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Magistratura Indipendente

CIVILE  

RESPONSABILITÀ DA CONTATTO SOCIALE: CONSIDERAZIONI SU UN’INESTINGUIBILE FONTE DI DIBATTITO

  Civile 
 giovedì, 11 maggio 2023

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di Eleonora MARCHETTO ROMANO, dottoressa di ricerca dell’Università di Padova

 

 
 

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le principali applicazioni giurisprudenziali. – 3. Uno sguardo comparato: l’esperienza tedesca. –  4. Segue. L’esperienza francese. – 5. Elaborazione dottrinale e conclusioni.

Abstract. Il presente contributo, dopo aver passato in rassegna i principali casi di applicazione giurisprudenziale, svolge alcune considerazioni critiche in relazione alla categoria della responsabilità da c.d. contatto sociale, importata nell’ordinamento italiano a seguito di una circolazione transnazionale di modelli, sui cui lo scritto si sofferma sinteticamente.

This essay, after reviewing the main case law applications, expounds on some critical considerations concerning the concept of liability for “social contact”, which was imported into the Italian juridical system as a result of a transnational circulation of models, on which the paper focuses briefly.

 

1. Premessa

La responsabilità c.d. da contatto sociale giuridicamente qualificato, nell’evoluzione giurisprudenziale, ha trovato applicazione in una serie di situazioni che, pur non costituendo rapporti obbligatori propriamente intesi, caratterizzati cioè da un dovere principale di prestazione e da una corrispondente pretesa creditoria, presentano rispetto ad essi alcune somiglianze dal punto di vista dell’esposizione delle sfere giuridiche delle parti al rischio di subire un danno, che nei casi de quibus eccede quello ordinario dovuto alla normale vita di relazione.

Tali situazioni, che prima facie sembrerebbero collocarsi nell’ambito di operatività della responsabilità aquiliana, si collocano a metà strada tra il contratto e l’illecito, in quella che è stata definita da autorevole dottrina «la zona grigia»[1] tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Proprio per questa caratteristica, nei loro riguardi, è stata avvertita – prima dalla dottrina e, poi, dalla giurisprudenza – la necessità di assicurare al danneggiato una maggiore e più efficace tutela di quella garantita dall’art. 2043 cod. civ, esigenza spesso presentata come legata al bisogno di far corrispondere, nella massima misura possibile, la disciplina del fenomeno giuridico alla sostanza economico-sociale dello stesso.[2]

Più precisamente, con l’espressione “contatto sociale qualificato” si fa riferimento a quelle ipotesi in cui esiste un rapporto particolare tra le parti, ovvero una “relazione” che, seppur priva di fonte contrattuale, viene ritenuta fatto idoneo a produrre obbligazione in forza della formulazione aperta dell’art. 1173 cod. civ.

In altri termini, tale relazione, creatasi prima del verificarsi dell’evento pregiudizievole e connotata dall’affidamento riposto dall’una nei confronti dell’altra in ragione delle sue particolari qualità tecnico-professionali, i.e. del suo status, fa venir meno quella condizione di estraneità tipica della responsabilità aquiliana, concretandosi in rapporti caratterizzati dalla presenza di doveri negativi (astensione da ogni indebita ingerenza nella sfera altrui), ma anche di doveri positivi (obblighi di informazione, obblighi di custodia, etc.), che richiedono di agire al fine di proteggere la sfera giuridica dell’altro soggetto del rapporto, con conseguente applicazione, al verificarsi del danno, della disciplina della responsabilità da inadempimento.

Il concetto di rapporto obbligatorio come struttura complessa, sottostante alla teoria della responsabilità da contatto sociale, ha trovato compiuta affermazione nella dottrina tedesca[3] e – a contrariis – in quella francese[4] ed è approdato nel nostro ordinamento grazie al recepimento operatone dalla giurisprudenza.

L’importazione del modello di responsabilità da contatto sociale, se per un verso appare giustificata a fronte della necessità di apprestare una tutela effettiva in determinate situazioni, per altro verso impone di chiarire i limiti entro i quali essa possa validamente operare, onde non restringere oltre il necessario, l’area di competenza della responsabilità ex delicto, possibilmente individuandone un solido fondamento normativo e un valido inquadramento dogmatico.

Infatti, l’apertura dimostrata dalla giurisprudenza all’istituto in commento ha avuto l’effetto di porre in discussione, da un lato, la tradizionale struttura del rapporto obbligatorio fondato sulla sola prestazione, dall’altro, gli stessi confini della responsabilità contrattuale.

Più precisamente, con riferimento alla struttura del rapporto obbligatorio, la questione muove dalla costruzione dello stesso come rapporto semplice, a struttura lineare, avente ad oggetto la sola prestazione, o, diversamente, quale rapporto complesso che, accanto all’obbligo primario di prestazione, vede il sorgere di “obblighi di protezione” diversi e prodromici, di cui, tuttavia, non esiste una definizione normativa, né una diposizione di legge che vi faccia riferimento[5].

Da qui discende, quale necessario corollario, una diversa nozione di rapporto obbligatorio che, se considerato come rapporto a struttura complessa, prescinde dalla (necessaria) presenza dell’obbligo primario di prestazione, facendo (esclusivamente) leva sul requisito della relazionalità.

L’assunto diviene sostenibile, lo si intuisce, nel solo caso in cui sia attribuita agli obblighi di protezione una funzione (non più solo accessoria, ma) autonoma, tesa a garantire l’interesse di ciascuna parte a preservare la propria persona e i propri beni dalla specifica eventualità di danno derivante dalla particolare relazione costituitasi.

Circa l’applicazione giurisprudenziale dell’istituto, si deve osservare che le Corti nazionali non sempre hanno rispettato l’esatta fisionomia assunta dal modello nell’ordinamento di provenienza e, ciò, soprattutto in ordine alla teorizzazione del contatto sociale (spesso confuso o assimilato a quello “negoziale”), della responsabilità da affidamento generata da status professionale e del rapporto obbligatorio senza prestazione, facendo talvolta presupporre un misunderstandig del reale significato e dell’effettiva portata di quegli stessi istituti, come rimproverato da parte della dottrina[6].

Ad ogni modo, l’attualità dell’argomento – ovvero della possibilità di generalizzare la responsabilità da contatto sociale, eventualmente codificando la disciplina degli obblighi di protezione – emerge chiaramente se ci si sofferma sugli ambiti in cui, più di recente, essa è stata invocata.

Infatti, il terreno applicativo del rapporto obbligatorio senza prestazione è suscettibile di estensione ad una gamma indefinita di rapporti, ogni qual volta fra due soggetti insorga una relazione per la quale l’imperativo della buona fede prescriva l’adozione di specifiche cautele.

Ad esempio, nelle altalenanti vicende che hanno riguardato le clausole claims made nei contratti assicurativi, le Sezioni Unite, con la sentenza del 24 settembre 2018, n. 22437[7], esaminando i possibili presidi di tutela offerti all’assicurato, destinati a operare con riferimento alla singola relazione che incorpori lo schema claims made, con riguardo alla fase precontrattuale, hanno posto particolare enfasi sugli obblighi informativi gravanti sull’assicuratore e sui relativi intermediari.

Il mancato rispetto di detti obblighi, quand’anche non si traduca nella figura del dolo contrattuale, rileva nella misura in cui il quadro informativo distorto abbia alterato la conformazione del contratto, pur validamente concluso[8]. Alla violazione, riconducibile a responsabilità contrattuale (basata sul contatto sociale qualificato durante le trattative[9]), consegue un rimedio risarcitorio, funzionale all’obiettivo di porre l’assicurato nella medesima posizione in cui si sarebbe trovato in assenza di informazioni lacunose o distorte.

D’altro canto, la teoria è stata utilizzata in dottrina quale criterio utile per il riparto di responsabilità tra piattaforme della on-demand economy e autore materiale del danno: è il caso di Uber, dove il trasporto materiale del passeggero da parte del driver si pone come condotta esecutiva dell’obbligazione assunta dalla piattaforma[10] – che è impresa che offre al pubblico dei servizi, della cui funzionalità risponde interamente e direttamente nei riguardi del proprio contraente[11]. Tuttavia, in caso di pregiudizio patito dal trasportato coinvolto in un incidente dovuto alla negligenza del driver alla guida, vi sarebbero i presupposti per un’azione del danneggiato anche nei confronti dell’autista in via contrattuale sulla scorta dell’affidamento da un contatto sociale, qualificato dalla posizione di garanzia assunta rispetto al bene-salute del passeggero[12], pur ferma la responsabilità della piattaforma avente origine nel contratto di trasporto.

Peraltro, in materia di responsabilità civile dei provider di Internet (ex artt. 12-15 della Direttiva n. 2000/31/CE, recepita con d. Lgs. n. 70/2003) per i contenuti illeciti immessi in rete dagli utenti attraverso i servizi messi dai primi a disposizione dei secondi, vi sono alcune pronunce di merito che qualificano l’ulteriore obbligo di rimozione dei suddetti contenuti come derivante da contatto sociale.

Tra queste, una pronuncia del Tribunale di Torino[13], a tenore della quale: «quando il titolare di un diritto d’autore abbia indicato ad un hosting provider che il contenuto di un Url vìola i suoi diritti e l’Isp lo abbia rimosso, il medesimo Isp ha un obbligo generale di rimuovere il medesimo contenuto quando questo venga rimesso in linea in tutto o in parte, senza che il titolare dei diritti abbia un onere di riavviare il procedimento della diffida previa: e la relativa responsabilità dell’Isp nei confronti del titolare è quella c.d. del contatto sociale e dei corrispondenti obblighi di protezione dei diritti altrui»; alla stessa conclusione perviene anche il Tribunale di Roma[14], nella sentenza resa nel c.d. caso Vimeo.

Ancora, la teoria della responsabilità da contatto sociale ha rivestito un ruolo centrale in tema di disciplina della concorrenza, ex art. 101 TFUE, e di abuso di dipendenza economica. Infatti, nei confronti di chi si trova in condizioni di supremazia economica – concetto da non intendersi quale detenzione di posizione dominante sul mercato nel mercato di riferimento, bensì come nozione relativa, e cioè attinente al concreto rapporto intersoggettivo, nel quale una delle parti appare economicamente dipendente dall’altra – gravano, nell’ambito della trattativa precedente la stipulazione dell’accordo, doveri di protezione dell’altrui sfera giuridica, dipendenti dal fatto che tale impresa è in grado di determinare, nei rapporti commerciali con altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi.

Pertanto, l’impresa in grado di esercitare la detta influenza è tenuta, per effetto delle conseguenze che la buona fede ricollega al rapporto di supremazia economica, alla tutela della sfera giuridica della parte in condizioni di inferiorità: in altri termini, l’ “inferiorità grave” è il presupposto di un complesso di obblighi di comportamento che sorgono prima ed indipendentemente dal contratto, per il solo contatto sociale che si stabilisce fra due soggetti, l’uno economicamente dipendente dall’altro, al momento di intraprendere le trattative per la conclusione di un affare. In sostanza, quindi, si tratta di un rapporto obbligatorio che non deriva da alcun contratto (anzi, lo precede) e che resta estraneo alla categoria del torto.

