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PENALE  

RIFORMA CARTABIA: APPLICAZIONE PROSPETTICA DELLA COLPEVOLEZZA

  Penale 
 mercoledì, 4 ottobre 2023

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di Avv. Chiara CESARE e Avv. Piero CASCIARO

 
 

RIFORMA CARTABIA: APPLICAZIONE PROSPETTICA DELLA COLPEVOLEZZA AL DI LÀ DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO ATTRAVERSO IL NUOVO CRITERIO DI GIUDIZIO DELLA RAGIONEVOLE PREVISIONE DI CONDANNA.

Avv. Chiara CESARE e Avv. Piero CASCIARO[1]

1. La nuova “procedura” di iscrizione della notizia di reato tra garantismo ed esigenze deflattive. La c.d. “Riforma Cartabia” (d.lgs. n. 150/2022), tra le varie modifiche apportate al codice di rito, ha modificato l’art. 335 co. 1° c.p.p., aggiungendovi la locuzione per cui la notizia di reato che pervenga al P.M. o che questi abbia acquisito di iniziativa sia iscritta nell’apposito registro solo quando “contenente la rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice. Nell’iscrizione sono indicate, ove risultino, le circostanze di tempo e di luogo del fatto”.[2]

Detta modifica risponde all’esigenza di applicazione per così dire “prospettica” del principio della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, codificato nell’art. 533 c.p.p. con riguardo alla sentenza dibattimentale di condanna, ma qui declinato, in questa fase embrionale, nel senso di non incriminare se non quando vi siano elementi/indizi anche minimi, ma verosimili.

Rispetto al testo antecedente, l’art. 335 c.p.p., così ampliato, va ad assegnare un nuovo potere/dovere al P.M. che, in una qualche misura, finisce per temperare il principio di obbligatorietà dell’azione penale, fermo restando il controllo del G.I.P. ex art. 409 c.p.p. Infatti, sebbene il P.M. continui ad avere l’obbligo di immediata iscrizione delle notizie di reato nell’apposito registro, detto obbligo matura solo laddove trattasi di un fatto determinato e non inverosimile, oltre che riconducibile ad una fattispecie incriminatrice (e lo stesso discorso vale per l’iscrizione del nominativo dell’indagato, sottoposta – come è – alla condizione che vi siano indizi a suo carico).

Con ciò viene superato recisamente il sistema previgente, che invece imponeva al P.M. l’iscrizione del fatto quando riconducibile ad una notizia di reato, senza che lo stesso dovesse avere i crismi della determinatezza e della verosimiglianza; in tal senso, esplicativa è una pronuncia della Corte di cassazione a Sezioni Unite del 2009 che aveva affermato come “il Pubblico Ministero, non appena riscontrata la corrispondenza di un fatto di cui abbia avuto notizia ad una fattispecie di reato, è tenuto a provvedere alla iscrizione della notitia criminis senza che possa configurarsi un suo potere discrezionale al riguardo[3].

A ben vedere, così operando, la Riforma Cartabia ha creato una vera e propria nuova “fase filtro” per il procedimento penale, anticipatoria del procedimento stesso, giacché in tal modo finiscono per essere scartate ab initio tutte quelle notizie (a ben vedere non compiutamente di reato) inverosimili e/o con oggetto indeterminato, senza che sia necessario iscriverle nel registro, chiederne l’archiviazione e sottoporre la richiesta al vaglio del Giudice per le Indagini Preliminari (e alla possibile opposizione dell’eventuale persona offesa).

Da questo punto di vista, la modifica legislativa ha l’ulteriore pregio di snellire i procedimenti penali, oltre che di impedire ad un soggetto di subire l’apertura di un procedimento e l’assunzione dello status di indagato anche nei casi in cui è inverosimile il fatto e/o non configurabile un reato. D’altronde, la stessa Commissione Lattanzi[4] ha affermato “l’importanza di definire dei parametri, attraverso il decreto delegato, per delineare i profili che impongono l’iscrizione della notizia di reato nel registro” e ciò “si basa sulla presa d’atto della particolare delicatezza di un passaggio troppo spesso considerato un mero atto dovuto e sul rischio che si proceda a un’iscrizione esclusivamente formale di fatti, ma soprattutto di soggetti – coinvolti, ad esempio, in organismi ed équipe di lavoro – la cui posizione sia quasi certamente estranea a profili di responsabilità penale. Per un verso, infatti, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo fa discendere le garanzie dell’art. 6 CEDU dalla ‘soggettivizzazione’ dell’indagine, quando questa si polarizzi, da un quadro ad ampio raggio, su specifici soggetti; per altro verso, gli effetti negativi indiretti, correlati all’iscrizione, possono costituire grave nocumento per soggetti comunque destinati a fuoriuscire presto dal quadro investigativo (peraltro, per mitigare tale effetto, si prevede altresì che il legislatore delegato riveda, rimuovendole, le ipotesi normative in cui dalla mera iscrizione nel registro delle notizie di reato discenda un effetto pregiudizievole per l’interessato). Si propone pertanto di introdurre una definizione di notizia di reato e di precisare i presupposti per l’iscrizione, tanto di natura oggettiva, quanto soggettiva[5].

