Sommario: 1. Obiettivi del disegno di legge. – 2. Supporto normativo all’attività di alcune categorie di pubblici ufficiali. – 3. Modifica degli artt. 336, 337 e 339 del Codice penale. – 4. Nuova fattispecie di lesioni a ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’adempimento delle sue funzioni. – 5. Modifiche al reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui. – 6. Utilizzo della bodycam. – 7. Copertura delle spese legali.
1. Obiettivi del disegno di legge.
Il disegno di legge AC-1660-A, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, tutela del personale in servizio nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”, approvato dalla Camera dei deputati il 18.09.2024 e attualmente al vaglio del Senato, conosciuto anche come “Pacchetto sicurezza 2024”, contiene un’articolata previsione di interventi con cui il Governo si prefigge di fronteggiare le ingravescenti esigenze connesse al mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza collettiva.
Tra le novità più rilevanti si registrano una serie di previsioni volte a rafforzare lo status e la tutela dei Pubblici Ufficiali, con particolare attenzione per quelli che svolgono funzioni di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza. Le suddette norme rappresentano certamente uno dei punti più controversi e discussi nel dibattito pubblico nonché, per quanto di interesse da un punto di vista giuridico, uno degli aspetti di maggiore attenzione per i vari operatori del diritto chiamati ad occuparsene.
Una lettura complessiva delle disposizioni in questione rivela immediatamente una strategia di intervento su più fronti: innanzitutto, su quello del diritto penale sostanziale, prevedendo l’introduzione di nuove fattispecie di reato e un aggravamento delle pene per quelle già esistenti, soprattutto in caso di minaccia, resistenza, violenza e lesioni ai danni degli agenti di pubblica sicurezza; in secondo luogo, su un fronte di carattere “pratico-operativo”, con interventi sia sugli stipendi degli uomini e delle donne in divisa, attraverso un aumento medio che dovrebbe aggirarsi attorno al +5,8%, sia sulle polizze assicurative antinfortunistiche loro riservate, con uno stanziamento annuale di 38 milioni di euro, ma anche attraverso l’incentivazione dell’uso delle cd. bodycam in loro dotazione. Infine, sul piano più strettamente giudiziario, tramite il riconoscimento di un beneficio economico a fronte delle spese legali connesse ai procedimenti nei quali si trovino coinvolti in qualità di indagati o imputati.
2. Supporto normativo all’attività di alcune categorie di pubblici ufficiali.
Nello specifico, scrutando il portato normativo di ciascuna previsione attraverso il suddetto poliedrico occhio interpretativo - sostanziale e pratico-operativo -, emerge immediatamente l’innovativa enucleazione normativa di una speciale categoria di pubblici ufficiali, costituita dagli “ufficiali o agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza”, alla quale viene dedicata la più rilevante parte delle norme di settore del “pacchetto sicurezza”. Detta categoria si pone, dunque, in un rapporto di species a genus rispetto a quella più ampia dei pubblici ufficiali e ricomprende, ai sensi dell’art. 57 co. 1-2 c.p.p., come ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, gli appartenenti alla Polizia di Stato, all’Arma dei carabinieri, alla Guardia di finanza, ai quali l’ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosca le predette qualità, nonché, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le attribuzioni previste dall’art. 55 c.p. (vale a dire prendere, anche di propria iniziativa, notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale). A titolo esemplificativo, si segnala che funzioni di polizia giudiziaria sono attribuite, tra i tanti, agli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, agli appartenenti alla Polizia Municipale, al personale, anche volontario, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e che, nei comuni in cui non abbia sede un ufficio della Polizia di Stato o un comando dell’Arma dei carabinieri o della Guardia di finanza, ad esercitarle è il sindaco.
