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mercoledì, 15 gennaio 2025 1:23
Magistratura Indipendente

PENALE  

L'attenuante della lieve entità nel reato di estorsione

  Penale 
 mercoledì, 15 gennaio 2025

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(nota a Trib. Roma 5 novembre 2024)

 
 

Trib . Roma, 5 novembre 2024 – Giudice per l’udienza preliminare Andrea Fanelli

Il giudice per l’udienza preliminare, dr. Andrea Fanelli, all’udienza del 5.11.2024, ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nei confronti di: [omissis]

Le parti hanno concluso nel modo che segue:

P.M.: chiede la condanna dell’imputato ad anni 4 di reclusione ed € 800 di multa.

DIFESA: chiede l’assoluzione dell’imputato dai reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste ai sensi del comma 1 dell’art. 530 c.p.p. e, in subordine, ai sensi del comma 2; in ulteriore subordine, chiede la riqualificazione del reato di estorsione in quello di cui all’art. 612 c.p., la concessione dell’attenuante del fatto lieve, dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. e l’esclusione della recidiva.

 Motivi della decisione

Fatto – In data 9.2.2024 il g.i.p., depositava decreto di giudizio immediato nei confronti di      per i reati di cui alla rubrica. In data 22.2.2024 il procuratore speciale dell’imputato chiedeva che il proprio assistito venisse ammesso al rito abbreviato condizionato all’espletamento di una perizia psichiatrica. All’udienza camerale del 5.7.2024 (nel verbale di udienza è riportata per mero errore la data del 16.10.2024) il giudice disponeva in conformità, ammettendo l’imputato al rito abbreviato condizionato allo svolgimento di perizia volta ad accertare la capacità di intendere e di volere del prevenuto al momento del fatto e veniva nominata perito la dott.ssa     ; all’udienza del 5.11.2024 si procedeva all’escussione del perito e le parti concludevano come in epigrafe riportato.

Dalle risultanze istruttorie – ed in particolare dalla comunicazione della notizia di reato, dalla querela sporta da (omissis) in pari data, dalle s.i.t. rese da (omissis) in data (omissis), dalle s.i.t. rese da (omissis) in data (omissis), dalle s.i.t. rese da (omissis) in data (omissis), dalle s.i.t. rese da  (omissis) e dalle annotazioni di p.g. del (omissis) – è emersa la seguente ricostruzione dei fatti.

L’imputato è soggetto tossicodipendente da circa 20 anni e, a partire dal 2013, ha adottato nei confronti della madre  e della sorella  comportamenti fortemente aggressivi e vessatori, acuiti dal consumo di sostanze alcoliche e stupefacenti e volti, per lo più, all’ottenimento dalla madre del denaro necessario all’acquisto di dette sostanze; in particolare, (omissis) sottoponeva la madre a richieste estorsive di denaro minacciandola di morte o con altre condotte, come ad es. posizionando il divano davanti alla porta dell’abitazione per impedirle di uscire di casa. Negli ultimi mesi del 2023 le richieste di denaro divenivano quotidiane e la p.o. era costretta, come in precedenza, a cedere alle stesse. La donna sottostava ad un clima di terrore, tanto che la stessa, temendo per la propria incolumità, in più circostanze ha dovuto richiedere l’intervento delle Forze dell’Ordine e in talune occasioni, per sfuggire alle minacce del figlio, decideva di uscire di casa e di trascorrere la notte in albergo (presso gli hotel (omissis)) o di dormire in macchina.

Nell’annotazione di p.g. del (omissis) si dava atto che la richiedente, (omissis), riferiva agli operanti che il figlio (omissis) da anni aveva un comportamento minaccioso nei confronti suoi e della sorella: i militari, entrati all’interno dell’abitazione, trovavano (omissis) in palese stato di agitazione dovuta all’assunzione di sostanze alcoliche. Nella precedente annotazione di p.g. del 14.5.2023 gli operanti dichiaravano di essere intervenuti presso l’abitazione della richiedente (omissis), la quale riferiva che il figlio, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, le chiedeva spesso denaro: i militari dichiaravano, altresì, che durante l’intervento giungeva presso l’abitazione un fattorino che consegnava al (omissis) sei bottiglie di birra «Ceres» (quattro delle quali venivano prese in consegna dalla madre).

