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Magistratura Indipendente

CIVILE  

Responsabilità da manutenzione stradale della p.a.: riflessioni sulla più recente evoluzione giurisprudenziale

  Civile 
 venerdì, 21 ottobre 2016

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Giorgio RISPOLI

Avvocato e Professore a contratto nell'Università di Roma Tre

 

 
 

SOMMARIO: 1. La tematica. – 2. L’evoluzione storica: dall’insidia o trabocchetto all’art. 2051 c.c. – 3. I caratteri della responsabilità custodiale della p.a. – 4. Le questioni ancora aperte: la preferibile impostazione dell’art. 2051 c.c. come ipotesi di responsabilità aggravata da presunzione di colpa.  – 5. I limiti alla responsabilità della p.a. – 6. Conclusioni.


1. La tematica.

La responsabilità della p.a. relativa alla manutenzione delle strade è argomento  da decenni vivacemente dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza .
Tuttavia compito del giurista non è soltanto analizzare le problematiche nuove, offerte dalla continua evoluzione della realtà economica e sociale, ma anche provare ad osservare con occhi diversi le fattispecie note.
Il presente contributo si propone dunque di approfondire i più recenti approdi giurisprudenziali in tema di responsabilità custodiale della p.a. alla luce dell’evoluzione compiuta negli ultimi anni e di individuare possibili soluzioni alle questioni attualmente ancora controverse.
Ed infatti il livello di civiltà giuridica di un sistema si coglie soprattutto dalla trasparenza dell’azione amministrativa e dalla democraticità dei rapporti fra l’operatore statuale e la generalità dei consociati.
In tale ottica snodo essenziale dei predetti rapporti è costituito dalle regole di responsabilità risarcitoria inerenti i danni cagionati da difetti di manutenzione delle pubbliche vie.
Siffatta tematica rappresenta peraltro un oggetto di contenzioso statisticamente fra i più frequenti in materia civile.
Occorre altresì rilevare come nell’odierna coscienza sociale emerge con maggior nitore l’esigenza  di allocare in capo al soggetto in posizione di preminenza, oppure che trae qualche vantaggio da una determinata situazione giuridica, la responsabilità dei rischi che derivano dalla propria attività (in conformità all’antico brocardo ubi comoda ibi incommoda).
Si pensi all’esercente di un’attività qualificata pericolosa, chiamato – ai sensi dell’art. 2050 c.c. – al risarcimento del danno cagionato ove non provi di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il verificarsi dell’eventus damni.
Si consideri inoltre la responsabilità che riguarda il proprietario o utilizzatore di un animale per il danno da questi cagionato, salva la prova del caso fortuito in virtù dell’art. 2052 c.c.
Siffatta linea evolutiva parrebbe così propendere per la tendenziale traslazione della responsabilità risarcitoria in capo al soggetto economicamente più forte.
È tuttavia opportuno – ai fini di comprendere appieno gli attuali approdi in materia ed i quesiti che questi suscitano – una breve excursus inerente la recente evoluzione giurisprudenziale a proposito della responsabilità custodiale della p.a.

