Sommario:
- 1. La vicenda processuale da cui trae origine l’intervento delle Sezioni unite penali.
- 2. La decisione delle Sezioni unite penali e l’individuazione di uno spazio individuale minimo del detenuto conforme alla previsione dell’art. 3 CEDU.
- 3. Le conclusioni delle Sezioni unite penali: i rapporti tra il sovraffollamento carcerario nelle ipotesi di allocazione congiunta e i fattori, positivi e negativi, dell’offerta trattamentale.
- 4. Considerazioni finali.
1. La vicenda processuale da cui trae origine l’intervento delle Sezioni unite penali.
La decisione in esame veniva pronunciata nel procedimento scaturito dal ricorso per cassazione proposto dal Ministro della Giustizia avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di sorveglianza dell’Aquila il 2 settembre 2019. Con tale ordinanza, in particolare, veniva respinto il reclamo proposto dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria contro il provvedimento pronunciato dal Magistrato di sorveglianza dell’Aquila il 26 settembre 2018, con cui era stata parzialmente accolta l’istanza presentata nell’interesse del detenuto Cosimo Commisso ex art. 35-ter Ord. pen., relativamente alla detenzione patita presso le Case Circondariali di Pianosa, Palmi, Reggio Calabria, Carinola, Napoli Poggioreale e Larino, per un periodo complessivo di 4.571 giorni.
In questo contesto, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria si doleva del fatto che l’evoluzione giurisprudenziale interna, relativamente alle modalità di determinazione dello spazio minimo individuale del detenuto, non risultava conforme alla previsione dell'art. 3 della CEDU, nell’interpretazione consolidatasi a seguito delle decisioni dei citati casi “Torreggiani contro Italia”[1] e “Murstic contro Croazia”[2].
Le doglianze articolate dalla parte ricorrente riguardavano due profili differenti.
Il primo profilo censorio era costituito dal criterio di calcolo dello spazio minimo individuale disponibile per il detenuto ristretto all’interno di una cella in cui risultava allocata una pluralità di detenuti[3].
Il secondo profilo censorio riguardava la rilevanza, ai fini del computo dello spazio minimo individuale del detenuto, degli arredi fissi e di quelli non facilmente rimuovibili, nel cui contesto assumeva un rilievo centrale la valutazione dello spazio occupato dai “letti a castello”[4].
In questi casi, infatti, si trattava di arredi non detraibili nel calcolo dello spazio minimo individuale, che, nel caso di specie, includendo gli arredi, era pari a tre metri quadrati per ciascuno degli occupanti la cella collettiva, in conformità della giurisprudenza della Corte EDU consolidata.
Occorreva, pertanto, includere nello spazio disponibile anche l’area impegnata dai letti e dagli arredi fissi e tenere conto di eventuali criteri compensativi, come indicati dalla giurisprudenza della Corte EDU con riguardo alle condizioni generali del singolo trattamento penitenziario.
In questo contesto, secondo la parte ricorrente, da un lato, lo spazio fruibile da parte del ricorrente non risultava inferiore a tre metri quadrati, dall’altro, le condizioni detentive patite, globalmente valutate, erano ampiamente conformi al disposto dell’art. 3 CEDU, così come costantemente interpretato, non giustificando l’accoglimento, sia pure parziale, del rimedio di cui all’art. 35-ter Ord. pen.
Pertanto, allo scopo di risolvere tali questioni, relative allo spazio minimo individuale del detenuto, la Corte di cassazione, Prima Sezione penale riteneva indispensabile l’intervento chiarificatore delle Sezioni unite penali, ponendo il seguente quesito: «Se, in tema di conformità delle condizioni di detenzione all’art. 3 CEDU come interpretato dalla Corte EDU, lo spazio minimo disponibile di tre metri quadrati per ogni detenuto debba essere computato considerando la superficie calpestabile della stanza ovvero quella che assicuri il normale movimento, conseguentemente detraendo gli arredi tutti senza distinzione ovvero solo quelli tendenzialmente fissi e, in particolare, se, tra questi ultimi, debba essere detratto il solo letto a castello ovvero anche quello singolo»[5].
2. La decisione delle Sezioni unite penali e l’individuazione di uno spazio individuale minimo del detenuto conforme alla previsione dell’art. 3 CEDU.