Più in generale, si può ragionevolmente affermare che il modello dell’obbligazione senza presentazione – e, correlativamente, degli obblighi di protezione e della responsabilità da contatto sociale – potrebbero essere utilizzati quale strumento per avvicinare l’ordinamento interno alle norme di derivazione eurounitaria, la cui ispirazione è marcatamente rimediale[15].

Infatti, con il progressivo ampliamento delle aree di influenza del diritto eurounitario, il Giudice nazionale è spesso chiamato ad adottare un nuovo metodo – appunto, rimediale – caratterizzato da un elevato grado di concretezza, in cui l’accento è posto sulla «soluzione che concretamente l’ordinamento offre ad un individuo di fronte alla violazione del suo interesse»[16]: tra queste soluzioni, com’è evidente, una delle «figure sintomatiche»[17] che danno corpo alla prospettiva rimediale è la responsabilità civile[18].

Dunque, nell’ottica della prospettiva rimediale, la giurisprudenza ha (talvolta) realizzato una “torsione” interpretativa dei presupposti necessari per l’esperibilità del rimedio risarcitorio non solo allo scopo di garantire un semplice rimedio, ma un rimedio effettivo, in ossequio al disposto degli articoli 19 TUE, 47 della Carta dei diritti fondamentali, nonché degli articoli 24 e 111 della Costituzione.

 

2. Le principali applicazioni giurisprudenziali

L’ambito di elezione della teoria del contatto sociale, ove ad essa si è fatto ampio ricorso, è quello della responsabilità del medico dipendente della struttura sanitaria (pubblica o privata) nei confronti del paziente, posto che tra questi non esiste un rapporto contrattuale che – semmai – lega il paziente alla struttura ospedaliera.

Coerentemente, la prima pronuncia a riconoscere la responsabilità da contatto sociale è stata la sentenza della Cassazione del 22 gennaio 1999, n. 589[19] nella quale i Giudici di legittimità hanno ricostruito la responsabilità del medico in termini di responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato.

Secondo le considerazioni svolte dalla Suprema Corte, nei confronti del medico dipendente da struttura sanitaria si configurerebbe una responsabilità contrattuale nascente da un’obbligazione senza prestazione, in quanto, atteso che sul medico gravano gli obblighi di cura impostigli dalla professione esercitata, il vincolo con il paziente esiste – nonostante non si traduca in un vero e proprio obbligo di prestazione – e la sua violazione si configurerebbe come culpa in non facendo, la quale dà origine a responsabilità contrattuale.

Al di là dell’improprio richiamo ai rapporti contrattuali di fatto operato nel corso dell’iter motivazionale[20], la Corte desume dall’inquadramento contrattuale della fattispecie precisi effetti «sui veri nodi della responsabilità del medico, cioè il grado della colpa e la ripartizione dell’onere della prova».

Sul primo versante, la Corte richiama integralmente l’art. 1176 cod. civ., con la conseguenza che al medico chirurgo è richiesta non solo la diligenza del buon padre di famiglia (primo comma), ma, in quanto debitore qualificato, il rispetto di tutte le regole dell’arte e l’impiego degli strumenti adeguati, che, nel loro insieme, costituiscono la conoscenza dell’ars medica, facendo salvo il disposto di cui all’art. 2236 cod. civ. (che trova applicazione diretta «senza la necessità di effettuarne una applicazione analogica»).

In relazione al secondo nodo, la Corte supera anche le tradizionali modalità di ripartizione dell’onere probatorio tra ente, medico e paziente, affermando che «sia ai fini della rilevanza del grado della colpa che della ripartizione dell’onere probatorio, non esiste una differenza di posizioni tra i due soggetti, a seconda che si agisca nei confronti dell’ente ospedaliero ovvero del medico dipendente».

L’orientamento si è successivamente consolidato, trovando conferma nella sentenza delle Sezioni Unite di Cassazione dell’11 gennaio 2008, n. 577[21], ove sono stati ritenuti operanti anche in ambito di responsabilità medica i principi in materia di prova dell’inadempimento enucleati nella precedente pronuncia delle Sezioni Unite del 30 ottobre 2001, n. 13533[22].

L’applicazione dei suddetti principi alle cause di responsabilità professionale sanitaria si è tradotta nel ritenere sufficiente – ai fini del soddisfacimento dell’onere della prova – che l’attore (paziente-danneggiato) provi l’esistenza del contratto (recticus: del contatto sociale) e l’insorgenza e/o l’aggravamento della patologia, limitandosi, per converso, ad allegare l’inadempimento del debitore astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, restando in capo al debitore (medico-danneggiante) l’onere di dimostrare che tale inadempimento non vi è stato, o che, pur essendovi stato, non è stato causa del danno.

Il campo di applicazione della teoria del contatto sociale qualificato è stato, poi, ampliato con la pronuncia a Sezioni Unite del 27 giugno 2002, n. 9346[23], che ha affermato l’inapplicabilità dell’art. 2048 cod. civ. all’ipotesi del danno cagionato dall’allievo a se stesso, affermando, invece, la natura contrattuale della responsabilità a carico dell’istituto scolastico e dell’insegnante nei confronti del minore.

In particolare, viene affermato che «la relazione qualificata derivante dal contatto sociale tra allievo e insegnante fa sorgere in capo a quest’ultimo, accanto all’obbligo di istruire ed educare, anche un obbligo di protezione onde evitare che l’allievo procuri a se stesso lesioni, la cui violazione determina il sorgere di una responsabilità di natura contrattuale ex art. 1218 c.c.».[24] Sul punto, però, ci si permette di osservare che la professionalità dell’insegnante risiede nell’insegnamento, più che nella tutela della salute degli allievi[25].

Ad ogni modo, da tale premessa discende l’applicazione del regime probatorio previsto dalla già menzionata sentenza Cass. Sez. Un., n. 13533/2001.

Tuttavia, ad oggi, il ricorso all’assetto probatorio contrattuale nella fattispecie in oggetto (responsabilità del docente per le lesioni auto-infertesi dall’alunno) non sembra più condivisibile, soprattutto a seguito dell’intervento legislativo in ambito medico-sanitario, apparendo più ragionevole ipotizzare un’estensione analogica del modello di responsabilità delineato dalla c.d. Legge Gelli-Bianco, che non perpetuare nell’uso della categoria del contatto sociale.

In conformità con la disciplina detta in ambito medico-sanitario, dunque, si configurerebbe, per un verso, la responsabilità della struttura scolastica ex art. 1228 cod. civ. per i danni occorsi agli allievi sotto la vigilanza dei docenti sugli stessi e, per altro verso, la responsabilità ex delicto dei precettori: un tanto perché tra le due fattispecie ricorre una identitas rationis (ubi eadem ratio, ibi eadem juris dispositio)[26], senza considerare che tale soluzione (l’estensione in via analogica del modello di responsabilità adottato in materia sanitaria) risulterebbe in linea anche con (alcune) indicazioni provenienti dalla teoria generale dell’interpretazione, secondo la quale, «il sopraggiungere di nuove leggi impone all’interprete, per evitare incongruenze e disarmonie, di provvedere ad un adeguamento e ad un adattamento delle norme antiche e nuove, ad una messa in accordo per via interpretativa»[27].

A sostegno di tale lettura, dal punto di vista delle norme di rito, può citarsi l’art. 61 della legge n. 312/1980 (ora sostituito dall’art. 54 d. lgs. n. 297/1994) in materia di responsabilità civile del personale scolastico statale, che prevede la sola legittimazione processuale passiva dell’Amministrazione (Ministero della pubblica istruzione), la quale, salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, si surroga ai dipendenti nelle azioni di responsabilità civile promosse da terzi[28]: il precettore opera come ausiliario della struttura scolastica, la quale è un’organizzazione complessa e, come tale, meglio in grado di gestire il contenzioso relativo ai fatti commessi dai suoi ausiliari.

Un altro ambito nel quale ha trovato spazio di applicazione la responsabilità da contatto sociale è quello nascente dall’art. 43, comma 2, della legge assegni (R. d. n. 1736/1933), che regola l’adempimento dell’assegno non trasferibile ed impone alla banca di pagarlo esclusivamente al soggetto individuato come prenditore.

Le Sezioni Unite di Cassazione[29], sul punto, sono intervenute sostenendo la natura contrattuale della responsabilità imputabile all’istituto bancario in tali ipotesi, traendo le mosse dagli approdi giurisprudenziali in tema di responsabilità medica e dell’insegnante per danno cagionato dall’alunno a se stesso, riconducendo alla categoria del contatto sociale qualificato anche la fattispecie in esame. In particolare, tale soluzione è adottata sul presupposto che «in capo al banchiere presso cui l’assegno non trasferibile è posto all’incasso sorge un obbligo professionale (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto) di far sì che il titolo sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso e la responsabilità deriva appunto dalla violazione di un siffatto obbligo di protezione, che opera nei confronti di tutti i soggetti interessati alla regolare circolazione del titolo ed al buon fine della sottostante operazione».

Di particolare rilievo, nella pronuncia in oggetto, è l’argomentazione con cui si perviene ad affermare la vis expansiva della responsabilità contrattuale al di fuori delle ipotesi in cui l’obbligo di prestazione derivi dalla fonte contrattuale intesa in senso proprio. Si legge, infatti, che «la responsabilità nella quale incorre il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l’obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell’accezione che ne dà l’art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui esso dipenda dall’inesatto adempimento di un’obbligazione preesistente, quale ne sia la fonte».

In altri termini, la Corte sostiene che la qualificazione “contrattuale” costituisce una sineddoche, giustificata dal fatto che essa ricorre con maggiore frequenza in presenza di vincoli contrattuali inadempiuti, ma che, in realtà, il suo campo di operatività è più ampio, ricomprendendo l’inadempimento di una qualsiasi obbligazione preesistente, poiché, sotto il profilo pratico, non vi sarebbe alcun motivo per distinguere tra obbligazioni ex contractu e obbligazioni ex lege, data la comune soggezione al regime di cui all’art. 1218 cod. civ.

Ancora, la giurisprudenza di legittimità ha fatto ricorso alla categoria del contatto sociale in tema di mediazione, al fine di affermare la responsabilità contrattuale del mediatore per l’inesattezza delle informazioni da lui fornite allo scopo di favorire la conclusione di un contratto alle parti di un futuro affare. La pronuncia cui ci si riferisce è la n. 16382 del 14 luglio 2009[30].

In essa, è operata una distinzione tra mediazione ordinaria (o tipica) di cui all’art. 1754 cod. civ., consistente in un’attività giuridica in senso stretto e mediazione atipica, di tipo contrattuale, ricondotta alla disciplina del mandato.

Quanto alla prima (mediazione tipica), i Giudici di legittimità sottolineano come la previsione di cui all’art. 1754 cod. civ., individuando nel mediatore «colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza», pone in rilievo tre aspetti: l’attività di mediazione prescinde da un sottostante obbligo a carico del mediatore stesso, perché posta in essere in mancanza di apposito titolo (costituente rapporto subordinato o collaborativo); “la messa in relazione” delle parti ai fini della conclusione di un affare è quindi qualificabile come di tipo non negoziale, ma giuridica in senso stretto; detta attività si collega al disposto di cui all’art. 1173 cod. civ., in tema di fonti delle obbligazioni, nella parte in cui è disposto che queste ultime derivano, oltre che da contratto e da fatto illecito, anche da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.

