SOMMARIO:
1. La questione.
2. Il quadro giurisprudenziale.
3. Osservazioni conclusive.
1. La Questione.
La problematica che occupa si colloca all'interno del più generale ambito dell'oggetto della prova ed in particolare, nello stabilire se, ed entro quali limiti, il giudice possa nel rito del lavoro autonomamente integrare ed acquisire al processo i fatti costitutivi della domanda o quelli impeditivi e/o estintivi della stessa, e se tale potere possa essere esperito d'ufficio o, esclusivamente ad istanza di parte. Va, immediatamente rilevato, come il problema in disamina non si ponga, nel processo del lavoro, diversamente che nel processo ordinario.
Le soluzione esegetiche affermate dalla giurisprudenza di legittimità postulano, preliminarmente, un richiamo all'assetto normativo di riferimento . Come noto, la legge 11 agosto 1973, n. 533 ha stabilito per le controversie soggette al rito del lavoro un regime più rigoroso in materia di deduzioni e produzioni istruttorie ; e ciò in considerazione dei fini acceleratori a cui si ispira la disciplina in disamina. Infatti, quanto al giudizio di primo grado l'art. 414 n. 5 e l' art. 416, terzo comma , cod. proc. civ. impongono rispettivamente all'attore e al convenuto di indicare specificamente, negli atti introduttivi del processo, i mezzi di prova dei quali intendano avvalersi, ed in particolare i documenti che devono essere contestualmente depositati.
Ciò si giustifica in considerazione dei fini acceleratori tipici della disciplina processuale lavoristica.Tale sistema è mediato, tuttavia , in ragione della natura indisponibile e di rilevanza costituzionale delle posizioni soggettive considerate dal rito del lavoro.
Gli elementi testé riportati rappresentano il perimetro entro il quale si sono formati e delineati gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità che si vanno di seguito a sintetizzare.
2. Il quadro giurisprudenziale .
La problematica in argomento si inserisce nelle tematica più generale sulle modalità e limiti correlati alla produzione di nuovi mezzi di prova nelle controversie soggette al rito del lavoro. Appare opportuno seguire l'evoluzione giurisprudenziale partendo dai tre fondamentali pronunciamenti delle Sezioni Unite ( Sentenza n. 9199 del 1990- Sent. n. 8202 del 2005- Sent.n. 8203 del 2005).
Premesso che nella giurisprudenza della Corte , almeno fino alle citate Sezioni Unite n. 8202 del 2005 (sul rito del lavoro ) e n. 8203 del 2005 ( sul rito ordinario) è stato sempre dominante il principio secondo il quale il divieto sancito dall'art.437, secondo comma , cod. proc. civ. di ammissione in grado di appello di nuovi mezzi di prova nelle controversie soggette al rito del lavoro riguarda le prove costituende e non i documenti, che sono prove costituite, con l'arresto delle Sezioni unite del 1990 è stato fissato il principio secondo il quale, nel rito del lavoro, la produzione in grado di appello di nuovi documenti, che si sottrae al divieto sancito dall'art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., deve essere compiuta dalle parti, a pena di decadenza , mediante la specifica indicazione nei rispettivi atti introduttivi del grado (ricorso e memoria difensiva ) ed il deposito degli stessi contestualmente al deposito di tali atti, a norma degli artt. 414 e416 cod. proc. civ. , richiamati dagli artt. 434 e 436 del codice di rito, salvo che si tratti di documenti sopravvenuti o la cui produzione sia giustificata dallo sviluppo della vicenda processuale. Tale decadenza, secondo la stessa sentenza, è rilevabile d'ufficio dal giudice, non condividendo le Sezioni Unite quell'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale la tardività della produzione documentale in grado di appello, ove non ecceda l'inizio della discussione orale, dovrebbe essere eccepita dalla parte interessata, la quale potrebbe rinunciare a farla valere, espressamente, o in modo implicito. Alle riferite conclusioni le Sezioni Unite erano pervenute sulla base della considerazione che la possibilità di produzione di nuovi documenti contrasterebbe, inevitabilmente, con i principi di concentrazione ed immediatezza del rito del lavoro, e con il coordinamento testuale intercorrente tra gli artt. 434 e 436 cod. proc. civ. e gli artt. 414 e 416 dello stesso codice. Tale indirizzo seppure confermato da numerose altre pronunce ( v., tra le altre, sent. n. 9724 del 1994, rv. 488 676; sent. n.14690 del 1999, rv. 532597; sent. n. 5596 del 2000, rv. 536144; sent. n. 7948 del 2000, rv. 537493; sent. n. 10179 del 2002, rv. 555699) nel tempo è stato contrastato da diverso orientamento fondato sul principio che il potere d'ufficio del giudice d'appello di ammettere nuovi documenti trova un limite invalicabile nella qualità di " novum " che la documentazione depositata deve possedere, con la conseguenza che il documento che doveva essere indicato nel ricorso introduttivo, ai sensi dell'art. 414 n.5 cod. civ. proc. civ. non può più essere prodotto in appello ( Sent. n. 7233 del 1994, rv. 487645; Sent. n. 775 del 2003, rv. 559877).