Gli agenti di pubblica sicurezza sono, invece, definiti tali ai sensi degli artt. 17, 18 e 43 del R.D. n. 690 del 31 agosto 1907, che li individua, in quanto agenti in servizio permanente, tra gli appartenenti alla Polizia di Stato, all’Arma dei Carabinieri, alla Guardia di Finanza, alla Polizia Penitenziaria e, nelle regioni a statuto speciale, ai vari Corpi Forestali regionali. Ulteriormente, sono tali anche i membri della Polizia locale, della Polizia municipale e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Infine, ai sensi del d.l. n. 83 del 6 maggio 2002, convertito con modificazioni dalla L. 2 luglio 2002, n. 133 (in G.U. 06/07/2002, n.157), la qualifica di agente di pubblica sicurezza può essere conferita, in modo eccezionale e temporaneo, ai conducenti di veicoli in uso ad alte personalità che rivestono incarichi istituzionali di governo o al personale in servizio presso le forze armate italiane chiamato a svolgere temporaneamente funzioni di polizia, in seno ad attività di mantenimento dell'ordine pubblico.
3. Modifica degli artt. 336, 337 e 339 del Codice penale.
Tanto premesso, l’art. 19 del d.d.l. va a modificare gli articoli 336, 337 e 339 del Codice penale, introducendo una circostanza aggravante dei delitti di violenza o minaccia e di resistenza a pubblico ufficiale, comportante l’aumento fisso di un terzo della pena se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, prevedendo, altresì il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla predetta aggravante [1].
La neo-circostanza aggravante che verrebbe, così, introdotta per i reati di cui agli artt. 336 e 337 c.p. è a effetto speciale, in quanto l’aumento della pena è previsto nella misura fissa di un terzo (anziché nella misura fino a un terzo prevista per le circostanze aggravanti a effetto comune dall’art. 64 co. 1 c.p.), oltre a risultare “rafforzata” in esito all’introduzione del divieto di prevalenza delle attenuanti, esclusa quella della minore età di cui all’art. 98 c.p. A riguardo, è di immediata evidenza il rischio di tenuta costituzionale di una simile previsione, alla luce degli orientamenti recentemente espressi dalla Consulta in tema di divieto di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti per cui occorre che il giudice calibri adeguatamente la pena non solo in considerazione del concreto contenuto di offensività del fatto di reato rispetto agli interessi protetti, ma anche in relazione al disvalore soggettivo espresso dal fatto, il quale dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della colpevolezza (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dall’eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo, così, più o meno rimproverabile. Ne consegue che il legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità, può derogare al regime tipico del bilanciamento, purché non perda di vista e, quindi, preservi i principi costituzionali di proporzionalità e individualizzazione della pena, desumibili dagli artt. 3 e 27 co. 3 Cost. In virtù di ciò, la Corte ha ritenuto che il divieto di prevalenza di cui all’art. 577 co. 3 c.p. violasse l’art. 3 Cost., rilevando l’intrinseca irragionevolezza della previsione per cui “una sola circostanza aggravante […] abbia l’effetto di impedire un giudizio di prevalenza di una pluralità di circostanze attenuanti” [2].
Per altro verso, una simile tecnica normativa ha già superato il vaglio di legittimità costituzionale in almeno due occasioni: in passato, con la sentenza n. 38 del 1985 [3] il Giudice delle leggi ha affermato che il Legislatore, in un’ottica di inasprimento sanzionatorio, può decidere di sottrarre alcune circostanze al giudizio di bilanciamento, vincolando la discrezionalità del giudice in sede di valutazione globale del fatto, e, più di recente, lo ha ribadito nella sentenza n. 88 del 2019 [4].
