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Magistratura Indipendente

CIVILE  

Note sparse sul contenuto dell’onere di allegazione nella domanda di risarcimento del danno per responsabilità contrattuale ed extracontrattuale*.

  Civile 
 mercoledì, 25 settembre 2024

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di PAOLO SPAZIANI, Consigliere della Corte di cassazione

 
 

* Lo scritto nasce dalla rielaborazione, con aggiunta delle note, della relazione tenuta il 27 maggio 2024 al Corso della Scuola Superiore della Magistratura dal titolo “Questioni in tema di responsabilità civile”. 

 

Sommario: 1. L’onere assertivo quale situazione giuridica processuale. - 2. Onere di allegazione e fattispecie di responsabilità extracontrattuale. - 2.a. La necessità dell’elemento della causalità giuridica e del danno-conseguenza. - 2.b. Onere di allegazione del danno-conseguenza e sentenza di condanna generica al risarcimento. - 2.c. Onere di allegazione e qualificazione della domanda. - 3. Onere di allegazione e fattispecie di responsabilità contrattuale. - 3.a. La necessità dell’elemento della causalità materiale e del danno-evento. - 3.b. L’onere di allegazione dell’inadempimento. - 3.c. Onere di allegazione e violazione dell’obbligo informativo.

 

 

1. L’onere assertivo quale situazione giuridica processuale.

 L’onere assertivo può essere definito come la situazione giuridica soggettiva processuale consistente nel dovere gravante sull’attore e sul convenuto di allegare ritualmente (in modo chiaro, completo e nelle forme previste) e tempestivamente (prima della maturazione delle preclusioni assertive, generalmente cadenti, nella tempistica processuale, prima di quelle istruttorie), rispettivamente, i fatti costitutivi del diritto azionato e i fatti impeditivi, modificativi od estintivi di tale diritto, in funzione dell’interesse ad ottenere una pronuncia sul merito della domanda proposta e delle eccezioni in senso proprio eventualmente sollevate.

Il fondamento dell’onere (e della successiva decadenza dall’allegazione ove non assolto, con conseguente inammissibilità della domanda per violazione del divieto di nova) va individuato nei principi che governano tradizionalmente il processo di cognizione, ovverosia, oltre ai principi del giudicato e del contraddittorio (il secondo dei quali avente rilevanza costituzionale), il principio dell’impulso di parte (art.99 cod. proc. civ.), il principio dispositivo in senso materiale (art. 112 cod. proc. civ.), il principio dispositivo in senso formale (art. 115 cod. proc. civ.).

Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 149/2022 la barriera preclusiva assertiva è stata spostata a prima della udienza di prima comparizione delle parti e trattazione della causa di cui all’art. 183 cod. proc. civ. e precisamente a livello della prima memoria integrativa ex art. 171-ter cod. proc. civ..

Precisamente: L’art. 171-ter prevede tre memorie integrative, stabilendo che le parti, a pena di decadenza, possono:

1) con una prima memoria integrativa da depositare almeno quaranta giorni prima dell’udienza, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte; con la stessa memoria l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta; l’oggetto del giudizio, quindi, in sede di prima memoria, può essere allargato a tal punto da comprendere nuove domande e nuove eccezioni dell’attore e l’ingresso di una nuova parte: ciò è ammesso a condizione che queste allegazioni risultino necessarie alla luce delle difese prospettate dal convenuto, che la parte attrice ha potuto conoscere solo con l’esame della comparsa di risposta. In questo senso, se il convenuto ha spiegato domanda riconvenzionale, l’attore sarà legittimato a proporre un’ulteriore controdomanda (c.d. reconventio reconventionis). Da questo momento in avanti non è più ammesso chiarire i contorni delle pretese fatte valere o allegare ulteriori fatti, anche se secondari, connessi alle deduzioni principali;

2) con una seconda memoria integrativa da depositare almeno venti giorni prima dell’udienza, replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove da queste formulate nella memoria di cui al numero 1), nonché indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali. È qui fissata un’invalicabile preclusione in ordine alle istanze istruttorie: la memoria n. 2 è infatti l’ultima occasione processuale utile per indicare i mezzi di prova che si richiede vengano assunti in giudizio e per produrre i documenti posti a supporto delle domande;

3) con una terza memoria integrativa da depositare almeno dieci giorni prima dell’udienza, replicare alle eccezioni nuove e indicare la prova contraria: il terzo termine è quindi fissato esclusivamente per presentare istanze istruttorie la cui esigenza è scaturita dalle richieste di natura probatoria dell’altra parte.

La ratio di tale anticipazione è quella di assicurare una puntuale e tempestiva discovery, con cristallizzazione del thema decidendum e del thema probandum già prima dell’udienza, la quale diviene concludente e produttiva, potenzialmente in grado di preludere direttamente alla definizione della lite.

 

2. Onere di allegazione e fattispecie di responsabilità extracontrattuale.

Chi agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di allegare tutti gli elementi (fatto; nesso causale materiale; danno-evento; nesso causale giuridico; danno conseguenza; elemento subiettivo) costitutivi della fattispecie di responsabilità.

Questa regola non pone problemi per la fattispecie di responsabilità extracontrattuale, atteso che: a) non si dubita del carattere pluralistico di tale fattispecie; b) l’onere di allegazione coincide, sul piano del suo oggetto, con l’onere della prova.

 

2.a. La necessità dell’elemento della causalità giuridica e del danno-conseguenza.

Con riguardo al carattere pluralistico della fattispecie di responsabilità extracontrattuale, autorevoli posizioni dottrinali hanno messo in dubbio la necessità dell’elemento della causalità giuridica e del danno-conseguenza, sull’assunto che il danno ingiusto di cui parla l’art.2043 cod. civ. vi sarebbe senz’altro in caso di lesione di una situazione giuridica soggettiva avente i caratteri di diritto soggettivo assoluto.

Si è detto: “se addirittura si ammette la tutelabilità aquiliana delle lesioni delle situazioni soggettive minori (possesso, interesse legittimo, diritti relativi), quando si verifica la lesione di un diritto assoluto (diritto di proprietà o diritto della personalità) essa deve reputarsi sufficiente fondare il diritto al risarcimento (tesi del danno in re ipsa)”[1].

