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CIVILE  

RIFLESSIONI IN “PRIMA LETTURA” SULLE NOVITA' LEGISLATIVE IN TEMA DI ESPROPRIAZIONE PRESSO IL TERZO

  Civile 
 domenica, 22 novembre 2015

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Dott. Nunzio Daniele BUZZANCA Giudice Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto

 
 

La recente riforma del codice di procedura civile avutasi col D.L. n. 83/2015 e relativa legge di conversione n. 132/2015, a meno di un anno dall'ultima “riforma della giustizia civile” di cui alla l. n. 162/2014, che aveva già ampiamente rimaneggiato l'intero Terzo Libro del codice di rito, ha nuovamente riscritto, tra gli altri, buona parte del Capo III del Titolo II Libro III.
A differenza del precedente intervento, tuttavia, deve notarsi che il legislatore, pur proseguendo nella sciagurata prassi di introdurre ampi rimaneggiamenti al codice di rito (e non solo) a colpi di decreto-legge, in questo caso non ha introdotto discipline assolutamente nuove od “eccentriche”,  ma ha semplicemente codificato principi ed orientamenti già espressi in via pretoria, con una riforma che ha quantomeno il pregio di chiarire dubbi più volte espressi nella prassi.
Di primaria importanza è il nuovo settimo comma dell'art. 545 c.p.c. a tenore del quale “le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge”.
L'introduzione di nuovi limiti al quantum espropriabile si inserisce in un trend legislativo caratterizzato da un favor generalizzato (e spesso acritico) nei confronti del debitore, che aveva trovato, finora, la più importante, nonché pubblicizzata, affermazione legislativa nell'art. 76 co. 1 del D.P.R. n. 602/1973, come modificato dal c.d. Decreto del Fare nel 2013, riguardante la quasi assoluta inespropriabilità della prima casa da parte dell'Agente della Riscossione in caso di debito con l'Erario.
La Novella codifica un principio già espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 506/2002, con cui si era dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 128 del Regio Decreto Legge n. 1827/1935 e degli articoli 1 e 2 del D.P.R. n. 180/1950 che prevedevano, rispettivamente, un regime di quasi assoluta impignorabilità dei trattamenti previdenziali erogati dall'INPS e dall'INPDAP; si tratta di un tipico caso di “sentenza manipolativa” con cui la Corte ritenne sì contrarie all'art. 3 della Carta costituzionale le disposizioni citate, ma allo stesso tempo creò essa stessa il limite alla pignorabilità delle pensioni, che fu identificato in quella parte del trattamento previdenziale “necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita”.
Tale limite trova, secondo la Corte, il suo ubi consistam nella natura solidaristica che è riconosciuta dall'art. 38 Cost. a quei trattamenti lato sensu “previdenziali” che costituiscono uno dei più importanti pilastri del nostro sistema di Stato Sociale, laddove si riconosce il diritto di tutti il lavoratori a che “siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia e disoccupazione involontaria”. Notò altresì il Giudice delle leggi che il superiore interesse a che il pensionato possa godere di un minimum destinato alle sue primarie esigenze dovesse comportare anche “una compressione del diritto di terzi di soddisfare le proprie ragioni creditorie sul bene-pensione” aggiungendo che “tale compressione non può essere totale ed indiscriminata, bensì deve rispondere a criteri di ragionevolezza che valgano, da un lato, ad assicurare in ogni caso (e, quindi, anche con sacrificio delle ragioni di terzi) al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita e, dall’altro lato, a non imporre ai terzi, oltre il ragionevole limite appena indicato, un sacrificio dei loro crediti, negando alla intera pensione la qualità di bene sul quale possano soddisfarsi.” (1) .
Nel silenzio ultradecennale del legislatore, il punto di equilibrio tra esigenze creditorie e debitorie fu oggetto di un'incerta opera di ricostruzione pretoria. Tra le tante pronunce in merito deve ricordarsi quantomeno Cass. Civ., sez. III, 07.08.2013, n. 18755 (e già prima Cass. Civ. sez. III  22 marzo 2011 n. 6548) la quale, preso atto della sostanziale inerzia del legislatore, aveva in buona sostanza delegato al Giudice dell'Esecuzione l'indagine circa la sussistenza o l'entità della parte di pensione necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, e come tale legittimamente assoggettabile al regime di assoluta impignorabilità, precisando che la valutazione in fatto del giudice dell'esecuzione fosse incensurabile in cassazione se logicamente e congruamente motivata; in quella sede la Corte aveva indicato alcuni possibili indici normativi da cui poter ricavare il parametro di determinazione del quantum non espropriabile (ora facendo riferimento alla pensione sociale, ora alla soglia di non assoggettabilità a tassazione ai fini dell'IRPEF) senza tuttavia (giustamente) ritenere obbligatoria l'applicazione di nessuno di essi.