Insomma, il Legislatore, riformando l’art. 335 c.p.p., ha volutamente cercato di deflazionare da subito il carico di lavoro delle Procure, nonché di circoscrivere il più possibile il pregiudizio che sovente, per consolidato ma non condivisibile costume, deriva in capo al soggetto indagato agli occhi dell’opinione pubblica dalla mera iscrizione nel registro, di solito veicolata erga omnes attraverso la diffusione a mezzo stampa dell’informazione di garanzia ex art. 369 c.p.p.

Questo intento è stato ravvisato e condiviso anche dal Consiglio Superiore della Magistratura, il quale, ragionando sulla proposta di modifica dell’art. 335 c.p.p., ha affermato come “l’iscrizione della notizia di reato è doverosa quando il fatto denunciato […] presenti, nella sua storicità, connotati di verosimiglianza e, giuridicamente, gli elementi costitutivi di una fattispecie di reato; l’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è attribuito si impone, invece, quando gli elementi a carico della stessa abbiano un grado di consistenza tale da attingere la soglia della probabilità di fondatezza dell’accusa[6].

Questo obiettivo è reso poi palese dal comma 1°-bis del medesimo articolo, laddove specifica come l’iscrizione della notizia di reato debba essere effettuata nel “registro noti” (modello 21 o 21-bis, se reato di competenza del Giudice di Pace) quando a carico di una persona determinata “risultino, contestualmente all’iscrizione della notizia di reato o successivamente, indizi”. Come a dire, insomma, che – superato il primo filtro della verosimiglianza della notitia criminis con l’iscrizione, se del caso, nel registro ignoti (mod. 44) – per poter poi far decorrere i termini delle indagini preliminari e, dunque, iscrivere la notizia nel registro modello 21 (o 21-bis) è necessario che vi siano indizi a carico di un soggetto determinato.

Vi è chi ritiene, tuttavia, che “il rimedio rischia di essere peggiore del male [ciò in quanto] l’art. 335 comma 1-bis c.p.p. giustificherebbe la ritardata iscrizione del nominativo dell’indagato nel registro, procrastinando il decorso del termine di durata delle indagini preliminari. Del resto, quando poi il nominativo fosse iscritto proprio in ragione dell’emergere degli indizi a carico, sarebbe sin troppo facile anticipare giudizi di colpevolezza da parte di una collettività mal disposta a cogliere la funzione di garanzia del procedimento penale[7].

Proprio con riferimento all’infelice prassi della tardiva iscrizione nel registro noti (finalizzata a non far decorrere il termine per il compimento delle indagini preliminari) richiamata dagli autori sopracitati, il Legislatore tenta di contrastarla introducendo due meccanismi, negli articoli 335-ter e 335-quater c.p.p., i quali prevedono, rispettivamente, il potere del Giudice per le indagini preliminari di ordinare al P.M. l’iscrizione in detto registro quando il fatto è da attribuire ad una persona determinata e la facoltà dell’indagato di chiedere al G.I.P. la retrodatazione dell’iscrizione a suo carico.

Sempre nell’ottica garantista volta a contrastare detto pregiudizio nei confronti dell’indagato, il Legislatore ha poi introdotto un nuovo articolo, il 335-bis c.p.p., nel quale è specificato come “la mera iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 non può, da sola, determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa per la persona alla quale il reato è attribuito”, e si tratta di problematica che sorge, per la verità, soprattutto nell’ambito della giustizia amministrativa, ad esempio per i casi di esclusione – da parte di società appaltanti – di soggetti indagati/imputati ma non condannati in via definitiva.

La giurisprudenza amministrativa, tuttavia, da tempo ha affermato come “a prescindere dalla definitività degli accertamenti compiuti in sede penale, [è legittima la scelta della società appaltante] purché la decisione sia assunta all’esito di un’istruttoria adeguata, svolta in contraddittorio con l’impresa, e sia assistita da una motivazione congrua ed esauriente[8]. Sarà dunque interessante verificare se – nel prossimo futuro – troverà o meno applicazione il nuovo artt. 335-bis c.p.p., nel senso di escludere un qualsivoglia pregiudizio di tipo civile o amministrativo all’indagato (pur se sottoposto ad un procedimento extra-penale) o se continuerà a prevalere l’autonomia della giustizia amministrativa, indipendentemente da questo divieto di pregiudizio previsto dall’articolo in commento.