Inoltre, movendo dall’individuazione dei rimedi extracontrattuali[2], si è avanzato anche il dubbio sulla necessità della sussistenza del danno purchessìa (quindi anche del danno-evento, e della stessa causalità materiale); ciò, in quanto tra i rimedi extracontrattuali si è individuato, come rimedio di carattere generale, oltre al risarcimento (per equivalente o in forma specifica) anche l’inibitoria, rimedio che trova fondamento nell’esigenza di prevenire il danno e che quindi può essere esercitato quando il danno non si è ancora prodotto: dunque – si è argomentato – può sussistere un illecito extracontrattuale indipendentemente dal danno.

Queste suggestioni dottrinali non sono state raccolte dalla giurisprudenza di legittimità che ha riaffermato il carattere pienamente pluralistico della fattispecie di responsabilità extracontrattuale quale fattispecie che non solo esige il danno, ma esige, oltre al danno-evento (e, quindi, alla causalità materiale) anche il danno-conseguenza (e, quindi, la causalità giuridica).

L’occasione è stata fornita dalla tematica della occupazione immobiliare sine titulo.

Le Sezioni Unite hanno statuito che, in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno emergente è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo (restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale).

Le stesse Sezioni Unite hanno poi ulteriormente sancito che il fatto costitutivo del diritto al risarcimento del lucro cessante è lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall'impossibilità di concedere il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato.

Entrambe le voci di danno – hanno specificato le Sezioni Unite -  devono formare oggetto di allegazione, dovendosi dedurre, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, l’attore è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza[3].

La mancanza di allegazione delle dette voci di danno non pone in discussione l’illiceità della detenzione (che giustifica la condanna al rilascio) ma la sussistenza di una conseguenza dannosa risarcibile, in assenza della quale la fattispecie dell’art. 2043 cod. civ., quale fattispecie legittimante lo specifico rimedio risarcitorio, non è configurabile, in ragione della mancata integrazione (non già di un elemento costitutivo essenziale della condotta illecita, che sussiste anche indipendentemente dal danno-conseguenza e giustifica l’esperimento di altri rimedi, quali, secondo i casi, l’inibitoria o, appunto, il rilascio) bensì dell’ illecito che legittima al detto rimedio risarcitorio, quale rimedio non esperibile in mancanza di una conseguenza dannosa risarcibile[4] .

Nell’occupazione sine titulo la condanna dell’occupante al rilascio dell’immobile (ma lo stesso può dirsi, in altre fattispecie, con riferimento all’inibitoria, a prescindere dalla questione della sua ammissibilità quale rimedio extracontrattuale generale), eventualmente invocata dal proprietario, presuppone l’avvenuta violazione dell’ordine formale, ovverosia una condotta illecita che giustifica il rimedio reale volto ad ottenere o riottenere (reintegrazione) lo stesso bene che costituiva il punto di riferimento oggettivo dell’interesse giuridicamente tutelato, ma non anche la sussistenza di un fatto illecito aquiliano ex art.2043 cod. civ., sanzionabile con la tutela risarcitoria volta ad ottenere una prestazione succedanea a quella che costituiva il punto di riferimento dell’interesse originario[5], il quale si integra soltanto in presenza di una conseguenza dannosa risarcibile, che il proprietario-danneggiato ha l’onere di allegare e, in caso di contestazione dell’occupante-danneggiante, di provare, anche mediante presunzioni.

 

2.b. Onere di allegazione del danno-conseguenza e sentenza di condanna generica al risarcimento.

L’onere di allegazione del danno conseguenza viene meno quando si chiede la condanna generica al risarcimento.

La giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che la condanna generica (sia quella emessa in sede penale ex art. 539 cod. proc. pen., in favore della parte civile costituita, sia quella emessa in sede civile ex art. 278 cod. proc. pen. nell’ambito della dicotomia an debeatur già accertato/quantum debeatur ancora controverso) attiene esclusivamente alla causalità materiale di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., ovverosia al nesso eziologico che lega la condotta all’evento di danno, in quanto tale dotato di potenzialità lesiva. Essa non contiene, pertanto, l’accertamento dell’ulteriore elemento costitutivo dell’illecito civile, costituito dalla causalità giuridica di cui agli artt. 1223 e 2056 cod. civ., ovverosia dal nesso eziologico che lega l’evento di danno al danno-conseguenza. Tale ulteriore elemento, indispensabile in funzione dell’integrazione dell’illecito civile, in mancanza del quale non è configurabile il diritto al risarcimento, viene accertato, nel primo caso, dal giudice civile in sede di rinvio, nel secondo caso dallo stesso giudice della sentenza non definitiva sull’an in seguito all’istruzione impartita con la successiva ordinanza[6].

Le Sezioni Unite hanno affermato i seguenti principi: a) ai fini del risarcimento del danno, la vittima di un fatto illecito può proporre una domanda limitata ab origine all'accertamento del solo an debeatur, con riserva di accertamento del quantum in un separato giudizio; b) nel giudizio introdotto da una siffatta domanda, peraltro, il giudice, su istanza di parte, può pronunciare anche condanna provvisionale ai sensi dell'art. 278 cod. proc. civ., nei limiti in cui ritiene raggiunta la prova, anche se non è stata fatta domanda di quantificazione del danno; c) la condanna alla provvisionale, possibile anche nel giudizio ex art. 622 cod. proc. pen., postula l’accertamento del danno, inteso quale conseguenza dannosa risarcibile, almeno in parte, mentre per l'accoglimento della domanda generica è sufficiente che l'esistenza di un danno sia solo probabile, e quindi è sufficiente l’accertamento del danno-evento; d) poiché, ai fini dell'accoglimento della domanda generica sull’ an debeatur, è necessario (ma anche sufficiente) che il danno sia soltanto probabile, il danneggiato che abbia circoscritto l’azione a tale domanda non è onerato di indicare analiticamente i mezzi di prova di cui intende avvalersi nel futuro e separato giudizio sul quantum debeatur, i quali, anzi, ove indicati, non dovrebbero essere ammessi, in quanto irrilevanti[7].