Pertanto, è ammissibile la possibilità di concorso di una circostanza aggravante “privilegiata” (soggetta a c.d. blindatura forte, come quelle in esame) con altre circostanze attenuanti o aggravanti, seppure la prima sia sottratta al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p. e, pertanto, mai considerabile equivalente o soccombente rispetto alle seconde. In particolare, le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione con la sentenza n. 42414 del 29.04.2021[5], allo scopo di non vanificare la funzione del giudizio di bilanciamento, che consente al giudice di valutare la gravità del fatto in concreto, hanno stabilito che le circostanze attenuanti che concorrono sia con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell'art. 69 c.p., sia con circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto, devono essere previamente sottoposte a tale giudizio e, se sono ritenute equivalenti, si finisce per applicare la pena che sarebbe inflitta - per il reato aggravato da circostanza "privilegiata" - se non ricorresse alcuna di dette circostanze.
La lett. c) dell’art. 19 del d.d.l. in esame introduce un’ulteriore circostanza aggravante - in virtù di un emendamento approvato nel corso dell’esame alla Camera - per i delitti di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, di resistenza a pubblico ufficiale e di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi componenti. Invero, prevede l’aggiunta all’art. 339 c.p. di un quarto comma, in virtù del quale la pena è aumentata se la violenza o la minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica [6].
Si tratta, pertanto, diversamente da quelle più sopra commentate, di una circostanza aggravante a effetto comune, con aumento della pena fino a un terzo. Si rammenta che l’allegato I.1 (“Definizioni dei soggetti, dei contratti, delle procedure e degli strumenti”) del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) definisce “opere pubbliche di interesse statale” le opere eseguite dalle amministrazioni statali o comunque le opere insistenti su aree statali, nonché le opere da realizzarsi da ogni altro ente istituzionalmente competente, destinate a servire interessi pubblici non limitati al territorio di una singola regione.
Le critiche a tale previsione si sono incentrate sulla sua pretesa finalità “occulta” di mirare alla limitazione della libertà di protesta dinanzi alla costruzione delle grandi opere pubbliche, che, spesso, incontrano una cospicua disapprovazione attiva tra la popolazione, a causa del loro impatto sul territorio. A riguardo, in questa sede non può che ribadirsi come la piena e assoluta salvaguardia del diritto di critica e protesta, anche attiva, ne presupponga la necessaria natura pacifica, evitando degenerazioni che sfocino in gratuiti atti di violenza o minaccia contro chi è chiamato a presiedere, attraverso un corretto esercizio delle proprie funzioni, all’ordine pubblico.
4. Nuova fattispecie di lesioni a ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’adempimento delle sue funzioni.
L’art. 20 del d.d.l. si propone di modificare l’art. 583-quater c.p., “Lesioni personali a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, nonché a personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria e a chiunque svolga attività ausiliarie ad essa funzionali”, sostituendo il primo comma di tale norma con la nuova fattispecie di reato di lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle sue funzioni, punita con la medesima pena già stabilità nel testo previgente della reclusione da 2 a 5 anni nel caso di lesioni semplici; da 4 a 10 anni nel caso di lesioni gravi e da 8 a 16 anni nel caso di lesioni gravissime[7]. Pertanto, la disposizione in esame generalizza a tutti gli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle sue funzioni l’ambito di applicazione della citata disposizione, che, nella versione attualmente vigente, è circoscritta alle lesioni personali in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive. Inoltre, viene introdotta anche una specifica sanzione (da 2 a 5 anni) per le lesioni semplici, attualmente rientranti nella disposizione generale di cui all’art. 582 c.p. Non viene, invece, toccato il secondo comma del medesimo articolo, che punisce con la reclusione da 2 a 5 anni le lesioni personali semplici e con le pene previste dal primo comma le lesioni personali gravi o gravissime cagionate a personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria e a chiunque svolga attività ausiliarie ad essa funzionale.
