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Magistratura Indipendente

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO  

LE PARI OPPORTUNITA’ NELLA DISCIPLINA CONSILIARE

  Giudiziario 
 venerdì, 16 ottobre 2015

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LA SENTENZA N. 80 DEL 10 LUGLIO 2015 DELLA SEZIONE DISCIPLINARE

di Dr. VITTORIO CORASANITI, Magistrato addetto al CSM

 
 

Quando parliamo di pari opportunità ci confrontiamo con il principio di uguaglianza giuridica e sociale fra uomini e donne; principio, quest’ultimo, che impone di garantire alle donne di fare scelte e compiere azioni, sia nella vita privata che nella vita professionale, senza alcun tipo di diseguaglianza di genere, valorizzandone le potenzialità, la creatività, l’abilità e le motivazioni che le donne possono apportare alle società.
Pari Opportunità, dunque, significa, da una parte riconoscere e valorizzare le differenze di cui ogni individuo è portatore, e dall´altra agire per evitare che tali differenze possano impedire, direttamente o indirettamente, la realizzazione di sé e il godimento di diritti.
In questi anni il panorama degli interventi del Consiglio Superiore è stato ricco di iniziative dirette ad assicurare un’effettiva parità in tutti i settori della vita professionale dei magistrati.
L’Organo di autogoverno, dunque, ha dimostrato di essere sensibile al tema della parità di genere, operando su due importanti direttrici:
• la creazione di un Comitato per le Pari Opportunità in Magistratura (presente fin dal 1992) e della Rete di Comitati per le Pari Opportunità nelle professioni legali (avvocati e magistrati);
• la formazione sulla tematica della discriminazione e della violenza verso le donne nei corsi proposti ai magistrati.
Nel contesto delle azioni positive del Consiglio, rispetto alle quali il CPO ha avuto un forte ruolo propulsivo, si richiama l’attenzione sulle seguenti delibere.
La delibera 12 maggio 2005, con la quale il CSM ha preso atto del “Documento di sintesi dei lavori del seminario conclusivo del programma comunitario: Partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini alle posizioni decisionali” coordinato dal C.S.M. col partenariato del Ministero della Giustizia italiano, di quello francese, del CGPJ spagnolo e della Procura generale di Romania, condividendone tutti i risultati e gli approdi.
In tale occasione, si è riconosciuto che "l'organizzazione del lavoro è essenziale ai fini del miglioramento complessivo del servizio giustizia e che la tematica dell'uguaglianza uomo-donna deve essere, oggi, modernamente pensata soprattutto nell'ottica di una migliore gestione delle risorse umane e della valorizzazione del ruolo e della specificità delle donne ai fini del buon funzionamento della giurisdizione; che, altresì, costituisce un dato di fatto di comune conoscenza, confermato dalla ricerca, che la donna è ancor oggi il perno della struttura familiare e deve coniugare questo carico di responsabilità con le esigenze professionali".
La delibera 23 ottobre 2013, sul Protocollo d’intesa a tutela della maternità e della paternità dell’organizzazione delle attività giudiziarie e dei servizi amministrativi in relazione all’esercizio delle professione forense, sottoscritto a Milano il giorno 1 giugno 2011, con la quale il CSM ha deliberato di “raccomandare ai Capi degli Uffici giudiziari di adottare iniziative dirette ad individuare virtuose prassi nella materia della organizzazione delle attività di udienza, in funzione della piena tutela della condizione di maternità e genitoriale, con riferimento a tutte le figure professionali impegnate negli uffici giudiziari”.
La delibera 2 aprile 2014, sull’introduzione delle quote di risultato negli organismi rappresentativi, con la quale il CSM ha affrontato lo spinoso tema dell’assenza delle donne dai luoghi della rappresentanza e della decisione ovvero del deficit di rappresentatività democratica, deliberando di proporre al Ministro della Giustizia una modifica dell’attuale  sistema di elezione del CSM che preveda:
1) la doppia preferenza di genere nella elezione della componente togata;
2) la riserva di una quota minima di genere di 1/3 per la componente togata;
3) la riserva di una quota minima di genere di 1/3 della componente laica.”
