Abstract: L’aliquota agevolata dell’imposta di registro in caso di acquisto di immobile ad uso abitativo, alle condizioni di cui all’art. 1, nota II bis, della Parte I della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n 131, integra un significativo incentivo alla destinazione del risparmio in investimenti di tipo immobiliare, che il legislatore, tenuto conto della crisi del mercato, ha cercato di promuovere ulteriormente, anche con la finanziaria del 2016, in cui si è prevista la possibilità di godere una seconda volta del beneficio de quo anche nell’ipotesi in cui la vendita dell’immobile precedentemente acquistato non preceda, ma segua entro l’anno successivo il nuovo acquisto. In questa sede sono rappresentate le posizioni assunte dalla giurisprudenza di legittimità relativamente alle questioni più ricorrenti, tra cui, ad esempio, la configurabilità della forza maggiore idonea a giustificare il mancato trasferimento della residenza nel termine perentorio stabilito o le condizioni che si reputano necessarie per conservare i benefici ove si sia proceduto alla rivendita nel quinquennio e al nuovo acquisto nell’anno.
SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Ambito applicativo. 3. Gli immobili esclusi. 4. Requisiti. 4.1. Preclusione della titolarità di altro immobile nello stesso comune o acquistato con le agevolazioni prima casa. 4.2. Residenza o lavoro nel comune di ubicazione dell’immobile. 5. Decadenza e forza maggiore. 6. Vendita nel quinquennio.
1.Premessa. Le agevolazioni prima casa sono quei benefici fiscali, consistenti nella riduzione delle aliquote dell’imposta di registro o sul valore aggiunto e dell’imposta ipotecaria e catastale, previste per l’ipotesi di acquisto di un immobile ad uso abitativo, ove ricorrano determinate condizioni, tra cui non è compresa la destinazione ad alloggio del contribuente ma piuttosto la collocazione nel comune di sua residenza o nel suo luogo di lavoro. Si tratta, dunque, di uno strumento che tende solo in via eventuale a soddisfare le esigenze abitative dell’acquirente e che, più in generale, favorisce l’accesso alla proprietà come modalità di utilizzo del risparmio, alla luce degli artt. 42 e 47 Cost.
In questa sede ci si occuperà solo dell’imposta di registro, cercando di offrire un panorama dei più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità e delle più significative novità legislative, tra cui, ad esempio, l’individuazione degli immobili esclusi con riferimento alle categoria catastali invece che alla definizione degli immobili di lusso, l’ulteriore riduzione dell’aliquota dal 4% al 2%, la possibilità di usufruire dei benefici anche in caso di attuale titolarità di altro immobile, per il quale si è già usufruito del regime agevolato, a condizione della sua vendita entro l’anno.
2.Ambito applicativo. L’art. 1 della Parte I della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nel disciplinare l’imposta di registro degli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e degli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi, stabilisce che, ove ricorrano le condizioni di cui alla nota II-bis, l’aliquota è quella del 2% in luogo di quella ordinaria del 9 % se il trasferimento ha per oggetto case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9. La riduzione dell’aliquota dal 4% al 2% è avvenuta con il d.lgs. 14 marzo 2011, limitatamente all’imposta di registro, mentre è rimasta invariata la disciplina dell’IVA, non essendo stata apportata alcuna modificazione al n. 21 della Parte II della Tabella allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Successivamente, con la legge 28 dicembre 2015, n. 208, è stata introdotta l’aliquota ulteriormente agevolata dell’1,5% in caso l’acquisto tramite banche ed intermediari autorizzati all’esercizio di attività di leasing finanziario.
Come risulta chiaramente dal tenore letterale, la disciplina in esame è applicabile:
solo ai trasferimenti a titolo oneroso, rinvenendosi, invece, quella per gli atti a titolo gratuito, inter vivos e mortis causa, in altra sede (in particolare nell’art. 69 della legge 21 novembre 2000, n. 342 e nel d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nuovamente vigente in virtù dell’art. 2, comma 47, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito nella legge 24 novembre 2006, n. 286);
non solo all’ipotesi di acquisto della piena, ma anche della nuda proprietà (in questo senso, sebbene riguardo alla normativa precedente, Cass., Sez. T, 30 gennaio 2008, n. 2071).
Ai sensi della nota II bis dell’art. 8 della Parte I della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, i provvedimenti che accertano l'acquisto per usucapione della proprietà di beni immobili o di diritti reali di godimento sui beni medesimi sono soggetti all'imposta secondo le disposizioni dell'articolo 1 della tariffa, per cui, ove ne ricorrano i requisiti, si applica l’aliquota agevolata prevista per l'acquisto a titolo oneroso della prima casa anche alle sentenze dichiarative dell’usucapione. La giurisprudenza di legittimità ha, però, chiarito che i benefici sono limitati all'imposta di registro, mentre ne restano escluse le imposte ipotecarie e catastali, in quanto il citato art. 8, nota II bis, non ne fa menzione e non è suscettibile di interpretazione estensiva (Cass., Sez. T, 16 dicembre 2008, n. 29371 e Cass., Sez. T, 29 febbraio 2008, n. 5447; in dottrina sull’argomento v. Fedele Andrea, Le sentenze che accertano l'usucapione immobiliare e le imposte sui trasferimenti della ricchezza: equiparati o rinvii?, in Riv. giur. trib., 2009, 343).
