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Magistratura Indipendente

CIVILE  

Questioni in tema di revoca giudiziale dell'amministratore di condominio

  Civile 
 giovedì, 12 gennaio 2017

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Giorgio Rispoli

Avvocato e Professore a contratto nell'Università di Roma Tre

 
 

 

Uno dei modi di estinzione del mandato dell'amministratore di condominio è la revoca, che può essere sia giudiziale che stragiudiziale.

In quest'ultimo caso è deliberata dall'assemblea condominiale e può avvenire in ogni tempo e anche in assenza di giusta causa applicandosi, ad avviso della giurisprudenza, la disciplina prevista in materia di mandato dagli artt. 1703 e ss. c.c. (Così Cass. 11472/1991).

La revoca giudiziale è invece disciplinata dal codice civile e dalle disposizioni attuative dello stesso.

L'art. 1129 c.c. infatti dispone - al comma undicesimo - che l'amministratore di condominio sia revocabile in ogni tempo dall'assemblea di condominio con la maggioranza prevista per la sua nomina (la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio) facendo però salve le diverse disposizioni contenute nel regolamento di condominio.

Il medesimo comma dello stesso articolo prevede altresì la possibilità per ciascun condomino di rivolgersi all'autorità giudiziaria ai fini di ottenere la revoca dell'incarico qualora l'amministratore si renda responsabilità di gravi irregolarità nell'esecuzione del proprio mandato oppure non presenti il conto della gestione nei termini di legge.

Occorre precisare che l'elenco delle gravi irregolarità è a carattere esemplificativo e non già tassativo, pertanto la sua valutazione è rimessa alla discrezionalità del giudice che potrà ravvisarle anche in ipotesi non tipizzate.

la giurisprudenza è costante nel ritenere che “Il mancato tempestivo deposito nel termine fissato dalla legge (art. 1129 commi 11 e 12 e 1130 comma 1 n. 10 c.c.) del rendiconto annuale per l'approvazione dell'assemblea costituisce grave irregolarità dell'amministratore condominiale, comportante la sua automatica revoca” (da ultimo Tribunale Udine, sez. II, 25/03/2014. in Archivio delle locazioni, 2014, 4, 459).

Ed inoltre “Costituisce grave irregolarità, tale da determinare la revoca dell'incarico, il comportamento dell'amministratore di condominio che omette o trascura o ritarda per lungo tempo la presentazione del rendiconto della gestione, anche se limitatamente a singoli aspetti o settori o parti di essa” (Così  Tribunale Messina, 15/11/2011, in Arch. locazioni 2012, 2, 191).

 

L'art. 64 disp. att. c.c. prevede inoltre che sull'istanza giudiziale di revoca dell'amministratore di condominio provvede il tribunale in camera di consiglio con decreto motivato, sentito l'amministratore in contraddittorio con il ricorrente.

Avverso il provvedimento del tribunale può essere proposto reclamo alla corte d'appello nel termine di dieci giorni dalla notifica o dalla comunicazione.

La giurisprudenza ha precisato che l'eventuale decisione sul reclamo non è ricorribile in Cassazione ex art. 111 Cost. in quanto si tratta di provvedimento di volontaria giurisdizione privo di decisorietà e definitività, pertanto insuscettibile di passare in giudicato (In tal senso Cass. 20957/2004, in Imm. e dir., 2005, 4, 19).

Trattasi però di una regolazione non organica che pone per l'interprete tutta una serie di dubbi esegetici su cui il dibattito dottrinale e giurisprudenziale resta assolutamente aperto.

Si registrano infatti soluzioni spesso antitetiche date sul alcuni snodi essenziali della tematica da parte delle corti di merito italiane.

Le principali questioni irrisolte riguardano la possibilità per la parte istante di stare in giudizio personalmente senza avvalersi del ministero di un avvocato, la necessità o meno di esperire la media-conciliazione obbligatoria quale condizione di procedibilità del relativo ricorso, la revocabilità dell'amministratore di condominio in prorogatio e la possibilità di chiedere congiuntamente alla revoca il risarcimento dei danni cagionati dal revocando amministratore.