I principi affermati dalle Sezioni Unite hanno fatto giustizia del contrastato orientamento secondo cui, anche ai fini dell’ottenimento di una sentenza di condanna generica con provvisionale, ex art. 278 cod. proc. civ., il creditore-attore sarebbe sato onerato di formulare espressa domanda di quantificazione del danno (ovverosia, una domanda specifica, allegando i danni-conseguenza patrimoniali e non patrimoniali), nonché di dedurre i relativi mezzi di prova.

Da essi principi può trarsi l’implicazione per cui, se il danneggiato esercita la facoltà processuale di limitare la domanda all’ an debeatur (eventualmente chiedendo la condanna del danneggiante ad una provvisionale), il giudice non può pronunciare la condanna specifica: una siffatta pronuncia, infatti, violerebbe sia il principio dispositivo in senso materiale (art.112 cod. proc. civ.) che riserva alle parti la disponibilità dell’oggetto del processo, sia il principio dispositivo in senso formale (art.115 cod. proc. civ.), che riserva alle parti la disponibilità delle prove.

Tale pronuncia potrebbe essere impugnata dal danneggiato non solo nel caso in cui la domanda specifica sia rigettata ma anche nel caso in cui sia accolta, in quanto al danneggiato è stato inibito l’esercizio del diritto alla prova sulla quantificazione del danno, esercizio che – in thesi – avrebbe potuto consentirgli di ottenere una liquidazione del danno in misura superiore.

I principi affermati dalle Sezioni Unite, però, valgono per la fattispecie in cui il danneggiato abbia limitato la domanda all’ an debeatur. Quid iuris se invece il danneggiato, in sede penale con la costituzione di parte civile, o in sede civile nel giudizio ex art.622 cod. proc. civ., oppure nella fattispecie tradizionale ex art.278 cod. proc civ., ha proposto, in via alternativa, entrambe le domande, per un verso chiedendo la condanna dei responsabili “alla complessiva somma di € …. od alla diversa maggiore o minore somma dovesse essere ritenuta di giustizia”, per altro verso chiedendo la liquidazione del danno in separata sede?

Si deve ritenere che tra la domanda relativa all’ an debeatur e quella relativa al quantum debeatur non si pone un rapporto di piena alternatività, ma un rapporto di pregiudizialità che la giurisprudenza di legittimità, con orientamento risalente, autorevolmente espresso e mai smentito[8], inquadra nella categoria della pregiudizialità logica, non soggetta all’applicazione dell’art. 34 cod. prov. civ., applicazione circoscritta alla diversa fattispecie della pregiudizialità tecnica.

Pertanto, mentre, nell’ipotesi in cui le due domande siano proposte contemporaneamente a davanti a due giudici diversi, non deve procedersi alla sospensione necessaria del giudizio sul quantum in attesa della definizione di quello sull’an[9], nella diversa ipotesi di proposizione delle domande contemporaneamente dinanzi al medesimo giudice, la domanda pregiudiziale non deve essere decisa autonomamente, poiché l’accertamento sul diritto pregiudicato (oggetto della domanda specifica) implica quello sul rapporto pregiudicante (oggetto della domanda generica), cui si estende l’effetto di giudicato.

 

2.c. Onere di allegazione e qualificazione della domanda.

Il problema si pone con peculiare evidenza nei rapporti tra la fattispecie generale disciplinata dall’art. 2043 cod. civ. e le responsabilità speciali disciplinate dagli artt. 2047 ss. cod. civ. e dalle leggi speciali

Se, nell’originaria allegazione, la domanda viene formulata ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. o ai sensi di una tra le disposizioni di cui agli artt. 2047 ss. oppure ai sensi di una figura speciale di responsabilità prevista in una legge particolare, il giudice può applicare la disciplina di un’altra responsabilità speciale se ritiene di sussumere la vicenda nella relativa fattispecie? 

Le possibilità sono tre.

  1. Prima possibilità. Il giudice applica la disciplina della responsabilità speciale in cui ritiene di sussumere la fattispecie: es. l’art. 2051 o l’art. 2052 cod. civ. in luogo dell’art. 2043. La sentenza è valida o è viziata da ultrapetizione?
  2. Seconda possibilità. Il giudice applica la disciplina invocata dalla parte (non quella diversa in cui la fattispecie sarebbe sussumibile) e rigetta la domanda. L’attore, impugnando la sentenza di rigetto, può dedurre per la prima volta in appello la sussumibilità della fattispecie nella diversa regola di responsabilità speciale oppure, qualora lo faccia, si determina una mutatio libelli, con conseguente domanda nuova – dunque inammissibile – in appello?
  3. Terza possibilità. Il giudice applica la disciplina invocata dalla parte (non quella diversa in cui la fattispecie sarebbe sussumibile) e accoglie la domanda. Impugna quindi il convenuto che contesta la sussistenza dei requisiti costitutivi della sua responsabilità alla stregua della norma generale (art. 2043 cod. civ.) o della disposizione di responsabilità speciale applicata. Il giudice d’appello può, in difetto di impugnazione dell’attore, officiosamente, applicare la diversa disposizione di responsabilità speciale in base alla quale il convenuto sarebbe responsabile oppure è ormai sceso il giudicato sulla configurazione della domanda nei termini originariamente indicati dall’attore perché non impugnata?

Ora, tradizionalmente, per risolvere queste questioni si è fatto ricorso – anche nella giurisprudenza di legittimità – al principio secondo il quale il potere di interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, traendone l’implicazione per cui, dato tale potere, il giudice può procedere alla qualificazione della domanda medesima anche in modo diverso dalle parti.

Nella fenomenologia delle pronunce giurisprudenziali si è quindi talora manifestata una linea di pensiero non sempre coerente nella quale, mentre si tendeva ad escludere il vizio di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. paventato nell’ipotesi sub a), si tendeva invece a reputare sussistente il vizio di violazione dell’art. 2909 cod. civ., paventato nell’ipotesi sub c).

Di recente, in una serie di pronunce tutte deliberate alla camera di consiglio del 5 giugno 2023, la Terza Sezione Civile della Corte di cassazione ha cercato di fare chiarezza sul punto.

L’occasione è stata offerta dal contenzioso sulla responsabilità della P.A. per i danni cagionati dalla fauna selvatica[10].