Gli immobili esclusi. Originariamente, in virtù dell’art. 2 del d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito in legge 5 aprile 1985, n. 118, e dell’art. 1 della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, come modificato dal d.l. 22 maggio 1993, n. 155, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 243, l’agevolazione consisteva nella riduzione dell’aliquota dall’8% al 4% ed era circoscritta all’acquisto di una casa di abitazione non di lusso secondo i criteri di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici del 2 agosto 1969, sicché era del tutto irrilevante la classificazione catastale dell’immobile (così Cass., Sez. T, 21 ottobre 2014, n. 22310, e Cass., Sez. T, 23 giugno 2000, n. 8600) o il requisito dell’abitabilità dei singoli ambienti, non richiamato dall’art. 6 del citato decreto del Ministro dei Lavori Pubblici, potendo computarsi nella superficie utile tutti gli spazi concretamente utilizzabili, come, ad esempio, vani seminterrati o qualificati come soffitte e cantine, ma con accesso diretto all’interno dell’abitazione ed ad essa indissolubilmente legati (così, ad esempio, Cass. Sez. T, 18 maggio 2016, n. 10191; v. anche Cass., 10 agosto 2010, n. 18491, che precisa che il nuovo immobile, dovendo fungere da alloggio, deve essere munito di abitabilità, ma che, in difetto dell’espressa previsione di un termine, non è necessario che l'accatastamento dell'immobile quale abitazione, indispensabile affinché si realizzi la predetta destinazione, sussista al momento dell’atto di acquisto, dovendo piuttosto essere valutato con esclusivo riguardo al rispetto al termine di decadenza di diciotto mesi, stabilito per la fissazione della residenza nel comune di ubicazione).
L’art. 10 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 ha, però, modificato il tenore della disposizione in esame, eliminando ogni riferimento al decreto del Ministro dei lavori pubblici del 2 agosto 1969 e definendo l’ambito applicativo delle agevolazioni prima casa in ragione della classificazione catastale dell’immobile, per cui ai trasferimenti effettuati a decorrere dal 1° gennaio 2014 (data dell’entrata in vigore del citato art. 10) si applicherà l’aliquota del 2% se aventi ad oggetto le case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1 (abitazioni di tipo signorile), A8 (abitazioni in ville) e A9 (castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici). Dalla modifica legislativa dovrebbe derivare una significativa semplificazione e razionalizzazione in considerazione della concentrazione del contenzioso sui provvedimenti di classamento catastale, la cui omessa e tempestiva impugnazione precluderà il godimento dei benefici de quibus relativamente agli immobili che ricadono nelle categorie A1, A8 e A9. Come precisato dalla circolare dell’Agenzia delle entrate n. 31 del 30 dicembre 2014, par. 24, sebbene con riferimento all’IVA (v. anche B.Iannello, Agevolazioni prima casa: aperture e chiusure della Cassazione su presupposti e decadenze, in Corr. trib. 2016, 208), nell’atto di trasferimento dell’abitazione, oltre ad attestare la sussistenza delle altre condizioni prescritte per usufruire dell’agevolazione, va dichiarata la classificazione o la classificabilità catastale dell’immobile nelle categorie che possono beneficiare dell’aliquota agevolata e, cioè, A/2 (abitazioni di tipo civile), A/3 (abitazioni di tipo economico), A/4 (abitazioni di tipo popolare), A/5 (abitazioni di tipo ultra popolare), A/6 (abitazioni di tipo rurale), A/7 (abitazioni in villini), A/11 (abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi).
3.Requisiti. Secondo quanto risulta dalla nota II bis dell’art. 1 della Parte I della Tariffa del d.P.R. n. 131 del 1986, ai fini dell'applicazione dell'aliquota del 2 % agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o consuntivi della nuda proprietà, dell'usufrutto, dell'uso e dell'ambientazione relativi alle stesse, l’acquirente deve dichiarare nell’atto di acquisto:
che l'immobile è ubicato nel territorio del comune in cui ha o stabilirà entro diciotto mesi dall'acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui svolge la propria attività ovvero, se trasferito all'estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l'attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui sia cittadino italiano emigrato all'estero, che l'immobile sia acquisito come prima casa sul territorio italiano;
di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l'immobile da acquistare;
di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni in esame o con quelle analoghe, oggetto di specifica elencazione.
In proposito è sufficiente rinviare a Cass., Sez. T, 12 febbraio 2009, n. 3449 (Il godimento dei benefici fiscali concernenti l'imposta di registro per l'acquisto della prima casa presuppone, tra l'altro, che il contribuente nell'atto di acquisto dell'immobile manifesti la volontà di fruirne, dichiarando espressamente, pena l'inapplicabilità dei benefici stessi: a) di volere stabilirsi nel comune dove si trova l'immobile; b) di non godere di altri diritti reali su immobili siti nello stesso comune; c) di non avere già fruito dei medesimi benefici, secondo quanto prescritto dalla nota II bis della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).