In primo luogo occorre rilevare la prassi di alcune corti di merito di consentire alle parti di agire anche senza la necessità della rappresentanza tecnica di un difensore atteso il carattere di volontaria giurisdizione del procedimento de quo.

Sul punto si vd. http://www.tribunale.torino.giustizia.it/it/Content/Index/15372 che  informa della prassi in tal senso seguita dal Tribunale di Torino.

Tuttavia siffatta soluzione non sembrerebbe pienamente armonizzarsi con i princìpi generali dell'ordinamento civilistico, in quanto l'art. 82 c.p.c. prevede - al di fuori delle cause davanti al Giudice di Pace di valore non superiore a euro 1.100,00 - l'onere inderogabile in capo alle parti di stare in giudizio esclusivamente con la rappresentanza di un difensore.

Ciò qualora la legge non disponga espressamente in senso contrario.

Pertanto parrebbe maggiormente opportuno ritenere la necessità dell'assistenza tecnica da parte del difensore munito di apposita procura anche per il procedimento ex art. 64 disp. att. c.c., in assenza di espressa deroga normativa sul punto.

Si discute inoltre se costituisca condizione di procedibilità di siffatto ricorso il previo esperimento del tentativo di mediazione presso un organismo conciliatorio, obbligatorio in materia condominiale.

Secondo una recente decisione del Tribunale di Padova (decr. 24 febbraio 2015) siffatto obbligo sussisterebbe anche per il procedimento di revoca dell'amministratore di condominio, in virtù del disposto dell'art.  71 - quater disp. att. c.c. che prevede come per controversie in materia di condominio ai sensi dell'art. 5, comma 1, del d. lg. 4 marzo 2010 n. 28, si intendono quelle derivanti da violazione o errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle disp. att. c.c.

Tale assunto però parrebbe confliggere con il disposto del del d. lg. 4 marzo 2010 n. 28 che, all’art. 5, comma 4, lettera f), esclude l'obbligatorietà della mediazione per i procedimenti che si svolgono in camera di consiglio come il ricorso per la revoca dell'amministratore di condominio.

Siffatta antinomia normativa sembrerebbe infatti risolvibile mediante il criterio cd. di specialità applicando quale lex specialis la norma processuale in materia di mediazione.

Di conseguenza non dovrebbe ritenersi il previo esperimento della mediazione obbligatoria in materia condominiale quale condizione di procedibilità per il ricorso volto alla revoca dell'amministratore di condominio.

Punto nodale della tematica in esame riguarda il coordinamento tra la disciplina della revoca giudiziale dell'amministratore di condominio e quello della cd. prorogatio imperii.

Siffatto istituto non trova una compiuta definizione normativa all'interno del nostro ordinamento ma viene menzionato nei lavori preparatori della Carta Costituzionale.

La prorogatio si sostanzia nella possibilità per un organo di continuare ipso iure ad esercitare - sia pure limitatamente - i suoi poteri successivamente alla scadenza del termine previsto per la fine del suo mandato pur in assenza di un formale atto di proroga.

La ratio di codesto istituto si rinverrebbe nell'esigenza di assicurare la continuità delle funzioni dell'organo in ordine al quale opera.

In ordine alle  funzioni pubbliche è opportuno ricordare che la Corte Costituzionale (Corte Cost. 4 maggio 1992 n. 208) ha escluso la vigenza nel nostro ordinamento di un principio generale di prorogatio ritenendola ammissibile nei soli casi previsti dalla legge stante la riserva di cui all'art. 97 Cost.

A tal proposito la L. 15 luglio 1994 n. 444 in materia di proroga degli organi amministrativi ha limitato il regime di prorogatio a soli 45 giorni dalla scadenza, durante i quali gli organi della p.a. possono adottare soltanto gli atti di ordinaria amministrazione oppure gli atti urgenti e indifferibili.

In materia condominiale è invece discussa la configurabilità dell'istituto della prorogatio.

Ciò in quanto la riforma del 2012 ha novellato il testo dell'art. 1129 c.c. il quale al comma decimo prevede ora espressamente ma con formula assai criptica che "l'incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per uguale durata".