In una serie di casi, la domanda, formulata dal danneggiato nei confronti della regione, ex art.2043 cod. civ., era stata accolta dal primo giudice e rigettata in appello per assenza di colpa in accoglimento dell’impugnazione della P.A. convenuta, senza che la riconduzione della fattispecie all’art.2043 cod. civ. fosse stata – anche mediante impugnazione incidentale condizionata – censurata dall’attore, vittorioso in primo grado e soccombente in appello. Solo con il ricorso per cassazione l’attore aveva invocato l’applicabilità del criterio di imputazione oggettivo (o aggravato, secondo i punti di vista) di cui all’art.2052 cod. civ.

La Corte di cassazione ha affermato, tra gli altri, il principio di diritto secondo cui “lo stabilire se un fatto illecito sia disciplinato dall’art. 2043 cod. civ. o dall’art. 2052 cod. civ., quando non vi sia mutamento dei fatti costitutivi della domanda, è questione di individuazione della norma applicabile e non di qualificazione giuridica della domanda, e può essere prospettata per la prima volta anche nel grado di appello e persino in sede di legittimità”.

Il principio è stato affermato sulla base dei seguenti testuali rilievi:

  1. “non si deve parlare di qualificazione giuridica della domanda nell’ipotesi in cui, fermi i fatti accertati, il giudice deve decidere quale norma debba applicarsi ad una determinata fattispecie. In questa ipotesi, il concetto stesso di giudicato non può trovare applicazione poiché, in virtù del principio iura novit curia, è sempre consentito al giudice – anche in sede di legittimità – «valutare d'ufficio, sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione» della norma applicabile”.
  2. “Lo stabilire se la domanda debba decidersi applicando l’art. 2043 cod. civ.  o l’art. 2052 cod. civ. costituisce, non già una questione di qualificazione giuridica della domanda (la quale resta invariata nell’uno come nell’altro caso: il risarcimento del danno da fatto illecito), bensì una questione di individuazione della norma applicabile, da risolvere in base al principio iura novit curia”.
  3. “l’individuazione della disciplina applicabile (ius) non comporta una immutazione della fattispecie (factum), la quale rimane cristallizzata in quella originariamente dedotta  (danno cagionato da animale selvatico appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato); pertanto, se, da un lato, nella scelta della regola applicabile, il giudice non pone in essere una qualificazione della domanda, ma esercita il proprio potere di rendere alla fattispecie la sua disciplina, dall’altro lato, nell’esercizio di questo potere, anche se svolto su sollecitazione della parte (che invoca l’applicazione di una disciplina più favorevole), il giudice non trova limite nel giudicato eventualmente formatosi sulla fattispecie poiché l’applicazione della regola speciale di cui all’art.2052 cod. civ., in luogo di quella generale di cui all’art.2043 cod. civ., non implica, nel caso concreto, una immutazione degli elementi di fatto costitutivi della fattispecie medesima, come dedotti ed accertati, ma soltanto un diverso giudizio sul riparto dell’onere della prova e, quindi, la correzione di un error in procedendo, come tale immune alla formazione del giudicato sostanziale”.

Generalizzando, può dunque affermarsi quanto segue:

  1. Il giudice del merito, nell’applicare le norme che regolano i diversi criteri di imputazione della responsabilità, attribuisce alla fattispecie, come allegata dall’attore e accertata in giudizio, la sua disciplina.
  2. Non si tratta quindi di mera qualificazione della domanda, ma di accertamento dei fatti posti a suo fondamento e della individuazione della disciplina giuridica cui quei fatti sono soggetti.
  3. Se dunque, sulla base dei fatti allegati dall’attore e delle prove da lui fornite, accerta la sussistenza dei vari elementi costitutivi di una fattispecie, nel momento in cui individua la norma applicabile (di volta in volta, ad es., l’art. 2043, oppure l’art. 2051 oppure l’art. 2052 e via dicendo) il giudice del merito, non sta qualificando la domanda, ma sta rendendo alla fattispecie la sua disciplina.
  4. Da un lato vi è l’accertamento della fattispecie sulla base dei fatti allegati e provati dalla parte; dall’altro, l’individuazione della disciplina.
  5. Il giudicato si forma sulla fattispecie, non sulla disciplina, perché l’accertamento di cui parla l’art. 2909 cod. civ. attiene agli elementi costitutivi della fattispecie, cui consegue l’applicazione della relativa disciplina;
  6. Dunque, solo per cambiare l’accertamento della fattispecie è necessaria l’impugnazione, non per invocare una diversa disciplina a fattispecie invariata;
  7. Pertanto, è possibile nel grado successivo, senza che vi sia stata tempestiva impugnazione, invocare un’altra regola di imputazione della responsabilità rispetto a quella precedentemente applicata, se non cambiano gli elementi di fatto costitutivi della fattispecie.

Occorre dunque considerare la fattispecie, caso per caso: tendenzialmente sarà più facile evitare i vizi sopra paventati (ultrapetizione, violazione del divieto di nova e violazione del giudicato)  ove si passi dall’invocazione della applicazione regola generale (art. 2043) all’invocazione dell’applicazione di una regola di responsabilità aggravata o per colpa presunta (ad es. art.2054) perché in tale ipotesi i fatti non mutano, attenendo la differenza solo al regime probatorio, dunque ad una norma in procedendo, immune al giudicato sostanziale. Invece, nell’ipotesi in cui si passi dall’invocazione dell’applicazione della regola generale all’invocazione dell’applicazione di una regola di responsabilità oggettiva, i fatti allegati, mutando in astratto, potrebbero modificarsi anche in concreto: da un lato, viene meno la (necessità della) colpa; dall’altro, non si invoca solo nuovo ius ma si allega diverso e nuovo factum e cioè viene allegata quella circostanza di fatto (la preposizione nell’art.2049; il rapporto custodiale con la res nel 2051; il rapporto di custodia o la vicenda dello smarrimento o della fuga dell’animale nel 2052) che costituisce la ratio della previsione, da parte del legislatore, del criterio obiettivo di responsabilità.