Allo stato attuale, inoltre, nell’ipotesi in cui l’acquirente, pur essendo titolare di altra abitazione acquistata con le agevolazioni prima casa, voglia usufruirne ugualmente, dovrà dichiarare l’intenzione di alienare l’immobile de quo entro un anno (sul punto v. infra ed in dottrina Busani, Estesa l’agevolazione “prima casa”in talune ipotesi di “alienazione postuma” della casa preposseduta, in Corr. trib., 2016, 264).
Merita, inoltre, di essere segnalata Cass., Sez. T, 14 maggio 2003, n. 7437, secondo cui le formalità prescritte per usufruire dell’agevolazione prima casa devono essere adempiute, a pena di decadenza, nell'atto di acquisto avente ad oggetto tale abitazione, sicché nel caso di trasferimento di un'unità abitativa ad un coniuge disposto nel verbale di separazione consensuale, la richiesta delle agevolazioni e la contestuale dichiarazione circa l'esistenza dei detti presupposti va formulata nel verbale di separazione stesso, che tiene luogo dell'atto pubblico di acquisto: invero, il principio non dovrebbe operare ove in sede di separazione o divorzio sia assunto solo l’impegno al trasferimento, rinviandosi l’effetto traslativo ad un successivo rogito notarile.
Va, infine, sottolineato che se l’acquisto avviene in virtù di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., all’esito d’inadempimento di un preliminare, le manifestazioni di volontà prescritte dall'art. 1, nota II bis, della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 vanno rese prima della registrazione del provvedimento giudiziario e non possono essere effettuate in un momento successivo, atteso il carattere necessario della collaborazione del contribuente, che integra un presupposto del beneficio e costituisce un’eccezione al principio generale desumibile dall'art. 77 del d.P.R. predetto, secondo cui un'agevolazione non richiesta al momento della imposizione non è perduta, potendosi rimediare, nei previsti limiti temporali, alla erroneità di quest'ultima (Cass., Sez. T, 3 febbraio 2014, n. 2261).
4.1. Preclusione della titolarità di altro immobile nello stesso comune o acquistato con le agevolazioni prima casa. Relativamente al requisito sub b), si riferisce a discipline non più in vigore l’orientamento che intendeva in senso soggettivo il requisito della non possidenza di altro fabbricato abitativo, ritenendolo, quindi, sussistente anche in caso di titolarità, da parte dell’acquirente, di altro alloggio concretamente inidoneo, per dimensioni e caratteristiche, alle esigenze abitative anche della sua famiglia. In proposito Cass., Sez. T., 21 dicembre 2015, n. 25646 ha evidenziato che la nota II bis dell’art. 1 de quo, come modificata dalla legge 28 dicembre 1995, n.549, condiziona l'agevolazione alla non titolarità del diritto di proprietà di altra casa di abitazione nel territorio del comune ove è situato l'immobile da acquistare, senza più il riferimento all’idoneità dell'immobile, presente, invece, nella precedente formulazione della norma, sicché non assume più rilievo la situazione soggettiva del contribuente o il concreto utilizzo del bene, ma solo il parametro oggettivo della classificazione catastale dell’immobile.
Sembra, invece, conservare valore la posizione secondo cui l'agevolazione fiscale per l'acquisto della prima casa non è preclusa al titolare di una quota particolarmente esigua di altro immobile ubicato nello stesso comune di quello nuovo, visto che la facoltà di usare il bene comune, senza impedire a ciascuno degli altri comunisti di farne parimenti uso, ai sensi dell'art. 1102 c.c., non consente di destinare la casa comune ad abitazione di uno solo dei comproprietari, per cui la titolarità della quota è simile a quella di immobile inidoneo a soddisfare le esigenze abitative dell'acquirente ed è compatibile con il beneficio fiscale de quo (Cass., Sez. T, 10 settembre 1999, n. 9647, Cass., Sez. T, 14 maggio 2007, n. 10984; Cass., Sez. T, 8 ottobre 2014, n. 21289). Difatti, alla luce del tenore letterale della lett b), differentemente da quanto avviene per la lett. c), solo la comunione tra i coniugi e non quella tra estranei o altri affini e parenti esclude l’impossidenza e la conseguente possibilità di usufruire dell'agevolazione prima casa nell’acquisto di un ulteriore cespite. Occorre sottolineare, quanto alla posizione dei coniugi, che in alcune pronunce della Suprema Corte si distingue tra comunione legale e comunione ordinaria, ritenendosi che solo la prima precluda l’acquisto di un nuovo immobile con i benefici prima casa (v., ad esempio, nella motivazione di Cass., Sez. T, 8 ottobre 2014, n. 21289, “solo la comunione legale tra i coniugi osta all’agevolazione”). In dottrina (A.Sartore, Pregressa comproprietà di immobile in comunione con il coniuge e agevolazioni prima casa: notazioni critiche a Cass., Sez. T, 8 ottobre 2014, n. 21289, in Riv. not. 2015, 160), però, sono state avanzate perplessità su tale distinzione atteso che il regime patrimoniale non interferisce con l’osservanza dei