SOMMARIO: 1. Efficacia nel tempo e rapporti con le disposizioni emergenziali preesistenti. - 2. Le disposizioni riguardanti le indagini preliminari. - 3. Le disposizioni riguardanti la celebrazione delle udienze (camerali o dibattimentali). - 4. Segue. La partecipazione alle udienze (camerali o dibattimentali) nei giudizi di merito. - 5. Segue. La partecipazione alle udienze (camerali o dibattimentali) in Cassazione. - 6. Le deliberazioni collegiali. - 7. Le altre disposizioni di rilievo penale: deposito di atti, documenti e istanze e disposizioni in tema di esecuzione della pena.
Per fronteggiare la “nuova” (ma lo è davvero ?) emergenza COVID-19 nel settore giustizia, gli artt. 23 e ss. d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 dettano una serie di “ulteriori” disposizioni; quelle di rilievo penale sono concentrate essenzialmente nell’art. 23 (la cui rubrica, nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale, esordisce menzionando, come causa giustificativa delle emanande disposizioni, l’emergenza epidemiologica da “CIVID-19”: all’interprete non resta che auspicare che la dea Ate, che “cammina leggera sul capo dei mortali e degli stessi dei, inducendoli in errore”, mentre venivano scritte le singole disposizioni sia andata a passeggio altrove …). Iniziamo a leggerle insieme.
1. Efficacia nel tempo e rapporti con le disposizioni emergenziali preesistenti.
Il comma 1 dell’art. 23 attribuisce alle emanande disposizioni, contenute nei commi da 2 a 9, efficacia temporale limitata, a partire dal 29 ottobre 2020 (data di entrata in vigore del d.l., coincidente con il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, secondo quanto stabilito dall’art. 35 dello stesso d.l.) fino alla scadenza del termine di cui all’art. 1 d.l. n. 19 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 35 del 2020: trattasi della data di (auspicata) cessazione dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, inizialmente fissata al 31 luglio 2020, ma succesivamente prorogata dall’art. 1, comma 1, lett. a), d.l. n. 248 del 2020, al 31 gennaio 2021.
Continuano a trovare applicazione, ove non espressamente derogate dalle disposizioni contenute nell’art. 23, le disposizioni di cui all’art. 221 d.l. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 77 del 2020 (ovvero le modifiche all’art. 83 d.l. n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 27 del 2020, e le ulteriori disposizioni in materia di processo civile e penale, cui si rinvia), alle quali va, quindi, rinonosciuto carattere generale: queste ultime sono, quindi, vigenti:
- dal 29 ottobre 2020 al 31 gennaio 2021, se ed in quanto non derogate dalle disposizioni dettate dall’art. 23 d.l. n. 137 del 2020 (o comunque con esse non incompatibili);
- pienamente, a partire dal 1° febbraio 2021.
2. Le disposizioni riguardanti le indagini preliminari.
Il comma 2 dell’art. 23 consente il compimento di atti d’indagine preliminare da remoto.
Il P.M. e la P.G. “possono” (non “devono”: residua, pertanto, la possibilità, discrezionalmente valutabile caso per caso, di procedere in compresenza) avvalersi di collegamenti da remoto[1] per compiere atti “che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone”: la previsione abbraccia, nella sua ampiezza, ogni attività che coinvolga delle persone.
E’, peraltro, attribuita al difensore della persona sottoposta alle indagini, in tutti i casi in cui sia richiesta la sua presenza, la facoltà di opporsi all’espletamento dell’atto da remoto, il cui esercizio deve ritenersi, in difetto di precisazioni, rimesso alla sua discrezionalità, costituendo, quindi, diritto potestativo della difesa.
La disposizione indica le formalità da rispettare nel caso in cui l’atto sia assunto da remoto[2], prevedendo, in particolare, che:
- il compimento dell’atto avviene con modalità idonee a salvaguardarne, ove necessario, la segretezza e ad assicurare la possibilità per la persona sottoposta alle indagini di consultarsi riservatamente con il proprio difensore: appare, pertanto, evidente che non sarà possibile intercettarne, o documentarne altrimenti, gli eventuali colloqui;
- il difensore partecipa da remoto mediante collegamento dal proprio studio, salvo che decida di essere presente nel luogo ove si trova il suo assistito: la disposizione, che, per come formulata, sembrerebbe escludere l’opzione per la partecipazione da remoto da altro sito, appare di dubbia ragionevolezza (non è, infatti, agevole comprendere perchè al difensore debba essere preclusa la possibilità di partecipare all’espletamento dell’atto a distanza da siti ulteriori: si pensi, ad es., al difensore, impegnato, nel giorno dell’espletamento dell’atto, fuori sede, in una udienza che preveda la sua partecipazione, il quale non può essere presente in studio o nel luogo in cui si trova il suo assistito, ma potrebbe cionondimeno agevolmente collegarsi da remoto), ma, in difetto di sanzioni processuali, potrà essere interpretata con un minimo di buon senso.