Se il fatto (“in più” rispetto alla fattispecie generale del 2043) che contraddistingue l’ipotesi di responsabilità oggettiva non viene allagato inizialmente e l’accertamento si forma su una fattispecie sprovvista di quel fatto, non è possibile invocare la regola di responsabilità oggettiva nei gradi successivi in assenza di tempestiva impugnazione, poiché quei fatti si sono cristallizzati e, attraverso la disciplina resa dal giudice nella sentenza, si è formato il giudicato sulla fattispecie. Così, ad es., se il rapporto di custodia non è stato inizialmente allegato e l’accertamento si è formato su una fattispecie che con è connotata da quel fatto, l’applicazione dell’art. 2051 non può essere invocata.

Se però il “fatto in più” è già inizialmente allegato e l’accertamento si è formato su una fattispecie che già comprende quel fatto, l’attore, senza essere onerato di impugnare la sentenza (non avendo interesse a mutare un accertamento a lui favorevole ma avendo il contrario interesse a lasciarlo cristallizzare nella res iudicata), può invocare l’applicazione di una disciplina più favorevole se riferibile alla fattispecie così come già cristallizzata. Così, ad es., se io ho allegato e provato il rapporto di custodia tra il danneggiante e la cosa, ma il primo giudice mi ha dato la disciplina dell’art. 2043, ben posso invocare senza preclusioni quella dell’art. 2051 poiché sto invocando solo nuovo jus senza necessità di cambiare il factum.

Allo stesso modo, se ho allegato e provato che il danno è stato cagionato da un animale in custodia o smarrito o fuggito, o da un animale selvatico appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato, posso invocare il risarcimento ex art.2052, anche se il primo giudice ha fatto applicazione dell’art. 2043 e non ho appellato tale sentenza.

 

3. Onere di allegazione e fattispecie di responsabilità contrattuale.

Più difficile è effettuare la ricognizione del contenuto dell’onere di allegazione nella fattispecie di responsabilità contrattuale, perché meno chiara, in tale fattispecie, è l’individuazione dei relativi elementi costitutivi e più forti sono state (e sono) le suggestioni perché venga ridotta da fattispecie pluralistica a fattispecie monistica.

 

3.a. La necessità dell’elemento della causalità materiale e del danno-evento.

A prescindere dalla vecchia questione sulla sussistenza o meno, quale requisito costitutivo della fattispecie, dell’elemento subiettivo della colpa, che ha visto contrapporsi storicamente le teorie oggettivistiche a quelle soggettivistiche, dapprima in seguito al dibattito instauratosi sull’interpretazione degli artt. 1225 e 1226 del cod. civ. 1865 sulla scia del primo classico saggio di Giuseppe Osti sull’impossibilità della prestazione[11], successivamente intorno all’interpretazione dell’art. 1218 cod. civ. sulla scia del secondo, altrettanto classico, saggio dell’Osti[12], l’elemento sulla cui presenza o meno (tra i requisiti costitutivi della fattispecie) oggi si discute è quello del danno-evento e della causalità materiale.

In alcune recenti dibattute pronunce, la giurisprudenza di legittimità sembrava essersi mostrata incline a raccogliere le suggestioni provenienti dalle opinioni dottrinali che avevano manifestato la tendenza a ribadire la struttura oggettiva e monistica della fattispecie di responsabilità contrattuale, quale fattispecie che, a differenza dell’illecito aquiliano, non è connotata dalla colpa e – tendenzialmente, anche se non sempre – si esaurisce nel fatto obiettivo dell’inadempimento, quale fatto contenente in sé la lesione dell’interesse creditorio.

Questa inclinazione si era riscontrata nella riproposizione, sotto il profilo del diverso criterio di imputazione della responsabilità, della distinzione tra obbligazioni di dare o facere non professionale e obbligazioni di facere professionale[13].

Nell’interpretazione di queste pronunce si è scorta l’intenzione di mantenere concettualmente e funzionalmente integra la struttura pluralistica tradizionale della fattispecie di responsabilità contrattuale soltanto nelle obbligazioni di facere professionale mentre essa sarebbe venuta parzialmente meno nelle obbligazioni di dare e in quelle di facere non professionale.

In queste ultime, infatti, non sarebbe funzionalmente identificabile il danno-evento, quale elemento costitutivo autonomo derivante causalmente dall’inadempimento (causalità materiale), poiché l’evento lesivo, traducendosi nella lesione dell’interesse creditorio cui la prestazione deve corrispondere (art. 1174 cod. civ.) finirebbe per coincidere con l’inadempimento. Di conseguenza, allegare l’inadempimento significherebbe già allegare il danno-evento che ne è derivato poiché entrambi si risolverebbero, in sostanza, nella mancata corrispondenza della prestazione all’interesse creditorio. Ma poiché l’inadempimento non deve essere provato dal creditore, spettando al debitore la prova dell’adempimento, il danno-evento (la causalità materiale) rimarrebbe fuori dal tema di prova (e di allegazione) del creditore, il quale sarebbe chiamato ad allegare e dimostrare soltanto la causalità giuridica, e cioè la sussistenza delle conseguenze pregiudizievoli (danni-conseguenze) cagionate dall’evento lesivo.

La causalità materiale tornerebbe invece ad assumere un’autonomia funzionale (e, dunque, a richiedere una specifica allegazione e una specifica prova) nelle fattispecie di inadempimento delle obbligazioni professionali, poiché in queste la lesione dell’interesse creditorio al diligente esercizio della professione nell’osservanza delle relative leges artis (lesione nella quale si traduce l’inadempimento) non concreta di per sé il danno-evento, che si integra soltanto con la lesione del (diverso) interesse primario del cliente (interesse alla guarigione, nell’obbligazione del medico; alla vittoria della causa, in quella dell’avvocato) cui l’interesse corrispondente alla prestazione rimasta inesattamente adempiuta era strumentale.

Solo nell’ambito di tali fattispecie di responsabilità, pertanto, il danno-evento, quale lesione dell’interesse finale, costituirebbe un quid pluris rispetto all’inadempimento (lesione dell’interesse strumentale di cui all’art. 1174 c.c.) e sarebbe possibile, dunque, individuare tra i due requisiti costitutivi della fattispecie uno scollamento logico (ed eventualmente anche cronologico) che deve essere saldato dal nesso di causalità materiale.