diritti e dei doveri derivanti dal matrimonio, in particolare con quello di coabitazione, per cui dalla scelta del regime di comunione legale piuttosto che di separazione dei beni non potrebbe derivare un’inammissibile ed incostituzionale disparità di trattamento tra i coniugi. Del resto, in Cass., Sez. T, 19 febbraio 2014, n. 3931, si legge “quando, per effetto della separazione personale (usualmente, già a seguito del provvedimento presidenziale di cui all'art. 708 c.p.c.), cessa il dovere della coabitazione, viene, in conseguenza, meno la destinazione dell'immobile ad abitazione familiare, che .. è presunta dalla norma agevolatrice, e ne costituisce la ratio … tale effetto non si verifica in virtù del mutamento convenzionale del regime patrimoniale adottato dai coniugi, che non interferisce con l'osservanza dei diritti e dei doveri derivanti dal matrimonio”. In ogni caso, al verificarsi della separazione legale, la comunione tra coniugi di un diritto reale su un immobile, sebbene originariamente acquistato in regime di comunione legale, va equiparata alla contitolarità indivisa tra estranei, compatibile con le agevolazioni prima casa (come affermato da Cass., Sez. T, 19 febbraio 2014, n. 3931, che non risulta smentita da Cass., Sez. T, 26 marzo 2014, n. 7069, secondo cui non assume, invece, rilevanza la mera separazione di fatto al fine di consentire al coniuge, comproprietario con l’altro di un immobile, di fruire dell’agevolazione prima casa nell’acquisto di un nuovo cespite).
Per completezza va, infine, ricordato che la diversa situazione dei coniugi – in particolare relativamente ai requisiti sub b) e c) - rende necessaria la diversificazione della tassazione dell'atto, con il riconoscimento delle agevolazioni prima casa limitatamente alla quota di pertinenza di quello dei coniugi che non sia titolare di altro immobile sito nello stesso comune o altrove, ma, comunque, acquistato con i benefici in esame (v. Cass., Sez. T, 21 settembre 1999, n. 10196, Cass., Sez. T, 20 agosto 1997, n. 7762, e Cass., Sez. T, 4 aprile 1996, n. 3159, rispetto alle quali non si pone in contrasto Cass., Sez. T, 28 ottobre 2000, n. 14237, che si riferisce alla possibilità che entrambi i coniugi in comunione legale fruiscano del regime agevolato, nonostante uno di essi risieda in un comune diverso da quello di ubicazione del bene: sul punto v. infra. In dottrina si è, però osservato che queste decisioni rappresentano “una nozione errata di comunione legale tra coniugi considerando che tale regime possa essere soggetto a quote”, nonostante i beni che vi ricadono non possano essere venduti parzialmente, ma solo integralmente e con la «firma» congiunta dei coniugi stessi: così D.Bleve, Sulla comunione legale ai fini delle c.d. agevolazioni sulla prima casa, in Dir. prat. trib. 2001, 544).
Relativamente al requisito sub c), deve sottolinearsi che, in virtù del comma 4 bis della nota 2 bis dell’art. 1 della Parte I della Tariffa, introdotto dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208, l'aliquota del 2 % cento si applica anche agli atti di acquisto per i quali l'acquirente non soddisfa il requisito di cui alla lettera c) del comma 1 e per i quali i requisiti di cui alle lettere a) e b) del medesimo comma si verificano senza tener conto dell'immobile acquistato con le agevolazioni elencate nella lettera c), a condizione che quest'ultimo sia alienato entro un anno dalla data dell'atto. In pratica, mentre in passato, al fine di poter usufruire nuovamente delle agevolazioni prima casa, occorreva prima alienare l’immobile già acquistato con tale beneficio fiscale, attualmente è possibile procedere al nuovo acquisto facendo affidamento sulla futura vendita entro l’anno successivo. Si tratta di una misura di favore che, tenendo conto della situazione critica del mercato immobiliare, tende ad incoraggiare gli acquisti ed a favorire le successive vendite, le quali verranno concluse anche a prezzi inferiori, pur di conservare le agevolazioni (In proposito in dottrina v. A. Busani, Estesa l’agevolazione “prima casa”in talune ipotesi di “alienazione postuma” della casa preposseduta, in Corr. trib. 2016, 257ss, il quale rileva che tenuto conto del tenore letterale e dell’univoco riferimento all’aliquota agevolata del 2%, non ricadono nel’ambito applicativo della disposizione le vendite soggette non ad imposta di registro, ma ad IVA, in cui le agevolazioni prima casa si traducono nella riduzione dell’aliquota al 4%).
Al riguardo occorre ricordare che non è, invece, consentito usufruire del regime di agevolazioni per l'acquisto della " prima casa", previa rinunzia ad un precedente analogo beneficio, conseguito in virtù della medesima disciplina, in ragione del divieto di reiterazione interna derivante dalla legge e del carattere negoziale, non revocabile per definizione, della precedente dichiarazione di voler fruire del beneficio (così Cass., Sez. T, 30 luglio 2014, n. 17294 e già prima Cass., Sez. T, 28 giugno 2000, n. 8784).