Occorre premettere che il ricorso proposto dal Ministro della Giustizia avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di sorveglianza dell’Aquila il 2 aprile 2019 veniva rigettato, sulla base di una ricostruzione dei parametri attraverso cui doveva essere determinato lo spazio minimo individuale del detenuto, nelle ipotesi di allocazione in una cellula collettiva, nel rispetto della previsione normativa dell’art. 3 CEDU.
Occorre premettere ulteriormente che le Sezioni unite penali delimitavano rigorosamente gli ambiti dell’intervento chiarificatore invocato dalla Prima Sezione penale della Corte di cassazione con l’ordinanza di rimessione del 21 settembre 2020, precisando che, laddove lo spazio individuale di una cella collettiva è superiore a quattro metri quadrati, l’eventuale sovraffollamento dell’unità allocativa non rileva ai fini del rimedio riparatorio di cui all’art. 35-ter Ord. pen.
Delimitati i confini dell’intervento decisorio in esame, innanzitutto, occorre evidenziare che la questione di diritto posta dall’ordinanza di rimessione riguarda, in buona sostanza, i rapporti tra il sovraffollamento carcerario nelle ipotesi di allocazione congiunta e gli altri fattori, positivi e negativi, che incidono sulla condizione di detenzione del soggetto ristretto, che possono rilevare sia in senso favorevole sia in senso sfavorevole rispetto alla valutazione della conformità del trattamento penitenziario ai parametri di cui all’art. 3 CEDU.
In questo contesto, le Sezioni unite penali evidenziavano che la nozione di fattori compensativi concerneva gli elementi di carattere positivo che, in una qualche misura, possono attenuare il disagio di uno spazio troppo ristretto all’interno della cella collettiva, pur precisando che anche i fattori di natura negativa possono interagire con il sovraffollamento carcerario ai fini della valutazione della violazione dell’art. 3 CEDU e dell’accoglimento del rimedio riparatorio di cui all’art. 35-ter Ord. pen. Si evidenziava, in particolare, che la «nozione di “fattori compensativi” si attaglia soltanto a quelli di carattere positivo che, in qualche modo, possono attenuare il disagio di uno spazio troppo ristretto all’interno della cella; ma […] anche i fattori di natura negativa possono interagire con il sovraffollamento ai fini di una valutazione di avvenuta violazione dell’art. 3 CEDU e conseguente accoglimento dell'istanza di rimedio risarcitorio»[6].
Queste precisazioni si imponevano alla luce della decisione della Corte EDU nel caso “Murstic contro Croazia”[7], nella quale si affermava che l’attribuzione di uno spazio individuale inferiore a tre metri quadrati non comporta, in quanto tale, la violazione della disposizione dell’art. 3 CEDU, ma fa soltanto sorgere un’elevata presunzione di violazione.
In questa cornice, occorre evidenziare che il respingimento dell’impugnazione che era stata proposta dal Ministro della Giustizia pronunciato dalle Sezioni unite penali si fondava sull’assunto ermeneutica che «il riconoscimento di trattamenti disumani e degradanti è frutto di una valutazione multifattoriale della complessiva offerta trattamentale da parte dell’Amministrazione penitenziaria in caso di restrizione in una cella collettiva in cui lo spazio sia uguale o superiore al livello minimo di tre metri quadrati, ma inferiore a quattro metri quadrati […]»[8].
Occorreva, pertanto, effettuare una valutazione complessiva delle condizioni di detenzione di volta in volta esaminate, tenendo conto di tutti i parametri che connotano il trattamento penitenziario patito dal detenuto reclamante, che devono essere vagliati attraverso un accertamento di natura multifattoriale.
Si tratta, allora, di valutare globalmente le condizioni di detenzione del soggetto ristretto, tenendo conto della ricorrenza di eventuali fattori negativi, idonei a escludere la rilevanza di concomitanti fattori compensativi, che le Sezioni unite penali, alla luce dei parametri di cui all’art. 3 CEDU, identificano sintomaticamente «nella mancanza di accesso al cortile o all’aria e alla luce naturale, nella cattiva aereazione, in una temperatura insufficiente o troppo elevata nei locali, nell’assenza di riservatezza nelle toilette, nelle cattive condizioni sanitarie e igieniche […]»[9].
