Secondo l’insegnamento di un autorevole studioso, l’ambiente “non si configura come un’entità autonoma ed astratta rispetto all’uomo, ma costituisce l’insieme dei presupposti esistenziali e vitali della specie umana, un cadre de vie necessario ed ineliminabile che determina e plasma le condizioni di vita, la vita stessa dell’uomo”[1]. Il nesso che lega indissolubilmente ambiente e vita umana porta dunque a configurare una sorta di “diritto fondamentale all’ambiente”, che spesse volte viene assorbito nei più generali, ma non per questo assolutamente meno permeanti, diritti fondamentali alla vita, alla salute ed alla integrità fisica. Così, richiamando una nota dottrina, si può correttamente affermare che la centralità dell’uomo, nell’ambito del concetto di ambiente, “[…] non comporta […] una sottovalutazione dei beni della natura, ma l’affermazione di un diritto all’ambiente come diritto alla personalità, con correlativo dovere di rispetto […] del valore personale degli altri consociati”[2].
Quanto affermato postula, invero, l’ingresso a pieno titolo del diritto ad un ambiente salubre nell’ambito della categoria dei diritti fondamentali e, più specificamente, dei diritti della personalità riconosciuti meritevoli di tutela in seno alla nostra Costituzione.
Ed è proprio sul fondamento costituzionale del diritto all’ambiente che ci si intende soffermare.
Occorre dapprima osservare, a tal riguardo, come il rilievo espressamente assegnato dalla Costituzione al patrimonio storico ed artistico (art. 9, co. 2: “
Sulla scorta delle argomentazioni appena richiamate, si è allora dell’avviso che la tutela dell’assetto urbanistico e paesaggistico presupponga la rilevanza costituzionale (perlomeno indiretta) dell’ecosistema. L’espressa rilevanza attribuita dalla nostra Costituzione al valore paesaggistico ed all’interesse storico-artistico induce infatti a ravvisare, nell’art. 9 cit. l’implicita costituzionalizzazione “dei significati che afferiscono ai contenuti centrali della nozione di ambiente”[4].
La disposizione costituzionale in esame, pur nella sua ineludibile genericità, rivela una manifesta natura di norma programmatica, la cui lettura ha subìto, nel corso del tempo, una costante evoluzione. L’art. 9 Cost., difatti, è da sempre letto in parallelo con l’art. 32 della stessa Carta Fondamentale, nel quale la (tutela della) salute viene qualificata come diritto dell’individuo e, al tempo stesso, interesse della collettività. Dottrina e giurisprudenza, in uno sforzo esegetico ampliativo della portata del dettato costituzionale, hanno così progressivamente esteso l’ambito della tutela garantita alla salute pubblica, sino a ricomprendervi un, non meglio specificato, “diritto alla salubrità dell’ambiente”[5]. Il collegamento esistente tra le due disposizioni è di facile intuizione: atteso lo stretto legame intercorrente tra la persona e l’ambiente in cui vive, ogni atto lesivo avente ad oggetto l’integrità e la salubrità di questo, ricade inevitabilmente anche sugli aspetti relativi alla salute umana. E’ quindi evidente che una tutela sistematica della salute degli individui (tanto in termini preventivi, quanto in un’ottica propriamente riparatoria e ripristinatoria)[6] passa inevitabilmente attraverso il riconoscimento e la tutela di un diritto ad un ambiente salubre.
La stessa Corte Costituzionale, rimosse le iniziali resistenze, soprattutto a seguito della promulgazione della legge 8 luglio 1986, n. 349 (“Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale”) – che ha fornito alcune indicazioni sulla definizione di un (seppur vago)[7] concetto di ambiente - ha sottolineato lo sforzo del legislatore di dare un “[…] riconoscimento specifico alla salvaguardia dell’ambiente come diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività e di creare istituti giuridici per la sua protezione”[8].
Anche a seguito della riforma del titolo V della Costituzione operata con l. cost. n. 3 del 18 ottobre 2001,
Altro importante referente costituzionale del concetto di ambiente è rinvenibile nell’art. 2 Cost., in base al quale, “
A questo punto della riflessione vanno pertanto valorizzati il ruolo innovativo e la portata che sono stati attribuiti, mercé un’interpretazione evolutiva del testo, all’art. 3, co. 2 della Carta. Il “pieno sviluppo della persona umana” e l’“effettiva partecipazione” di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese vanno intesi non solo e non tanto come mere dichiarazioni programmatiche, bensì piuttosto come il contenuto del primo ed essenziale diritto rientrante nella categoria dei diritti inviolabili richiamata dall’art. 2 Cost.[13]. Si comprende così agevolmente come la norma risultante dal combinato disposto degli artt. 2 e 3, co. 2 Cost. si configuri, rispetto alle altre disposizioni costituzionali, “[…] come una super-norma recante un diritto fondamentale elementare”, alla stregua di un “[…] valore profondamente insito nell’etica e nel costume sociale, valore che appare quale pietra angolare sia della Costituzione formale che di quella materiale”[14].
Da questa breve ricostruzione dogmatica si ricava una qualificazione del diritto all’ambiente salubre come di un diritto fondamentale, per così dire, in transitu.