(omissis) (sorella dell’imputato) e (omissis) (cognato) hanno dichiarato di aver ricevuto da (omissis) gravi minacce di morte.

In particolare, (omissis) riferiva che l’ultimo messaggio ricevuto dal fratello, datato 27.11.2023, era del seguente tenore: “Ti lascio corre col matrimonio de Fabio poi funerale de Zio Paolo ma zia non puoi venire ti ammazzo tua figlia e tuo marito e a te ti lascio viva così ti ammazzi da solo con me non scherzare so finiti quei tempi. Te mando la gente a casa a violentare tua figlia. Intanto il cane deve scendere prima o poi magari co tu marito”. La stessa confermava che il fratello faceva uso di sostanze stupefacenti ed assumeva sostanze alcoliche fino al punto di stare male e di manifestare aggressività.

Il (omissis) confermava quanto riferito da (omissis) ed aggiungeva che in un’occasione riceveva una chiamata in cui quest’ultima gli diceva con tono agitato: «aiuto, aiuto, questo ci ammazza!»; al che, il (omissis) si precipitava a casa del (omissis) e notava che quest’ultimo ed il padre erano venuti alle mani per una questione di soldi: lo stesso, per calmare (omissis) , decideva di dargli 30 euro. Il (omissis), infine, riferiva testualmente alcune minacce pronunciate dal (omissis) dinanzi al padre e dirette nei confronti della sorella: “vado davanti scuola di tua figlia e le butto l'acido in faccia…ti voglio vedere sotterrata come un maialino…dovrete morire te e tuo marito…mi faccio trovare davanti la metro e ti ammazzo…ti faccio violentare tua figlia…oggi ti sparo in bocca a te e tua figlia…brutta miserabile…ricordati che la tua vita dipende dal mio umore…tu manco immagini quello che faccio e tutta la tua famiglia ancora poco...zozzona schifo umano fai rispondere mamma…te odio più de chi mi ha fatto carcerare sei la persona che ammazzerei per prima”.

Il padre dell’imputato, (omissis), sentito a s.i.t. il 13.12.2023, ha dichiarato di astenersi dal deporre nei confronti del figlio.

In sede di interrogatorio di garanzia il (omissis) spiegava che i messaggi inviati alla sorella e al cognato erano dettati essenzialmente dalla rabbia ed erano «fini a sé stessi»; il predetto non aveva mai inteso fargli realmente del male e si dichiarava pentito per l’accaduto.

Nella perizia depositata il 21.9.2024 la dott.ssa ha accertato che (omissis) era capace di intendere e di volere al momento del fatto. La stessa ha spiegato che il predetto non è affetto da alcuna patologia psichiatrica ma unicamente da disturbi legati all’assunzione di sostanze psicoattive o da stati di alterazione comportamentale dovuti all’astinenza dagli stupefacenti: in entrambi casi, esula qualsiasi disturbo di mente e dunque l’ipotizzabilità di una infermità mentale. Nel corso dell’esame reso all’udienza del 5.11.2024 il perito ha confermato le predette conclusioni.

Diritto – Ritiene questo giudice che sia stata raggiunta la prova della penale responsabilità dell’imputato per i reati a lui ascritti.

Le dichiarazioni delle pp.oo. risultano intrinsecamente attendibili, in quanto coerenti, assai dettagliate e prive di notazioni enfatiche, come dimostrato, altresì, dal fatto che le stesse non si sono costituite parti civili. Inoltre, (omissis) , nelle varie dichiarazioni rese nel corso del procedimento, ha mostrato di nutrire un sincero sentimento di affetto e di preoccupazione nei confronti del figlio (che secondo lei avrebbe un amore morboso nei suoi confronti: v. s.i.t. del 30.11.2023), il che concorre a rendere ancor più credibili le sue dichiarazioni.

Esse, inoltre, hanno trovato riscontro nelle annotazioni di p.g. del 14.5.2023 e del 27.11.2024 (in cui il (omissis) veniva trovato in casa in palese stato di agitazione dovuta all’assunzione di sostanze alcoliche) e nelle s.i.t. rese dai familiari dell’imputato.