2. L’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero e la sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. all’esito dell’udienza preliminare. Il d.lgs. n. 150/2022 (c.d. “Riforma Cartabia”), tra le varie modifiche processuali, ha introdotto un nuovo criterio di giudizio – quello della ragionevole previsione di condanna – il quale trova plurima applicazione.

La finalità perseguita dal legislatore è chiara e, almeno in linea teorica, apprezzabile: applicare, in chiave prospettica, il principio di matrice accusatoria dell’affermazione di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio – ex art. 533 c.p.p. – anche nelle fasi antecedenti al dibattimento, sia pur con i necessari adattamenti.

In primo luogo, si consideri che ai sensi del novellato art. 408 co. 1° c.p.p. il P.M. è ora tenuto a richiedere l’archiviazione della notitia criminisquando gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna [...]”.

La norma de qua, nella formulazione previgente alla novella del 2022, prevedeva invece la possibilità per il P.M. di richiedere l’archiviazione della notitia criminis solo in caso di infondatezza della stessa, e segnatamente allorquando gli elementi acquisiti nel corso delle indagini non fossero stati idonei a sostenere l’accusa in giudizio; infatti, il “vecchio” art. 408 c.p.p. era da leggersi in combinato disposto con l’art. 125 disp. att. c.p.p. – oggi significativamente abrogato – il quale specificava il concetto di infondatezza, individuandola nelle situazioni, non solo di mancanza, ma anche insufficienza degli elementi a carico/contraddittorietà con gli elementi a discarico per sorreggere l’accusa in sede dibattimentale.

Emerge quindi come uno dei principali obiettivi della Riforma Cartabia sia quello di ampliare il potere di archiviazione in capo al Pubblico Ministero. Infatti, se prima il magistrato inquirente doveva unicamente valutare che gli elementi investigativi raccolti nel corso delle indagini avessero o meno forza tale da sostenere l’accusa in sede dibattimentale indipendentemente dall’esito del processo, ora, invece, è chiamato ad operare, sin dal momento della formulazione dell’imputazione e sulla base degli elementi esistenti a questo momento, un giudizio di prognosi sul ragionevole esito del dibattimento.

Ne consegue dunque che il quadro accusatorio dovrà essere completo e il più possibile scevro di elementi contraddittori, non solo per sostenere l’accusa ma già per ottenere la condanna, di talché questo giudizio prognostico – lo si ribadisce – non attiene unicamente all’utilità del dibattimento, ma deve proiettarsi sul risultato del processo in termini di concreta ottenibilità della condanna[9].

Sul punto, si segnala una recente ed interessante pronuncia della Corte di cassazione[10], la quale – sia pur in un obiter dictum – evidenzia proprio come “il Pubblico Ministero è tenuto a riversare nel procedimento tutti gli elementi provenienti dalle indagini preliminari (art. 416 c.p.p., comma 2) o comunque acquisiti dopo la richiesta di rinvio a giudizio (art. 419 c.p.p., comma 3)”, ciò che determina una maggiore “completezza del quadro probatorio[11].

Pertanto, in relazione all’esercizio dell’azione penale da parte della Pubblica Accusa, la Riforma Cartabia si prefigge i molteplici e apprezzabili obiettivi di: rafforzare il potere di archiviazione del P.M. e quindi ridurre il carico giudiziario; garantire una maggiore completezza del quadro investigativo in rapporto adesso alla regola di giudizio ex art. 533 c.p.p.; ne consegue anche – a nostro avviso – un’attenuazione del principio costituzionale, ex art. 112 Cost., di obbligatorietà dell’azione penale[12].

Peraltro, il nuovo criterio di giudizio della ragionevole previsione di condanna trova applicazione anche – e a fortiori - in sede di udienza preliminare, poiché, ai sensi del riformato art. 425 co. 3° c.p.p., il Giudice dell’udienza preliminare “pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”.

Il comma terzo dell’art. 425 c.p.p., nella formulazione previgente al decreto n. 150/22, prevedeva, invece, la possibilità per il G.u.p. di pronunciare sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi investigativi fossero risultati “insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”, in conformità all’oggi abrogato art. 125 disp. att. c.p.p.