4.2. Residenza o lavoro nel comune di ubicazione dell’immobile. I benefici fiscali per l'acquisto della prima casa spettano unicamente a chi possa dimostrare in base ai dati anagrafici di risiedere o lavorare nel comune dove ha acquistato l'immobile senza che, a tal fine, possano rilevare la residenza di fatto o altre situazioni contrastanti con le risultanze degli atti dello stato civile (tra le tante, Cass., Sez. T, 2 febbraio 2012, n. 1530, relativa alle agevolazioni previste dall'art. 16 del d.l. 22 maggio 1993, n. 155, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 243; v. anche Cass., Sez. T, 3 febbraio 2014, n. 2266, secondo cui, ai fini dell'applicazione dell'art. 1, nota II bis, comma 4, della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, le situazioni di mero fatto contrastanti con gli atti dello stato civile non hanno alcun rilievo, dovendo farsi esclusivo riferimento alla residenza anagrafica).
Quanto all’attività lavorativa, la recente Cass., Sez. T, 30 giugno 2016, n. 13416, ha precisato che la previsione di cui all'art. 1, lett. a), nota II bis, tariffa I parte, del d.P.R. n. 131 del 1986, nell’individuare tra i requisiti per usufruire dell'agevolazione quello che l'acquirente svolga la propria attività lavorativa nel Comune ove l'immobile acquistato è ubicato, non richiede che l'attività lavorativa sia svolta in tale luogo in modo prevalente.
La residenza non deve necessariamente sussistere al momento dell’atto, ma può essere conseguita dall’acquirente entro il termine di dodici mesi, aumentato a diciotto dall’art. 33, comma 12, della legge 23 dicembre 2000, n. 288. In proposito occorre ricordare che l’estensione da dodici a diciotto mesi del termine per l'effettivo trasferimento della residenza nell'immobile trova applicazione anche nel caso in cui, alla data di entrata in vigore (1° gennaio 2001) della legge di proroga, non sia ancora decorso l’anno dalla conclusione del contratto, atteso che, in assenza di regime transitorio, una norma che prolunghi la durata di un termine decadenziale stabilito da una precedente disposizione, ove entri in vigore prima della sua scadenza e, cioè, prima della decadenza dal diritto, esplica la sua efficacia sul rapporto giuridico ancora pendente, pur non essendo retroattiva (v. Cass., Sez. T, 16 ottobre 2015, n. 20987 e Cass., Sez. T, 22 febbraio 2014, n. 1255; al contrario, come chiarito da Cass., Sez. T, 29 aprile 2009, n. 10014, qualora l'acquisto abbia avuto luogo sotto la vigenza dell'art. 3, comma 131, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, e sia inutilmente decorso il termine di dodici mesi ivi stabilito, non spiega alcun effetto l'entrata in vigore dell'art. 3, comma 12, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, che ha elevato a diciotto mesi il predetto termine, in quanto tale disposizione, non avendo natura interpretativa, non è applicabile ai rapporti esauriti).
E’ ormai pacifico che, al fine di evitare la decadenza dai benefici fiscali, la decorrenza della residenza anagrafica va ancorata alla dichiarazione di trasferimento resa dall'interessato nel comune di nuova residenza, ancorché la relativa pratica non sia conclusa, stante l'unicità del procedimento amministrativo inteso al mutamento dell'iscrizione anagrafica, sancita dall'art. 18, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, che postula la necessaria saldatura tra cancellazione dall'anagrafe di un comune e l’iscrizione in quella del luogo di nuova residenza (ex plurimis, Cass., Sez. T, 16 settembre 2015, n. 18187 e Cass., Sez. T, 1° ottobre 2015, n. 19684. In passato nello stesso senso già Cass., Sez. T, 26 ottobre 2007, n, 22528 e Cass., Sez. T, 19 dicembre 2002, n. 18077, secondo cui, in tema d’imposta di registro, l'art. 2 del d.l. 7 febbraio 1985 n. 12, convertito nella legge 5 aprile 1985, n. 118, richiede, per la fruizione dei benefici ivi previsti, che l'immobile venga acquistato nel comune di residenza o in quello in cui si svolge l'attività lavorativa del compratore e che lo stesso venga effettivamente impiegato ad uso abitativo: a tali fini, ferma restando, quanto alla determinazione della residenza, la prevalenza del dato anagrafico sulle risultanze fattuali, in base al principio della unicità del procedimento amministrativo inteso al mutamento dell'iscrizione anagrafica, sancito anche dall'art. 18, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 - che, nell'affermare la necessità della saldatura temporale tra cancellazione dall'anagrafe del comune di precedente iscrizione ed iscrizione in quella del comune di nuova residenza, stabilisce che la decorrenza è quella della dichiarazione di trasferimento resa dall'interessato nel comune di nuova residenza - il beneficio fiscale della "prima casa" spetta a coloro che, pur avendone fatto formale richiesta, al momento dell'acquisto dell'immobile non abbiano ancora ottenuto il trasferimento della residenza nel comune in cui è situato l'immobile stesso). Nessuna rilevanza giuridica può rivestire, invece, l'eventuale conseguimento della residenza in data successiva al termine all'uopo fissato, ovvero, come nella specie, il mancato accoglimento da parte del comune di una domanda di trasferimento della residenza anteriormente formulata dall'interessato, in assenza dell'accertamento di vizi inficianti il provvedimento che respinga tale richiesta o attinenti al procedimento che lo origina, essendo necessaria, ai fini predetti, l'esatta identificazione della decorrenza degli effetti dell'iscrizione anagrafica (Cass., Sez. T, 15 giugno 2010, n. 14399).