5. Modifiche al reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui.
Inoltre, l’articolo 24 introduce modifiche all’articolo 639 c.p., relativo al reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui, potenziando gli strumenti volti a salvaguardare i beni mobili e immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche. Più nel dettaglio, il comma 1 lettera a) della disposizione in esame, intervenendo sul secondo comma dell’articolo 639 c.p., prevede che ove il fatto sia commesso su beni mobili o immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche, con la precipua finalità di “ledere l’onore, il prestigio o il decoro” dell’istituzione alla quale appartengono, si applichi la pena della reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi e la multa da 1.000 a 3.000 euro. Viene, quindi, introdotta una tutela rafforzata ed un corrispettivo aggravamento sanzionatorio, rispetto all’ipotesi disciplinata dallo stesso secondo comma, relativa al deturpamento ed imbrattamento di beni immobili o di mezzi di trasporto pubblici o privati, nella quale si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi e della multa da 300 a 1.000 euro.
La lettera b) della disposizione in esame interviene in tema di recidiva, introducendo al terzo comma dell’articolo 639 c.p. la previsione per cui, nei casi di recidiva per deturpamento e imbrattamento di beni mobili o immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche, si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa fino a 12.000 euro. Nei casi di recidiva riguardante le ipotesi previste dal primo e dal secondo periodo del secondo comma si applica, invece, la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro.
6. Utilizzo della bodycam.
Le altre novità rilevanti del “pacchetto sicurezza” attinenti ai pubblici ufficiali riguardano in concreto lo status trattamentale degli Agenti di Polizia Giudiziaria e Pubblica Sicurezza.
In specie, l’articolo 21 del d.d.l. nel primo comma autorizza le Forze di polizia ad utilizzare discrezionalmente dispositivi di videosorveglianza indossabili (cd. bodycam) nei servizi di mantenimento dell’ordine pubblico, di controllo del territorio, di vigilanza di siti sensibili, nonché in ambito ferroviario e a bordo treno, mentre il secondo comma ne rende possibile l’utilizzo nei luoghi e negli ambienti in cui vengono trattenute persone sottoposte a restrizione della libertà personale. Tale disposizione è doppiata dalla previsione di appositi stanziamenti per assicurare l’effettiva dotazione dei suddetti strumenti alle Forze dell’ordine.
Considerata la natura sensibile dei dati che verrebbero così acquisiti, la normativa in esame va necessariamente coordinata con le disposizioni del d.lgs. 51/2018 in materia di protezione dei dati personali trattati a fini di prevenzione e accertamento dei reati. Invero, sul punto, ossia sull’utilizzo delle cd. bodycam da parte delle forze di Polizia, allo scopo di documentare situazioni critiche di ordine pubblico in occasione di eventi o manifestazioni, si è già espresso in passato il Garante per la privacy, rendendo due pareri (nn. 290 e 291 del 22 luglio 2021), di fatto dando il via libera a tale sistema di raccolta di audio, video e foto delle persone riprese, data, ora della registrazione e coordinate Gps e conseguente messa a disposizione degli stessi, attraverso diversi livelli di accessibilità e sicurezza, per le successive attività di accertamento. Nei predetti pareri il Garante ha, però, indicato alcune condizioni necessarie al fine di conformare tali procedure alle normative in materia privacy: in particolare, l’attivazione delle videocamere indossabili in uso al personale dei reparti mobili incaricato solo in presenza di concrete e reali situazioni di pericolo di turbamento dell’ordine pubblico o di fatti di reato e l’esclusione di una registrazione continua delle immagini e di episodi non critici, ossia non rispondenti ad un’esigenza documentativa. Il Garante ha ritenuto, poi, ragionevole fissare un periodo circoscritto - pari a sei mesi - di conservazione dei dati, prevedendo al suo scadere la loro cancellazione automatica. Quanto ad aspetti formali, il Garante ha poi sottolineato che, in relazioni a tali sistemi, è necessaria la consultazione preventiva del Garante perché ricorre uno dei casi elencati dall’articolo 24 del d.lgs. 51/2018 e, precisamente, quello relativo a rischi molto elevati per le persone riprese (discriminazione, sostituzione d’identità, pregiudizio per la reputazione, ingiusta privazione di diritti e libertà, estremamente probabili i trattamenti di dati che rivelino le opinioni politiche, sindacali, religiose o l’orientamento sessuale dei partecipanti mediante utilizzo delle bodycam nel corso di manifestazioni pubbliche).