E ciò in quanto il rapporto intercorrente tra il bene giuridico “ambiente salubre” e gli altri beni tutelati dall’ordinamento non deve porsi in termini di alternativa o di esclusione: nel corso degli ultimi decenni è difatti mutato il modo di concepire il rapporto tra l’uomo ed il proprio habitat. Da un’impostazione generalista, che, all’inizio, si proponeva la sola salvaguardia dei “cicli biologici naturali”, si è progressivamente passati, in una prospettiva evolutiva, ad una più permeante funzione di “tutela dell’utilità sociale dei luoghi”[15]. Ciò non vuole significare che si sia oggi giunti ad un’impostazione “assolutistica” del bene-ambiente, non essendo configurabile, nell’attuale quadro normativo, quella qualificazione di primazia e di pregiudizialità che certa, più rigorosa dottrina intravvede nella salvaguardia, a tutta oltranza, dell’ecosistema[16].
Dalla ricostruzione unitaria dell’ambiente come bene costituzionalmente tutelato non possono trarsi, in conclusione, implicazioni ultronee.
Talché, dal superamento della teoria dell’ambiente come bene giuridico in sé considerato, deriva, in primo luogo, “che l’impostazione tradizionale che collega il bene alle norme rivolte alla tutela di interessi individuali collide con la necessaria natura super-individuale dell’ambiente e della tutela delle risorse ambientali”[17]. Sotto diverso profilo, il reiterato ricorso del legislatore ad interventi di tipo emergenziale non favorisce, di certo, il consolidarsi di una definizione unitaria di ambiente.
Alcuni Autori hanno quindi sottolineato l’importanza di un approccio interdisciplinare, aperto al contributo delle altre scienze, in particolare di quelle ecologiche. Accogliendo - in una prospettiva di tendenziale superamento delle teorie cc.dd. antropocentriche[18] - questa tesi, ne discende che “[…] all’interno del diritto dell’ambiente rientrano tutte quelle discipline di settore che perseguono la tutela degli equilibri ecologici: disciplina dell’aria, dell’acqua, del rumore, della difesa del suolo, dello smaltimento dei rifiuti, della protezione della natura, delle aree protette, quegli strumenti tipicamente rivolti alla tutela degli equilibri ecologici quali la valutazione di impatto ambientale e, secondo un’opinione non pacifica ma preferibile, anche discipline quali la tutela del paesaggio”[19], rimanendone fuori, in ogni caso, materie “parallele”, come l’agricoltura o la sicurezza sul lavoro, le quali, pur presentando indiscutibili connessioni con quella ambientale, sono caratterizzate da oggetti e finalità prevalentemente diversi.
Barcellona Pozzo di Gotto, lì 27.07.2017
(di Emanuele Quadraccia)
[1] L. Mezzetti, Manuale di diritto ambientale, Padova, 2001, 99 s..
[2] Postiglione, Il diritto all’ambiente, Napoli, 1982, 6.
[3] Giunta, Il diritto penale dell’ambiente in Italia: tutela di beni o tutela di funzioni?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 1107.
[4] Id., op. ult. cit., 1108; per considerazioni parzialmente diverse, si cfr., Strano Ligato, I reati in materia urbanistica, in Il diritto penale dell’impresa, a cura di L. Conti, Padova, 2001, 821 ss..
[5] L. Ramacci, Manuale di diritto penale dell’ambiente, Padova, 2003, 9.
[6] Cfr., art. 191 T.F.U.E. sui tre principi base di gestione dell’ambiente: quello di prevenzione e correzione, quello del “chi inquina paga” e quello di precauzione.
[7] Il giudizio su tale “vaghezza” della l. n. 349/1986 è ripreso da L. Ramacci, Manuale di diritto penale dell’ambiente, cit., 10.
[8] Corte Cost. sent. n. 210 del 28 maggio 1987.
[9] Corte Cost., sent. ult. cit..
[10] V., ad es., Corte Cost., sent. nn. 302/1988; 391/1989; 341/1996; 157/1998; 273/1998; 382/1999; 54/2000; 507/2000.
[11] Per quest’impostazione, v., Corte Cost., sent. n. 407 del 10 luglio 2002.
[12] In tal senso, cfr. Panetta, Il danno ambientale, Torino, 2003, 46.
[13] Crisafulli,
[14] Per le citazioni, v. L. Mezzetti, Manuale di diritto ambientale, cit., 109; più in particolare, sull’argomento, cfr. Grossi, Introduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Padova, 1972, 15 s..
[15] Cfr., Catenacci, La tutela penale dell’ambiente, Padova, 1996, 15.
[16] Per una visione parzialmente differente, cfr. L. Mezzetti, Manuale di diritto ambientale, cit., 101 ss..
[17] Chieppa-Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2017, 1043.
[18] Cfr., in argomento, Riondato, Entità naturali come persone giuridiche? Note sulla recente legislazione ambientale, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1992, 751 ss.; Rota, Gli interessi diffusi nell’azione della pubblica amministrazione, Milano, 1988, 83.
[19] Così, Chieppa-Lopilato, Studi di diritto amministrativo, Milano, 2007, 906, ove si rimanda a Caravita, Diritto dell’ambiente, Bologna, 2005, 33.