Tale parametro è stato ora definitivamente determinato dal legislatore con riferimento all'assegno sociale di cui all'art. 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335, sicché ogni onere motivazionale del G.E. verrà d'ora in avanti sostituito da una semplice operazione matematica. Deve aggiungersi che, benché non espressamente previsto, la nuova norma impone che quei trattamenti pensionistici che non raggiungono la soglia indicata non possono in alcun modo essere pignorati, mentre gli altri potranno esserlo nell'ordinaria misura di 1/5 e comunque in modo da garantire l'importo minimo di cui sopra; non si tratta di notazione di poco conto solo che si noti che, dato un importo dell'assegno sociale per il 2015 pari ad euro 448,52, l'importo non pignorabile sarà uguale a 672,78 euro (448,52 + 448,52/2), importo da cui non si discostano consistentemente gran parte dei trattamenti previdenziali erogati dall'I.N.P.S.
Il legislatore della Novella ha anche introdotto limiti, nel nuovo ottavo comma della disposizione in esame, nel caso in cui il pignoramento venga effettuato su trattamenti previdenziali o su stipendi che vengono accreditati su conto corrente postale o bancario precisando che “le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.”.
Nessun dubbio interpretativo si può porre con riferimento al secondo periodo della disposizione in esame, essendosi voluto estendere quei limiti alla pignorabilità, ora definitivamente codificati in tema di pensioni, anche agli stipendi, andando in questo caso oltre quanto imposto con la citata sentenza della Consulta: si tratta di un intervento pienamente riconducibile a quel già individuato sentimento di favor nei confronti del debitore, che può comunque trovare una “giustificazione costituzionale” nell'art. 36 Cost., laddove consacra il diritto del lavoratori a godere di trattamenti retributivi idonei a garantire un'esistenza libera e dignitosa.
Qualche dubbio esegetico si pone invece per il primo periodo di tale disposizione, la cui formulazione, invero abbastanza infelice, brilla per un'assoluta opinabilità linguistica; infatti, ad intenderla letteralmente, bisognerebbe distinguere tra somme accreditate (a titolo di pensione, salario, stipendio, ecc.) anteriormente al pignoramento per cui si potrà procedere al pignoramento entro il limite del triplo dell'assegno sociale, e quelle accreditate dopo il pignoramento, per cui varrà il già citato limite dell'importo dell'assegno sociale aumentato della metà.
La conseguenza sarebbe paradossale a volerla esplicitare. Si immagini, ad esempio, che il lavoratore Caio abbia “canalizzato” il proprio stipendio, che quantificheremo in 1.300 euro mensili, sul suo conto corrente, e sulle cui somme si sia proceduto, nel corso dell’anno 2015, a pignoramento: si avrebbe che tutti gli importi accreditati precedentemente al perfezionamento del pignoramento sarebbero assolutamente impignorabili, in quanto di ammontare inferiore al triplo dell’assegno sociale come determinato per l’anno 2015, mentre quelli accreditati dopo lo sarebbero per più della metà, in quanto di molto superiori all’assegno sociale aumentato della metà.
Accanto a tale paradossale conseguenza si dovrebbe tener pure conto dell'ulteriore problema relativo a quante retribuzioni o pensioni accreditate anteriormente al pignoramento sarebbero sottoposte a tale vincolo (fino a quando si dovrebbe risalire indietro nel tempo con gli accrediti?), facendo la norma un solo generico riferimento a retribuzioni e stipendi accreditate anteriormente a pignoramento.
L'esegesi più probabile, e l'unica che può dare un senso logico alla disposizione, impone invece di ritenere che in caso di rapporti di conto corrente bancario o postale sui quali si sia proceduto alla c.d. “canalizzazione” dello stipendio o della pensione, potranno essere sottoposte a pignoramento le somme frutto degli accrediti effettuati anteriormente alla perfezione dello stesso, avendo cura di far residuare una saldo attivo di importo uguale al triplo dell'assegno sociale; per i nuovi accrediti varrà invece il limite alla pignorabilità dell'assegno sociale aumentato dalla metà. Detto diversamente, si  è introdotto un limite alla pignorabilità dei risparmi del debitore qualora essi siano il frutto di accantonamenti di somme ricevute a titolo di salario o pensione, in modo da lasciare al debitore/risparmiatore una piccola disponibilità liquida per far fronte alle primarie necessità di vita.