Ebbene, in conformità a tali indicazioni e, pertanto, nel rispetto della normativa posta a tutela della riservatezza, si ritiene che l’introduzione di dispostivi di questo tipo possa rappresentare una novità vantaggiosa per i Pubblici Ufficiali, in quanto oltre a fornire un mezzo di rapida ed immediata geolocalizzazione e soccorso degli operatori in eventuali contesti critici, rappresenta uno strumento di loro garanzia, mettendo a loro disposizione la possibilità di documentare puntualmente le loro operazioni, utile a tutelarli dalle denunce strumentali per condotte illecite spesso avanzate dagli stessi soggetti attivi di resistenze o violenze, i quali, nell’esperienza processuale, possono giungere persino ad atti di autolesionismo a fini di vendetta e ritorsione [8]. Costituisce al contempo anche uno strumento per l’identificazione e l’attribuzione di specifiche condotte a soggetti facinorosi nell’ambito di pubbliche manifestazioni.
In un’ottica di analisi circa l’efficacia di tale strumentazione potrebbe risultare utile guardare all’esperienza di altri Paesi del mondo, dove il suo utilizzo si colloca in uno stadio ben più avanzato ed esteso. In particolare, rileva l’esperienza statunitense, la quale sembrerebbe confermare la sua utilità o comunque non indicare particolari contro-indicazioni nel loro impiego.
7. Copertura delle spese legali.
L’art. 22 del d.d.l. (rubricato “Disposizioni in materia di tutela legale per il personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco”) - introdotto nel corso della prima lettura in Camera - prevede il riconoscimento, a partire dall’anno 2024, di un beneficio economico a fronte delle spese legali sostenute, avvalendosi di un professionista di fiducia, da ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria, nonché dai vigili del fuoco, che risultano indagati o imputati nei procedimenti riguardanti fatti inerenti al servizio da loro svolto. Inoltre, possono accedere al beneficio anche il coniuge, il convivente di fatto e i figli del dipendente deceduto. Tale beneficio non può superare complessivamente l’importo di 10.000 euro per ciascuna fase del procedimento e viene fatta salva la rivalsa delle somme corrisposte in caso di accertamento della responsabilità con dolo del beneficiario. Sono comunque previsti alcuni casi di esclusione della rivalsa con riferimento alle somme anticipate.
La disposizione in esame mantiene comunque fermo quanto stabilito dall’art. 32 della legge n. 152 del 1975, il quale attribuisce al Ministero dell’interno (salvo rivalsa in caso di responsabilità con dolo) le spese legali quando ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria, o i militari in servizio di pubblica sicurezza, optino per un professionista di fiducia (in luogo dell’Avvocatura dello Stato) nei procedimenti per fatti compiuti in servizio e relativi all'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica e dall’art. 18 del decreto-legge n. 67 del 1997 (convertito dalla legge n. 135 del 1997) concernente il rimborso delle spese di patrocinio legale a fronte delle spese relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali, per fatti inerenti al servizio e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità. Inoltre, la disciplina in esame si applicherebbe anche al personale convenuto in giudizi per responsabilità civile ed amministrativa previsti dalle disposizioni sopra illustrate, secondo quanto previsto dal comma 3. La disposizione in esame richiama esplicitamente le forze di polizia, appartenenti ad ordinamento civile o militare, di cui all’art. 16 della legge n. 121 del 1981. Tale articolo 16 annovera tra le Forze di polizia, oltre alla Polizia di Stato, l'Arma dei carabinieri e il Corpo della guardia di finanza. Fatte salve le rispettive attribuzioni e le disposizioni applicabili, sono altresì Forze di polizia ai sensi del medesimo art. 16 il Corpo degli agenti di custodia e il Corpo forestale dello Stato. Per quanto concerne il riferimento ai “conviventi di fatto”, la disposizione in esame richiama esplicitamente l’art. 1, comma 36, della legge n. 76 del 2016, il quale definisce come tali “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile”.