Ciò premesso, ritiene questo giudice che le condotte dell’imputato abbiano integrato il reato di cui al capo 2), essendo stato provato che il (omissis), per un periodo di almeno 10 anni, ha ottenuto denaro dalla madre (necessario, per lo più, all’acquisto di sostanze alcoliche e stupefacenti) mediante minacce: lo stesso, in particolare, ha minacciato la madre anche di morte e talvolta ha posizionato del mobilio davanti alla porta di casa per impedirle di allontanarsi dall’abitazione.

Tali condotte integrano plurimi reati di cui all’art. 629 c.p. avvinti dalla continuazione (essendo stati posti in essere in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, avente ad oggetto, come detto, l’ottenimento del denaro necessario all’acquisto di sostanze alcoliche e stupefacenti).

Le condotte dell’imputato hanno integrato, altresì, il reato di cui all’art. 572 c.p., posto in essere in danno della madre e della sorella dell’imputato. In proposito, è noto che per la configurabilità del delitto di maltrattamenti occorre una condotta abituale, costituita da una pluralità di atti che determinino sofferenze fisiche e morali: tali atti devono essere realizzati in momenti successivi e in un arco di tempo apprezzabile, e devono altresì essere collegati tra loro da un nesso di abitualità, ossia avvinti da un’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica e morale del soggetto passivo (cfr. Cass. pen., sez. VI, 31-05-2012, n. 34480; Cass. pen., sez. VI, 18-02-2010, n. 20494). Il reato di maltrattamenti in famiglia configura, invero, un'ipotesi di reato abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti che isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (Cass. pen., sez. VI, 25-09-2013, n. 43221), ma la cui reiterazione, mediante l’unitaria intenzione del loro autore di infliggere sofferenze fisiche e morali ai familiari e di creare un clima familiare sostanzialmente insopportabile, vale a differenziare il delitto di cui all’art. 572 c.p. dai singoli o anche reiterati episodi di violenza, minaccia o ingiuria che possono manifestarsi nel menage familiare.

Riguardo al caso di specie non v’è dubbio che i sopra evidenziati requisiti oggettivi e soggettivi possano dirsi sussistenti. È emerso, infatti, che l'imputato nell’arco di diversi anni (almeno dieci) ha sistematicamente inflitto alla madre (e, in misura minore, alla sorella) violenze psicologiche estrinsecatesi in continue minacce ed ingiurie: lo stato di sopraffazione in cui versava l’anziana donna la induceva più volte ad andare a dormire in albergo o addirittura in macchina. Appare quindi evidente che ricorre quella sistematicità nei comportamenti offensivi dell’altrui integrità fisica e morale che, come detto, è elemento necessario alla integrazione del reato in contestazione.

Premesso che i reati di estorsione e maltrattamenti possono pacificamente concorrere (v., per tutte, Cass. pen., sez. II, 12-10-2020 n. 28327), deve osservarsi che nel caso di specie la condotta di maltrattamenti non coincide completamente con quella di estorsione, essendo consistita anche in ingiurie ed essendo stata rivolta anche nei confronti della sorella  (che invece non è persona offesa del reato di estorsione).

Ricorrono le aggravanti di cui all’art. 94, commi 1 e 3, c.p., essendo stato provato che l’imputato ha agito in stato di abituale alterazione dall’uso di sostanze stupefacenti e di abituale ubriachezza (come dimostrato dalle dichiarazioni delle pp.oo. e dalle annotazioni di p.g. del 14.5.2023 e del 27.11.2023).

Ricorre, altresì, l’aggravante di cui agli artt. 629 comma 2 e 628 comma 3 n. 3 quinquies c.p., atteso che il fatto è stato commesso in danno di persona ultrasessantacinquenne ((omissis) è nata il omissis).

Ricorre, infine, l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 quater c.p., atteso che l’imputato ha commesso il fatto durante il periodo in cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere, essendo sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari (come riferito dalla p.o. in querela e dalla p.g. nella c.n.r. del 27.11.2023).

Si ritiene di applicare la contestata recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale, atteso che i reati ascritti all’imputato appaiono espressione del medesimo disvalore di quelli per cui è già intervenuta condanna definitiva (fra cui un precedente per estorsione e due per rapina).