Tale attività viene, quindi, qualificata come materiale (attività giuridica in senso stretto) e non negoziale, non solo perché gli effetti della stessa sono predeterminati dal legislatore (in particolare, con riferimento alla provvigione), ma soprattutto perché non vi è alla base un contratto e, dunque, il mediatore acquista il diritto alla provvigione sulla base di un comportamento (messa in relazione di due o più parti) che il legislatore riconosce per ciò solo fonte di rapporto obbligatorio e dei connessi effetti giuridici.

Pertanto, con riferimento alla mediazione tipica, la responsabilità del mediatore generata dalla violazione degli obblighi di correttezza ed informazione viene ricondotta all’alveo della responsabilità contrattuale da contatto sociale (nella mediazione atipica, invece, essendo l’attività del mediatore posta in essere in adempimento di un obbligo contrattuale, la responsabilità viene ricondotta all’ambito contrattuale, ma non da contatto sociale).

Merita di essere sottolineato, in relazione alla mediazione tipica, il seguente passaggio motivazionale: «se prima facie la responsabilità del mediatore non mandatario appare agevolmente di natura extracontrattuale, risulta preferibile, riguardando la stessa una figura professionale, applicare la più recente previsione giurisprudenziale di legittimità della responsabilità da contatto sociale; infatti, tale situazione è riscontrabile nei confronti dell’operatore di una professione sottoposta a specifici requisiti formali ed abilitativi, come nel caso di specie in cui è prevista l’iscrizione ad un apposito ruolo, ed a favore di quanti, utenti-consumatori, fanno particolare affidamento nella stessa per le sue caratteristiche (si pensi ad esempio, alle c.d. agenzie immobiliari dalle particolari connotazioni professionali ed imprenditoriali)»[31].

Circa gli ultimi due campi applicativi esaminati non si può non rilevare che si sarebbe potuti arrivare a sostenere l’applicabilità della disciplina contrattuale in tema di responsabilità senza far ricorso alla categoria del contatto sociale.

Infatti, tanto nell’una, quanto nell’altra ipotesi, si può agevolmente discorrere di violazioni di obbligazioni ex lege, fondate su precise norme – rispettivamente l’art. 43, comma 2, legge assegni e l’art. 1759 cod. civ. –  che prevedono obblighi protettivi ed informativi in capo ai professionisti de quibus; ne discende che dal loro inadempimento scaturirebbe automaticamente il sorgere di una responsabilità da inadempimento di precedente obbligazione, senza la necessità di giustificare diversamente l’applicazione della disciplina contrattualistica in materia[32].

La teoria del contatto sociale qualificato ha trovato applicazione anche nell’ambito del diritto amministrativo, sia con riferimento alla responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, che in materia di responsabilità precontrattuale, nonché – da ultimo – in tema di responsabilità dello Stato per il mancato, o inesatto, recepimento delle norme di matrice eurounitaria.

Quanto alla responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, essa viene riconosciuta, per la prima volta, ad opera della storica sentenza della Corte di cassazione a Sezioni unite n. 500 del 1999[33].

Grazie a questa pronuncia cade il “dogma” della non risarcibilità degli interessi legittimi, in quanto la Corte riconosce nell’art. 2043 cod. civ. una norma primaria sanzionatoria delle condotte produttive di danno, giungendo così ad affermare che «la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di un altro interesse giuridicamente rilevante, rientra nella fattispecie della responsabilità aquiliana, ai fini della qualificazione del danno come ingiusto».

Tale ricostruzione, però, ha incontrato plurime critiche in dottrina, nonché un’applicazione ondivaga in giurisprudenza.

Da parte sua, la dottrina[34] ha valorizzato il fatto che, nelle ipotesi in cui il privato e l’amministrazione sono parti di un procedimento amministrativo, difetta in radice l’elemento di estraneità tra danneggiato e danneggiante, che costituisce il proprium della responsabilità extracontrattuale. Infatti, a seguito del “contatto” che si instaura nel corso del procedimento, sorge un rapporto giuridico ancor più stretto di quello che lega le parti di una trattativa, poiché nella relazione intercorrente tra l’amministrazione e il privato, oltre all’obbligo di comportarsi secondo buona fede, assumono rilevanza tutta una serie di ulteriori obblighi gravanti sull’amministrazione, individuati in base alla legge n. 241 del 1990 (si ricordano, solo a titolo esemplificativo, l’obbligo di concludere il procedimento entro un certo termine con provvedimento espresso di cui all’art. 2, l’obbligo di motivazione del provvedimento ai sensi dell’art. 3, l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7), senza che ciò implichi il sorgere di un obbligo di prestazione in capo alla pubblica amministrazione cui corrisponda un diritto di credito del privato.

In altri termini, la citata dottrina, attraverso il richiamo all’istituto dell’obbligazione senza prestazione, sussume la responsabilità della pubblica amministrazione per la lesione di interessi legittimi nell’alveo della responsabilità contrattuale, in quanto, in tali ipotesi, gli obblighi di rispetto e di protezione dell’altrui sfera giuridica «non nascono dal semplice contatto procedimentale, bensì specificatamente dallo status della P.A., quale soggetto tenuto all’osservanza della legge come fonte di legittimità dei propri atti»[35] .

Sul versante giurisprudenziale, la natura contrattuale della responsabilità della pubblica amministrazione viene affermata prima dal Consiglio di Stato[36] e poi dalla Corte di cassazione[37], sebbene in isolate pronunce.

Ad onor del vero, questo filone giurisprudenziale condivide l’impostazione dottrinale – di cui supra – solo in relazione all’aspetto inerente la distribuzione tra le parti dell’onere probatorio, con specifico riferimento alla prova dell’elemento soggettivo (la colpa) della pubblica amministrazione, senza mai affermare la generale operatività della disciplina dettata in tema di responsabilità contrattuale. In sostanza, è accolto il richiamo al contatto sociale nella sola parte in cui sottolinea la specifica fisionomia della posizione giuridica del privato coinvolto nella vicenda amministrativa, affermando che «proprio l’adeguata valorizzazione del rapporto procedimentale instaurato tra le parti consente di affermare che l’onere della prova dell’elemento soggettivo dell’illecito va ripartito secondo criteri sostanzialmente corrispondenti a quelli codificati dall’articolo 1218 del codice civile. Detta conclusione, peraltro, resta circoscritta alla rilevanza del profilo della colpa, senza implicare la soluzione del più ampio problema dell’attuale fisionomia del rapporto amministrativo e della sua distanza concettuale dallo schema della obbligazione di diritto civile»[38].

Quanto alla responsabilità precontrattuale della P.A., una granitica giurisprudenza di legittimità[39] – almeno sino al 2011 – la incardinava nell’ambito della responsabilità extracontrattuale.

Tuttavia, nel 2011 appunto, sono intervenute due decisioni (Cass. civ. nn. 27648 e 24438 del 2011[40]), che hanno posto in discussione tale consolidato orientamento: i giudici di legittimità, cioè, hanno affermato che «nell’ambito della responsabilità precontrattuale la parte che agisce in giudizio per il risarcimento del danno non è tenuta a provare il dolo o la colpa dell’autore dell’illecito, versandosi in una delle ipotesi previste dall’art. 1173, come nel caso di responsabilità da contatto sociale, di cui la responsabilità precontrattuale costituisce una figura normativamente qualificata».

Le due sentenze in commento, nonostante siano state seguite da pronunce di segno opposto – in conformità con l’orientamento tradizionale[41] –  hanno aperto la strada ad una più recente sentenza, la n. 14188[42] del 2016, resa a sezione semplice, la quale è particolarmente pregevole dal punto di vista della completezza della motivazione.

In seno a tale controversia, si discuteva di un contratto di appalto, stipulato tra una P.A. ed una privata società, sprovvisto della necessaria approvazione preventiva, effettuata con provvedimento espresso dall’organo competente.

Proprio circa tale difetto, la Corte afferma che: «l’eventuale responsabilità della P.A., in pendenza dell’approvazione ministeriale, deve essere configurata come responsabilità precontrattuale ai sensi degli artt. 1337 e 1338, inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale da contatto sociale qualificato, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 e dal quale derivano non obblighi di prestazione ai sensi dell’art.1174, bensì reciproci obblighi di buona fede, protezione, informazione ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.».

Nell’interpretazione tradizionale dell’art. 1173 cod. civ., secondo la Corte, «risulta pretermessa la terza, importante, fonte delle obbligazioni, rappresentata (…) da ogni atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico; il che non ha consentito di dare il giusto rilievo, sul piano giuridico, alla peculiarità di talune situazioni non inquadrabili né nel torto né nel contratto, e – tuttavia – singolarmente assimilabili più alla seconda fattispecie che non alla prima».

È effettuato, poi, un riferimento alla dottrina tedesca degli anni ’30 del secolo scorso, che ha costituito il punto di partenza per la teorizzazione di «un vero e proprio rapporto obbligatorio senza obbligo di prestazione, qualificato dall’affidamento reciproco delle parti e, però, connotato da obblighi di informazione e di protezione, costituenti un completamento ed un corollario dell’obbligo di buona fede che grava su ciascuna parte, laddove viene ad assumere una posizione di garanzia nei confronti dell’altra», precisando «come il proprium della responsabilità contrattuale non sia più costituito dalla violazione di una pretesa di adempimento, bensì dalla lesione arrecata ad una relazione qualificata tra soggetti, in quanto tale sottoposta dall’ordinamento alla più pregnante ed efficace forma di responsabilità, rispetto a quella aquiliana, rappresentata dalla responsabilità di tipo contrattuale».

Infine, la teoria del contatto sociale ha trovato spazio anche in tema di responsabilità per omessa attuazione di direttive europee.

Ci si riferisce all’interpretazione (non autentica) data dalla Terza Sezione della Corte di cassazione[43] della pronuncia a Sezioni Unite del 17 aprile 2009, n. 9147, che ha fondato la responsabilità risarcitoria dello Stato sull’inadempimento di un’obbligazione gravante ex lege sul medesimo, riconducendola allo schema di cui all’art. 1176 cod. civ.

Secondo la Terza Sezione, la sussunzione della responsabilità nelle fattispecie in oggetto tra gli altri fatti idonei a produrre un’obbligazione (in questo caso, risarcitoria indennitaria) e, conseguentemente, della sua qualificazione come “contrattuale”, a fronte del carattere cogente della giurisprudenza comunitaria[44], si giustifica a fronte del fatto che con tale aggettivazione ci si vuole riferire ad un’obbligazione che non nasce da fatto illecito – alla stregua dell’art. 2043 e ss. cod. civ. – ma che è dall’ordinamento collegata direttamente ad una violazione di un obbligo precedente, che ne costituisce la fonte. In altri termini, cioè, il concetto di responsabilità contrattuale non è stato utilizzato nel senso di “responsabilità che presuppone un contratto” – che sarebbe del tutto abnorme – ma nel senso di responsabilità che nasce dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, basato sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia (che l’ordinamento riconosce), in ossequio a quanto previsto dall’art. 1173 cod. civ.