Analogamente a quanto sopra affermato con riferimento alla figura del P.M., la Riforma Cartabia ha anche inteso rafforzare il potere decisionale in capo al Giudice dell’udienza preliminare, il quale dovrà effettuare – così come il P.M. – quel giudizio prognostico di cui già si è detto, proiettandosi, dunque, sul prevedibile esito del processo ovvero sulla ragionevole probabilità di ottenere la condanna.

La Corte di cassazione sopra citata[13] ben coglie anche questo ulteriore aspetto, laddove precisa come la “più selettiva regola di giudizio della ragionevole previsione di condanna” comporta “un pregnante contenuto decisorio” del provvedimento emesso all’esito dell’udienza preliminare e tale potere decisionale rafforzato – indice di una maggiore responsabilizzazione in capo all’organo giudicante – si giustifica anche alla luce della summenzionata necessità di completezza del quadro investigativo, ora per il G.u.p. probatorio: ciò che guida la scelta del P.M. in ordine all’esercizio dell’azione penale, è altresì funzionale al giudizio prognostico che deve operare il Gup all’esito di un’udienza preliminare sì, ma connotata da plena cognitio di tutti gli atti processuali.

Il legislatore, nel disciplinare il nuovo criterio di giudizio che deve ispirare il G.u.p. ha tuttavia omesso di modificare la disciplina di detta udienza allorquando, oltre all’imputato-persona fisica, sia parte del procedimento anche l’ente incolpato ai sensi del d.lgs. n. 231/01[14]; tale discrasia tra la nuova disciplina dell’art. 425 c.p.p. e la normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato è già stata portata all’attenzione della giurisprudenza di merito.

In particolare, si segnala un’interessante pronuncia con la quale il G.u.p. del Tribunale di Milano[15] ha rigettato la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa per violazione dell’art. 3 Cost., precisando come la predetta discrasia non sia frutto di una scelta consapevole da parte del legislatore, bensì di un “mero difetto di coordinamento […] senza che alcuna disparità di trattamento si possa determinare fra le valutazioni riservate agli imputati persone fisiche o giuridiche di questo simultaneo giudizio”. Tale difetto di coordinamento ben può essere superato attraverso un approccio ermeneutico in chiave evolutiva, e dunque facendo applicazione analogica (in bonam partem) della nuova disciplina prevista dalla Riforma Cartabia anche con riferimento all’ente incolpato.

Per completezza, si evidenzia infine un ulteriore obiettivo al quale la novella del 2022 mira attraverso la modifica di norme afferenti alla fase dell’udienza preliminare, ovvero quello di garantire una maggiore stabilizzazione dell’imputazione[16]: segnatamente, ai sensi dei novellati artt. 421 e 423 c.p.p., laddove l’imputazione formulata dal P.M. risulti generica o carente, il Giudice debba invitare il P.M. a riformulare l’imputazione e, se questi non provvede, il Giudice – sentite le parti – dichiara la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, ordinando la restituzione degli atti al P.M. Il controllo del Giudice sull’imputazione viene effettuato con riferimento alla diversa descrizione del fatto, alla sua qualificazione giuridica, e alla corretta contestazione o meno delle circostanze aggravanti.

Sebbene l’obiettivo dichiarato del legislatore sia quello di garantire una maggiore stabilizzazione dell’imputazione già in sede di udienza preliminare ed in funzione di una scelta consapevole di eventuali riti alternativi, la modifica delle norme testé citate, a parere di chi scrive, non è esente da critiche, in quanto comporta un controllo capillare e per certi versi invasivo da parte del Giudice sull’operato del Pubblico Ministero.

3. L’udienza di comparizione predibattimentale. Il nuovo criterio di giudizio della ragionevole previsione di condanna trova applicazione anche con riferimento alla nuova udienza di comparizione predibattimentale; ai sensi dell’art. 554-ter co. 1 c.p.p., infatti, il Giudice che celebra quest’udienza “pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna”.

La struttura individuata dal Legislatore attraverso gli artt. 554-bis e ss. c.p.p. è, sostanzialmente, una “mini-udienza preliminare”[17], con la differenza che l’udienza di comparizione predibattimentale è affidata ad un giudice dell’Ufficio del tribunale, mentre vi era chi propugnava[18] l’assegnazione di detta udienza all’Ufficio giudici G.i.p./G.u.p.

In verità, come affermato sempre dalla Commissione Lattanzi – e condiviso da chi scrive – la scelta di affidare questa nuova fase processuale al giudice dibattimentale è una scelta più opportuna poiché questi, in primo luogo, è soggetto più idoneo, per la propria esperienza, a valutare le probabilità di una condanna all’esito dell’istruttoria dibattimentale.