Peraltro, si ritiene di concedere all’imputato l’attenuante del fatto di lieve entità di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 120/2023: quest’ultima pronuncia ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 c.p. nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità. Ebbene, nel caso di specie è emerso che il (omissis) ha posto in essere le condotte estorsive senza l’impiego di violenza fisica ma sempre mediante minacce; inoltre, gli importi richiesti erano di volta in volta piuttosto esigui (dell’ordine di poche decine di euro, come dimostrato dal fatto che il (omissis), in un’occasione, per calmarlo gli dava 30 €); infine, depongono in tal senso anche le finalità delle richieste di denaro, non dettate da fini di lucro ma dallo stato di tossicodipendenza dell’imputato.

Possono essere concesse al prevenuto anche le circostanze attenuanti generiche: invero, malgrado lo stesso fosse capace di intendere e di volere al momento della commissione dei fatti (come accertato nella perizia redatta dalla dott.ssa omissis), è emerso che le sue azioni criminose hanno avuto origine in una condizione di grave alterazione dovuta all’abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti: per ovviare a tale condizione lo stesso ha frequentato regolarmente il Ser. D. (nel periodo 2020-2022 con cadenza quindicinale e nel periodo gennaio-aprile 2023 con cadenza mensile), il che costituisce un ulteriore elemento nel senso della concedibilità delle predette attenuanti.

Non si ritiene di concedere all’imputato anche l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. (richiesta dalla difesa nel corso della discussione) atteso che il danno cagionato alla p.o., pur non particolarmente rilevante, non può nemmeno definirsi «di speciale tenuità» (tenuto conto della notevole durata delle condotte estorsive).

Proprio in ragione delle condizioni in cui si sono originate le condotte criminose, dei tentativi di disintossicazione posti in essere dal prevenuto e delle circostanze già indicate in ordine alla concessione dell’attenuante del fatto di lieve entità, si ritiene di poter effettuare un giudizio prevalenza delle predette attenuanti sulla recidiva e sulle altre aggravanti contestate (con particolare riguardo all’aggravante di cui all’art. 629 comma 2 c.p. non vi è un divieto di prevalenza delle predette attenuanti).

Peraltro, mentre per l’attenuante del fatto di lieve entità si ritiene di applicare la diminuzione massima di un terzo (stante la pregnanza delle circostanze poste a base della predetta attenuante), per le attenuanti generiche non si ritiene di fare altrettanto in quanto le circostanze poste a base della concessione delle predette attenuanti sono in qualche modo controbilanciate dai precedenti penali (anche gravi) dell’imputato e dalla notevole durata delle condotte criminose (circa dieci anni).

Ciò premesso, alla luce dei criteri di cui all’art. 133 c.p., risulta congrua la pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione ed € 600,00 di multa secondo il seguente calcolo: pena base per il reato di cui al capo 2), da ritenersi più grave ai fini della continuazione = anni 5 di reclusione ed € 1.000,00 di multa, diminuita per la concessione dell’attenuante del fatto di lieve entità ad anni 3 e mesi 4 di reclusione ed € 666,66 di multa, ulteriormente diminuita per la concessione delle attenuanti generiche ad anni 2 e mesi 6 di reclusione ed € 500,00 di multa, aumentata, per la continuazione interna al reato di cui al capo 2), ad anni 3 di reclusione ed € 800,00 di multa, ulteriormente aumentata, per la continuazione con il reato di cui al capo 1), ad anni 3 e mesi 3 di reclusione ed € 900,00 di multa; tale pena viene ridotta per la scelta del rito ad anni 2 e mesi 2 di reclusione ed € 600,00 di multa.

L’aumento per la continuazione non deve essere applicato in misura non inferiore ad un terzo ex art. 81, ultimo comma, c.p., atteso che in ipotesi di concessione di circostanze attenuanti con giudizio – come nel caso di specie – di prevalenza sulla recidiva, quest’ultima non può ritenersi «applicata» e dunque non può esplicare gli effetti che le sono propri (Cass. pen., sez. un., 21-07-2016 n. 31669).