Dall’esame dei maggiori precedenti giurisprudenziali in tema di contatto sociale giuridicamente qualificato – come accennato supra (v. § 1) – emerge come la categoria sia stata utilizzata in risposta all’esigenza di dare soddisfazione a bisogni di tutela via via emergenti e sprovvisti di un’adeguata protezione a fronte delle norme in cui tradizionalmente venivano ricondotti; detto altrimenti, si avverte un “distacco dalla fattispecie”[45] , che «disvela un bisogno, un’esigenza (di tutela) che la fattispecie non ha avuto la volontà, l’occasione o la capacità di individuare, onde la necessità di delineare un altro percorso»[46].

 

3. Uno sguardo comparato: l’esperienza tedesca

Come già riferito supra (v. § 1), la figura del “contatto sociale qualificato” è ispirata dalle teorie elaborate in Germania e in Francia nel corso del XX secolo in tema di obbligazione.

Esse muovono dalle peculiarità sistemiche dei due ordinamenti, non solo con riferimento ai problemi dell’inadempimento e del contratto, ma anche alla differente fisionomia (riguardo all’estensione dell’area dei danni risarcibili e ai modelli di imputazione) dei sistemi di responsabilità extracontrattuale.

In particolare, nell’esperienza tedesca, prima dell’entrata in vigore nel 2002 della legge sulla modernizzazione del diritto delle obbligazioni (Gesetz zur Modernisierung des Schuldrechts[47]), il codice civile limitava le ipotesi di inadempimento contrattuale all’impossibilità della prestazione (Unmöglichkeit der Leistung) e al ritardo imputabile al debitore (Verzug), nulla prevedendo, in generale, per il caso dell’adempimento puntuale, ma inesatto (c.d. schlecthe Erfüllung)[48].

È proprio a superamento delle lacune teoriche e pratiche poste dalla disciplina tedesca sull’inadempimento, che Staub elabora la teoria delle violazioni positive del contratto (positiven Vertragsverletzungen)[49]: atteso che il codice tedesco, nel prevedere specificatamente il risarcimento del danno provocato dal ritardo (§ 286 BGB), non contiene «un’analoga disposizione per le numerose ipotesi in cui qualcuno viola un’obbligazione mediante condotta positiva, facendo qualcosa che dovrebbe omettere, oppure eseguendo la prestazione dovuta, ma in modo inesatto»[50],  l’Autore, in analogia con la disciplina del danno provocato da ritardo (§ 286 BGB), elabora il principio in base al quale «chi viola colpevolmente un’obbligazione con un’azione positiva deve risarcire l’altra parte del danno cagionato»[51], mentre, nei casi di contratti sinallagmatici, il contraente non inadempiente ha diritto al risarcimento dei danni o allo scioglimento del contratto (§ 326 BGB)[52].

Successivamente, su tali argomentazioni, Stoll costruisce il proprio studio sul rapporto obbligatorio[53].

Lo studio, di più ampio respiro, considera il rapporto obbligatorio sia dalla prospettiva del debitore, che da quella del creditore, evidenziando come l’esecuzione del rapporto obbligatorio, oltre al sorgere degli obblighi di adempimento –  che hanno uno scopo positivo e sono diretti alla realizzazione dell’interesse alla prestazione –  implica anche la creazione di obblighi “altri”, definiti obblighi di protezione (Schutzpflichten), che nascono dal dovere di buona fede (Treu und Glaben) e sono tesi a garantire l’interesse, comune tra le parti, a non subire lesioni nella propria sfera personale e patrimoniale.

L’Autore sottolinea come il dovere di buona fede «persegue necessariamente uno scopo negativo: esso deve proteggere la controparte dai danni che potrebbero scaturire dalla relazione speciale e per il tramite di essa», ma, al contempo, specifica come «questi obblighi possono avere un contenuto piuttosto vario e, nonostante il loro scopo negativo, possono consistere anche in un fare positivo; spesso, infatti, sono obblighi di denuncia e di conservazione»[54].

Gli obblighi di protezione, nella dottrina di Stoll, sono obblighi legali, poiché trovano la loro fonte nella clausola generale di buona fede di cui al § 242 BGB; essi non sono assorbiti, né sono specificazione, dell’oggetto principale dell’obbligazione, ma ad esso risultano connessi, tutelando la sfera giuridica della controparte con riferimento a beni (vita, salute, integrità fisica, proprietà), che potrebbero essere protetti sulla base delle regole di responsabilità aquiliana, ma che, risultando funzionali a realizzare lo scopo positivo dell’obbligazione, legittimano la controparte ad agire in base alle regole della responsabilità contrattuale[55].

In tal modo, si estende la protezione più ampia e forte concessa dalla normativa sull’inadempimento contrattuale a questi obblighi e ciò a prescindere dall’adempimento o meno della prestazione principale.

È bene evidenziare, però, che nella ricostruzione di Stoll gli obblighi di protezione sono (ancora) qualificati e considerati come “accessori” rispetto all’obbligo di prestazione e, quindi, non possono assumere alcuna rilevanza autonoma.

Diversamente, Haupt, padre della teoria dei rapporti contrattuali di fatto[56], riconosce agli obblighi di protezione, in particolare a quelli che danno fondamento alla responsabilità per culpa in contrahendo, un ruolo autonomo, ricomprendendoli nel primo gruppo della sua casistica tipizzata di rapporti contrattuali di fatto nascenti da contatto sociale (kraft sozialen Kontaktes).

Egli attribuisce rilevanza giuridica a tutta una serie di relazioni sociali che nascono in modo tipico tra gli interessati, precisando come «l’elemento che fa assurgere una serie di rapporti a relazioni contrattuali non è l’accordo negoziale, ma soltanto circostanze di fatto oggettive»[57].

Tale teoria, duramente contestata, ebbe un’ulteriore evoluzione, improntata da Dölle[58]. L’Autore, riaffermando l’autonomia del rapporto di protezione, ne propone una lettura ampliata tesa ad allargare l’ambito di operatività della responsabilità contrattuale anche a quelle ipotesi di “contatto sociale” diverse dalle trattative precontrattuali e contrassegnate dalla presenza di un affidamento tra i soggetti in contatto.

Sul punto, fortemente critica è la posizione assunta da Larenz[59] che contrappone il “contatto sociale” al “contatto negoziale”, sostenendo la necessità di limitare l’istituto della culpa in contrahendo ai soli contatti del secondo genere.

Con la riforma del BGB, può dirsi definitivamente tramontata la teoria del “contatto sociale” – sic et simpliciter – in Germania, essendo stato preferito il (contrapposto) “contatto negoziale”.

In particolare, il § 311 BGB, che regola la costituzione dei rapporti obbligatori negoziali e dei rapporti simili a quelli negoziali, dopo avere stabilito al primo comma che “per la costituzione di un rapporto obbligatorio mediante negozio giuridico, così come per la modificazione del suo contenuto, è necessario un contratto tra le parti, se la legge non prevede diversamente”, prevede, al secondo comma, che “un rapporto obbligatorio avente ad oggetto gli obblighi di cui al secondo comma del § 241, vale a dire gli obblighi di protezione, sorge anche attraverso: 1) l’avvio di una trattativa volta alla conclusione di un contratto; 2) l’avvio di un contratto nel quale, in vista di un eventuale rapporto negoziale, una delle parti concede all’altra la possibilità di influire sui suoi diritti, beni o interessi, o le affida questi ultimi; 3) simili contatti negoziali”.

Con questa disposizione si ha positiva codificazione degli obblighi di protezione, che possono formare oggetto esclusivo del rapporto obbligatorio, a prescindere dall’esistenza di un obbligo di prestazione; il rapporto obbligatorio che ne deriva ha fonte legale ed è assoggettato alle regole della responsabilità contrattuale (§§ 280, 281, 282 BGB).

Senza inoltrarsi nella (spinosa) questione del campo di applicabilità del secondo comma del § 311 BGB, ci si limita a richiamare l’attenzione sull’ipotesi di cui al comma 2 n. 3, la cui formulazione testuale, sebbene piuttosto generica, è molto significativa in relazione al tema del presente contributo, in quanto esclude dall’ambito di applicazione della responsabilità precontrattuale contatti diversi dai contatti negoziali, cioè contatti non commerciali o contrattuali, ma meri “contatti sociali”, che, invece, nella giurisprudenza nazionale continuano ad essere invocati quale possibile fonte di obbligazione.

 

4. Segue: l’esperienza francese

Spunti per la creazione della teoria del contatto sociale nella prassi giurisprudenziale e dottrinale nazionale sono stati estrapolati a partire dalle obbligazioni di sécurité francesi.

Esse si caratterizzano per una struttura essenzialmente accessoria, ovvero per l’essere pensate in quanto funzionalmente “connesse” rispetto ad un obbligo di prestazione e – non a caso – dalla scienza giuridica sono variamente qualificate, in virtù del fenomeno di connessione funzionale, per l’essere “di mezzi” o “di risultato”, che, tradizionalmente è una nozione che pertiene essenzialmente alla prestazione[60].

In altri termini, la teoria delle obligations de sécurité trova applicazione in tutti quei contratti in cui si crea un legame stretto (non di mera occasionalità) tra l’esecuzione della prestazione e la sicurezza del contraente: tale obbligazione, quindi, non assume carattere autonomo (come accade in Germania), ma resta sempre funzionalmente “accessoria”, ossia connessa all’obbligo primario di prestazione[61].

Peraltro, avendo sempre riguardo all’uso del lessico giuridico in Francia, sebbene il termine prestation venga talvolta utilizzato per indicare il contenuto e/o l’oggetto dell’obbligazione strictement contractuelle, la dottrina e la giurisprudenza dominanti non hanno mai operato una nitida scomposizione della prestazione primaria dall’obbligazione di sécurité nel medesimo rapporto obbligatorio, preferendo parlare di obbligazioni di sécurité connesse alle altre obbligazioni strictement contractuelles, le quali sole permettono di «procurer au créancier un avantage determiné, une prestation specifique à laquelle il ne pourrait prétendre sans contrat»[62].

Pertanto, il termine prestation non assume mai il senso di una contrapposizione con l’obbligazione di sécurité, che è obbligazione ex lege e conserva una sua completa autonomia strutturale rispetto alle altre obbligazioni “strettamente contrattuali” alle quali, però, è funzionalmente connessa.

Sulla base di questa concezione pluralistica delle obbligazioni, che per alcuni versi contrasta con l’idea unitaria di rapporto obbligatorio a struttura complessa propria dell’esperienza tedesca, la dottrina e la giurisprudenza francesi si interessano principalmente all’individuazione di criteri idonei a determinare la disciplina applicabile nel caso concreto, in virtù della qualificazione dell’obbligazione di sécurité in termini “di mezzi” o “di risultato”: ciò sta a significare che, a differenza di quanto accade nell’esperienza giuridica tedesca, in Francia è difficilmente ipotizzabile la teorizzazione e introduzione di obblighi di protezione “autonomi” od “obbligazioni senza prestazione”.

 

5. Elaborazione dottrinale e conclusioni

Dal punto di vista dottrinale, punto di partenza per la costruzione della figura del contatto sociale qualificato è il prototipo della relazione precontrattuale, così come delineata da Mengoni[63].