La partecipazione delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare (anche agli AA.DD.) avviene sempre in videoconferenza, e comunque da remoto, nei modi indicati, in generale, dal comma 4.
Con le medesime modalità il giudice “può” (non “deve”: anche in questo caso residua la possibilità, discrezionalmente valutabile caso per caso, di procedere in compresenza) procedere all’interrogatorio di garanzia (art. 294 c.p.p.): la disposizione, espressamente dettata per le sole indagini preliminari, sembra poter trovare applicazione, quanto meno per analogia, in ogni altro caso nel quale sia necessario assumere l’interrogatorio di garanzia prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, situazione nella quale, peraltro, per i soggetti sottoposti a misura coercitiva detentiva, soccorre il comma 4, di generale applicazione.
Balza immediatamente all’attenzione dell’interprete una lacuna, non è dato sapere quanto voluta: nulla è stato, infatti, previsto per le indagini difensive (artt. 391-bis ss. c.p.p.), per le quali la possibilità di assumere l’atto d’indagine da remoto deve, quindi, ritenersi esclusa.
3. Le disposizioni riguardanti la celebrazione delle udienze (camerali o dibattimentali).
Il comma 3 dell’art. 23 stabilisce che le udienze “alle quali è ammessa la presenza del pubblico”, ovvero le udienze dibattimentali, “possono” (non “devono”) essere celebrate a porte chiuse (ex art. 472, comma 3, c.p.p.) anche fuori dai casi previsti dal codice di rito: sarà, quindi, il giudice a stabilire discrezionalmente se l’emergenza COVID-19 renda opportuno, oppure no, procedere a porte chiuse. La disposizione, che ripropone quella di cui all’art. 83, comma 7, d.l. n. 18 del 2020, si applica anche alle udienze “pubbliche”, destinate a svolgersi ex art. 614 c.p.p., della Corte di cassazione.
Il comma 4 dell’art. 23 stabilisce che la partecipazione a qualsiasi udienza (dibattimentale o camerale) delle persone detenute, internate, in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate, “è assicurata, ove possibile” mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto[3]: in virtù del riferimento espresso alle persone “fermate o arrestate”, andranno, quindi, celebrate in tal modo anche le udienze di convalida previste dall’art. 391 c.p.p., in relazione alle quali, peraltro, si rinvia anche a quanto disposto dal comma 5 con riguardo ai soggetti che si trovano agli AA.DD.
La disposizione, diversamente da quella di cui al comma 3, non attribuisce al giudice alcun potere discrezionale: ne consegue che la partecipazione alle udienze (incluse quelle di convalida) dei soggetti indicati dal comma 4 non potrà mai aver luogo “in presenza”, sempre che risulti possibile procedere in videoconferenza o, comunque, da remoto.
Viene, infine, temporaneamente (ovvero fino a quando il d.l. n. 137 del 2020 sarà vigente) abrogato il comma 9 dell’art. 221 d.l. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 77 del 2020[4].
[1] Individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia.
[2] Le persone chiamate a partecipare all’atto sono tempestivamente invitate invitate a presentami presso l’ufficio di polizia giudiziaria più vicino al luogo di residenza, che abbia in dotazione strumenti idonei ad assicurare il collegamento da remoto; presso tale ufficio, le persone partecipano al compimento dell’atto in presenza di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, che procede alla loro identificazione. Il p.u. che redige il verbale dà atto nello stesso delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l’identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni, nonché dell’impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell’art. 137, comma 2, c.p.p.
[3] Anche in questo caso, individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 146-bis, commi 3, 4 e 5, disp. att. c.p.p.
[4] A norma del quale, “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 146-bis e 147-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, la partecipazione a qualsiasi udienza penale degli imputati in stato di custodia cautelare in carcere o detenuti per altra causa e dei condannati detenuti e’ assicurata, con il consenso delle parti e, ove possibile, mediante collegamenti audiovisivi a distanza individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, applicate, in quanto compatibili, le disposizioni dei commi 3, 4 e 5 del citato articolo 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo n. 271 del 1989. Il consenso dell’imputato o del condannato e’ espresso personalmente o a mezzo di procuratore speciale. L’udienza e’ tenuta con la presenza del giudice, del pubblico ministero e dell’ausiliario del giudice nell’ufficio giudiziario e si svolge con modalita’ idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti. Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui e’ prevista la partecipazione il giorno, l’ora e le modalita’ del collegamento”.