In caso di acquisto da parte dei coniugi in regime di comunione legale ex art. 177 c.c., il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l'immobile va riferito alla famiglia, sicché è sufficiente che l'immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale Comune, non sussistendo l’obbligo di una comune sede anagrafica ma piuttosto quello di coabitazione (Cass., Sez. T, 23 dicembre 2015, n. 25889, Cass., Sez. T, 28 giugno 2013, n. 16355, Cass., Sez. T, 28 gennaio 2009, n. 2109, Cass., Sez. T, 8 settembre 2003, n. 13085). Cass., Sez. T, 17 dicembre 2014, n. 26653 ha, però, precisato che il beneficio fiscale correlato all'acquisto della " prima casa", di cui all'art. 1, nota II bis, lett. b), della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, non si estende al coniuge che abbia acquistato, in regime di separazione dei beni, il diritto reale su di un immobile e non abbia trasferito la propria residenza nel comune ove il bene si trova, benché in esso risieda il nucleo familiare, non potendosi dare rilievo alla residenza della famiglia nel caso in cui l'acquisto, restando nell'esclusiva sfera giuridica dell'acquirente, non costituisce sostrato patrimoniale della famiglia.
5. Decadenza e forza maggiore. Il mancato trasferimento della residenza nel termine di legge comporta la perdita delle agevolazioni fiscali.
Tuttavia, secondo l’orientamento che sembra prevalere, la decadenza non si verifica se la condotta omissiva è giustificata da una causa di forza maggiore, caratterizzata dai requisiti della non imputabilità al contribuente, della necessità e della imprevedibilità (v., tra le tante, Cass., Sez. T, 19 gennaio 2016, n. 864, secondo cui la causa di forza maggiore, idonea ad impedire la decadenza dai benefici fiscali c.d. prima casa dell’acquirente, che non abbia trasferito la propria residenza nel comune ove é situato l'immobile entro 18 mesi dall'acquisto, pur potendo riferirsi all’inutilizzabilità dello stesso per mancato compimento dei lavori o per mancato rilascio di titoli abilitativi, deve tuttavia essere caratterizzata dai requisiti della non imputabilità al contribuente, della necessità e della imprevedibilità).
La Suprema Corte ha ritenuto la sussistenza di forza maggiore rilevante ai sensi del d.P.R. n. 131 del 1986 nell’ipotesi di:
sospensione dei lavori di ristrutturazione dell'immobile disposta dalla sopraintendenza per la cd. "sorpresa archeologica" e, cioè, per il rinvenimento di reperti (Cass., Sez. T, 7 giugno 2013, n. 14399);
ostacoli frapposti dall'inquilina all'esecuzione per rilascio in tre diversi accessi, con differimento di circa dieci mesi nell'acquisizione del possesso dell'immobile (così Cass., Sez. T, 17 dicembre 2015, n. 25437, mentre, invece, Cass., Sez. T, 11 giugno 2014, n. 13177 ha reputato inidonea ad evitare la decadenza l’intimazione dello sfratto per finita locazione, nei confronti del precedente inquilino, già nota all'acquirente al momento del rogito, per una data posteriore ai diciotto mesi previsti per il trasferimento di residenza circostanza, che lo sfratto).
Incerta la riconducibilità alla forza maggiore dell’omesso trasferimento di residenza determinato dal ritardato esaurimento dei procedimenti in materia di edilizia ed urbanistica. In senso favorevole si è orientata Cass., Sez. T, 23 dicembre 2015, n. 25880 di fronte ad un anomalo ritardo della P.A. nel concedere un'autorizzazione aggiuntiva conseguente alla complessità sopravvenuta di lavori di rifacimento di un vecchio stabile, non rientrando l'inefficienza e il non motivato ritardo dell'ente pubblico nella sfera di disponibilità del contribuente, mentre in senso contrario le precedenti Cass., Sez. T, 10 marzo 2015, n. 4800, secondo cui il ritardo della P.A. nel rilascio delle autorizzazioni edilizie per la realizzazione delle opere di ristrutturazione e l'abitabilità non costituisce evento non prevedibile ed inevitabile, quale forza maggiore idonea ad impedire la decadenza dalle agevolazioni dell'acquirente di un immobile, ove questi non abbia trasferito la residenza nel perentorio termine di diciotto mesi dall'acquisto, e Cass., Sez. T, 17 ottobre 2005, n. 20066, che ha cassato la sentenza della commissione tributaria regionale, in cui il ritardo, da parte del Comune, nel rilascio della concessione edilizia in sanatoria era stato qualificato quale oggettiva situazione di fatto ostativa all'utilizzo dell'immobile, non imputabile al contribuente.