Il comma 2 stabilisce che non si procede alla rivalsa delle somme anticipate quando:
▪ le indagini preliminari si siano concluse con un provvedimento di archiviazione;
▪ sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere (art. 425 c.p.p.) in sede di udienza preliminare;
▪ sia stata emessa sentenza di proscioglimento prima del dibattimento (art. 469 c.p.p.);
▪ sia stata emessa sentenza di proscioglimento in caso immediata declaratoria di non punibilità (art. 129 c.p.p.), in caso di sentenza di non doversi procedere (art. 529 c.p.p.), assoluzione (nei casi di cui all’art. 530 c.p.p. commi 2 e 3), e in caso di dichiarazione di estinzione del reato (art. 531 c.p.p.), anche se la sentenza è intervenuta successivamente a sentenza o altro provvedimento che abbia escluso la responsabilità penale del dipendente, salvo che per i fatti contestati in sede penale sia stata accertata la responsabilità per grave negligenza in sede disciplinare.
A ben guardare, dunque, l’istituto che si vuole introdurre costituisce una sorta di gratuito patrocinio non subordinato a limiti di reddito ma condizionato ad un esito processuale che escluda la responsabilità dolosa del beneficiario. Emergono due evidenti limitazioni: la prima sull’entità del contributo, che, come visto, viene limitato a 10.000 euro per fase e la seconda costituita dalla sua applicazione ad un pubblico ufficiale in possesso della qualifica di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o vigili del fuoco, di fatto non estendendola a qualsiasi pubblico ufficiale che potrebbe trovarsi in un’aula processuale. Non sembrano essere richiesti - o comunque non ne viene data indicazione - particolari presupposti di ammissione né specifiche procedure, per cui rimane l’incertezza sulle modalità con cui il contributo verrà accordato (al legale o al beneficiario con necessità o meno di quest’ultimo di anticipare comunque le somme dovute) e sull’organo competente a concederlo nonché sulle concrete modalità per l’eventuale “rivalsa”.
6. Gli interventi di natura sostanziale previsti dal “pacchetto sicurezza” più sopra esaminati[9] sono stati da più parti giudicati in chiave critica. Da un lato si è ritenuto che gli stessi si ridurrebbero ad una moltiplicazione delle fattispecie di reato, accompagnata da un acritico aggravamento delle pene, in senso contrario al principio costituzionale di proporzionalità e, soprattutto, secondo paradigmi tipici del populismo giustizialista e del diritto penale simbolico, funzionale al solo consenso politico, facendo leva su un sentimento di insicurezza a sua volta strumentalmente diffuso nella collettività. Dall’altro, si è osservato che l’aumento delle fattispecie di reato e soprattutto della misura delle pene, per diffusa esperienza ultradecennale di politica criminale, non corrisponde ad un proporzionato effetto deterrente, tale da condurre ad un calo effettivo della cifra dei reati commessi.
Sul punto è, tuttavia, doveroso osservare come le polemiche per cui gli aumenti di pena in questione non costituirebbero altro che un mezzo per alimentare vane illusioni connesse ad una crescente domanda di punizione, incrementante irrazionalmente un sistema carcerocentrico, siano in realtà ampiamente smussate dall’introduzione da parte della legge Cartabia di pene sostitutive di quelle detentive, assai efficaci proprio nell’ottica della futura prevenzione e rieducazione, comportando anche un rafforzamento delle strutture pubbliche quali l’UEPE, destinate a tali attività, sicuramente di notevole importanza per ridurre a priori rischi di recidiva e di commissione di nuovi reati.