4. Segue. La partecipazione alle udienze (camerali o dibattimentali) nei giudizi di merito.
Per quanto riguarda le possibili modalità di partecipazione alle udienze (camerali o dibattimentali) nei giudizi di merito, il comma 5 dell’art. 23 prevede varie possibilità:
1) devono sempre essere celebrate secondo le disposizioni ordinarie, ovvero in compresenza e mai da remoto:
A) le udienze (dibattimentali, ma riteniamo anche del giudizio abbreviato o dell’udienza preliminare: il comma 5 non lo precisa, ma l’estensione appare inevitabile) “nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti”: la disposizione, manifestamente superflua, poiché già insita nel divieto (che costituisce incipit del comma 5) di celebrare da remoto udienze che richiedano la partecipazione di soggetti diversi dal P.M., dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice, sembra applicabile anche all’incidente probatorio, in qualunque fase del procedimento si celebri;
B) le udienze quelle nelle quali devono aver luogo le “discussioni di cui agli artt. 441 e 523 c.p.p.” (rispettivamente, nel giudizio abbreviato e nel dibattimento di primo grado o d’appello);
2) “possono” (ma non necessariamente “devono”: la relativa decisione sarà presa discrezionalmente dal giudice, previa valutazione in concreto del grado del rischio COVID-19) essere celebrate con collegamenti da remoto[1]:
A) le udienze preliminari e le udienze dibattimentali (nelle quali non debbano aver luogo le attività innanzi indicate), ma soltanto quando le parti vi consentano: il promiscuo ed indifferenziato riferimento normativo alle “parti” include anche le parti private diverse dall’imputato, e richiede necessariamente il consenso di tutte; all’uopo, deve ritenersi che il giudicante che intenda valutare l’opzione della celebrazione “da remoto” sia gravato da un onere di previo interpello delle parti, in relazione al quale, con estrema superficialità, non sono indicati termini e forme di rito, il che legittimerà inevitabilmente l’adozione di prassi difformi da ufficio a ufficio;
B) “le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal P.M., dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice”; si tratterà, per esclusione, di udienze camerali (ex artt. 127 o 391 c.p.p.).
Si è, quindi, in estrema sintesi, stabilito che i dibattimenti possano essere celebrati con collegamenti da remoto solo in casi estremamente limitati (ovvero, se non debbano essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, o non debba aver luogo la discussione: cosa residua ? a prima vista, solo la prima udienza; quanto alla deliberazione, si rinvia al commento del comma 9) e solo se tutte le parti vi acconsentano. Non si tratta, quindi, di un intervento particolarmente incisivo.
La disposizione prevede che l’udienza da remoto deve svolgersi con (non meglio precisate) “modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti” (che spetterà, quindi, al giudice individuare), limitandosi ad indicare le formalità generali di celebrazione[2].
Per le udienze di convalida (ex art. 391 c.p.p., ma deve ritenersi anche nel caso in cui si proceda con giudizio direttissimo) si prevede, in particolare, che, in caso di custodia dell’arrestato o del fermato presso il domicilio od altro dei luoghi indicati dall’art. 284, comma 1, c.p.p., la persona arrestatata o fermata e il difensore possono partecipare all’udienza da remoto anche dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria attrezzato per la videoconferenza, quando disponibile (presso il quale dovrà essere tradotto o potrà essere autorizzato a recarsi senza scorta): in tale caso, l’identità della persona arrestata o fermata è accertata dall’ufficiale di polizia giudiziaria presente.
Può prima facie rivelarsi ingannevole la disposizione di cui al comma 7, secondo la quale “il giudice può partecipare all’udienza anche da un luogo diverso dall’ufficio giudiziario”: la precisazione, premessa dal comma 7, che la disposizione deroga all’art. 221, comma 7, d.l. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 77 del 2020[3], chiarisce, peraltro, che il suo ambito applicativo è limitato alle sole udienze civili, non anche gli imperscrutabili motivi di questo distinguo il quale, tenuto conto delle premesse ragioni dell’intervento emergenziale de quo, sembrerebbe lasciare intendere che, secondo il Governo, le udienze civili possono esporre i magistrati a rischio COVID-19, quelle penali no. Mah !