La delibera 24 luglio 2014 sulla partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini al processo decisionale, con la quale il CSM  ha indicato i seguenti possibili interventi per una futura azione del sistema di autogoverno, nella direzione di promuovere la partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini al processo decisionale:
- favorire la flessibilità della gestione del carico di lavoro e l'auto-organizzazione del lavoro, al fine di facilitare la conciliazione famiglia-lavoro;
- promuovere l'utilizzo dei moderni strumenti tecnologici (es: fax, firma digitale, e.mail) per il lavoro a casa;
- istituire asili-nido sui luoghi di lavoro;
- affinare il sistema di selezione dei dirigenti, valorizzando maggiormente le esperienze professionali maturate nella giurisdizione e negli uffici giudiziari, tenendo conto della minore mobilità che caratterizza il percorso professionale delle donne e che non deve rappresentare un indiretto fattore di discriminazione; - rinnovare periodicamente un monitoraggio ragionato sul tema;
- adottare misure materiali di sostegno e facilitazione della dimensione familiare, favorendo altresì la salvaguardia dell'unità dei nuclei familiari garantendo la piena funzionalità degli uffici.
Sempre nel contesto delle azioni positive, è apprezzabile la ricerca di soluzioni organizzative idonee a favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro ovvero di un giusto punto di equilibrio tra l’attività professionale della donna magistrato e la vita familiare.
Sotto questo profilo particolare rilievo assumono gli interventi consiliari in tema di maternità, finalizzati a garantire la parità attraverso la tutela del diritto alla maternità.
Tale finalità viene perseguita mediante la previsione di apposite misure organizzative degli uffici in presenza di magistrati in stato di gravidanza, maternità o malattia.
In effetti, il principio che ormai da diversi anni caratterizza le circolari sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari è quello secondo cui nell’organizzazione degli uffici si deve tenere conto della presenza e delle esigenze dei magistrati donna in gravidanza, nonché dei magistrati che provvedano alla cura di figli minori, in via esclusiva o prevalente, ad esempio quali genitori affidatari, e fino a tre anni di età degli stessi.
Viene demandato ai dirigenti, dunque, il compito di adottare misure organizzative tali da rendere compatibile il lavoro dei magistrati dell’ufficio in stato di gravidanza o in maternità e, comunque, con prole di età inferiore ai tre anni di età, con le esigenze familiari e i doveri di assistenza che gravano sul magistrato.
Si rammenta, tuttavia, che sulla base della disciplina vigente le diverse modalità organizzative del lavoro non possono comportare una riduzione dello stesso.
Ne consegue che eventuali esoneri dovranno comunque essere compensati da attività maggiormente compatibili con la condizione del magistrato.
Tale regola, certamente condivisibile in linea di principio, sul piano dell’applicazione pratica può risultare però inadeguata rispetto all’obiettivo perseguito, posto che le condizioni degli uffici giudiziari spesso rendono difficoltosa l’individuazione di criteri di assegnazione rispondenti alla duplice esigenza della compensazione e della compatibilità con la condizione familiare del magistrato.
La considerazione che precede offre il destro per affrontare il delicato problema dell’incidenza della differenza di genere sul piano della responsabilità disciplinare.
E’ evidente, infatti, che l’adozione di misure organizzative non compatibili con le esigenze correlate allo stato di gravidanza e alla maternità o, comunque, agli impegni per l’assistenza della prole che, com’è noto, generalmente gravano sulle donne, può determinare una sovraesposizione del magistrato donna al rischio di contestazioni disciplinari per violazione dei doveri di diligenza e laboriosità.
Ed è altrettanto evidente che la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro resterebbe una mera affermazione di principio se, in caso di contestazione disciplinare, non si tenesse conto anche di quelle esigenze.
Sul punto è opportuno evidenziare che, a differenza del passato, la Sezione disciplinare del CSM ha recentemente dimostrato una maggiore sensibilità su questo specifico tema.