Sempre in linea con il rigoroso sistema di preclusioni previsto dal legislatore del 1973 si pongono la sent. n. 8220 del 2003, rv. 563501, e le successive S.U. del 2004, n. 11353, rv. 574225.
Con le Sezioni Unite sent. n. 8202 del 20 aprile 2005, si risolve il suddetto contrasto giurisprudenziale e si pongono delle soluzioni ermeneutiche che costituiranno punti fermi della successiva evoluzione giurisprudenziale.
Le coordinate indicate dalle Sezioni Unite per individuare su un piano di coerenza logica una indifferenziata soluzione per ogni tipo di prova, ed i termini processuali entro i quali è consentito nel rito del lavoro l'ingresso delle istanze istruttorie e, pertanto, anche la produzione di documenti, possono così sinteticamente riassumersi: a) superamento della differenza tra prove documentali e prove costituende, posto che l'art. 416 comma terzo stabilisce che il convenuto deve indicare a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed in particolare modo i documenti che deve contestualmente depositare ( onere probatorio gravante anche sull'attore per il principio di reciprocità fissato dal giudice delle leggi con la decisione 14 gennaio 1977 n. 13); b) detta norma si combina con l'art. 437, comma secondo ( proiezione e specificazione con delle preclusioni già emergenti dall'art. 416, comma terzo,, e 420, comma quinto e settimo, che a sua volta esclude l'ammissione di " nuovi mezzi di prova " ( nei quali devono annoverarsi anche i documenti- cass. 13 dicembre 2000n. 15716; c) tale dato letterale e sistematico induce a ritenere che " l'omessa indicazione, nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dell'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione ( ad esempio a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo). Le Sezioni Unite basano tale soluzione ermeneutica sull'assorbente rilievo che, da un lato l'estensione alla produzione documentale delle preclusioni riguardanti gli altri " mezzi di prova " corrisponde ad esigenze processuali improntate a celerità e conformi quindi allo spessore costituzionale dei diritti indisponibili contemplati dal rito del lavoro; dall'altro, tale rigoroso sistema di preclusioni non pregiudica la ricerca della " verità materiale " cui lo stesso rito del lavoro è doverosamente finalizzato. A conferma di ciò sovvengono i poteri di ufficio del giudice del lavoro (artt. 421, comma secondo, e 437 c.p.c.) che incontrano l'unico limite nel non poter essere esercitati con riferimento a fatti non allegati dalle parti o non emersi nell'evoluzione processuale o dal contradditorio delle parti stesse.
La successiva evoluzione giurisprudenziale ha dato continuità agli approdi interpretativi segnati dalle S.U. con la citata sentenza n.8202 del 2005, ma ha nel contempo evidenziato significativi contrasti su aspetti non approfonditi dalle S.U. in relazione, soprattutto, alle modalità di esercizio dei poteri d'ufficio di cui all'art. 437 c.p.c. . Infatti in linea con le S.U. del 2005 l'orientamento assolutamente prevalente nella più recente giurisprudenza ( Sez. L. n. 2379 del 2007; Sez. L. n. 12856 del 2010; Sez. L n. 18924 del 2012 ; Sez. L. n. 13350 del 2012, Sez. L. n. 18410 del 2013; Sez. n. 900 del 2014 ; Sez.6,L, n. 11968 del 2015,; Sez. L. n. 4464 del 2015; Sez. 6, L. n. 24263 del 2015; Sez. 6, L. n. 17508 del 2014; Sez. L. n. 14820 del 2015) ha ribadito la possibilità per il giudice d'appello, di esercitare i poteri officiosi di cui all'art. 437 c.p.c. in tutti i casi in cui questi siano diretti al definitivo accertamento di fatti costitutivi ( o impeditivi, estintivi ecc. ) allegati nel giudizio di primo grado e, se pure in modo incompleto, risultanti da mezzi di prova già dedotti ritualmente in quel giudizio ( c.d. piste probatorie o di indagine ), " secondo la sequenza : prova documentale - prova documentale", e nell'ipotesi di produzione successiva dei documenti giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ( memoria di costituzione o domanda riconvenzionale ). Risulta invero isolato quell'orientamento ( Cass. n. 6498 /11, n. 13353/ 12, n. 13432/13) che ha ritenuto l'ammissibilità anche d'ufficio di nuovi documenti ritenuti idonei a fornire un contributo decisivo all'accertamento della verità materiale perché idonei a condurre ad esito " necessario" della controversia a prescindere del loro collegamento con altri elementi e da altre indagini
Sulle modalità di esercizio dei poteri officiosi, permangono, come dianzi evidenziato, posizioni contrastanti sulle seguenti fattispecie : a) se l'integrazione probatoria possa essere disposta del giudice d'appello in mancanza di specifica richiesta di parte; b) se sia necessaria la motivazione nel caso di mancata attivazione dei poteri istruttori d'ufficio.