Secondo una tesi questa novella legislativa avrebbe abrogato l'istituto della prorogatio prevedendo soltanto la possibilità di un rinnovo automatico annuale dell'incarico dell'amministratore di condominio, che alla scadenza di tale periodo cesserebbe da ogni funzione (per un riepilogo delle diverse prospettazioni sul punto Cfr. GIORGETTI M., Il condominio: cosa cambia, Il civilista, 2012; REZZONICO S., TUCCI G., La nuova guida per amministratori e condomini, Le Guide di Consulente Immobiliare, dicembre 2012).

Ciò al fine di stimolare l'assemblea condominiale a provvedere senza indugio alla nomina del nuovo amministratore oppure al rinnovo dell'incarico dell'amministratore uscente.

Altra impostazione ritiene invece che al termine di siffatto periodo di rinnovo automatico previsto dall'art. 1129, comma decimo, c.c. inizierebbe la cd. prorogatio fino al momento del conferimento del nuovo mandato da parte dell'assemblea.

Siffatta prospettazione parrebbe invero preferibile in virtù del fatto che in materia civilistica non opera la riserva di legge di cui all'art. 97 Cost., pertanto l'esigenza di assicurare la continuità delle funzioni dell'organo suggerirebbe la possibilità di ammettere la vigenza della prorogatio onde evitare che l'inerzia dell'assemblea possa paralizzare l'amministrazione condominiale.

Ma uno degli aspetti più discussi riguarda l'ammissibilità della revoca giudiziale dell'amministratore di condominio che si trovi in regime di prorogatio.

Esiste infatti un filone giuridisprudenziale che nega la revocabilità dell'amministratore durante la prorogatio sul rilievo che l'eventuale revoca sarebbe inutile in quanto il suo mandato sarebbe già scaduto.

Si vd., per tutti, Trib. Catania (decr.) 10 febbraio 2014, secondo cui non può essere revocato l'amministratore che opera in regime di prorogatio in quanto "il mancato rinnovo della carica o la revoca hanno lo stesso identico contenuto e le stesse identiche conseguenze".

L'assunto non parebbe minimamente condivisibile in quanto poggia su un'inaccettabile equiparazione tra amministratore revocato e amministratore in prorogatio che non può ammettersi ove sol si pensi che l'amministratore in prorogatio può adottare tutti gli atti di ordinaria amministrazione e gli atti indifferibili e urgenti.

Inoltre la pronuncia di revoca -  contrariamente a quanto asserito dalla giurisprudenza - avrebbe la specifica utilità di determinare, sensi del comma 13 dell'art. 1129 c.c., l'impossibilità in capo all'amministratore revocato ad essere nuovamente nominato da parte dell'assemblea.

Peraltro ove si ammettesse la non revocabilità dell'amministratore di condominio in prorogatio si eliderebbe la possibilità di un controllo giudiziale sull'operato dell'amministratore a discapito delle minoranze dell'assemblea condominiale la cui tutela dovrebbe essere invece il fulcro della disciplina legislativa inerente alla funzione assembleare.

Ed infatti basterebbe che l'amministratore evitasse di farsi rinnovare il proprio incarico per non essere revocabile giudizialmente e sottrarsi ai doveri previsti dalla legge per l'espletamento della sua funzione (in primis convocazione dell'assemblea per l'approvazione del rendiconto annuale e presentazione dello stesso).

E' opportuno infatti sottolineare che l'amministratore in regime di prorogatio conserva gli stessi poteri e quindi anche quello di convocazione dell'assemblea e di rappresentanza in giudizio del condominio.

Ne consegue che parrebbe doversi ammettere l'opportunità e l'utilità della revoca giudiziale - ove beninteso ne ricorrano i presupposti - anche per l'amministratore di condominio che operi in regime di prorogatio.

Ulteriore riflessione infine riguarda la possibilità di proporre congiuntamente all'istanza di revoca la richiesta di risarcimento dei danni cagionati dall'amministratore revocando nell'inadempimento dei doveri derivanti dal proprio mandato.

La risposta parrebbe dover essere negativa atteso il carattere di volontaria giurisdizione del ricorso ex art. 64 disp. att. c.c. e l'inidoneità del relativo provvedimento ad acquisire la definitività propria della cosa giudicata.

 

 
 
 
 
 
 

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