Il giudizio di responsabilità comporta la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Visti gli artt. 438 ss., 533, 535 c.p.p.,

dichiara (omissis) responsabile dei reati a lui ascritti e, ritenuta la continuazione tra gli stessi, concessa l’attenuante del fatto di lieve entità nonché le attenuanti generiche, da ritenersi prevalenti sulla recidiva e sulle altre aggravanti contestate, riconosciuta la diminuente del rito, lo condanna alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione ed € 600,00 di multa, oltre al pagamento delle spese del procedimento.

Roma, 5.11.2024                                                                      IL GIUDICE

                                                                                                  Dott. Andrea Fanelli

Nota a sentenza

Sommario: 1. Introduzione. 2. La sentenza della Corte costituzionale numero 120 del 2023. 3. La sentenza del GUP del Tribunale di Roma del 5 novembre del 2024.

  1. Introduzione.

Sono trascorsi quasi due anni dalla introduzione ad opera della Corte costituzionale nel nostro Codice penale, in via interpretativa, di una nuova circostanza attenuante speciale relativa al delitto di estorsione e cominciano a registrarsi nella giurisprudenza di merito le prime significative applicazioni della nuova fattispecie.

La sentenza del GUP di Roma del 5 novembre del 2024 si segnala, tra queste, per lucidità argomentativa e governo della circostanza anche in relazione al delicato problema del bilanciamento con le circostanze aggravanti.

  1. La sentenza numero 120 del 2023 della Corte costituzionale

Con la sentenza n. 120 del 15 giugno del 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., l’articolo 629 del codice penale, “nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità”.

Per comprendere le ragioni di questa decisione giova ricordare che la pena detentiva minima per il delitto di estorsione era originariamente fissata in tre anni di reclusione e che con legge 18 febbraio 1992, numero 172, essa è stata innalzata a cinque anni di reclusione.

La modifica dei limiti edittali della (sola) pena detentiva è stata motivata dalla necessità di fornire una risposta legislativa efficace al fenomeno delle estorsioni e dei sequestri a fini di estorsione, allora vissuto come vera e propria emergenza sociale, ed ha avuto l’effetto di impedire l’accesso ai soggetti condannati per il reato in esame di godere del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Si è inteso dunque assicurare una risposta effettiva al bisogno di sicurezza allora massimamente avvertito in quel settore del diritto penale e tradurre l’affermazione di responsabilità in restrizione concreta della libertà personale a fini di protezione della collettività.

Tuttavia, la previsione di limiti minimi così elevati di pena, unita alla impossibilità per il giudice di considerare in concreto il fatto qualificato come estorsione come di particolare tenuità, ha comportato un’anelasticità della norma che si è tradotta nella parificazione a livello sanzionatorio di situazioni aventi allarme sociale estremamente differente, con conseguente violazione del principio costituzionale di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione.

La Corte costituzionale ha da tempo dimostrato una particolare sensibilità a questo tema, sin da quando, con la sentenza numero 68 del 2012, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 630 del Codice penale proprio per non avere previsto un’ipotesi di lieve entità.

In quella pronuncia la Corte era partita dall’analisi dell’articolo 311 del Codice penale, che prevede una speciale circostanza diminuente per tutti i delitti contro lo Stato “quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità”.

Poiché tra i delitti a cui si applica la diminuente dell’articolo 311 c.p. vi è il sequestro di persona a scopo di estorsione disciplinato dall’articolo 289 bis c.p., ne derivava che per questa ipotesi – sicuramente più grave del semplice sequestro di persona - potesse essere riconosciuta l’ipotesi di lieve entità mentre per l’ipotesi meno grave prevista dall’articolo 630 c.p. tale possibilità fosse preclusa.

Conseguentemente, la Corte ha rilevato una disparità di trattamento in violazione dell’articolo 3 della Costituzione ed ha di fatto, con pronuncia additiva, introdotto questa fattispecie anche per il sequestro di persona a scopo di estorsione.

Era solo questione di tempo, dunque, perché il medesimo ragionamento venisse affrontato anche in relazione alla fattispecie dell’estorsione “semplice”, prevista e punita dall’articolo 629 del Codice penale.