2. L’evoluzione storica: dall’insidia o trabocchetto all’art. 2051 c.c.

L’impostazione giurisprudenziale tradizionale – espressa in un consolidato filone  anteriore al 2005 – riconduceva la responsabilità della p.a. per la manutenzione delle strade entro il paradigma dell’art. 2043 c.c., negando l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 2051 c.c.
In particolare la funzione nomopoietica di una costante giurisprudenza pretoria ha elaborato la discussa figura della cd. insidia o trabocchetto, consistente in una situazione di pericolo occulto per l’utente della strada non visibile e non prevedibile, pertanto non evitabile attraverso il ricorso alla normale diligenza.
Detto filone giurisprudenziale ha progressivamente specificato ed ampliato il contenuto di siffatta figura, qualificandola dapprima alla stregua di un’opzione sintomatica dell’attività colposa della p.a. e successivamente come un necessario elemento costitutivo della responsabilità dell’amministrazione .
L’onere della prova circa la sussistenza dell’insidia o trabocchetto era peraltro allocato in capo all’utente della strada danneggiato .
Una tale disciplina rinveniva il proprio fondamento nel generale favor che tradizionalmente accompagnava l’esplicazione dell’azione amministrativa secondo moduli privatistici e non già autoritativi.
Tuttavia la predetta opzione interpretativa è stata aspramente criticata da attenta dottrina  che ha rilevato come la figura dell’insidia o trabocchetto costituisse un quid pluris non richiesto dalla generale disciplina in tema di responsabilità aquiliana.
Ed infatti l’illecito extracontrattuale – come configurato dalla norma cardine dell’art. 2043 c.c. – annovera fra i suoi elementi costitutivi il fatto doloso o colposo, l’ingiustizia del danno ed il nesso eziologico fra la condotta del danneggiante e l’evento lesivo.
Non rientrano invece in tale fattispecie né la natura occulta del pericolo né la sua imprevedibilità.
Siffatta dottrina ha altresì sottolineato l’opportunità della comprensione della fattispecie nell’alveo della responsabilità da cose in custodia in una prospettiva di migliore trattamento degli utenti danneggiati e di abbandono della pregressa posizione di privilegio attribuita alla p.a.
La recezione dei sopra citati apporti dottrinali ha condotto la giurisprudenza a riconoscere la configurabilità in capo alla p.a. della responsabilità per danni da cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c. con riguardo ai danni cagionati dalla fruizione di strade pubbliche.
Occorre peraltro rilevare che in un primo tempo siffatta applicazione è stata limitata alle strade di proprietà del Comune o della Provincia ma non anche a quelle di proprietà dello Stato o alle autostrade.
In tale prospettiva il discrimine riguardo l’applicazione dell’art. 2051 c.c. sarebbe stato da ricercarsi nell’effettivo potere di controllo della p.a., tendenzialmente escluso nelle ipotesi di notevole estensione e collocazione extraurbana del manto stradale .
3. I caratteri della responsabilità custodiale della p.a.

A partire dal 2005 si consolida dunque l’orientamento volto ad inquadrare entro l’ambito applicativo dell’art. 2051 c.c. la responsabilità della p.a. per la manutenzione delle strade .
Tale qualificazione è casualmente suffragata sia dalla titolarità delle strade pubbliche da parte della p.a., in virtù dell’art. 16, lettera b, L. n. 2248/1865 All. F. sia da una serie di puntuali obblighi di manutenzione stabiliti da un’articolata normativa settoriale.
Si pensi all’art. 14 C.d.s. a proposito delle strade ed autostrade statali. All’art. 2 d.lg. 143/94 per le strade urbane ed extraurbane. Al d.m. 223/92 per le strade ferrate. All’art. 8 D.P.R. 753/80 per le strade comunali e provinciali.
Ed infatti i presupposti della responsabilità custodiale  prevista dall’art. 2051 c.c. sono da un lato il potere-dovere di custodia e dall’altro la derivazione del danno dalla res custodita.
Custodi sono peraltro non solo i proprietari o possessori ma anche i detentori della cosa .
La responsabilità da cosa in custodia contemplata dall’art. 2051 c.c. si differenzia dall’archetipo normativo tracciato all’art. 2043 c.c. essenzialmente per la diversa distribuzione  dell’onere probatorio fra danneggiante e danneggiato.
La regola generale dell’art. 2043 c.c. prescrive infatti in capo al danneggiato l’onere di dimostrare il danno subito, la natura dolosa o colposa del comportamento del danneggiante nonché il nesso di causalità fra il fatto del danneggiante ed il danno.
Nella fattispecie delineata dall’art. 2051 c.c. incombe invece sul danneggiato l’onere di provare il danno ed il nesso eziologico fra questo e la res custodita.
Grava al contrario sul custode l’onere di dimostrare che il danno sia verificato per caso fortuito al fine di elidere la propria responsabilità .
Siffatta regola parrebbe giustificata dalla situazione di vicinanza alla prova in cui si trova il custode .
La giurisdizione in tema di danni derivanti da omessa manutenzione stradale  della p.a. è attribuita al giudice ordinario in conformità ai principi previsti dall’art.  7 del D. lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (cd. codice del processo amministrativo).
Questo perché la p.a. nella fattispecie agisce iure privatorum e la manutenzione costituisce pertanto un mero comportamento non connesso – neppure mediatamente – all’esplicazione di un potere pubblico.
L’applicazione dell’art. 2051 c.c. può essere peraltro – ad avviso della giurisprudenza – realizzata dal giudice anche allorché la domanda di parte abbia invocato l’art. 2043 c.c.
Siffatta applicazione non impingerebbe infatti nel vizio di ultrapetizione ex art. 112 c.p.c.
Ciò in quanto il principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c. non impedirebbe che il giudice adito renda una pronuncia suffragata da una norma diversa rispetto a quella invocata dall’istante .
Questo perché tale mutamento rientrerebbe nel potere di qualificazione insito nella funzione giudicante.
Il limite di cui all’art. 112 c.p.c. riguarderebbe pertanto solo l’attribuzione di un bene della vita diverso da quello richiesto e non già la diversa qualificazione normativa della fattispecie.