Si delineerebbero, in tal modo, con riguardo alle due tipologie di obbligazioni, due fattispecie di responsabilità strutturalmente diverse in relazione alla diversa morfologia del rapporto di causalità: a) nella fattispecie di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni di facere professionale, esso rapporto continuerebbe a scindersi nei due segmenti della causalità materiale e della causalità giuridica e di entrambi dovrebbe fornire la allegazione e la prova il creditore; b) invece, nella fattispecie di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni di dare o di facere non professionale, il rapporto medesimo si esaurirebbe nel solo nesso di causalità giuridica, poiché non sarebbe ravvisabile un danno-evento autonomamente configurabile rispetto al fatto di inadempimento, riducendosi conseguenzialmente l’area del tema di allegazione e prova del creditore.

Il problema del nesso causale cesserebbe, dunque, di costituire oggetto di una questione attinente soltanto alla ripartizione dell’onere della prova tra le due parti del rapporto obbligatorio e diventerebbe una discriminante strutturale della fattispecie di responsabilità contrattuale, la cui morfologia muterebbe al mutare della tipologia dell’obbligazione assunta.

Questa tesi – occorre evidenziarlo con forza onde evitare disorientamenti nella giurisprudenza di merito proprio in ordine alla ricognizione dei limiti dell’onere di allegazione del creditore che agisce in via risarcitoria – non corrisponde all’orientamento della giurisprudenza di legittimità.

La circostanza che sia stato evidenziato come, nelle fattispecie di inadempimento delle obbligazioni professionali, vi sia una più marcata distinzione tra l’interesse strumentale cui corrisponde la prestazione che forma oggetto del rapporto obbligatorio (la cui lesione è data dal fatto dell’inadempimento) e l’interesse finale avuto di mira dal creditore medesimo (la cui lesione integra il danno-evento ed è legata al fatto di inadempimento dal nesso di causalità materiale) non vuol dire che tale lesione non sussista, quale elemento concettuale necessario della struttura della fattispecie, anche in relazione alle fattispecie di inadempimento delle altre obbligazioni.

La Corte di cassazione, anzi, ha più volte ribadito che la circostanza che nelle obbligazioni non professionali l'evento lesivo coincida astrattamente con la lesione dell'interesse creditorio, non esclude la rilevanza del nesso di causalità materiale «quale elemento costitutivo proprio di tutte le fattispecie di responsabilità contrattuale; ciò che trova una esplicita conferma positiva nella portata generale della disposizione (art. 1227, comma primo, c.c.) che stabilisce una riduzione del risarcimento nell'ipotesi in cui il fatto colposo del creditore abbia concorso a "cagionare" il danno, ritenendosi tradizionalmente che tale disposizione, a differenza di quella contenuta nel secondo comma del medesimo articolo, si riferisca al "danno-evento" e non al "danno-conseguenza"; non sembra esatto, pertanto, al di fuori delle obbligazioni professionali, parlare di “assorbimento” del danno-evento nella lesione dell'interesse creditorio, secondo un lessico sovente adottato in dottrina, mentre concettualmente più corretta appare la diversa ricostruzione, pur suggerita in dottrina, in termini di prova prima facie»[14].

In questa direzione è recente l’incisiva affermazione secondo cui «l’“assorbimento” [del danno-evento nella lesione dell’interesse creditorio] deve intendersi (non diversamente da quanto accade in altri ordinamenti a noi vicini, come quello tedesco, in seno al quale la giurisprudenza discorre di Anscheinsbeweis ossia di prova auto-evidente) come prova evidenziale dell’esistenza del nesso di causa, giustificata dal fatto che quel nesso, di norma, non è funzionalmente scindibile dall’inadempimento, in quanto quest’ultimo si sostanzia nella lesione dell’interesse del creditore che a sua volta identifica l’evento di danno. Questo però non vuol dire né che il nesso di causa si dissolva in una impredicabile dimensione di inesistenza, prima ancora che di irrilevanza (come non condivisibilmente sostenuto da quella parte di dottrina che, palesemente dimentica dell’esistenza, prima ancora che del significato, dell’art. 1227 cod. civ., ne liquida la portata precettiva con qualche arguto illusionismo semantico), né che il creditore sia esonerato dall’onere di provarlo, ma solo che il fatto (socialmente tipico) di un evento dannoso verificatosi vale a giustificare l’assunzione in chiave presuntiva di tale nesso, con la conseguenza che grava sulla parte che si assume inadempiente (o non esattamente adempiente) l'onere di fornire la prova positiva dell'avvenuto adempimento (o della relativa impossibilità per causa alla stessa non imputabile)»[15].

A conferma della generale rilevanza della causalità materiale quale elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità contrattuale che deve essere allegato dal creditore, può trarsi argomento, oltre che dal rilievo esegetico fondato sull’art.1227, primo comma, cod. civ.:

  1. da un rilievo sistematico: la configurazione della struttura della fattispecie di

responsabilità come fattispecie monistica (costituita dal solo inadempimento quale vicenda oggettiva di mancata attuazione della regola obbligatoria e di lesione dell’interesse creditorio) non appare compatibile  con la previsione di un rimedio giudiziale (l’azione di risarcimento del danno) diverso dall’azione di adempimento e – limitatamente alle obbligazioni derivanti da contratti sinallagmatici – dall’azione di risoluzione del contratto; la circostanza che, invece, il rimedio risarcitorio possa sempre essere utilizzato unitamente agli altri due rimedi contro l’inadempimento (tra i quali invece sussiste un rapporto di alternatività: art. 1453 c.c.) dimostra che i presupposti dell’uno e degli altri rimedi sono diversi, richiedendosi, per quello risarcitorio, oltre l’inadempimento imputabile, anche il danno, che deve necessariamente essere legato all’inadempimento dal rapporto di causalità materiale;