Le argomentazioni che hanno portato all’importazione di tale categoria, infatti, affondano le proprie radici nel modello normativo di cui all’art. 1337 cod. civ., di cui si fa applicazione analogica nei rapporti (diversi) che presentino le medesime caratteristiche, che si ritiene configuri, nonostante la mancanza di un obbligo di prestazione, un rapporto obbligatorio vero e proprio, traendo una regola di portata generale secondo cui qualsiasi situazione di contatto sociale che produca affidamento sottopone i soggetti di tale contatto al dovere di comportarsi secondo buona fede e vincola chi tale affidamento abbia suscitato ad un’obbligazione (“senza prestazione”) di proteggere la sfera giuridica di chi su tale affidamento abbia fatto conto.

Per altro verso, i fautori della responsabilità da contatto sociale, valorizzano la clausola aperta dell’art. 1173, n. 3, cod. civ. al fine di sostenere che gli obblighi di protezione della sfera giuridica altrui generati dall’affidamento e/o contatto sociale possano assurgere a vere e proprie obbligazioni.

Ancora, costituisce presupposto dell’elaborazione della figura in commento l’importazione nel sistema giuridico interno del modello di matrice tedesca della “responsabilità per violazione dell’affidamento”, intesa quale categoria generale di diritto, cui vengono variamente ricondotte fattispecie in cui possa fondatamente ritenersi che dal contatto tra soggetti sorga, pur in assenza di un contratto e in ragione delle particolari qualità tecnico-professionali di uno dei contraenti, un affidamento che, in quest’ottica, diviene fonte di obbligazioni.

Altro elemento centrale per l’istituto della responsabilità da contatto sociale è costituito dagli obblighi di protezione, la cui paternità in seno al nostro ordinamento è riconosciuta a Betti e Mengoni[64].

Il fondamento normativo di tale categoria è rinvenuto nell’art. 1175 cod. civ., con riguardo all’obbligazione in generale, e negli artt. 1337, 1366 e 1375 cod. civ. con riferimento alle obbligazioni derivanti da contratto[65]; all’interno di tale categoria, poi, si distinguono gli obblighi integrativi-strumentali e gli obblighi di protezione (o funzionali)[66].

Se, da un lato, in relazione agli obblighi integrativi-strumentali, non è necessario giustificare il loro assoggettamento, nell’ipotesi di violazione, alle regole della responsabilità contrattuale, poiché l’eventuale lesione di tali obblighi è legata da un nesso di causalità immediata all’inadempimento dell’obbligo primario di prestazione[67], dall’altro, gli obblighi di protezione-funzionali accedono al rapporto obbligatorio, nella ricostruzione fornita dagli Autori, in virtù dell’interesse di ciascuna parte a preservare la propria persona e le proprie cose dalla specifica possibilità di danno, derivante dalla particolare relazione costituitasi tra i due soggetti del rapporto[68]. Tra l’altro, in netta contrapposizione agli obblighi di prestazione tipici della posizione giuridica debitoria, trattasi di obblighi essenzialmente reciproci, cui sono tenuti entrambi i soggetti del rapporto.

Infatti, chi si mette in relazione con un altro soggetto con l’intento di attuare un dato regolamento di interessi espone la propria sfera giuridica a rischi che altrimenti non la scalfirebbero, entrando in una “zona di pericolo” cagionata dall’astratta possibilità che l’attività dell’altra parte, connessa allo svolgimento del rapporto, sia di tale natura da arrecargli danno. Esempi, in tal senso, vengono individuati nell’art. 2087 cod. civ. in materia di contratto di lavoro, nell’art. 1681 cod. civ. in materia di trasporto di persone e negli artt. 1575, 1576 e 1580 cod. civ. in materia di locazione.

Sotto il profilo applicativo, l’aspetto più rilevante che deriva dalla configurazione di una tale categoria riguarda l’assoggettamento della violazione di tali obblighi alle regole della responsabilità contrattuale (a prescindere dalla soddisfazione dell’interesse alla prestazione) e la permanenza della tutela anche nell’eventuale ipotesi di caducazione del contratto, attesa la derivazione legale e l’autonomia degli obblighi in questione.

La contrapposta tesi dell’inesistenza degli obblighi di protezione, sebbene sostenuta in dottrina[69], non risulta – a parere di chi scrive – persuasiva, anche alla luce del fatto che lascerebbe prive di tutela ipotesi in cui dalla natura della prestazione non è lecito dedurre l’esposizione a rischio o pericolo della persona o delle cose del creditore, ragion per cui, tale rischio potrebbe nascere da particolari circostanze e non essere dunque implicito nell’esecuzione della prestazione dovuta.

Dato per acquisito che risulta prevalente la tesi che ammette la configurabilità degli obblighi di protezione, è necessario comprendere come la nostra dottrina ha compiuto l’ulteriore passo di configurare obbligazioni prive dell’obbligo primario di prestazione.

Tale ultima figura è stata elaborata da Castronovo[70] a partire da un indagine sulla nuova disciplina dell’intermediazione mobiliare all’inizio degli anni novanta del secolo scorso.

L’Autore, muovendo dall’assunto per cui, indipendentemente dalla stipulazione o meno di un contratto, risulta incluso nell’ambito del rapporto precontrattuale l’interesse di protezione dell’altrui sfera giuridica, sostiene sia possibile individuare altre situazioni che, ugualmente, presentano un interesse di protezione, e perciò possono risolversi nella medesima forma giuridica.

Evidentemente, presupposto di tale elaborazione è l’accoglimento del modello di matrice tedesca della “responsabilità per violazione dell’affidamento” come categoria generale, cui vanno ricondotte le fattispecie in cui può fondatamente ritenersi che dal “contatto” tra soggetti sorga, pur in assenza di un contratto e in virtù delle particolari professionalità di uno di essi, un affidamento che, in questa prospettiva, è fonte di obbligazioni. Coerentemente, l’affidamento viene qualificato come l’aspettativa di un contegno rispettoso dei dettami della diligenza, prudenza, perizia nelle condotte che possono risultare lesive delle situazioni soggettive altrui e rispondente a correttezza nelle condotte che possono cagionare perdite puramente patrimoniali, aspettativa che la buona fede eleva a obbligo per l’altra parte, attestandone la rilevanza giuridica[71].

Di qui, l’obbligazione senza prestazione, che, in sostanza, è il risultato di un mix and match dove assumono rilevanza un contatto sociale qualificato dallo status professionale di uno dei soggetti, un affidamento della controparte (che sorge da una presunzione di professionalità e competenza attestata dallo status stesso) e la buona fede (che rende giuridicamente rilevante il contatto).

Dall’impostazione di questo schema teorico discende, quale necessaria conseguenza, un radicale mutamento nel paradigma del rapporto obbligatorio, i.e. la sua essenza non viene più individuata nella prestazione, bensì nella “relazionalità”, che diventa elemento necessario, in relazione al quale la prestazione si pone solo come una possibile variante[72]: ne discende la configurabilità di una responsabilità di tipo contrattuale ogni qual volta vi sia la violazione di un obbligo preesistente (sia esso di prestazione ovvero di sola protezione).

Suddetta teoria ha suscitato un forte interesse sia in dottrina che in giurisprudenza, proponendosi quale fonte inesauribile di dibattito, che ciclicamente riprende vigore in ragione dell’estensione giurisprudenziale della categoria a nuove fattispecie.

La dottrina risulta divisa tra coloro i quali attribuiscono validità alla tesi in esame e le riconoscono un’utilità all’interno del sistema della responsabilità civile e coloro che, al contrario, negano tale ruolo, ritenendo di poter risolvere diversamente i problemi legati alle fattispecie in cui viene in rilievo un tale affidamento.

A parere di chi scrive, l’elaborazione dell’obbligazione senza prestazione (e la responsabilità da contatto sociale) suscita alcune perplessità, quantomeno sul piano del diritto interno c.d. puro (non influenzato da norme di matrice eurounitaria e/o sovranazionale[73]).

Quanto al modello della relazione precontrattuale, pur condividendo l’idea secondo cui, già prima del momento della stipula del contratto, si instauri una relazione, prodromica a quella oggetto del contratto, che assume le sembianze di un rapporto ad esito già pre-determinato (e tale è per definizione il rapporto obbligatorio)[74], si ritiene, però, che solo questo particolare tipo di relazione (che mira alla stipulazione di un contratto) possa dar vita ad un rapporto obbligatorio, non essendo passibile di alcuna estensione analogica.[75]

Diversamente opinando, ovvero se si “azzerasse” ogni connessione con la prestazione, verrebbe meno «ogni parametro che consenta di definire la situazione di responsabilità in base a comportamenti promessi, pattuiti o comunque dovuti»[76].

Il rischio che ne deriverebbe è quello di rendere «il confine tra le due forme di responsabilità vago e indistinto», nonché quello di creare «un’area di responsabilità contrattuale dilatata oltre misura, ove soggetti di torti aquiliani figurerebbero solo quelli il cui comportamento fosse contrassegnato da un incontro “casuale”»[77].

In sostanza, con l’art. 1337 cod. civ., pare ragionevole che il legislatore abbia inteso disciplinare non un’ipotesi di contatto sociale qualificato dall’affidamento ingenerato dalla mera qualità di parte che la legge attribuisce ai soggetti in trattativa, ma una particolare relazione che si trova a ridosso del contratto e che è intrinsecamente, affine al rapporto che sorge da un contratto. Si tratta di quel “contatto negoziale” del quale parla il legislatore tedesco nel § 311 del BGB, non, invece, di una responsabilità da mero contatto sociale che, se non arginata adeguatamente, si sostanzierebbe in uno strumento per giustificare un’arbitraria limitazione della libertà (e non soltanto quella contrattuale): solamente la “specificità” della culpa in contrahendo, dunque, è tale da giustificare il passaggio dalla situazione di non-rapporto a quella di rapporto, meritevole di tutela anche a prescindere dalla sussistenza di un successivo contratto (o, comunque, obbligazione).

D’altro canto, nemmeno convince l’individuazione di un fondamento normativo per la responsabilità da contatto sociale nella clausola aperta di cui all’art. 1173, n. 3 cod. civ., e ciò a fronte di evidenti dati normativi: si pensi, ad esempio, all’art. 1174 cod. civ., che individua nella prestazione l’oggetto dell’obbligazione, o all’art. 1218 cod. civ. che, nel disciplinare l’inadempimento, si riferisce espressamente alla prestazione.

A ciò si aggiunga che riesce difficile, dal punto di vista dogmatico-ontologico, immaginare di chiedere l’adempimento o l’esecuzione forzata delle obbligazioni senza prestazione, divenendo arduo ricondurre tali determinate situazioni – in cui il creditore non può ottenere in via giudiziale la soddisfazione coattiva della propria pretesa – all’istituto del credito. In altri termini, se considerate in un’ottica rimediale, le obbligazioni senza prestazione paiono più simili al fenomeno del torto aquiliano.

Quanto alla citazione della dottrina tedesca, come si è già (sinteticamente) evidenziato, l’elaborazione teorica degli obblighi di protezione nasce e si sviluppa (in quell’ordinamento) per porre rimedio a specifiche lacune del BGB; ciò posto, con la riforma del codice tedesco, intervenuta nel 2002, sono stati codificati gli obblighi di protezione, i quali trovano la loro fonte nell’apertura della “trattativa contrattuale”, nel più semplice “avviamento al contratto”, o, più in generale, nell’esistenza di “analoghi contatti negoziali” (par. 311 BGB). Di conseguenza, l’apertura al (generico) contatto sociale, non meglio differenziato, non pare più rilevante, giacché la norma limita la rilevanza del “contatto” e/o dei “contatti” nella direzione esclusiva della conclusione di un futuro contratto[78].