4. Le questioni ancora aperte: la preferibile impostazione dell’art. 2051 c.c. come ipotesi di responsabilità aggravata da presunzione di colpa.

Si discute circa la natura della responsabilità custodiale della p.a. per la manutenzione delle strade ai sensi dell’art. 2051 c.c.
Il relativo dibattito si riverbera poi inevitabilmente sul contenuto della prova liberatoria – costituita dalla dimostrazione caso fortuito – che grava in capo al danneggiante in virtù del sopra citato articolo.
Secondo una tesi dottrinale  largamente seguita – fatta propria anche dalla giurisprudenza della Cassazione – tale forma di responsabilità avrebbe natura oggettiva  e sarebbe esclusa solamente dal caso fortuito.
Detto fattore non atterrebbe alla condotta del responsabile bensì alla struttura causale dell’evento  sostanziandosi in un elemento esterno qualificato dai caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità.
In particolare il caso fortuito sarebbe idoneo ad interrompere il rapporto eziologico fra la cosa e l’evento lesivo .
Siffatta prospettazione sembrerebbe tuttavia prestare il fianco ad una pluralità di rilievi critici.
Ciò in quanto: 1) il caso fortuito non interromperebbe il nesso di causalità fra la res e l’evento lesivo; 2) La condotta della p.a. non sarebbe irrilevante ai fini dell’allocazione della responsabilità per la manutenzione delle strade ai sensi dell’art. 2051 c.c.; 3) La natura della responsabilità de quo non parrebbe perciò – ad una più attenta analisi – di natura oggettiva.
Occorre infatti anzitutto sottolineare come – da un punto di vista squisitamente logico – la sussistenza del caso fortuito non parrebbe determinare, a ben vedere, alcuna cesura del nesso intercorrente fra la res custodita e l’evento lesivo.
Un esempio valga ad illustrare tale asserzione.
Un motociclista cade a causa di una buca del manto stradale e riporta alcune lesioni.
Orbene l’evento lesivo sarà eziologicamente connesso alla strada sia che la buca sia presente sulla sede stradale da un considerevole lasso di tempo sia che venga ad esistenza a causa di un improvviso smottamento (evento imprevedibile ed inevitabile).
Ed infatti le lesioni sono in ogni caso provocate dalla caduta determinata dal manto stradale sconnesso.
Ciò che differenzia le due ipotesi non sarebbe pertanto l’elemento oggettivo consistente nel legame fra la cosa custodita e l’evento bensì l’elemento soggettivo ovvero la condotta del custode in relazione al suo potere/dovere di controllo.
Nel primo caso (ossia la presenza da un considerevole lasso di tempo della buca) infatti emergerebbe la spia di una condotta del custode difforme dai propri doveri di controllo, nel secondo no.
Alla luce di quanto prospettato si evincerebbe come qualificare il caso fortuito alla stregua di un fattore interruttivo del nesso di causalità fra res ed evento lesivo si rivelerebbe nulla di più che un’illusione ottica.
Di conseguenza l’esatta connotazione del caso fortuito sembrerebbe dover essere colta sul piano della riconducibilità o meno dell’evento nell’alveo dei doveri di controllo del custode.
Del resto anche l’orientamento che propende per la natura oggettiva del responsabilità della p.a. per la manutenzione delle strade ricollega l’esclusione della stessa all’impossibilità – da parte dell’operatore statuale – di esplicare un potere di controllo  sulla res.
