La riconoscenza verso i 28 colleghi vittime di una violenza criminale si è espressa attraverso il suggestivo manifesto delle “rose spezzate”; questo sentimento ci ha fatto avvertire il dovere di raccogliere dati e ricordi sulla vita di ciascuno di loro.
Riconoscenza perché, come afferma Pericle, la libertà è il coraggio. Non c’è libertà che non richieda un minimo di coraggio. E la libertà dalla violenza organizzata, mafiosa o politica che sia, richiede il coraggio di accettare il pericolo della morte, che tutti sempre avvertiamo come il più grande dei pericoli che ci sovrastano.
Questi caduti hanno affrontato un pericolo mortale, tutti hanno avvertito questo pericolo, tutti avrebbero potuto sottrarsi e non l’hanno fatto; il loro coraggio ha accresciuto la nostra libertà, sono stati “coraggiosi anche per gli altri”.
La loro disponibilità al pericolo della morte non è stata una fuga dalla vita, non era una scelta di morte. È stata una scelta di vita; era la disponibilità a spendere il tempo della vita terrena nella lotta per una superiore "qualità della vita"; ponendo a rischio un’esistenza cui erano legati da affetti e da valori, come ci testimoniano le colleghe Caterina Chinnici e Alessandra Galli che qui prendono la parola in rappresentanza delle loro famiglie e di tutte le famiglie degli altri caduti.
La scelta di affrontare il pericolo può essere ispirata a ideali molto differenti, può esprimere una contrapposizione, un’esposizione al pericolo per meglio colpire un “nemico” (come nel coraggio del soldato). In questi 28 colleghi era invece una scelta d’amore.
Paolo Borsellino, commemorando Giovanni Falcone ha pronunciato parole che descrivono tutti i magistrati caduti, anche lui che pochi giorni dopo sarebbe stato ucciso:
dice testualmente Borsellino:
“Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con pari perfetta coscienza. Perché non è fuggito, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore!”
Voglio affiancare al commosso ricordo di Francesca Morvillo, quello del giovane Salvatore Saetta ucciso mentre accompagnava il padre Antonino magistrato, di ritorno da una festa familiare.
Anche Salvatore ed Antonino sono morti per amore, verso di noi tutti anche verso quella parte di umanità che li ha uccisi.
E la nostra sempre attuale gratitudine rappresenta la chiave per accedere al ricordo dei caduti.
I martiri non diventano mai scudi o protezione ma sono esempi. Costituiscono per i viventi un modello da imitare, e l’imitazione presuppone una riflessione critica su noi stessi.
Imitare che cosa? Non direi tanto le loro opinioni e le loro convinzioni, che non erano sempre convergenti, o da cui è possibile legittimamente dissentire (ricordiamo le polemiche sulla Superprocura voluta da Falcone, su talune iniziative di Francesco Coco procuratore generale di Genova); ma dobbiamo imitare il loro esempio di vita e di impegno, il loro amore per la Giustizia; possiamo essere partecipi di quella forza spirituale che sarà la solida roccia sulla quale poggeranno anche in futuro le nuove frontiere della lotta alla mafia ed al terrorismo, di cui parlano Cafiero de Raho e Lamberto Giannini.
Nella lotta contro il male è stato l’amore attivo la chiave che unisce tutti e li rende fratelli di altri caduti per la Giustizia: avvocati (come Ambrosoli e Croce), uomini e donne delle forze dell’ordine (come Emanuela Loi agente di scorta di Borsellino)
Alcuni erano avvocati, altri erano funzionari ed agenti della Polizia, Carabinieri; altri erano giudici, pubblici ministeri o rivestivano incarichi al Ministero della Giustizia; giovani od anziani; progressisti o tradizionalisti. Tutti erano fedeli servitori dello Stato, amavano l’umanità ed hanno accettato volontariamente i pericoli legati alla loro funzione sociale.
La coscienza di questa verità ci ha guidati quando nel 2000 una folta delegazione dei partecipanti al Congresso della ANM è stata ricevuta dal Santo Padre Giovanni Paolo II[2].
A Lui abbiamo consegnato il bozzetto del manifesto delle “rose spezzate” volendo sottolineare come l’amore costruttivo di questi martiri nel servizio dello Stato sia assimilabile al martirio cristiano.
Il ricordo onora tutti caduti, perché il martirio non separa i credenti dai non credenti: l’adesione ai valori della giustizia costituisce un terreno comune per tutti gli uomini di buona volontà. L’Apostolo Paolo riconosce e quasi codifica questa comunione fra chi crede nel valore trascendente dei testi evangelici e tutti gli uomini retti, che sono "circoncisi nel cuore" (Ger. 9, 24, Ez. 44,7). A fianco di quelli che osservano la legge perchè la conoscono attraverso la Rivelazione si collocano dunque coloro che "sono stati legge a sé stessi; hanno dimostrato che quanto la legge divina esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro vita" (Rm. 2,15).
A conclusione del mio breve discorrere mi piace inserire il testo di una lettera inviatami anni or sono da una collega, che -all’epoca giovane ragazza- è stata colpita e coinvolta dalla morte di Paolo Borsellino. Scrive la collega:
“Undici anni fa mi trovavo a Santo Stefano e il proprietario di un negozio di alimentari uscì per strada con le mani sul volto dicendo che avevano ucciso il giudice Borsellino.
E io mi sedetti su una panchina e mi venne da piangere. E pensai, per la prima volta, che avrei potuto iscrivermi a giurisprudenza e diventare un magistrato.
Forse una reazione emotiva. Ma negli anni questo pensiero è maturato dentro di me, sino a diventare una ragione di vita”.
Ringrazio la collega che mi scrisse questa lettera rendendo così toccante testimonianza.
[1] Pubblichiamo l'appunto predisposto da Mario Cicala per il suo intervento al convegno per i 110 anni della ANM: "La nostra storia guardando il futuro", Roma 8 febbraio 2019.
[2] Qualche polemica suscitò il passo della allocuzione pontificia secondo cui "il rispetto dei diritti della persona esclude il ricorso ad una detenzione motivata soltanto dal tentativo di ottenere notizie significative per il processo".