In merito al primo punto è d'uopo segnalare che mentre Sez. L. n. 2908 del 2015; Sez. L. n. 12704 del 2012; Sez. 6 - L, n. 15517 del 2013, Sez. L, n. 22534 del 2014; Sez. L. n. 14930 del 2003; Sez. L. n. 17102 del 2009; Sez. L, n. 6023 del 2009, affermano che l'esercizio dei poteri officiosi in appello debba essere oggetto di specifica richiesta di parte, altre pronunce ( Sez. L, n 29006 del 2008; Sez. L, n. 3018 del 2009; Sez 6- L , n. 3027 del 2016, Sez.L, n.18 924 del 2012; Sez. 6 - L, n. 23028 del 2014) sostengono la doverosità di attivare i poteri d'ufficio in appello anche in assenza di specifica richiesta di parte.
Per quanto riguarda l'ambito motivazionale di cui al punto b) che precede, va segnalato che Sez. 6 - L, n.1704 del 2015 richiamando un precedente delle S.U. ( sent. n. 11353 del 2004) ha precisato che il giudice del lavoro qualora reputi di far ricorso all'uso dei poteri istruttori ovvero, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritenga di non farvi ricorso, non possa esimersi dall'obbligo di fornire adeguata motivazione sull'esercizio o sul mancato esercizio di tale potere. Di contrario avviso risultano Sez. 6 - L, n. 26116 del 2014, secondo la quale " mentre deve esserci sempre la specifica motivazione dell'attivazione dei poteri istruttori d'ufficio ex art. 421 c.p.c. , invece il mancato esercizio di questi va motivato soltanto in presenza di circostanze specifiche che rendono necessario l'integrazione probatoria ", e Sez. 6 - L. n. 21088 del 2013 che ritiene l'ammissione probatoria d'ufficio desumibile implicitamente dal fatto acquisitivo dei documenti allegati dalle parti.
Sul punto per completezza di disamina va richiamato quell'orientamento giurisprudenziale consolidato ( Sez. L. n. 12132 del 2009) secondo il quale , l'attivazione dei poteri istruttori d'ufficio risulta preclusa dalla formazione del giudicato interno, nel caso in cui non sia stato proposto specifico motivo di appello in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi del diritto azionato.
3. Osservazioni conclusive.
Sulla problema generale inerente i presupposti dell'esercizio dei poteri istruttori officiosi, pare assolutamente condivisibile l'orientamento giurisprudenziale consolidatosi a partire dalle S.U. n. 8202 del 2005. Tale orientamento si fonda sul dato testuale e sistematico ricavabile dal combinato disposto degli art. 421 e art. 437 c.p.c., ed inoltre pare meglio corrispondere al principio generale,operante anche nel rito del lavoro, in base al quale da un lato il giudice è vincolato solo dalle allegazioni delle parti, e dall'altro dall'impossibilità di supplire alla carenza di deduzioni probatorie . Di conseguenza i fatti costitutivi e la documentazione prodotta unitamente al ricorso introduttivo possono costituire elemento di prova utile per l'esercizio dei poteri officiosi istruttori nell'ipotesi, anche, di sopravvenienze processuali conseguenti ad accertamenti intervenuti rispetto al tempo di presentazione della domanda (si consideri il caso, nelle controversie previdenziali, dei requisiti sanitari accertati nel corso del processo).
Sul secondo punto controverso concernente la possibilità di integrazione probatoria d'ufficio in sede d'appello, senza la previa richiesta di parte, pare condivisibile quell'orientamento che ritiene esercitabile il potere istruttorio d'ufficio anche in assenza di specifica istanza di parte. A ciò conduce sul piano logico- interpretativo la considerazione che ritenere subordinato ad una richiesta di parte l'intervento probatorio ufficioso finirebbe per svuotare di contenuto la previsione letterale dell'art. 421, secondo comma,c.p.c. , in base al quale il giudice " può altresì disporre d'ufficio in qualsiasi momento l'ammissione di mezzi di prova, anche fuori dai limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio....", e sul piano dei principi generali inibirebbe l'esercizio dei poteri officiosi del giudice , poteri strumentali rispetto alla tutela di diritti aventi rilevanza costituzionale. Ed è peraltro in conseguenza di ciò che l'esercizio del potere istruttorio d'ufficio " in qualsiasi momento" trova limite nel rispetto del principio del contradditorio sotto un duplice profilo: che il giudice non può ordinare l'ammissione di prove prima dell'udienza e che non può per altro verso disporre prove senza che le parti possano contrapporvi nuove deduzioni probatorie . Per quanto attiene il problema della motivazione dell'esercizio del potere istruttorio d'ufficio, in linea con la giurisprudenza maggioritaria ed in ossequio con i canoni costituzionali (art. 111, sesto comma) occorre distinguere fra tre diverse fattispecie : a) esercizio del potere officioso senza richiesta di parte; b) mancanza dell'esercizio del potere di ufficio in presenza di istanza specifica; c) mancanza dell'esercizio officioso di poteri in assenza di richiesta di parte.
In entrambe le prime due ipotesi pare conforme a corrette valutazioni interpretative, costituzionalmente orientate, ritenere necessaria l'esplicitazione delle ragioni che hanno determinato l'esercizio dei poteri " officiosi" , con esclusione della doverosità della motivazione in assenza di espressa richiesta di parte nella terza ipotesi considerata.