Tale filone implicherebbe un presupposto che contraddice, rivelando così un’antinomia di fondo: da un lato fonderebbe la responsabilità della p.a. su un comportamento positivo coincidente con la concreta possibilità di controllo della strada custodita .
Dall’altro invece escluderebbe qualsiasi rilevanza del comportamento della p.a. a proposito del caso fortuito, in punto di esonero della responsabilità.
A ben vedere, poi,  proprio la previsione di una prova liberatoria (il caso fortuito) – contenuta nell’art. 2051 c.c. – dovrebbe far dubitare l’interprete della qualificazione di siffatta regola di responsabilità come oggettiva .
Ciò in virtù di una considerazione di carattere sistematico.
Ed infatti le ipotesi codificate d’indubbia responsabilità di natura oggettiva parrebbero qualificate proprio dall’assenza di una possibile prova liberatoria invocabile dal soggetto responsabile.
Si pensi alla responsabilità dei preponenti per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro preposti nell’esercizio delle mansioni cui sono adibiti prevista dall’art. 2049 c.c. oppure alla responsabilità del proprietario o conducente di veicolo per i danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione dello stesso ai sensi dell’art. 2054, comma quarto, c.c.
Pertanto sembrerebbe forse maggiormente appropriata l’analisi ricostruttiva – attualmente minoritaria in dottrina  ed in giurisprudenza  – che identifica nel disposto dell’art. 2051 c.c. una fattispecie di responsabilità aggravata da presunzione di colpa e non di pura responsabilità oggettiva.
Questo perché siffatta impostazione parrebbe più coerente sotto il profilo sistematico, nonché maggiormente lineare rispetto al dato testuale dell’art. 2051 c.c. ed in armonia con i presupposti fondanti la regola di responsabilità inerente la manutenzione delle strade da parte della p.a. imperniati sul potere di controllo dell’operatore statuale.
Tale condivisibile ricostruzione – che gode comunque di un costante seguito da parte di una giurisprudenza costante nel corso dei decenni  – sottolinea come la disciplina delle cose in custodia ex art. 2051 c.c. prevederebbe una presunzione iuris tantum di colpa a carico del custode.
Ciò per una duplica ragione.
In primis detta norma consentirebbe di tutelare adeguatamente l’interesse della collettività ponendo a carico di chi esercita il potere di governo e di controllo della res un particolare obbligo di vigilanza.
In secundis l’inversione dell’onere probatorio permetterebbe di superare le naturali difficoltà cui andrebbe incontro il danneggiato nel dimostrare l’imputabilità del fatto in capo al custode.
Quest’ultimo, invece, avrebbe una possibilità più elevata di acclarare la causa dell’evento lesivo in virtù della propria relazione qualificata con la res custodita.
Si tratterebbe, comunque, di una presunzione posta esclusivamente in favore del danneggiato.
Pertanto non potrebbe giovarsene il terzo chiamato in giudizio.
Secondo tale prospettazione, infatti, la responsabilità discenderebbe comunque dal fatto dell’uomo.
Poiché infatti sussiste in capo al custode un dovere di vigilanza, in presenza di un danno egli dovrebbe essere chiamato a rispondere sulla base di una sua presunta negligenza nella sorveglianza della cosa.
Autorevole dottrina sottolinea pertanto come la prova del caso fortuito prevista dall’art. 2051 c.c. sarebbe la prova che il danno si è verificato per un evento non prevedibile e non superabile con la diligenza normalmente adeguata in relazione alla natura della cosa .