  1. da un rilievo logico: la tesi che vorrebbe escludere la causalità materiale dalla fattispecie di responsabilità contrattuale ritiene che, nella relativa disciplina, diversamente che in quella della responsabilità aquiliana, ove il debitore non riesca a fornire la prova liberatoria prevista dall’art. 1218 cod. civ. (e solo allora), si porrebbe unicamente un problema di causalità giuridica, ovvero della quantificazione dell’entità del danno risarcibile ai sensi dell’art. 1223 cod. civ.; questa ricostruzione si infrange, peraltro, sul rilievo logico che la prova del rapporto di causalità giuridica presuppone necessariamente l’individuazione, quale suo primo elemento, dell’evento lesivo, il quale, intanto assume importanza quale causa delle conseguenze negative, in quanto costituisca a sua volta la conseguenza dell’inadempimento;
  2. da un rilievo dogmatico: nel 2018, nel concludere una Sua relazione al convegno in ricordo del centenario del saggio di Giuseppe Osti sulla Revisione critica della teoria dell’impossibilità della prestazione, Cesare Massimo Bianca affermò che l’attualità dell’insegnamento dell’Osti era nell’averci consegnato l’«idea fondamentale … che la responsabilità contrattuale è il correlato del contenuto dell’obbligo cui è tenuto il debitore»[16]; la struttura della fattispecie di responsabilità nei suoi elementi costitutivi si ricostruisce se si ricostruisce la struttura dell’obbligazione, con riguardo, oltre che ai suoi estremi (debito e credito), al suo contenuto, la prestazione e l’interesse (art. 1174 cod. civ.); il contenuto (o l’oggetto) dell’obbligazione è la prestazione, la quale varia a seconda delle diverse tipologie di obbligazioni, ma può generalmente definirsi come il programma materiale o giuridico che il debitore è tenuto a svolgere per realizzare l’interesse del creditore, al quale deve corrispondere. Criterio legale generale di determinazione della prestazione è la diligenza (art.1176 c.c.), la quale indica l’impiego normalmente adeguato, in conformità ad oggettivi canoni sociali e professionali di comportamento, dei mezzi utili al soddisfacimento dell’interesse del creditore; l’ interesse creditorio, oltre che come condizione di esistenza dell’obbligazione (art. 1174 cod. civ.) e come parametro di accertamento della gravità dell’inadempimento (art. 1455 cod. civ.), rileva quale criterio di determinazione della prestazione da eseguire e quale criterio di valutazione della prestazione eseguita: per un verso, la prestazione si determina secondo la sforzo diligente normalmente adeguato a soddisfare l’interesse del creditore; per altro verso, la prestazione deve considerarsi liberatoria quando essa abbia comunque conseguito il soddisfacimento dell’interesse del creditore, pur non essendo esattamente conforme al previsto per la presenza di irrilevanti inesattezze qualitative o quantitative; dunque, la prestazione non ha contenuto del tutto predeterminato e specificamente individuato, dovendosi piuttosto conformare, di volta in volta, al concreto interesse perseguito dal creditore; quest’ultimo, poi, va valutato in concreto e, nel caso di obbligazione contrattuale, varia secondo l’interesse perseguito con la singola operazione, ponendosi in relazione biunivoca con la causa del contratto da cui è determinato e che concorre ad integrare; ergo, la lesione dell’interesse creditorio è atipica e non coincide concettualmente con la lesione che dà lugo al danno-evento che mantiene una sua tipicità quale lesione di una situazione soggettiva rilevante.

 

3.b. L’onere di allegazione dell’inadempimento.

Tra gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità contrattuale, come tali rientranti nel perimetro dell’onere di allegazione del creditore che agisce in via risarcitoria, c’è l’inadempimento, il quale rispetto agli altri ha una peculiarità: è una circostanza negativa; sicché: a) non rientra tra i fatti costitutivi del diritto-madre (il diritto di credito rimasto inadempiuto); b) pur entrando nell’onere di allegazione, non entra nell’onere della prova del creditore mentre il suo correlato (l’esatto adempimento) quale fatto estintivo del diritto, rientra nell’onere della prova del debitore[17]; c) ha come correlato l’attuazione del programma costituente l’oggetto della prestazione, che è indeterminato sia come fatto (si è detto che la prestazione non ha contenuto predeterminato) sia come giudizio (dipendendo il giudizio di esatto adempimento dalla conformità all’interesse creditorio).

Pertanto, la varietà delle inesattezze esecutive riscontrabili nella condotta inadempiente del debitore, specie nell’ambito di prestazioni composite, non corrisponde a diversi titoli di responsabilità, ai fini della corretta assoluzione dell’onere di allegazione.

Il creditore, pur avvertendo la lesione del suo interesse creditorio, può anche non sapere qual è il profilo specifico di inadempimento che viene in considerazione, specie quando l’esatto adempimento richiede l’osservanza di norme tecniche o giuridiche di cui il creditore ignora l’esistenza.

Ne discende che l’inesattezza dell’allegazione dell’inadempimento non assume rilevanza e non incide né sul potere della parte di correggere il tiro, in sede di conclusioni, per adeguare l’originaria allegazione al diverso fatto accertato (eventualmente a mezzo CTU), senza incorrere nel divieto di nova, né sul potere del giudice di provvedere comunque sul merito della domanda senza commettere ultrapetizione, salvo che tra il fatto allegato e quello accertato sussista una differenza talmente rilevante da incidere sulla struttura dell’azione, rendendola diversa da quella esercitata (con specifico riguardo all’elemento della causa petendi: art.163 n. 4 cod. proc. civ.) o sull’ oggetto del contraddittorio, determinando un radicale mutamento del thema probandum o del thema decidendum.

Sulla base di questi rilievi, con riferimento a fattispecie di responsabilità medica ove erano stati allegati errori medici diversi da quelli accertati dal CTU, è stato di recente ribadito il principio[18], secondo cui “la deduzione di profili di colpa diversi e ulteriori rispetto a quelli originariamente allegati, fondati su circostanze emerse all'esito della consulenza tecnica d'ufficio, non integra domanda nuova, poiché non determina alcun mutamento della causa petendi e dell'ambito dell'indagine processuale, non potendo attribuirsi portata preclusiva, in tal senso, alle specificazioni della condotta inizialmente operate dall'attore, il cui onere di allegazione dev'essere rapportato alle informazioni accessibili e alle cognizioni tecnico-scientifiche da lui esigibili, senza imporgli di enucleare specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conoscibili soltanto dagli esperti del settore[19].