Appare comunque complesso determinare quali siano i rapporti su cui si sia proceduto alla c.d. canalizzazione, senza quell'apporto cognitivo che solo il debitore o il terzo possono introdurre nel procedimento, apparendo abbastanza improbabile che il creditore denunci egli stesso la natura delle somme pignorate per vedersi opporre dei limiti al pignoramento.
Non si tratta di questione di poco conto, sol che si guardi al nuovo ultimo comma dell'art. 545 c.p.c., che permette al giudice di dichiarare (rectius rilevare) l'inefficacia parziale del pignoramento anche d'ufficio in caso di violazione dei divieti imposti dalla stessa norma: appare difficile che senza l'apporto del debitore o del terzo il giudice possa disporre di quell'apporto cognitivo che gli permetta la pronuncia di inefficacia.
Completa tale novella un nuovo periodo aggiunto al primo comma dell'art. 546 c.p.c. che esenta il terzo pignorato dagli obblighi di “custodia”  sullo stesso gravanti per le somme di cui ai nuovi comma settimo ed ottavo dell'art. 545 c.p.c.
Si tratta di disposizioni che, stante l'art. 13 co. 1 lett. m) del citato decreto-legge, si applicheranno solo per le procedure esecutive iniziate solo dopo l'entrata in vigore dello stesso.
Se il cuore della riforma del Capo consiste nell'introduzione di limiti al quantum pignorabile, con il provvedimento in esame si sono introdotti anche delle piccole modifiche agli articoli 548 e 549 c.p.c., il cui intento (hoc erat in votis) pare essere quello di realizzare l'ennesimo “snellimento” procedurale che permetta, indirettamente, anche un'accelerazione dei tempi.
Una prima precisazione è stata introdotta dal nuovo inciso inserito nell'art. 548 c.p.c. co.2, a tenore del quale, in mancanza della dichiarazione del terzo, se all'udienza ivi prevista questa non è ancora pervenuta (anche per rifiuto del terzo di renderla) era già previsto che il G.E. potesse considerare non contestato il credito ai soli fini del procedimento e disporre con ordinanza ai sensi degli articoli 552 e 553 c.p.c. La riforma ha oggi aggiunto l'inciso “se l’allegazione del creditore consente l’identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo”, imponendo al creditore un onere di allegazione più puntuale, dovendosi quantomeno identificare  cause generative ed ammontare del credito del terzo, permettendo al Giudice di poter determinare tale credito sulla base di un apparato cognitivo più completo e, viceversa, potendo legittimamente ora ritenere non certo lo stesso nel caso in cui il creditore identifichi nel ricorso solo genericamente crediti e cose riferibili al proprio debitore.
Attenzione merita infine il nuovo primo comma dell'art. 549 c.p.c., a tenore del quale “se sulla dichiarazione sorgono contestazioni o se a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile l’esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo, il giudice dell’esecuzione, su istanza di parte, provvede con ordinanza, compiuti i necessari accertamenti nel contraddittorio tra le parti e con il terzo”. Il legislatore in questo caso non ha fatto altro che confermare la scelta di affidare qualsiasi accertamento dell'obbligo del terzo all'interno del procedimento esecutivo, coerentemente con l'eliminazione, illo tempore disposta, della decisione con sentenza in merito alla determinazione dell'obbligo del terzo, originariamente prevista dall'art. 548 c.p.c.
Eliminato qualsiasi incidente procedurale, l'accertamento nei casi di contestazione verrà effettuato nel corso del procedimento, stimolando un contraddittorio che risulta assolutamente deformalizzato. In assenza di precisazione sul punto, appare tuttavia logico ritenere che, affinché il G.E. possa procedere all'accertamento, debba sussistere un'istanza di parte che introduca nel procedimento questa sorta di “domanda di accertamento”. Contro l'ordinanza, che anche in questa versione della norma conserva un'efficacia limitata al procedimento, sarà possibile proporre l'opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c.
Con riguardo alla disciplina intertemporale, deve infine ricordarsi che le modifiche di cui agli articoli 548-549 c.p.c si applicano anche ai procedimenti pendenti all'entrata in vigore del D.L. n. 83/2015 (art. 13 co. 1 lett. m bis) e lett. m ter).

                                                                                                                        Dott. Nunzio Daniele Buzzanca

                                                                                                          Giudice presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto

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1. Corte Cost., sent. 04.12.2002, n. 506, §8.1 e ss., cui si rimanda per una più compiuta analisi di quanto sopra.

 
 
 
 
 
 

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