5. I limiti alla responsabilità della p.a.

Sembrerebbe inoltre opportuno soffermarsi sui limiti alla responsabilità custodiale della p.a. per la manutenzione delle strade emergenti dal dato giurisprudenziale.
A fini classificatori parrebbe adeguato distinguere fra limiti esterni ed interni alla fattispecie.
I primi escludono in radice l’applicabilità della di regola di responsabilità in capo alla p.a., configurando ipotesi estranee al paradigma normativo dell’art. 2051 c.c.
I secondi operano invece entro l’ambito applicativo della predetta norma, determinando tuttavia un temperamento dell’obbligazione secondaria a carattere risarcitorio della p.a.
Fra i limiti esterni occorre dunque annoverare quelle ipotesi in cui la strada ove si è verificato il danno non è soggetta al potere di controllo  della p.a.
Ed infatti la custodia – nonché la connessa regola di responsabilità – implica il potere di governo della cosa che ne costituisce oggetto, intesa quale concreta possibilità di vigilare e modificare la situazione fattuale potenzialmente lesiva dell’altrui sfera giuridica .
In assenza di siffatta possibilità di controllo non sarebbe pertanto applicabile la disciplina prevista dall’art. 2051 c.c.
La giurisprudenza ha precisato come l’astratta controllabilità di una strada da parte della p.a. non possa essere desunta oppure esclusa a priori ma debba essere valutata empiricamente caso per caso .
Di conseguenza circostante quali la notevole estensione della sede stradale, la fruizione intesa da parte degli utenti oppure la sua appartenenza al demanio non varrebbero ad escludere in re ipsa la responsabilità custodiale della p.a. ma costituirebbero meri indici di potenziale difficoltà del potere di controllo.
Nel caso delle autostrade, in particolare, la giurisprudenza  afferma la sussistenza di una responsabilità custodiale ai sensi dell’art. 2051 c.c. in capo alla figura soggettiva che ne ha la titolarità o la gestione in virtù della natura di siffatta struttura.
Questo perché l’autostrada sarebbe naturalmente destinata alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza.
Ne consegue che, a proposito delle autostrade, sarebbero veramente angusti gli ambiti oggettivi sottratti all’applicazione della disciplinata tracciata all’art. 2051 c.c.
Il sopra citato potere di controllo – ed il correlativo dovere di vigilanza – non verrebbe meno, ad avviso della giurisprudenza , in presenza di lavori di manutenzione affidati a soggetti terzi (ad es. appalto o contratto d’opera).
Questo perché l’eventuale contratto in essere fra la p.a. ed i terzi costituirebbe un mero strumento tecnico-giuridico volto alla realizzazione concreta del compito istituzionale di manutenzione, gestione e pulizia delle strade affidate alla cura dell’ente territoriale.
Pertanto non escluderebbe la responsabilità della p.a. committente nei confronti degli utenti delle strade in applicazione dell’art. 2051 c.c.
Siffatta responsabilità non si ravviserebbe infatti in capo alla p.a. solo in ipotesi di totale trasferimento  all’appaltatore del potere di fatto sulla res.
Laddove invece il trasferimento di potere a terzi sia solo parziale l’ente proprietario continua a rispondere come custode. In tal caso dunque questi deve continuare ad esercitare sull’opus l’opportuna vigilanza ed i necessari controlli.
In applicazione di questi principi la giurisprudenza ha rilevato la responsabilità concorrente dell’appaltatore e del committente in ipotesi di sinistro causato da omessa o insufficiente segnalazione di lavori in corso .
Ciò anche in riferimento all’obbligo per l’appaltatore – prescritto dall’art. 8 C.d.S. – di custodire il cantiere ed apporre e mantenere efficiente la segnaletica oltre a tutte le altre opportune cautele.
La responsabilità esclusiva dell’appaltatore è stata invece riconosciuta nella diversa ipotesi di area di cantiere delimitata ed esclusa dal traffico veicolare e pedonale .
È peraltro opportuno interrogarsi su quale sia la disciplina applicabile alla fattispecie lesiva da manutenzione stradale non compresa nel paradigma dell’art. 2051 c.c. per mancanza di potere di controllo da parte della p.a.
Parte della dottrina  e della giurisprudenza sottolineano come tali ipotesi rientrerebbero nella residuale regola di responsabilità che rappresenta la norma cardine in materia d’illecito aquiliano, ossia l’art. 2043 c.c.
In relazione alla peculiare ipotesi delle autostrade si potrebbe forse ipotizzare anche una qualificazione in senso contrattuale della relativa responsabilità.
Ciò valorizzando il legame di carattere negoziale che si instaura fra l’utente corresponsore del pedaggio ed la figura soggettiva titolare della predetta infrastruttura .
In tale ottica sembrerebbe dunque presumibilmente possibile ravvisare la sussistenza di un pregresso vincolo negoziale fra il fruitore e la figura soggettiva titolare  dell’autostrada ed una responsabilità da contatto sociale  qualificato nei confronti del gestore della stessa anche in virtù del disposto dell’art. 1374 c.c. a mente del quale “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”.
Sicchè nella fattispecie si potrebbe applicare la disciplina propria della responsabilità di natura contrattuale prevista dall’art. 1218 c.c. riferendosi in particolare all’obbligo di corretta esecuzione del contratto che informa l’operazione ai sensi dell’art. 1375 c.c.
Ne conseguirebbe un diverso termine di prescrizione dell’azione risarcitoria (dieci anni e non già cinque) ed un’inversione dell’onere della prova (spetta al danneggiante dimostrare che l’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile) rispetto alla norma cardine in tema di responsabilità aquiliana prevista dall’art. 2043 c.c.
         In tema di limiti interni alla responsabilità custodiale della p.a. per la manutenzione delle strade occorre invece principalmente riferirsi al concorso del fatto colposo del danneggiato  che – ai sensi dell’art. 1227 c.c. – è idoneo a determinare una riduzione proporzionale della misura del risarcimento dovuto dall’ente in capo al quale grava la responsabilità custodiale ex art. 2051 c.c.
La condotta del danneggiato non basterebbe pertanto  ad escludere la responsabilità della p.a. ove non tale da integrare gli estremi del caso fortuito, ben potendo tuttavia influire sulla determinazione del quantum debeatur in relazione all’incidenza causale di siffatto comportamento.