Ne discende che, nella prospettiva ermeneutica della violazione dell’art. 3 CEDU, non è richiesta la contestuale presenza di tutti i fattori negativi della detenzione, atteso che nell’istanza presentata ai sensi dell’art. 35-ter Ord. pen. il detenuto deve porre a fondamento della domanda riparatoria, oltre alla detenzione in celle collettive con uno spazio individuale inidoneo, anche l’eventuale sussistenza di fattori negativi[10].
Per converso, l’Amministrazione penitenziaria può opporre la sussistenza di fattori compensativi – di natura positiva – idonei a contrastare la domanda presentata dal detenuto, dovendosi ribadire che il magistrato di sorveglianza deve effettuare una valutazione globale delle condizioni di detenzione dell’istante, operando un bilanciamento complessivo dei fattori, positivi e negativi, che connotano il trattamento penitenziario concretamente patito dal condannato[11].
In altri termini, la valutazione dei profili dell’offerta trattamentale sottoposti a censura deve formare oggetto di una specifica motivazione, incentrata sul vaglio giurisdizionali delle concrete opportunità di cui abbia usufruito il detenuto, non potendo essere fondata su parametri generali, astratti o potenziali, riconducibili all’istituto penitenziario[12].
3. Le conclusioni delle Sezioni unite penali: i rapporti tra il sovraffollamento carcerario nelle ipotesi di allocazione congiunta e i fattori, positivi e negativi, dell’offerta trattamentale.
Sulla scorta della ricostruzione del quadro normativo che si è descritto nel paragrafo precedente, nel quale si inserivano le censure prospettate dalla parte ricorrente, veniva affermato il seguente principio di diritto: «I fattori compensativi costituiti dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività, se ricorrono congiuntamente, possono permettere di superare la presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU derivante dalla disponibilità nella cella collettiva di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati; nel caso di disponibilità di uno spazio individuale fra i tre e i quattro metri quadrati, i predetti fattori compensativi, unitamente ad altri di carattere negativo, concorrono alla valutazione unitaria delle condizioni di detenzione richiesta in relazione all’istanza presentata ai sensi dell’art. 35-ter Ord. pen.»[13].
Per giungere questa soluzione le Sezioni unite penali, dopo avere passato in rassegna la giurisprudenza sovranazionale consolidatasi a seguito delle decisioni dei noti casi “Torreggiani c. Italia”[14] e “Murstic c. Croazia”[15], affermavano che, nella valutazione dello spazio minimo individuale di tre metri quadrati, si deva avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento dei soggetti ristretti, indispensabile per assicurare un trattamento penitenziario rispettoso dei parametri stabiliti dalla previsione dell’art. 3 CEDU, in linea con la giurisprudenza di questa Corte[16].
Ne discendeva che, nella determinazione dello spazio minimo individuale di almeno tre metri quadri, che dovevano essere assicurati al detenuto alla luce della citata giurisprudenza sovranazionale, allo scopo di garantirgli un trattamento penitenziario rispettoso dei canoni di umanità della pena, occorreva fare riferimento al complesso dei fattori, positivi e negativi, che connotavano l’offerta trattamentale censurata dal detenuto con il rimedio previsto dall’art. 35-ter Ord. pen., tenendo conto della necessità di tutelare, per quanto possibile, una condizione di vivibilità carceraria rispettosa dei parametri affermati dall’art. 3 CEDU[17].
Ne derivava ulteriormente che il riconoscimento di trattamenti disumani e degradanti, rilevanti ex art. 3 CEDU, laddove censurato con il rimedio giurisdizionale previsto dall’art. 35-ter Ord. pen., costituiva la conseguenza di una valutazione multifattoriale dell’offerta trattamentale proposta dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria con riferimento al singolo detenuto reclamante, con la conseguenza che, nel caso di restrizione del condannato in una cella collettiva in cui lo spazio era superiore a tre metri quadrati, ma inferiore a quattro metri quadrati, occorreva tenere conto di tutti i fattori idonei a qualificare le condizioni di detenzione e funzionali a esprimere un giudizio positivo o negativo sul trattamento carcerario patito. Basti, in proposito, richiamare il passaggio motivazionale in cui si evidenziava: «Sulla base di quanto sin qui esposto è possibile affermare che il riconoscimento di trattamenti disumani e degradanti è frutto di una valutazione multifattoriale della complessiva offerta trattamentale da parte dell'Amministrazione penitenziaria in caso di restrizione in una cella collettiva in cui lo spazio sia uguale o superiore al livello minimo di tre metri quadrati, ma inferiore a quattro metri quadrati e, quindi, pur non violando la regola dettata dalla Corte EDU, possa costituire un fattore negativo ai fini della valutazione delle condizioni complessive di detenzione»[18].