5. Segue. La partecipazione alle udienze (camerali o dibattimentali) in Cassazione.
Il comma 8 dell’art. 23 stabilisce che “Per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma degli artt. 127 e 614 c.p.p.”[4], la Corte di cassazione procede sempre in camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle altre parti.
La procedura ricalca quella già prevista dall’art. 611 c.p.p. per i ricorsi da trattare in udienza camerale non partecipata; si prevede, in particolare, che, “entro il quindicesimo giorno precedente l’udienza”, il procuratore generale formuli le sue “richieste” (ma sarebbe stato preferibile, per esigenze di civilità giuridica, oltre che per non svilire il ruolo del P.G. in Cassazione, prevedere la formulazione di richieste motivate), con atto spedito alla cancelleria della “Corte” a mezzo di posta elettronica certificata, e la cancelleria provveda immediatamente ad inviare, con lo stesso mezzo, l’atto contenente le richieste ai difensori delle altre parti; questi ultimi, “entro il quinto giorno antecedente l’udienza”, possono a loro volta presentare con atto scritto, inviato alla cancelleria della “corte”[5] a mezzo di posta elettronica certificata, le conclusioni.
Pur essendo state adoperate (chissà mai perché ?) espressioni (“entro il quindicesimo giorno precedente l’udienza”; “entro il quinto giorno antecedente l’udienza”), non soltanto inter se disomogenee, ma anche diverse da quelle impiegate dall’art. 611 c.p.p. (“fino a quindici giorni prima dell’udienza”; “fino a cinque giorni prima”), appare ragionevole ritenere che la disciplina cui accedere sia quella “solita”, che computa i predetti termini in “giorni liberi” ex art. 172, comma 5, c.p.p.[6].
La deliberazione ha luogo con le modalità di cui al comma 9; non comparendo le parti, non può applicarsi la disposizione di cui all’art. 615, comma 3, c.p.p.[7], e, pertanto, il dispositivo va sempre celermente comunicato alle parti.
Le parti private (e quindi, per l’onnicomprensività del riferimento, anche la parte civile) ed il procuratore generale hanno, peraltro, la facoltà (insindacabilmente esercitabile anche da una soltanto di esse, con effetti vincolanti per le altre parti e per l’Ufficio) di chiedere la discussione orale: la richiesta deve essere formulata per iscritto dal procuratore generale o dal difensore abilitato a norma dell’art. 613 c.p.p. (non, quindi, dalla parte privata personalmente) entro il termine perentorio di “venticinque giorni liberi prima dell'udienza”, e presentata, a mezzo di posta elettronica certificata, alla cancelleria.
Questa disciplina è accompagnata da due disposizioni transitorie:
- essa non si applica ai procedimenti per i quali l’udienza di trattazione sia stata fissata entro il termine di quindici giorni dall’entrata in vigore del d.l., ovvero entro il 13 novembre 2020;
- per i procedimenti nei quali l’udienza ricade tra il sedicesimo ed il trentesimo giorno dall’entrata in vigore del d.l. (ovvero tra il 14 ed il 28 novembre 2020), la richiesta di discussione orale deve essere formulata entro dieci giorni dall’entrata in vigore del d.l., ovvero entro l’8 novembre 2020, giorno festivo (è domenica), con proroga ex lege al giorno successivo.
Diversamente dal termine di giorni venticinque, l’unico espressamente qualificato come “termine a giorni liberi”, ed in difetto della possibilità di richiamare una disposizione ulteriore[8], questi ultimi due termini andranno computati ordinariamente (ovvero non considerando il solo dies a quo).
6. Le deliberazioni collegiali.
Il comma 9 dell’art. 23 stabilisce che, nei procedimenti penali[9], le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto[10]: in tal caso, il luogo da cui si collegano i componenti del collegio è considerato Camera di consiglio a tutti gli effetti di legge e, nei soli procedimenti penali, dopo la deliberazione, il presidente del collegio o il componente del collegio da lui delegato sottoscrive il dispositivo della sentenza o dell’ordinanza ed il provvedimento è depositato in cancelleria onde essere inserito nel fascicolo “il prima possibile”.
Almeno un componente del collegio deve, quindi, sempre essere presente in loco: per questa ragione, la disposizione non può riguardare anche i giudici monocratici.
Le predette disposizioni, nei procedimenti penali, “non si applicano alle deliberazioni collegiali conseguenti alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, svolte senza il ricorso a collegamento da remoto”.