Cass., Sez. T, 26 marzo 2014, n. 7067 ha, invece, escluso la ricorrenza di una situazione di forza maggiore, caratterizzata dalla non imputabilità al contribuente e dall'inevitabilità ed imprevedibilità dell'evento, in caso di mancata ultimazione di un appartamento in costruzione, atteso che, in assenza di specifiche disposizioni, non vi è ragione di differenziare il regime fiscale di un siffatto acquisto rispetto a quello di un immobile già
edificato.
Deve, però, segnalarsi la posizione di Cass., Sez. T, 10 febbraio 2016, n. 2616, secondo cui, consistendo il trasferimento della residenza nel termine previsto in un onere per l’acquirente, non può attribuirsi rilevanza alla forza maggiore, idonea a giustificare l’inadempimento di un’obbligazione, che nella fattispecie in esame non sussisterebbe, non essendo l’Amministrazione finanziaria titolare di un corrispondente diritto soggettivo. Ad ogni modo, tale pronuncia sembra essere rimasta, allo stato, isolata.
In particolare le successive Cass., Sez. T, 24 giugno 2016, n.13148 e 28 giugno 2016, n. 13346, preso atto del contrasto insorto, confermano la configurabilità della forza maggiore rispetto all’omesso trasferimento della residenza nel termine previsto, non ritenendo l’istituto limitato alle sole obbligazioni, ma precisano che, in considerazione degli elementi costitutivi della fattispecie agevolativa, essa deve consistere in un evento - imprevedibile e non imputabile al contribuente – ostativo al trasferimento della residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato e non semplicemente nell’immobile acquistato.
Per completezza, infine, va segnalato che la forza maggiore non opera, invece, con riferimento alla diversa ipotesi della vendita dell’immobile nel quinquennio e del mancato riacquisto di altro immobile entro l’anno successivo (per tutte Cass., Sez. T, 20 febbraio 2003, n. 2552, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dell'art. 1 del d.l. n. 16 del 1993, convertito nella legge n. 75 del 1993, nella parte in cui prevede l'applicazione delle imposte ordinarie anche nel caso in cui il mancato riacquisto, entro un anno dalla vendita infraquinquennale dell'immobile precedentemente acquistato con i benefici fiscali, di altro immobile destinato ad abitazione principale sia dovuto a causa di forza maggiore, poiché l'applicazione dell'ordinario regime tributario non ha natura sanzionatoria di una condotta dell'acquirente dell'immobile, rispetto alla quale soltanto potrebbe assumere significato l’esimente, ma consegue alla sopravvenuta mancanza di causa del beneficio invocato all'atto dell'acquisto, essendo venuta meno la finalità abitativa).
6.Vendita nel quinquennio. Ai sensi della nota II bis, comma 4, dell’art. 1 della Parte I della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sovrattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte, non soltanto in caso di dichiarazione mendace, ma anche di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici di cui al presente articolo prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto. Tuttavia, le predette disposizioni non si applicano nel caso in cui il contribuente, entro un anno dall'alienazione dell'immobile acquistato con i benefici di cui al presente articolo, proceda all'acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale.
Non consente di conservare i benefici l’acquisto di una quota esigua di comproprietà, che l’acquirente non possa destinare ad abitazione (v. Cass., Sez. T, 17 giugno 2011, n. 13291, secondo cui la condizione che il contribuente, entro un anno dal trasferimento del bene, prima del decorso del termine di cinque anni dalla data dell'acquisto con i benefici, provveda all'acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale, non può essere soddisfatta dall'acquisto di una quota dell'immobile che, alla stregua dei limiti all'uso della cosa comune, previsti nell'art. 1102 c.c., non consenta in concreto di disporne come abitazione: nel caso di specie, il contribuente aveva alienato il bene entro cinque anni e riacquistato una quota pari a quattro millesimi di altro immobile, asseritamente da destinarsi a prima casa).