6. Conclusioni.

Alla luce di quanto prospettato emerge come la comprensione della responsabilità della p.a. per la manutenzione delle strade entro il paradigma applicativo dell’art. 2051 c.c. rappresenta un’evoluzione dei moduli relazionali fra cittadino ed operatore statuale connotati oggi da maggiore trasparenza e democratizzazione.
È pertanto opportuno guardare con favore all’abbandono dell’analisi ricostruttiva imperniata sull’applicazione dell’art. 2043 c.c. qualificata dal requisito (preterlegale) dell’insidia o trabocchetto.
D’altro canto, tuttavia, parrebbe destare alcune perplessità l’accettazione tralatizia – fatta propria da una parte della giurisprudenza di merito e di legittimità – delle plurivoche visioni  che propendono per la natura oggettiva  della regola di responsabilità da cosa in custodia prevista dall’art. 2051 c.c.
Ed infatti, pur se tali multiformi (e non unitarie) ricostruzioni sembrerebbero apparentemente conciliarsi con quel processo di tendenziale traslazione della responsabilità risarcitoria in capo al soggetto economicamente più forte attualmente in essere parrebbero però inevitabilmente configgere tanto con la struttura della norma de quo – che prevede testualmente una prova liberatoria dimostrabile dal danneggiante – quanto con il fondamento della responsabilità custodiale della p.a. per la manutenzione delle strade, identificato da costante giurisprudenza nel potere di controllo della res custodita da parte dell’operatore statuale.
Ne consegue che  le impostazioni oggettive dell’istituto – ancorchè parzialmente condivisibili nei fini –  non lo sarebbero nei mezzi, perché suscettibili di determinare una forzatura del dato testuale ben oltre l’intenzione del legislatore.
Né varrebbe ad avvalorare una ricostruzione in chiave oggettiva della fattispecie la circostanza che, diversamente opinando, sarebbe nella prassi oltremodo difficile per il danneggiato la dimostrazione del danno subito.
Ove infatti operasse la prassi il diritto non sarebbe stato inventato.
Di conseguenza sembrerebbe forse maggiormente adeguata la prospettazione che identifica nella fattispecie prevista dall’art. 2051 c.c. una forma di responsabilità aggravata da presunzione di colpa e non già di pura responsabilità oggettiva .
Pertanto, anche in considerazione della rilevanza statistica della tematica sembrerebbe auspicabile una pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite idonea a comporre gli orientamenti della giurisprudenza ed i disorientamenti dell’interprete.

 
 
 
 
 
 

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