Si segnalala a tal fine la sentenza n. 80 del 10 luglio 2015 (Est. Lorenzo Pontecorvo) con la quale è stata assolta una collega incolpata dell'illecito disciplinare di cui all'art. 1 comma 1 e 2 comma 1 lett. q) del decreto legislativo 23 febbraio 2006 n. 109 per ritardi nel deposito di provvedimenti, in violazione dei doveri di diligenza e laboriosità.
Nella parte motiva del provvedimento si legge, tra l’altro, che “Non può essere sottaciuta la particolare situazione familiare della incolpata la quale, durante l'intero periodo in contestazione, aveva dovuto accudire a tre figli in tenera età…omissis… E' quindi da considerare che la maternità non può essere assunta come fatto episodico che si chiude e si risolve all'atto della nascita dei bambini; né può essere assimilata a qualunque evento idoneo soltanto a giustificare il mancato deposito dei provvedimenti nei periodi strettamente connotati dal divieto legislativo di prestare l'attività lavorativa o nel breve periodo equiparato”.
Si legge, inoltre, che occorre “tenere conto delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità (e della paternità) i cui principi ispiratori sono diretti a dare attuazione ai precetti costituzionali posti dagli artt. 30, 31 e 37 Cost.” e che “tale normativa, come osservato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la nota sentenza 20.815/2013, non può non influenzare l'interpretazione di ogni diversa normativa involgente la posizione della madre lavoratrice stante l'imprescindibile esigenza di conciliare la vita professionale e quella familiare”.
Si puntualizza, altresì, che “In tale ottica…omissis.. si erano poste le disposizioni di cui al par. 45 della circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2009/2011 (applicabili al periodo in esame) che erano state ispirate alle dichiarate finalità di consentire agli uffici giudiziari di avvalersi dell'attività di magistrati che, per motivi familiari o di salute, sarebbero stati costretti a ricorrere a periodi anche molto lunghi di astensione dal lavoro”.
Prosegue ancora il Collegio evidenziando che “Tali finalità erano state in particolare perseguite attraverso una organizzazione tale da consentire un impegno lavorativo del magistrato in gravidanza o fino ai tre anni di età del bambino che non fosse inferiore quantitativamente rispetto agli altri magistrati dello stesso ufficio bensì diverso e compatibile con i doveri di assistenza che gravano sulla lavoratrice nonchè tale da assicurare a questi magistrati il diritto all'espletamento delle loro funzioni, con il duplice beneficio per l'ufficio di recuperare energie lavorative e per il magistrato di evitare perdite di professionalità conseguenti a lunghi periodi di inattività. Il concreto adeguamento a tali esigenze avrebbe pertanto imposto di garantire alla dott.ssa …omissis...modalità organizzative del lavoro compatibili con la propria situazione di madre di tre figli…omissis”.
Ebbene, sulla scora di quelle premesse il Giudice disciplinare, dopo aver ritenuto, tra l’altro, che nel caso di specie non erano state adottate misure organizzative compatibili con le esigenze familiari dell’incolpata, in considerazione “dell'eccessivo numero di assegnazioni” e delle “sempre più gravose incombenze affidate al magistrato che avevano anche richiesto una continua presenza in ufficio”, è pervenuto ad una pronuncia assolutoria, valutando anche per questa ragione non addebitabili a carenze organizzative del giudice i ritardi contestati
Trattasi di pronuncia particolarmente significativa nell’ottica del superamento effettivo (e non meramente dichiarato) di tutte quelle condizioni sfavorevole potenzialmente derivanti dalla mera appartenenza di genere e, in ultima analisi, della piena realizzazione di condizioni paritarie di vita e di lavoro per donne e uomini.

                                                                                                                          Dr. Vittorio Corasaniti

                                                                                                               Magistrato addetto all'Ufficio Studi del CSM

 

 
 
 
 
 
 

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