E’, invece, equiparato all’acquisto entro un anno la realizzazione dell’abitazione, tramite appalto, su un terreno acquistato prima o dopo (così Cass., Sez. T, 27 novembre 2015, n. 24253, secondo cui il contribuente che nel quinquennio abbia rivenduto l'immobile evita la decadenza non solo se entro l'anno successivo acquisti un nuovo immobile, da adibire ad abitazione principale, ma anche se, tramite un appalto, realizzi su un proprio terreno, acquistato prima o dopo l'alienazione infraquinquennale, la propria abitazione principale, di cui diventa proprietario in virtù del principio dell'accessione, atteso che l'art. 1, nota II bis della parte prima della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 non distingue tra acquisti a titolo originario e derivativo). Parimenti non preclude la conservazione del beneficio l’eventuale titolo gratuito del nuovo acquisto (Cass., Sez. T, 13 novembre 2015, n. 23219, secondo cui il mantenimento dei benefici fiscali per l'acquisto della prima casa spetta, ai sensi del punto n. 4, nota II bis, parte prima, della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, al contribuente che, pur avendo alienato l'immobile nel quinquennio, ne acquisti un altro a titolo oneroso o anche a titolo gratuito, atteso che l' agevolazione ed il credito d'imposta ex art. 7 della legge n. 448 del 1998 sono riconosciuti relativamente a tutti i trasferimenti, sia a titolo oneroso sia a titolo gratuito; Cass., Sez. T, 26 giugno 2013, n. 16077, secondo cui il mantenimento dei benefici fiscali per l'acquisto della “prima casa" spetta, ai sensi del punto n. 4 nota II bis Parte I della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, anche nel caso di nuovo acquisto entro l'anno, da parte del contribuente, quando il nuovo immobile sia oggetto di trasferimento a titolo oneroso o anche, come nella specie, a titolo gratuito, per effetto di una nuova donazione).
Cass., Sez. T, 29 luglio 2014, n. 17151 precisa, invece, che il contribuente che abbia venduto l'immobile entro cinque anni dall'acquisto, per evitare la decadenza dal beneficio, é tenuto a comprare, entro un anno dall'alienazione, altro immobile, non potendosi considerare sufficiente la stipula di un contratto preliminare, che ha effetti solo obbligatori, atteso che per "acquisto", ai sensi dell'art. 1, nota II bis, quarto comma, della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, si deve intendere l'acquisizione del diritto di proprietà e non la mera insorgenza del diritto di concludere un contratto di compravendita.
Deve, infine, evidenziarsi il recente contrasto insorto, ai fini del mantenimento del trattamento agevolato, relativamente alla necessità del trasferimento della residenza sia nel comune di ubicazione del primo immobile sia in quello di ubicazione dell’immobile successivo o, al contrario, della sufficienza di quest’ultima condizione. In quest’ultimo senso si è orientata Cass., Sez. T, 7 ottobre 2015, n. 20042, secondo cui non incorre in alcun tipo di decadenza il contribuente che nei diciotto mesi dal primo acquisto, pur non avendo stabilito la propria residenza nel comune dell'immobile originariamente acquistato, lo abbia rivenduto e ne abbia acquistato, entro un anno dall'alienazione, un altro, provvedendo a fissare la residenza nel comune ove ha comprato il secondo immobile, come dichiarato nel successivo atto di compravendita. Ad avviso di Cass., Sez. T, 21 luglio 2015, n. 15266, invece, la conservazione dell' agevolazione, prevista dal comma 4, ultimo periodo, della nota II bis dell'art. 1 della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, a favore del contribuente che, pur avendo alienato l'immobile nel quinquennio, ne acquisti un altro da adibire ad abitazione principale entro un anno da tale alienazione, è subordinata, in base alla lettera e alla ratio della disposizione, alla presenza dei requisiti per la sua fruizione al momento del primo acquisto, sicché va esclusa ove non spettasse originariamente a causa di dichiarazione mendace o di fatti sopravvenuti, quale il mancato trasferimento della propria residenza nel comune di ubicazione dell'immobile. (In applicazione di tale principio, già enunciato da Cass., Sez. T, 15 febbraio 2013, n. 3749, la S.C. ha accolto il ricorso e, decidendo la causa nel merito, ha negato l' agevolazione al contribuente che aveva acquistato una casa in un comune diverso dal proprio, in cui non si era trasferito nel termine di diciotto mesi, avendo permutato tale immobile con un altro ubicato nel proprio comune di residenza). Del resto anche Cass., Sez. T, 30 aprile 2015, n. 8847 ha ritenuto che, ai sensi del comma 4, ultimo periodo, della nota II bis dell'art. 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il contribuente che, venduto l'immobile nei cinque anni dall'acquisto, abbia acquistato, entro un anno da tale alienazione, un altro immobile, procedendo poi alla sua vendita ed all'acquisto infrannuale di un ulteriore immobile, può mantenere l' agevolazione solo se fornisce la prova che l'acquisto sia seguito dalla effettiva realizzazione della destinazione ad abitazione propria degli immobili acquisiti nelle singole transazioni in virtù del concreto trasferimento della residenza anagrafica nell'unità abitativa correlata. Come rilevato dalla dottrina (B.Iannello, Agevolazioni prima casa: aperture e chiusure della Cassazione su presupposti e decadenze, in Corr. trib. 2016, 213), la posizione più recente di Cass., Sez. T, 7 ottobre 2015, n. 20042 avrebbe il pregio “di trovare il giusto equilibrio tra due opposte esigenze: da un lato, quello di realizzare le finalità della disciplina di favore (e cioè agevolare l’accesso alla casa di proprietà anche a coloro che sono costretti a ripetuti trasferimenti di residenza, per le contingenti necessità della vita) e, dall’altro, non avvantaggiare fiscalmente operazioni speculative consentendo, attraverso il solo possesso dei requisiti agevolativi in occasione del primo acquisto, la reiterazione ad libitum dei benefici sulla scorta della semplice dichiarazione di intento”.