Il principio va tuttavia esteso a tutte le obbligazioni professionali e in genere alle obbligazioni con prestazione composita o tecnicamente o giuridicamente complessa: esso può essere riassunto nel rilievo per cui «il limite dell’onere processuale di allegazione, con riguardo al fatto di inadempimento (che, peraltro, esula dal tema di prova dell’allegante), deve essere circoscritto ai fatti conosciuti e conoscibili dalla parte, in ragione delle informazioni ad essa accessibili ed alle cognizioni tecnico-scientifiche esigibili».

 

3.c. Onere di allegazione e violazione dell’obbligo informativo.

In modo peculiare si atteggia l’onere di allegazione nell’ambito delle fattispecie per responsabilità medica ove si deduca anche (o solo) la lesione dell’obbligo di acquisizione del consenso informato del paziente.

La giurisprudenza di legittimità ritiene che – posta la premessa per cui la violazione degli obblighi informativi dovuti al paziente può essere dedotta sia in relazione eziologica rispetto all’evento di danno rappresentato dalla lesione del diritto alla salute, sia in relazione all’evento di danno rappresentato dalla lesione del diritto all’autodeterminazione, sia, contemporaneamente, in relazione ad entrambi – nel primo caso (deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla salute) l'inadempimento dell’obbligo informativo può assumere incidenza deterministica sul risultato infausto dell'intervento correttamente eseguito, solo in caso di presunto dissenso (prova del dissenso anche mediante presunzioni da fornirsi da parte del creditore), in quanto l'intervento terapeutico non sarebbe stato eseguito - e l'esito infausto non si sarebbe verificato - non essendo stato voluto dal paziente; invece, nel secondo caso (deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla autodeterminazione), pur essendo pacifico questo evento lesivo (in quanto il paziente non è stato messo nelle condizioni di autonomamente determinarsi in ordine alla scelta terapeutica o all’intervento sanitario propinatigli), tuttavia esso non costituisce, ex se, danno risarcibile, essendo al riguardo indispensabile allegare e provare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito.

In altri termini, un danno risarcibile da lesione del diritto all’autodeterminazione è predicabile solo se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subìto un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente, da allegarsi specificamente e da provarsi concretamente, sia pure a mezzo di presunzioni[20].

 

 

 



[1] Sul tema generale del danno in re ipsa, v. il perspicuo saggio di M. Costanza, Danno in re ipsa sempre o mai, in questa Rivista, 5 luglio 2023 e, ivi, per ulteriori riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.

[2] La definitiva sistematizzazione di un genus di rimedi extracontrattuali, in cui è inclusa, oltre la species del risarcimento del danno, anche quella dell’inibitoria, che dal danno prescinde, si deve a C.M. Bianca, Rimedi extracontrattuali, in Diritto civile, vol.5, La responsabilità, Milano, 1994 (Cap. XVII).

[3] Cass., Sez. Un., 15 novembre 2022, n. 33645.

[4] Cass., Sez. Un., 15 novembre 2022, n. 33645, cit., part. Punto 4.6. delle Ragioni della decisione.

[5] Così, con riguardo alla natura della prestazione risarcitoria, sia per equivalente che in forma specifica, C.M. Bianca, Diritto civile, vol.5, La responsabilità, Milano 2021, 213.

[6] Tra le molte pronunce in tal senso, v. Cass. 5 maggio 2020, n. 8477; Cass. 2 agosto 2022, n. 23960; Cass. 6 novembre 2023, n. 30759; Cass. 31 gennaio 2024, n. 2897.

[7] Cass., Sez. Un., 12 ottobre 2022, n.29862.

 

[8] Cass., Sez. Un., 26 luglio 2004, n. 14060.

[9] In tema, v. Cass., Sez. Un., 19/06/2012, n. 10027.

[10] Ex aliis, Cass., Sez. 3, nn. 31330/2023, 31335/2023, 31342/2023, 31350/2023, 34654/2023, 34675/2023. Nella giurisprudenza successiva, v. Cass. 21 giugno 2024, n. 17253.

 

[11] G. Osti, Revisione critica della teoria sulla impossibilità della prestazione, in Riv. dir. civ., 1918, 209 ss.; 313 ss.; 417 ss.

Per il dibattito che ne seguì cfr., tra gli altri, G. Segré, Sulla teoria dell’impossibilità della prestazione, in Riv. dir. civ., 1919, I, 760 e, successivamente, i classici saggi di E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953 e L. Mengoni, Obbligazioni “di risultato” e obbligazioni “di mezzi” (Studio critico), in Riv. dir. comm., 1954, I, 185.

[12] G. Osti, Deviazioni dottrinali in tema di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni, in Riv. trim. dir. proc., 1954, 593 ss.

Il dibattito che ne seguì (su cui v., tra gli altri, M. Giorgianni, L’inadempimento, Milano, 1975 e, successivamente, C. Castronovo, La responsabilità per inadempimento da Osti a Mengoni, in Europa e dir. priv., 2008, 1 ss.) è stato recentemente rievocato da C.M. Bianca, Alla ricerca del fondamento della responsabilità contrattuale, in Riv. dir. civ., 2019, 1277 ss. e G. D’Amico, La responsabilità contrattuale: attualità del pensiero di Giuseppe Osti, in Riv. dir. civ., 2019, 1 ss.).

[13] Cass. 11 gennaio 2019, nn. 28991 e 28992.

La distinzione si rinviene, successivamente, anche in Cass. 31 agosto 2020, n. 18102 e in Cass. 26 novembre 2020, n. 26907.

 

[14] Cass. 29 marzo 2022, n. 10050.

[15] Cass. 9 maggio 2024, n. 12760.

[16] C.M. Bianca, Alla ricerca del fondamento della responsabilità contrattuale, cit., 1294.

[17] Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533.

[18] Già affermato da Cass. 19 maggio 2004, n.9471.

[19] Cass. 15 marzo 2024, n. 7074; Cass. 23 aprile 2024, n. 10901.

[20] Cass. 11 novembre 2019, n. 28985; Cass. 12 giugno 2023, n. 16633.

 

 
 
 
 
 
 

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