Anche l’ammissione, in via generale, di un’obbligazione senza obbligo primario di prestazione attraverso l’attribuzione di una funzione autonoma agli obblighi di protezione desta qualche dubbio: questo non significa rifiutare la teoria degli obblighi di protezione, ma semplicemente tracciarne (rigorosamente) i confini.

Il concetto di protezione regge ed è compatibile con il concetto di obbligazione, quale obbligo di prestazione, finché «la protezione resta funzionale e comunque connessa alla prestazione e, in ogni caso, (anche) dovuta in previsione di essa (ove si tratti di danni cagionati da contratto poi non concluso e/o invalido)»[79]: in sostanza, l’aspettativa ex ante di un comportamento virtuoso in ordine alla finalità che il soggetto destinatario non abbia a subire un pregiudizio a seguito del rapporto intervenuto con altri non può essere sufficiente a qualificare la situazione come rapporto obbligatorio, e ciò perché il modello codicistico eleva la “prestazione” ad elemento (necessario) della fattispecie-obbligazione (art. 1174 cod. civ.), mentre “comportamenti” – come quello di correttezza – appaiono (solo) strumentali rispetto ad essa (art. 1175 cod. civ.). Pertanto, la protezione a assume rilievo quando si incardina e si qualifica in un rapporto tra le parti ad esito programmato.

Inoltre, se si riconoscesse una valenza autonoma degli obblighi di protezione, si porrebbe l’ulteriore problema di individuare su che basi e criteri si possa selezionare tra le tante situazioni di contatto, o di affidamento, generate da comportamenti non finalizzati alla conclusione di un negozio giuridico, quelle meritevoli di tutela ed idonee a produrre obbligazioni in conformità con l’ordinamento (giudizio non dissimile a quello operato in relazione all’ingiustizia del danno, caratteristico della responsabilità extracontrattuale).

Con specifico riferimento all’area di situazioni prese in considerazione nelle applicazioni giurisprudenziali della teoria in esame, ossia quelle in cui operano soggetti professionalmente caratterizzati, se è vero che il soggetto “da tutelare” viene a trovarsi non già davanti al quisque de populo della responsabilità aquiliana, ma dinanzi ad un soggetto ben contraddistinto dalla veste o dal ruolo svolti, nei confronti del quale è ragionevole fare “affidamento”, ciò non toglie che l’affidamento, se disancorato dalla buona fede innestata in uno specifico e determinato rapporto, come quello instaurato dalla trattativa, perde di attualità[80].

È evidente che, in fondo, la teoria ha quale scopo principale l’apprestare una tutela rafforzata al soggetto “fragile” del rapporto, attribuendo (a volte forzatamente) a detti rapporti carattere contrattuale, senza accorgersi che risultato non può essere raggiunto “costringendo” detti rapporti entro fattispecie contrattuali o atti ad esse assimilabili di cui non presentano i necessari requisiti[81].



[1] Così, C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 443 ss.

[2] In tali termini F. Venosta, Contatto sociale e affidamento, Giuffrè, Milano, 2021, p. 2.

[3] Il filone dottrinale ha avuto origine nella teoria della culpa in contrahendo di Von Jhering (v. R. Von Jhering, Della “culpa in contrahendo” ossia del risarcimento del danno nei contratti nulli o non giunti a perfezione, trad, it. di F. Procchi, Jovene, Napoli, 2005) ed è stato successivamente sviluppato da Stoll con la teorizzazione degli obblighi di protezione, (v.  H. Stoll, Abschied von der Lehre von der positiven Vertragsverletzung. Betrachtungen zum dreißigjährigen Bestand der Lehre, in Archiv für die civilistische Praxis, 136, 1932, pp. 257-320; per la traduzione italiana A. L. Lettieri, Commiato dalla teoria della violazione positiva del contratto. Osservazioni sul trentennale della teoria, in L’obbligazione come rapporto complesso, a cura di R. Favale - M. Feola. - A. Procida Mirabelli Di Lauro, Giappichelli, Torino, 2016); tuttavia, in tema, occorre richiamare anche i contribuiti di H. Staub, Le violazioni positive del contratto, trad. it. di G. Varanese, Presentazione di R. Favale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2001; di G. Haupt, Sui rapporti contrattuali di fatto, ed. it. di G. Varanese, Giappichelli, Torino, 2012 e di H. Kress, Lehrbuch des Allgemeinen Schuldrechts, Beck, München, 1929.

[4] M. Sauzet, De la responsabilité des patrons via-à-vis des ouvriers dans les accidents industriels, in Rev. crit. lég. jur., 1883, pp. 596 ss.; C. Sainctelette, De la responsabilité et de la garantie, Bruylant-Christophe & Co., Bruxelles-Paris, 1884, pp. 95 ss. e 118 ss.

[5] M. Fratini-A. Salerno, Gli obblighi di protezione tra contatto sociale e contratti con effetti protettivi verso terzi, in Riv. Neldiritto, 2012, p. 9.

[6] In riferimento alla teoria del contatto sociale, v. A. Zaccaria, Der aufhaltsame Aufstieg des sozialen Kontakts (La resistibile ascesa del “contatto sociale”), in Riv. Dir. Civ., 2013, I, pp. 78 ss.; sulla responsabilità da affidamento professionale v. M. Barcellona, Trattato della responsabilità civile, Utet Giuridica, Torino, 2011, p. 72 ss. e L. Lambo, Obblighi di protezione, Cedam, Padova 2007, pp. 385 ss; infine, sulla generalizzazione dell’ambito applicativo delle obbligazioni senza prestazione si vedano i rilievi critici di A. Di majo, Le tutele contrattuali, Giappichelli, Torino, 2009, pp. 65 ss.

[7] Cass., Sez. Un., 24 settembre 2018, n. 22437, con nota di P. Santoro, Clausola claims made: la seconda stagione, in Danno e Resp., 2019, 1, pp. 41 ss.

[8] Opinione già espressa nella pronuncia Cass., Sez. I, 23 marzo 2016, n. 5762, con nota di P. Pardolesi, Responsabilità precontrattuale oltre la culpa in contrahendo: riflessioni comparative, in Foro it., 2016, I, pp. 1703 ss.

[9] Nel senso che la responsabilità precontrattuale è inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale da contatto sociale qualificato, v. Cass., Sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188, in Foro it., 2016, I, pp. 2685 ss.

[10] C. Castronovo, Eclissi del diritto civile, Giuffrè, Milano, 2015, p. 162, in termini di «immedesimazione dell’ausiliario nell’attività dovuta dal debitore».

[11] V. Zeno Zencovich, Uber: modello economico e implicazioni giuridiche, in Medialaws, 2018, 1, p. 141.

[12] Di questo avviso M. Biasi, Appunti sulla responsabilità vicaria delle piattaforme della on-demand economy, in ADL, 2019, 2, pp. 57 ss.

[13] Trib. Torino, ord. 3 giugno 2015, in Foro it., Rep. 2016, voce Diritti d’autore, nn. 128 e 129.

[14] Trib. Roma, 10 gennaio 2019, in Dir. Internet, 2019, pp. 129 ss.

[15] La categoria del rimedio è pervenuta al nostro ordinamento dal diritto europeo che, a sua volta, l’ha mutuata dagli ordinamenti di common law (rispetto ai quali risultano paradigmatiche le espressioni “remedies precede rights” e “where there is no remedy there is no wrong”, in quanto rappresentative di un sistema di natura rimediale governato da un insieme di procedure che assicurano la risoluzione pratica della singola controversia). Quanto al diritto europeo, invece, la sua inclinazione a considerare la tutela in termini prettamente rimediali deriva da due fattori: l’assenza di un ordinamento statuale sotteso a quello “comunitario” e la flessibilità della norma europea, obbligata a tener conto della inevitabile diversità dei diritti nazionali su cui va incidere (v. S. Mazzamuto - A. Plaia, I rimedi nel diritto privato europeo, Giappichelli, Torino, 2012, p. 5 e spec. p. 12 «il diritto privato europeo si discosta dalla dogmatica dei diritti soggettivi concentrandosi piuttosto sul soddisfacimento dell’interesse. Le pretese del consumatore – ad es. alla riparazione e/o sostituzione del bene difforme – non sembrano poggiare su diritti soggettivi rigidamente attribuiti dalla norma (...). Sembra piuttosto che il momento del soddisfacimento dell’interesse venga condizionato dalla sussistenza di concrete circostanze cui la norma rinvia attraverso clausole elastiche, come quella della ragionevolezza o della proporzionalità»).

[16] U. Mattei, I rimedi, in Il diritto soggettivo, Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Utet, Torino, 2001, pp. 105 ss

[17] A DI MAJO, Rimedi e dintorni, in Eur. dir. priv., 4, 2015,  pp. 703 e 704.

[18] Definisce l’istituto della responsabilità civile (assieme al principio di effettività della tutela giurisdizionale) vero e proprio «incubatore» del discorso rimediale L. Nivarra, Rimedi: un nuovo ordine del discorso civilistico?, in Eur. dir. priv., 3, 2015, p. 583 ss., spec. pp. 604 ss.,

[19] Cass., Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589, che ha rappresentato la prima decisione in tema di responsabilità contrattuale da “contatto sociale”, con nota di v. Carbone, La responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da contatto, in Danno e resp., 1999, pp. 294 ss., nonché A. Di Majo, L’obbligazione senza prestazione approda in Cassazione, in Corr. Giur., 1999, 4, pp. 441 ss. che rileva come si debba parlare non di «obbligazione senza prestazione», ma di «prestazione senza obbligazione», poiché il contatto sociale impone, pur in assenza di contratto, di eseguire la stessa prestazione che deriverebbe dal vincolo contrattuale.

[20] Così C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, cit., pp. 485 ss.; Id., Ritorno all’obbligazione senza prestazione, in Eur. e dir. priv., 2009, pp. 679 ss. che sottolinea come i rapporti contrattuali di fatto debbano essere tenuti distinti dall’obbligazione senza prestazione, in quanto i primi si caratterizzano per il particolare modus in cui si forma il contratto, che esiste (sebbene di fatto) e produce obbligazioni “piene” di prestazione, mentre l’obbligazione senza prestazione non ha ad oggetto la prestazione, ma solo obblighi di protezione della sfera giuridica altrui.

[21]Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577, in Danno e resp., 2008, p. 871 ss., con nota di A. Nicolussi, Sezioni sempre più unite contro la distinzione fra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi.

[22] In tale occasione, le Sezioni Unite, nel risolvere un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni semplici, hanno enunciato il principio secondo cui «posto che il presupposto fattuale (l’inadempimento) è il medesimo, non può che essere identico il criterio di ripartizione dell’onere della prova (ai sensi dell’art. 2697 cod. civ.) in materia di responsabilità contrattuale, sia che il creditore agisca per l’esatto adempimento, sia che domandi la risoluzione del contratto ovvero il risarcimento del danno, senza che al riguardo rilevi in alcun modo la distinzione tra obbligazioni di mezzi o di risultato. Il creditore deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento». Analogo principio è stato enunciato con riguardo all’inesatto adempimento, rilevando che «al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, quali quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento». La pronuncia è stata oggetto di numerose critiche, essenzialmente fondate sull’irragionevolezza del mancato distinguo tra inadempimento tout court ed inesatto adempimento.