4. Considerazioni finali.
Con la pronuncia in esame le Sezioni unite penali intervenivano sul tema del trattamento penitenziario inumano o degradante, disciplinato dall’art. 3 CEDU, che, in termini generali, deve essere inquadrato alla luce della giurisprudenza sovranazionale consolidatasi a seguito delle decisioni dei noti casi “Torreggiani contro Italia”[19] e “Murstic contro Croazia”[20], sui quali la pronuncia in esame si soffermava diffusamente, nel più ampio contesto ermeneutico dei parametri che consentono di ritenere il trattamento penitenziario patito rispettoso dei canoni di umanità[21].
Occorre precisare che tali questioni ermeneutiche, nel nostro ordinamento giuridico, sono state eminentemente affrontate in relazione all’applicazione del rimedio riparatorio previsto dall’art. 35-ter Ord. pen., su cui la giurisprudenza di legittimità si è confrontata a partire dalla decisione dell’affaire “Torreggiani c. Italia”[22], in alcuni interventi chiarificatori che costituiscono la piattaforma ermeneutica su cui inserisce la pronuncia commentata[23].
Le Sezioni unite penali, dunque, si muovevano in un solco interpretativo consolidato, secondo cui, nelle ipotesi in cui lo spazio individuale della cella è inferiore alla misura di tre metri quadri – che la Corte EDU non ritiene ex se sufficiente a garantire adeguati livelli di vivibilità carceraria –, ci si trova di fronte a un’elevata presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU, che può essere superata solo attraverso l’accertamento di adeguati fattori compensativi, che devono essere valutati attraverso una verifica concreta, di natura multifattoriale, delle condizioni detentive patite dal soggetto ristretto all’interno dell’istituto penitenziario, su cui si devono incentrare le doglianze proposte ai sensi dell’art. 35-ter Ord. pen. Esemplare, da questo punto di vista, è il passaggio della decisione in esame, in cui si afferma: «Il Collegio è consapevole che il principio di umanità della pena […] che impone il divieto di trattamenti degradanti ha un contenuto di carattere relativo, in quanto ogni pena, come tale, ha un’intrinseca componente di inumanità […]»[24]. Tuttavia, la rilettura di un principio che «si pone l’obiettivo di quantificare lo spazio minimo vitale per ogni detenuto, al fine di assicurare il pieno rispetto della dignità della persona nell’espiazione della pena, restituisce al principio stesso un carattere di assolutezza che appartiene alla sensibilità di società e ordinamenti giuridici che hanno a cuore il pieno rispetto dei diritti della persona, anche di chi è recluso»[25].
Si ribadiva, in questo modo, che le decisioni sovranazionali intervenute nei citati casi “Torreggiani contro Italia” e “Murstic contro Croazia”, nel cui solco si muovevano le Sezioni unite penali, rappresentano il punto di riferimento convenzionale indispensabile per inquadrare le ipotesi di trattamenti penitenziari degradanti, atteso che, prima di esse, la Corte EDU non aveva fornito indicazioni univoche per definire le violazioni dell’art. 3 CEDU, con specifico riferimento allo spazio minimo individuale di cui i detenuti potevano usufruire durante la loro carcerazione.
A questi parametri ermeneutici, dunque, la giurisprudenza nazionale, ulteriormente ribadita con l’intervento delle Sezioni unite penale in esame, si conformava, elaborando criteri articolati e correlando tali indici alle condizioni complessive di vivibilità della struttura penitenziaria di volta in volta esaminata, allo scopo di verificare la possibilità di applicare fattori compensativi che consentono di ritenere il trattamento penitenziario rispettoso della previsione dell’art. 3 CEDU[26].
[1] Si veda Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia.
[2] Si veda Corte EDU, Grande Camera, 12 marzo 2015, Murstic c. Croazia.