In secondo luogo, ad avviso dello scrivente, giacché il nodo problematico della sentenza di non luogo a procedere è, da sempre, l’obbligo di motivazione a differenza del decreto che dispone il giudizio, che invece non è motivato, si ritiene che, affidando il compito di decidere circa la prosecuzione del giudizio ad un giudice dibattimentale che rinvierebbe ad altro giudice del medesimo ufficio, questi possa essere meno restìo – laddove ve ne siano i presupposti – ad emettere una sentenza di non luogo a procedere rispetto ad un giudice appartenente all’ufficio G.u.p. che rinvia, invece, al giudice del dibattimento.

Si tratta soltanto di un’ipotesi, in relazione ad uno dei tanti nodi problematici ma forieri di interessanti applicazioni di questa recente riforma processuale.

Genova, 12.9.2023



[1] L’Avv. Cesare ha redatto il § 2; l’Avv. Casciaro i §§ 1 e 3.

[2] Si segnala, sin d’ora, l’aggiunta del comma 1°-bis dello stesso art. 335 c.p.p., il quale dà maggior risalto all’iscrizione del nominativo dell’indagato “quando risultino indizi a suo carico”.

 

[3] Così: Cass., SS.UU., 24.9.2009, n. 40538, Rv. 244378.

[4] Ovvero la “Commissione di studio per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, attraverso la formulazione di emendamenti al Disegno di legge A.C. 2435, recante Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello”, costituita il 16 marzo 2021.

[5] Commissione Lattanzi, Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. a.c. 2435, 24 maggio 2021.

[6] Parere C.S.M. del 22.9.2022, p. 9, in www.csm.it.

[7] Così, F. Cassibba ed E.M. Mancuso, Perduranti equivoci sull’iscrizione nominativa, in Riforma Cartabia, La nuova giustizia penale, Milano, Wolters Kluwer, 2023, p. 611.

[8] Così: T.A.R. Liguria, Sez. I, sent. 19.6.2023, n. 603, che aveva affrontato questo problema proprio alla luce della nuova regola della ragionevole previsione di condanna prevista dalla Riforma Cartabia, finendo per ribadire, tuttavia, una vera e propria autonomia della giustizia amministrativa rispetto a quella penale.

[9] Sul punto, la Relazione della Commissione Lattanzi (Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. a.c. 2435, 24 maggio 2021) ha precisato come “alla luce dell’evoluzione della fase preliminare, vada superato il criterio dell’astratta utilità dell’accertamento dibattimentale; a seguito di indagini che – in linea con quanto richiesto dalla Corte costituzionale – devono risultare tendenzialmente complete (e possono avere una durata significativa), il pubblico ministero sarà chiamato a esercitare l’azione penale solo quando gli elementi raccolti risultino – sulla base di una sorta di “diagnosi prognostica” – tali da poter condurre alla condanna dell’imputato secondo la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, tanto in un eventuale giudizio abbreviato, quanto nel dibattimento. Al contrario, laddove il quadro cognitivo si connoti per la mancanza di elementi capaci di sorreggere una pronuncia di condanna, il pubblico ministero dovrà optare per l’inazione”.

[10] Cass., Sez. VI, 10.5.2023, n. 19856, in fase di oscuramento.

[11] Il tema della completezza delle indagini, comunque, era affermato dalla giurisprudenza anche prima dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia (si veda, a titolo esemplificativo, Corte costituzionale, sentenza n. 88/1991).

[12] Così, S. De Flammineis, La valutazione dei fatti ai fini dell’archiviazione ovvero dell’esercizio dell’azione penale: poteri e responsabilità del Pubblico Ministero, in www.sistemapenale.it.

[13] V. nota 10.

[14] Invero, l’art. 61 d.lgs. n. 231/01 continua a prevedere che il giudice dell'udienza preliminare pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando “gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere in giudizio la responsabilità dell'ente”.

[15] Tribunale di Milano, Sezione Gip-Gup, ordinanza 15.2.2023, citata da G. Spangher, Anche per l’ente si archivia in mancanza di una ragionevole previsione di condanna, pubblicato il 27.3.2023 in www.altalex.it

[16] T. Rafaraci, Archiviazione e udienza preliminare nella riforma Cartabia, in Dir. pen. proc., 2023, p. 163 ss.

[17] Così la definivano, quando era stata prevista all’epoca già dalla Riforma Bonafede (poi accantonata) M. Gialuz-J. Della Torre, Il progetto governativo di riforma del processo penale approda alla Camera: per avere processi rapidi (e giusti) serve un cambio di passo”, in Sistema Penale, 2020, p. 182.

[18] Ne dà atto la stessa Commissione Lattanzi nella Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. a.c. 2435, 24 maggio 2021.

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