[23] Cass. Sez. Un., 27 giugno 2002, n. 9346, in Foro it., 1, 2002, pp. 2635 ss. con nota di F. Di Ciommo, La responsabilità contrattuale della scuola pubblica per il danno che il minore si procura da sè: verso il ridimensionamento dell’art. 2048 c.c.

[24] All’impostazione accolta dalle sezioni unite nel 2002 si è conformata la pressoché unanime giurisprudenza successiva. La dottrina, invece, si è dimostrata piuttosto scettica nei confronti di tale interpretazione. In primis, è stato criticato il differente trattamento riservato al danno cagionato dall’allievo ai terzi (in particolare ad altri allievi), cui si applicherebbe la responsabilità aggravata ex art. 2048 cod. civ., rispetto alle autolesioni (v. F. Di Ciommo, La responsabilità contrattuale della scuola pubblica per il danno che il minore si procura da sè: verso il ridimensionamento dell’art. 2048 c.c., cit., p. 2640; mentre altra critica attiene precipuamente all’uso improprio della teoria del contatto sociale in una fattispecie (autolesioni) ritenuta non assimilabile a quella del medico dipendente da struttura ospedaliera, in relazione alla quale tale teoria è stata in origine elaborata, in quanto appare dubbio che la figura dell’insegnante possa ricondursi al “professionista”, considerato che «la professionalità del docente si manifesta piuttosto nell’insegnare che nel tutelare la salute dell’allievo» (v. S. Faillace, La responsabilità da contatto sociale, Cedam, Padova, 2004, pp. 54 ss.).

[25] Del medesimo avviso S. Faillace, La responsabilità da contatto sociale, cit., p. 166.

[26] Come l’ars medica, anche l’attività scolastica è un’attività organizzata che implica un rischio, il cui svolgimento risulta giustificato dall’utilità sociale che la stessa comporta per la collettività.

[27] E. Betti, Teoria generale della interpretazione, Giuffrè, Milano, 1990, ed. corretta e ampliata a cura di G. Crifò, pp. 816 ss.

[28] Al contrario, in materia sanitaria, al paziente è riconosciuta la facoltà – pienamente discrezionale – di agire direttamente nei confronti del medico responsabile.

[29] Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712, con nota di A. Di Majo, Contratto e torto: la responsabilità per il pagamento di assegni non trasferibili in Corr. giur., 12, 2007, pp. 1706 ss. Il medesimo principio di diritto è stato, più di recente, ribadito da Cass., 22 maggio 2015, n. 10534, in Foro it., 2015, voce Titoli di credito, n. 16, che parla di «obbligo professionale di protezione» a carico della banca, nonché da Cass., Sez. Un., 21 maggio 2018, n. 12477, con nota di A. Carrato, Responsabilità della banca per il pagamento di assegno “non trasferibile” a soggetto non legittimato: le Sezioni Unite risolvono il contrasto, in Corr. giur., 7, 2018, pp. 895 ss e Cass., 12 febbraio 2021, n. 3649, in Italgiure.

[30] Cass., 14 luglio 2009, n. 16382, in Resp. civ. e prev., 2009, pp. 2281 ss.

[31] La pronuncia, annoverata dal Primo Presidente di Cassazione, tra le maggiormente significative del 2009 ha raccolto innumerevoli critiche da parte della dottrina. Senza alcuna velleità di completezza, ci si limita a riportare la censura svolta da Zaccaria, il quale ritiene che il richiamo alla categoria del “contatto sociale”, in tema di responsabilità del mediatore per false o omesse informazioni, sia stato compiuto più per “moda” che per reale consapevolezza, atteso che «gli obblighi di informazione trovano il loro fondamento negli artt. 1759 e 1175 c.c., oltre che nella l. n. 39/1989”, di conseguenza, trattandosi di obbligazioni ex lege, dal loro inadempimento scaturisce automaticamente il sorgere di responsabilità contrattuale, senza la necessità di andare alla ricerca di una (ulteriore) base contrattuale» (v. A. Zaccaria, La responsabilità del mediatore per false od omesse informazioni, in Resp. civile, 4, 2010, pp. 256-257).

[32] Della medesima opinione, con riferimento all’ipotesi del mediatore, A. Zaccaria, La responsabilità del mediatore per false od omesse informazioni, cit., pp. 256-257, il quale sostiene che «per quanto riguarda l’ipotesi del mediatore non sembra doversi scomodare la teoria del contatto sociale per stabilire una responsabilità da inadempimento di obblighi, in quanto gli obblighi di informazione sono già stabiliti dalla norma codicistica (art. 1759 c.c.), letta in coordinazione con gli artt. 1175 e 1176 c.c., nonché con la disciplina dettata dalla l. n. 39 del 1989». Per ulteriori approfondimenti sull’evoluzione interpretativa dell’art. 1759 cod. civ., si rinvia a A. Zaccaria, Della mediazione, in Commentario al codice civile, a cura di M. Cian e A. Trabucchi, 9a ed., Cedam, Padova, 2009, sub. art. 1759, I, p. 1884 ss. Quanto, invece, alla responsabilità della banca, si veda A. Zaccaria, La resistibile ascesa del «contatto sociale», cit., pp. 101-103.

[33] Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500, con nota di R. Caranta, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità, in Foro it., 1999, I, pp. 2487 ss.

[34] C. Castronovo, Responsabilità civile per la pubblica amministrazione, in Jus, 1998, pi. 654 ss.; Id., Osservazioni a margine della giurisprudenza nuova in materia di responsabilità civile della P.A., in Studi in onore di Giorgio Berti, I, Jovene, Napoli, 2005, p. 691 ss.; Id., La nuova responsabilità civile, cit., pp. 224 ss; Id., La «civilizzazione» della pubblica amministrazione, in Eur. dir. priv., 3, 2013, pp. 637 ss.

[35] Così scrive F. Benvenuti, Per un diritto amministrativo paritario, in Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Cedam, Padova, 1975, pp. 807 ss. Ne condivide il pensiero G. Berti, Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, sub. art. 103, co. 1 e 2, e 113, Zanichelli, Bologna-Roma, 1987, pp. 112 ss.

[36] Cons. Stato, V, 6 agosto 2001, n. 4239 in Foro it., 2002, I, pp. 1 ss. e, successivamente, Cons. Stato, VI, 20 gennaio 2003, n. 204 e 15 aprile 2003, n. 1945.

[37] Cass., Sez., I, 10 gennaio 2003, n. 157 in Foro it., 2002, I, pp. 77 ss.

[38] Cons. Stato, V, 6 agosto 2001, n. 4239, punto 34.

[39] Ex multis, si veda Cass.,Sez. III, 5 agosto 2004, n. 15040, in Danno e resp., 2005, pp. 597 ss. e Cass.. Sez. III, 29 luglio 2011, n. 16735, in Foro it., Massimario, 2011, pp. 717 ss.

[40] Cass., Sez. I, 21 novembre 2011, n. 24438, in Mass. Giust. civ., 2011, 11, p. 1647 e Cass., Sez. I, 20 dicembre 2011, n. 27648, in Mass. Giust. civ., 2011, 12, p. 1795. Su quest’ultima decisione, commento di C. Castronovo, La Cassazione supera se stessa e rivede la responsabilità precontrattuale, in Eur. dir. priv., 2012, 4, pp. 1227 ss., mentre sulla prima C. Scognamiglio, Tutela dell’affidamento, violazione dell’obbligo di buona fede e natura della responsabilità precontrattuale, in Resp. civ. e prev., 2012, 6, pp. 1949 ss.

[41] Cass,, 26 febbraio 2013, n. 4802, in Guida dir., 2013, pp. 50 ss.; Cass,, 16 gennaio 2013, n. 1000, in Italgiure; Cass., Sez. V, 10 gennaio 2013, n. 447, con nota di F. Della negra, La natura della responsabilità precontrattuale: la quiete dopo la tempesta?, in Danno e resp., 2013. pp. 754 e ss.; Cass., Sez. III, 20 marzo 2012, n. 4382, con nota di V. Montani, Responsabilità precontrattuale ed abbandono ingiustificato delle trattative: un rapporto da genus a species, ivi, 2012, pp. 1103 e ss.

[42] Cass., Sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188, con nota di A. Di majo, La culpa in contrahendo tra contratto e torto, in Giur. it., 2016, 12, pp. 2565 ss.,; con commento di V. Carbone, Responsabilità precontrattuale della P.A. che non adempie l’obbligazione ex lege di comportarsi secondo buona fede, in Danno e resp., 2016, pp. 1051 ss.

[43] Cass., Sez. III, 17 maggio 2011, n. 10813 in Foro it., 6, 2011, pp. 1649 ss.

[44] Rilevanti, in tema, le pronunce di cui ai casi Francovich, Brasserie du Pecheur, Factortame, Dillenkofer e Hadley Lomas.

[45] Sul tema, N. Irti, La crisi della fattispecie, in Dir. proc. civ., 2014, p. 36 ss. Si fa riferimento alla prassi, sempre più di frequente, della Suprema Corte che, abbandonando il tradizionale modus decidendi fondato sulla riconduzione delle fattispecie concrete entro norme astratte, offre soluzioni generate non dall’applicazione di regole, ma della realizzazione di valori.

[46] A. Di Majo, Profili della responsabilità civile, Giappichelli, Torino, 2010, p. 59.

[47] La legge di riforma è entrata in vigore il 1 gennaio 2002.

[48] Per una trattazione esaustiva della disciplina dell’inadempimento nell’ordinamento tedesco si rimanda a A. Di Majo, Clausole generali e diritto delle obbligazioni, in Riv. crit. dir. priv., 1984, p. 561 ss.; Id., sub voce: Responsabilità contrattuale, in Dig. disc. priv., diretto da R. Sacco, Sez. civ., XVII, Utet, Torino, 1998, pp. 31 ss.

[49] H. Staub, Le violazioni positive del contratto, cit.

[50] H. Staub, Le violazioni positive del contratto, cit., p. 39.

[51] H. Staub, Le violazioni positive del contratto, cit., p. 48.

[52] H. Staub, Le violazioni positive del contratto, cit., pp. 101 ss.

[53] H. Stoll, Commiato dalla teoria della violazione positiva del contratto. Osservazioni sul trentennale della teoria, cit., pp. 1 ss.

[54] H. Stoll, Commiato dalla teoria della violazione positiva del contratto. Osservazioni sul trentennale della teoria, cit., p. 5.

[55] Così anche L. Lambo, Obblighi di protezione, cit., pp. 41 ss.

[56] G. Haupt, Sui rapporti contrattuali di fatto, cit.

[57] G. Haupt, Sui rapporti contrattuali di fatto, cit., pp. 51-52.

[58] H. Dolle, Außergesetzliche Schutzpflichten, in Zeitschr. für die gesamte Staatswissenschaft, Jg. 103, 1943, p. 67.

[59] K. Larenz, Lehrbuch des Schuldrechts. Band I Allgmeiner Teil, Beck, Berlino, 1982.