[3] Si veda Cass., Sez. I, 21 febbraio 2020, Commisso, n. 14260, con cui veniva rimessa la questione ermeneutica in esame alle Sezioni unite penali, in cui, a proposito del profilo censorio segnalato dalla parte ricorrente, si evidenziava che tale questione riguardava il «criterio di calcolo dello spazio minimo disponibile per il detenuto con esclusione (ritenuta erronea) del letto allocato nella stanza di detenzione».
[4] Si veda Cass., Sez. I, 21 febbraio 2020, Commisso, cit., in cui, a proposito del profilo censorio segnalato dalla parte ricorrente, si evidenziava che tale questione riguardava «l’inclusione negli spazi occupati (ritenuti non utili ai fini del computo dello spazio minimo inviolabile) degli arredi fissi e di quelli non facilmente rimuovibili».
[5] Si veda Corte EDU, Grande Camera, 12 marzo 2015, Murstic c. Croazia.
[6] Si veda Cass., Sez. un., 21 settembre 2020, Commisso, n. 6551.
[7] Si veda Corte EDU, Grande Camera, 12 marzo 2015, Murstic c. Croazia.
[8] Si veda Cass., Sez. un., 21 settembre 2020, Commisso, cit.
[9] Si veda Cass., Sez. un., 21 settembre 2020, Commisso, cit.
[10] Si veda Cass., Sez. un., 21 settembre 2020, Commisso, cit.
[11] Si veda Cass., Sez. un., 21 settembre 2020, Commisso, cit.
[12] Si veda Cass., Sez. un., 21 settembre 2020, Commisso, cit.
[13] Si veda Cass., Sez. un., 21 settembre 2020, Commisso, cit.
[14] Si veda Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia, cit.
[15] Si veda Corte EDU, Grande Camera, 12 marzo 2015, Murstic c. Croazia.
[16] Si vedano Cass., Sez. I, 23 giugno 2020, Biondino, n. 20985, in Cass. C.E.D., n. 279220-01; Cass., Sez. VI, 26 febbraio 2020, Barzoi, n. 7979, in Cass. C.E.D., n. 278355-01; Cass., Sez. I, 15 novembre 2018, n. 5835, in Cass. C.E.D., n. 274874-01; Cass., Sez. I, 26 maggio Gobbi, n. 41211, in Cass. C.E.D., n. 271087-01.
[17] Si veda Cass., Sez. un., 21 settembre 2020, Commisso, cit.
[18] Si veda Cass., Sez. un., 21 settembre 2020, Commisso, cit.
[19] Si veda Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia, cit.
[20] Si veda Corte EDU, Grande Camera, 12 marzo 2015, Murstic c. Croazia, cit.
[21] Si vedano Corte EDU, 20 ottobre 2020, Badulescu c. Portogallo; Corte EDU, 16 luglio 2019, Sulejmanovic c. Italia; Corte EDU, 16 settembre 2014, Stella c. Italia; Corte EDU, 22 luglio 2014, Bulatovic c. Montenegro; Corte EDU, 5 giugno 2014, Tereshchenko; Corte EDU, 12 dicembre 2013, Kanakis c. Grecia; Corte EDU, Grande Camera, 28 febbraio 2008, Scadi c. Italia; Corte EDU, 15 luglio 2002, Kalachnikov c. Russia; Corte EDU, Grande Camera, 26 ottobre 2000, Kudla c. Polan; Corte EDU, 21 febbraio 1975, Golder c. Regno Unito.
[22] Si veda Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia, cit.
[23] Si vedano Cass., Sez. I, 23 giugno 2020, Biondino, n. 20985, in Cass. CE.D., n. 279220-01; Cass., Sez. V, 7 giugno 2018, Mocanu, n. 53731, in Cass. CE.D., n. 275407-01; Cass., Sez. I, 26 maggio 2017, Gobbi, n. 41211, in Cass. CE.D., n. 271087-01; Cass., Sez. I, 17 novembre 2016, Morello, n. 13124, in Cass. CE.D.; Cass., Sez. I, 9 settembre 2016, Gallo, n. 52992, in Cass. CE.D., n. 268655-01; Cass., Sez. I, 19 dicembre 2013, Berni, n. 5728, in Cass. CE.D. 257924-01.
[24] Si veda Cass., Sez. un., 21 settembre 2020, Commisso, cit.
[25] Si veda Cass., Sez. un., 21 settembre 2020, Commisso, cit.
[26] Si veda Cass., Sez. un., 21 settembre 2020, Commisso, cit.