D’altro canto, è indubbio che le proposte normative di natura penalistica sostanziale contenute nel d.d.l. in esame rispondono ad un chiaro intento di valorizzare le figure dei pubblici ufficiali specificamente impegnati nel mantenimento della sicurezza pubblica e nello svolgimento di funzioni di polizia giudiziaria a servizio dello Stato e a difesa e tutela dei cittadini. Se a tali contenuti si associano altri interventi più immediatamente attinenti alle tutele processuali ed assicurative nonché alle condizioni retributive, il giudizio complessivo sull’intervento normativo nei riguardi dei pubblici ufficiali non può certamente considerarsi meramente simbolico o “di facciata”, assumendo invece la natura di un rimodellamento in senso rafforzativo e garantista dell’intero status giuridico dei pubblici ufficiali.
[1] In particolare, il comma 1, lett. a) modifica l’art. 336 c.p. (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) L’art. 336, primo comma, c.p. punisce con la reclusione da 6 mesi a 5 anni chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio. Il terzo comma prevede la pena della reclusione fino a 3 anni se il fatto è commesso per costringere il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di esso. Si ricorda peraltro che l’art. 393-bis c.p. prevede una causa di non punibilità, qualora il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbia dato causa al fatto eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni. La disposizione in commento aggiunge all’art. 336 c.p. due commi, volti a prevedere: l’aumento della pena di un terzo se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza; il divieto di prevalenza delle attenuanti, diverse da quella della minore età di cui all’art. 98 c.p., rispetto alla predetta aggravante. Simmetricamente, la lett. b) modifica l’art. 337 c.p. (Resistenza a un pubblico ufficiale) aggiungendovi due commi, volti a prevedere: l’aumento della pena di un terzo se il fatto è commesso per opporsi a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza mentre compie un atto di ufficio e il divieto di prevalenza delle attenuanti, diverse da quella della minore età di cui all’art. 98 c.p., rispetto alla predetta aggravante.
[2] Cfr. Corte Cost. Sentenza 197/2023, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 577 co. 3 c.p. nella parte in cui vieta al giudice, in caso di omicidio commesso in danno di un ascendente, discendente, coniuge o convivente, ai sensi del medesimo art. 577 co. 1 n. 1), di determinare la pena a seguito di bilanciamento, ex art. 69 c.p., tra circostanze aggravanti ed attenuanti, in particolare operando una valutazione circa la possibile prevalenza di queste ultime, con specifico riguardo a quelle di cui agli artt. 62 co. 1 n. 2) (attenuante della provocazione), e 62-bis del c.p. (attenuanti generiche).
Parimenti, sulla base delle medesime motivazioni, in una seconda occasione la Corte costituzionale con la sentenza 201/2023 ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69 co. 4 c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 74 co. 7 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (T.U. in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), la quale prevede la diminuzione della pena dalla metà a due terzi “per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all'associazione risorse decisive per la commissione dei delitti”, sulla recidiva qualificata di cui all'art. 99 co. 4 c.p.
[3] In tema di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma terzo, d.l. 15 dicembre 1979, n. 625 (Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica) come conv. nell'art. 1, l. 6 febbraio 1980, n. 15, in quanto, per i reati aggravati da finalità di terrorismo o eversione, escluderebbe l'applicazione delle attenuanti generiche-
[4] In tema di legittimità costituzionale dell’art. 590-quater del c.p., (computo delle circostanze del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali) nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza e di equivalenza dell’attenuante speciale di cui all’art. 589-bis c.p.
[5] L’intervento nomofilattico è intervenuto sul dibattito formatosi in merito in seno alla Sez. 5 Penale della Corte, in relazione all’ipotesi di concorso tra la circostanza aggravante prevista per il delitto di furto in abitazione, di cui agli artt. 624-bis co. 3 e 625 c.p. ed altre circostanze aggravanti (recidiva reiterata) ed attenuanti (generiche), sottoposte a giudizio di comparazione ex art 69 c.p.