Quest’ultima precisazione rende il comma 9 assolutamente inutile, per non dire canzonatorio. Invero, con riferimento alle udienze che si svolgono nei gradi di merito, probabilmente anche un profano intuisce che, nella stessa giornata di lavoro, non saranno stati fissati in dibattimento solo processi nei quali deve aver luogo la discussione, o solo processi nei quali non deve aver luogo la discussione: ciò potrebbe avvenire per il futuro, ove la disposizione fosse introdotta stabilmente, ma certamente non si è verificato per le udienze dibattimentali destinate ad essere celebrate entro il 31 gennaio 2021, in massima parte già fissate. Per tale ragione, considerato che, ove sia fissata una discussione, ai sensi del comma 5 non è mai possibile celebrare l’udienza dibattimentale da remoto, l’evenienza di poter deliberare da remoto non si verificherà mai, a meno di non istituzionalizzare sempre e comunque, dopo la discussione, il rinvio per la decisione; la disposizione potrà, al più, applicarsi alle deliberazioni collegiali del Tribunale del riesame (dinanzi al quale una formale “discussione” ex art. 523 c.p.p. non è prevista), oppure, dinanzi al Tribunale in composizione collegiale, nel giudizio direttissimo, limitatamente alla mera convalida dell’arresto o del fermo.
Inoltre, con riferimento alla Cassazione, dinanzi alla quale dovrebbe – almeno per i “tecnici” del Ministero della giustizia – essere notorio che in ogni udienza vengono trattati 40-50 ricorsi, basterà che una sola parte di un solo processo chieda che si proceda alla trattazione orale di un ricorso, perché il collegio debba riunirsi in loco, e non possa, quindi, deliberare da remoto: di conseguenza, considerato che – secondo l’attuale modus operandi della Corte Suprema - il collegio impegnato in udienza è sempre lo stesso, esso finirà necessariamente per deliberare non da remoto in ordine a tutti i ricorsi. La disposizione potrebbe assumere un senso, e, per la verità, facilitare di molto il lavoro, soltanto se fosse sollecitamente prevista, per ogni udienza, la precostituzione di due collegi, uno deliberante soltanto da remoto, l’altro soltanto in presenza per i ricorsi per i quali venga richiesta la trattazione orale.
7. Le altre disposizioni di rilievo penale: deposito di atti, documenti e istanze; disposizioni in tema di esecuzione della pena.
Il d.l. n. 137 del 2020 contiene, infine, disposizioni miranti alla semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti ed istanze (art. 24), e disposizioni riguardanti l’esecuzione della pena, in particolare in tema di licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà (art. 28), durata straordinaria dei permessi premio (art. 29) ed ampliamento della facoltà di fruire dell’ammissione alla detenzione domiciliare (art. 30).
[1] Ancora una volta, individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia.
[2] Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al P.M. ed agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione, giorno, ora e modalità del collegamento; i difensori attestano l’identità dei soggetti assistiti, i quali, se liberi o sottoposti a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, partecipano all’udienza solo dalla medesima postazione da cui si collega in difensore. L’ausiliario del giudice partecipa all’udienza dall’ufficio giudiziario e dà atto nel verbale di udienza delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l’identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni, nonché dell’impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell’art. 137, comma 2, c.p.p., o di vistarlo, ai sensi dell’art. 483, comma 1, c.p.p.
[3] Ancora una volta superflua, poiché già implicata dalla premessa di cui al comma 1 dell’art. 23, secondo il quale continuano a trovare applicazione, ove non espressamente derogate dalle disposizioni contenute nell’art. 23, le disposizioni di cui all’art. 221 d.l. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 77 del 2020.
[4] Espressione estremamente involuta, era sufficiente scrivere: “Per la decisione sui ricorsi da trattare a norma degli artt. 127 e 614 c.p.p.”.
[5] Questa volta con la “c” minuscola.
[6] Cass. pen., Sez. 4, n. 49392/18.
[7] A norma del quale, “La sentenza è pubblicata in udienza subito dopo la deliberazione, mediante lettura del dispositivo fatta dal presidente o da un consigliere da lui delegato”.
[8] Come nel caso del riferimento all’art. 611 c.p.p.
[9] Come in quelli civili.
[10] Indovina un po’ ? Individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi inforrnativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Era davvero il caso di scriverlo quattro volte all’interno della stessa disposizione ? forse riuscivamo a capirlo dopo la prima volta.