[60] Così M. Feola, L’obbligazione come rapporto complesso, in L’obbligazione come rapporto complesso, cit., pp. 120 ss.

[61] Un’analisi approfondita si rinviene in P. G. Monateri, Cumulo di responsabilità contrattuale e extracontrattuale: (analisi comparata di un problema), Cedam, Padova, 1989, pp. 92 ss.; G. Ponzanelli, Il concorso di responsabilità: le esperienze italiana e francese a confronto, in Resp. civ. prev., 1984, pp. 36 ss

[62] [Procurare al creditore un determinato vantaggio, una prestazione specifica che egli non avrebbe potuto pretendere senza un contratto]. M. Bacache -gibeili, Les obligations. La responsabilité civile extracontractuelle, in Traité de Droit Civil, con la direzione di C. Larroumet, 2 ed., Economica, Parigi, 2012, p. 87.

[63] L. Mengoni, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. dir. comm., 1956, II, p. 361 ss., spec. pp. 364 e 370, dove afferma «la relazione diretta alla stipulazione di un negozio si qualifica come fonte di un particolare rapporto obbligatorio che vincola le parti a comportarsi secondo buona fede (…); questo perché quando una norma giuridica (come nel nostro caso l’art. 1337) assoggetta lo svolgimento di una relazione sociale all’imperativo della buona fede, ciò è un indice sicuro che questa relazione si è trasformata, sul piano giuridico, in un rapporto obbligatorio, il cui contenuto si tratta appunto di specificare a stregua di una valutazione di buona fede». Tuttavia, il rapporto obbligatorio in oggetto non ha fonte nel contratto successivamente concluso, ma «rientra piuttosto nella terza categoria della classificazione gaiana, riprodotta dall’art. 1173. In questo senso, la denominazione di obbligazione ex lege è certo esatta, ma insufficiente, perché non individua il fatto cui la legge ricollega la nascita del rapporto obbligatorio precontrattuale. Il fatto costitutivo viene solitamente individuato nel momento dell’instaurazione delle trattative. Ma tale valutazione non sembra del tutto esatta. Anche la semplice offerta di contratto, la semplice dichiarazione di voler trattare, può integrare il presupposto della norma dell’art. 1337, quando sia di tale contenuto o accada in circostanze tali da determinare immediatamente un affidamento dello stesso dichiarante verso il destinatario dell’offerta oppure di quest’ultimo nei confronti del primo, indipendentemente dall’avvio di una trattativa. In generale, si può affermare che la relazione diretta alla stipulazione di un negozio si qualifica come fonte di un particolare rapporto obbligatorio che vincola le parti a comportarsi secondo buona fede, nel momento in cui sorge nei confronti di una o di ciascuna parte un affidamento obiettivo dell’altra parte».

[64] E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, I, Giuffrè, Milano, 1953, p. 96; L. Mengoni, Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di «mezzi». (Studio critico), in Riv. dir. comm., 1954, I, pp. 371 ss., ora in Obbligazioni e negozio. Scritti, II, a cura di C. Castronovo - A. Albanese - A. Nicolussi, Giuffrè, Milano, 2011, pp. 141 ss. Oltre ai sopracitati Autori, tra i primi in Italia a occuparsi degli obblighi di protezione anche R. Scognamiglio, voce: Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Noviss. dig. it., XV, Utet, Torino, 1968, pp. 670 ss.; F. Benatti, Osservazioni in tema di doveri di protezione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, pp. 1342 ss.; Id., Doveri di protezione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., VII, Utet, Torino, 1991, pp. 221 ss.; U. Majello, Custodia e deposito, Napoli, 1958, pp. 55 ss.; C. Castronovo, Voce: Obblighi di protezione, in Enc. Giur., XXI, Giuffrè, Roma, 1990, pp. 4 ss

[65] Così L. Mengoni, Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di «mezzi». (Studio critico), cit., pp. 368 ss.; C. Castronovo, Voce: Obblighi di protezione, in Enc. Giur., XXI, Giuffrè, Roma, 1990, pp. 4 ss.

[66] Secondo la denominazione data da C. Castronovo, La relazione come categoria essenziale dell’obbligazione e della responsabilità contrattuale, in Eur. dir. priv., 2011, p. 68.

[67] L. Mengoni, Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di «mezzi». (Studio critico), cit., p. 371, riporta l’esempio del medico, la cui prestazione principale (obbligo di cura del malato) «involge per sua natura l’osservanza di certe regole scientifiche e tecniche, e conseguentemente uno sforzo costante di attenzione, di prudenza, di diligenza, senza di che verrebbe meno lo stesso concetto di cura che vuol essere essenzialmente una buona cura, cioè una cura conveniente al fine della guarigione del malato».

[68] L. Mengoni, Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di «mezzi». (Studio critico), cit., p. 371, sempre con riferimento al medico, sottolinea l’esistenza anche di un autonomo obbligo di protezione, riportando l’esempio del «chirurgo che, terminata felicemente un’operazione addominale, nel riporre i ferri, si lascia sfuggire di mano un bisturi che colpisce l’occhio del paziente».

[69] Così S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Giuffrè, Milano, 1969, pp. 159 ss.; F. Giardina, Responsabilità per inadempimento: spunti ricostruttivi, in Violazioni del contratto, a cura di E. Del Prato, Giuffrè, Milano, 2003, p.15; V. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Giuffrè, Milano, 2011, secondo il quale «l’obbligazione e la responsabilità contrattuale proteggono quello specifico interesse del creditore che è l’interesse alla prestazione (art. 1174). Diversi sono gli interessi della vita di relazione messi a rischio nel contatto sociale: dalla sicurezza della circolazione automobilistica alla lealtà della competizione economica alla correttezza e serietà delle trattative contrattuali. A protezione di essi si impongono agli operatori doveri di condotta che possono essere non generici, bensì calibrati sulle specificità degli interessi, delle attività, dei rischi in gioco, ma non per questo diventano obbligazioni. E la loro violazione genera responsabilità extracontrattuale». Sulla stessa linea di pensiero anche M. C. Bianca, Diritto civile. La responsabilità, V, Giuffrè, Milano, 2012; U. Majello, Custodia e deposito, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1958, pp. 151 ss. e U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo, Giuffrè, Milano, 1984, pp. 12 ss.

[70] C. Castronovo, Il diritto civile della legislazione nuova. La legge sulla intermediazione mobiliare, in Banca borsa tit. cred., 1993, pp. 319 ss. Successivamente sviluppata più compiutamente in L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto, in Scritti in onore di Luigi Mengoni, I, Giuffrè, Milano, 1995; Id., La nuova responsabilità civile, cit., pp. 466 ss.; Id., Ritorno all’obbligazione senza prestazione, in Eur. dir. priv., 3, 2009, pp. 679 ss.; Id., La relazione come categoria essenziale dell’obbligazione e della responsabilità contrattuale, cit., pp. 55 ss.; Id., Eclissi del diritto civile, cit., pp. 128 ss.

[71] Concorde anche S. Mazzamuto, Spunti in tema di danno ingiusto e di danno meramente patrimoniale, in Eur. dir. priv., 2008, p. 393, secondo il quale «l’affidamento presuppone la condizione dell’aspettativa. […] Se, dunque, il danno meramente patrimoniale è un pregiudizio da lesione dell’affidamento, la sua sede d’elezione è l’ambito contrattuale».

[72] C. Castronovo, La relazione come categoria essenziale dell’obbligazione e della responsabilità contrattuale, in Eur. dir. priv., 2011, p. 66.

[73] Quando a venire in rilievo sono situazioni giuridiche dei singoli che trovano riconoscimento nel diritto eurounitario, il rimedio risarcitorio è inteso come una sanzione – efficace, proporzionata e dissuasiva – che gli ordinamenti nazionali devono necessariamente offrire a presidio di tali diritti, in modo tale da garantire una tutela che renda possibile (e non eccessivamente difficile) l’esperimento del rimedio risarcitorio. In sostanza, nella prospettiva del diritto dell’Unione, l’istituto della responsabilità civile presenta connotati diversi (e autonomi) dalla disciplina (contrattuale o extracontrattuale) italiana ed è, evidentemente, finalizzato a garantire l’effettività della tutela al soggetto interessato-danneggiato. Questa è la ragione per cui in materia di pubblici appalti, ad esempio, la Corte di giustizia ha elaborato un modello di responsabilità oggettiva, che consente al privato concorrente nella gara di ottenere il risarcimento del danno solo provando la violazione del diritto europeo, senza dare alcun rilievo alla dimostrazione della colpa in capo al soggetto danneggiante. La soluzione, condivisa (anche) dal Consiglio di stato con esclusivo riferimento al settore degli appalti, potrebbe essere suscettibile di estensione a tutti gli ambiti dell’agire amministrativo; un tanto in quanto – ad oggi – i principi di diritto europeo hanno diretta rilevanza ed incidenza sull’attività amministrativa. Ne sono dimostrazione, a livello normativo, sia l’articolo 1 della legge sul procedimento amministrativo (l. n. 241/1990), che l’articolo 1 del codice del processo amministrativo (d. lgs. n. 104/2010), i quali prevedono, rispettivamente, l’assoggettamento di tutta l’attività amministrativa ai principi del diritto dell’Unione e l’obbligo in capo alla giurisdizione amministrativa di assicurare una tutela piena ed effettiva (anche) secondo i principi del diritto europeo.

[74] In questi termini, A. Di Majo, Il contatto sociale. La culpa in contrahendo tra contratto e torto, cit., p. 2566.

[75] L. Lambo, Obblighi di protezione, cit., p. 385 ss, ove è criticata l’estensione in via analogica della regola di buona fede oggettiva prevista dall’art. 1337 c.c. e lo status come criterio generale per selezionare le ipotesi che assumono la veste dogmatica di obbligazione senza prestazione, individuando il vizio di fondo della tesi in commento nell’assenza di un valido fondamento giuridico per ipotizzare obblighi di protezione quando si è fuori dall’ambito dell’attività finalizzata alla conclusione di un contratto o all’attuazione di un obbligo di prestazione. In altri termini, l’Autore afferma come non possa attribuirsi all’art. 1337 c.c. un ruolo più ampio di quello che le è proprio (regola di buona fede oggettiva nell’ambito delle trattative), in quanto con essa «il legislatore non ha inteso disciplinare un’ipotesi di contatto qualificato dall’affidamento, ma la particolare relazione che si trova a ridosso del contratto e, intrinsecamente, affine al rapporto che sorge da contratto».

[76] A. Di Majo, Le tutele contrattuali, cit., p. 65

[77] A. Di Majo, Le tutele contrattuali, cit., p. 66.

[78] A. Di Majo, Il contatto sociale. La culpa in contrahendo tra contratto e torto, cit., p. 2566

[79] A. Di Majo, Le tutele contrattuali, cit., p 65

[80] A. Di Majo, Il contatto sociale. La culpa in contrahendo tra contratto e torto, cit., passim.

[81] C. W. Canaris, Schutzgesetze – Verkehrspflichten – Schutzpflichten, in Festschrift für Karl Larenz zum 80, Beck, München, 1983, passim, trad. it. a cura di A. Di Majo e M. R. Marella, Norme di protezione, obblighi del traffico, doveri di protezione, in Riv. crit. dir. priv., 1983, p. 807 ss.

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