[6] La lett. c), inserita nel corso dell’esame alla Camera, aggiunge un comma all’art. 339 c.p. in materia di circostanze aggravanti dei delitti di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, resistenza a un pubblico ufficiale e violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi componenti. L’art. 339 c.p. nel testo attualmente vigente prevede, al primo comma, che le pene per i predetti delitti siano aumentate se il fatto è commesso nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi o da persona travisata o da più persone riunite, o con scritto anonimo o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete, esistenti o supposte. Il secondo comma prevede che qualora il fatto sia commesso da più di cinque persone riunite mediante l’uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, o da più di dieci persone, pur senza armi, si applichi la pena della reclusione da 3 a 15 anni, ovvero da 2 a 8 anni nell’ipotesi di cui all’art. 336, secondo comma. Il terzo comma prevede che l’aggravante di cui al secondo comma si applichi anche nel caso in cui la violenza o la minaccia sia commessa mediante il lancio di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone. La disposizione in commento prevede l’introduzione di un’ulteriore circostanza aggravante. Si tratta, pertanto, di una circostanza aggravante a effetto comune, con aumento della pena fino a un terzo (art. 64, primo comma, c.p.).
[7] Il quale, nel testo attualmente vigente, punisce con la reclusione da 4 a 10 anni le lesioni gravi e con la reclusione da 8 a 16 anni le lesioni gravissime cagionate a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive.
[8] Così come rappresenta uno strumento anche a tutela dei cittadini dinanzi a possibili casi di abuso da parte degli operatori, fungendo, quindi, anche da possibile deterrente. Un ulteriore aspetto su cui si è chiamati a riflettere è quello della discrezionalità di utilizzo di tali apparati la cui accensione è ancora rimessa agli utilizzatori.
[9] Ai quali si aggiunge l’inasprimento delle sanzioni amministrative previste per l’Inosservanza delle prescrizioni impartite dal personale che svolge servizi di polizia stradale previste dall’articolo 192 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, con particolare riguardo ai casi di inosservanza dell’obbligo di fermarsi intimato dal personale che svolge servizi di polizia stradale, nonché delle altre prescrizioni impartite dal personale medesimo. Il comma 1, lettera a), numero 1), nelle ipotesi di violazione degli obblighi di cui ai commi 2, 3 e 5 del medesimo articolo 192 prevede la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 100 a 400 euro (attualmente, è da 87 a 344 euro). Al comma 1, lettera a), numero 2), nel caso di inosservanza dell’invito a fermarsi di cui all’articolo 192, comma 1, viene prevista, ove il fatto non costituisca reato, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 200 ad euro 600 (a fronte della medesima sanzione pecuniaria sopra indicata). Si prevede altresì che, in caso di reiterazione della violazione nel biennio, si applichi anche la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida fino a un mese. Invece, al comma 1, lettera a), numero 3), per l’inosservanza delle previsioni di cui al comma 4 dello stesso articolo 192 si prevede, ove il fatto non costituisca reato, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.500 ad euro 6.000. In questa ipotesi, oggettivamente più grave delle precedenti, si stabilisce che all’accertamento della violazione consegua la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre mesi a un anno. Con il comma 1, lettera b), invece, viene ritoccata la tabella dei punteggi prevista dall’articolo 126-bis dello stesso codice della strada, al duplice scopo di adeguarla alla nuova articolazione delle condotte e di graduare la decurtazione alla nuova valutazione di gravità delle stesse. In particolare, per le violazioni di cui al comma 6 sono comminati 3 punti di sanzioni; per le violazioni di cui al comma 6-bis, primo periodo, sono comminati 5 punti; per il comma 6-bis, secondo periodo, vengono comminati 10 punti di sanzione; per le violazioni di cui al comma 7, infine, 10 punti di sanzione.

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