di aver tratto la prova della tardività dell’iscrizione, con tutte le difficoltà connesse alla valutazione della rilevanza di ognuno ai fini dell’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine previsto a pena di inammissibilità».
[19] Nel senso che la retrodatazione debba essere circoscritta a ipotesi di negligenza grave o di dolo, si v. ancora il Parere del CSM di cui alla delibera del 22 settembre 2022.
[20] Si v. ancora sul punto il già citato Parere del CSM di cui alla delibera del 22 settembre 2022.