Nelle more, va altresì rilevato, la Corte costituzionale aveva avuto modo con la sentenza 244 del 2022, di intervenire su altra fattispecie del Codice penale militare di pace, dichiarandone illegittimo l’articolo 167 del c.p.m.p. nella parte in cui non prevede che il sabotaggio militare possa essere ritenuto di lieve entità, ancora una volta facendo riferimento ai medesimi parametri già utilizzati per le due pronunce menzionate.

È interessante notare che in questa ultima pronuncia la Corte ha altresì fatto riferimento al principio di proporzionalità della pena, rilevando che in assenza della fattispecie introdotta in via interpretativa il trattamento sanzionatorio può risultare “manifestamente sproporzionato rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, con pregiudizio allo stesso principio di individualizzazione della pena e alla sua necessaria funzione rieducativa”.

Con la sentenza numero 120 del 2023 la Corte ha dunque preso in considerazione, anche per il reato previsto e punito dall’articolo 629 del Codice penale, la mancata previsione di un’attenuante per particolare tenuità del fatto che bilanciasse il minimo edittale particolarmente elevato, proprio come accaduto per le due fattispecie penali testé evidenziate.

In particolare, ha sottolineato che “la mancata previsione di una «valvola di sicurezza» che consenta al giudice di moderare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo, può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza”.

Nella sentenza sono specificati anche alcuni dei parametri che potranno essere presi in considerazione dai giudici per applicare la diminuente aggiunta in via interpretativa: la occasionalità dell’iniziativa delittuosa, la ridotta entità dell’offesa alla vittima e la non elevata utilità pretesa.

In merito, appare utile sottolineare che in dottrina è stata proposta la piena applicabilità anche al delitto di estorsione dei medesimi parametri individuati per la diminuente del 630 c.p. dalla sentenza del 2012 già sopra menzionata: “estemporaneità della condotta, scarsità dell'offesa personale alla vittima, esiguità delle somme estorte e assenza di profili organizzativi” (in questo senso F. Agnino, Lieve entità ed estorsione: la Cassazione fissa i caratteri per l’applicazione della attenuante, IUS Penale, 15 marzo 2024).

Infine, merita di essere sottolineato che la Corte di cassazione ha avuto modo di precisare che, proprio in relazione alla necessaria entità lieve dell’estorsione, la fattispecie attenuata non può trovare applicazione quando il delitto sia aggravato ai sensi dell'art. 416-bis., comma 1, c.p. (Cass. pen., n. 32569/2023).

  1. La sentenza del GUP del Tribunale di Roma del 5 novembre del 2024.

Con la sentenza che qui si commenta, il G.U.P. del Tribunale di Roma ha applicato al fatto concreto la circostanza attenuante aggiunta in via interpretativa dalla Corte costituzionale all’articolo 629 del Codice penale, riconoscendo l’imputato responsabile del reato ma diminuendo la pena a causa del fatto che l’estorsione è stata qualificata come di lieve entità

Esaminando il provvedimento, si nota che il thema decidendum ha riguardato una serie di piccole estorsioni endofamiliari, elargizioni di denaro a cui l’imputato ha costretto - secondo l’impostazione accusatoria ritenuta provata dal Giudice - la madre e la sorella per procurarsi il necessario per acquistare sostanze alcoliche e stupefacenti.

All’esito del giudizio abbreviato, il Giudice ha riconosciuto l’imputato colpevole ed ha ritenuto le estorsioni di lieve entità in considerazione della mancanza di violenza fisica, essendosi la costrizione realizzatasi mediante minacce (dunque in modo relativamente meno grave, pur nella avvenuta consumazione del reato), avendo prodotto danno economico di entità definita esigua nonché per la mancanza di lucro, essendo la finalità come detto non di ottenere un incremento economico ma quella di soddisfare una dipendenza da cui l’imputato era afflitto.

Sono stati dunque applicati alcuni dei parametri evocati dalla Corte costituzionale: la “mancanza di violenza fisica” evocata dal GUP di Roma fa riferimento alla “ridotta entità dell’offesa arrecata alla vittima” indicata dalla Corte costituzionale, il “danno economico di entità esigua” alla “non elevata utilità”, mentre la mancanza di lucro, seppur non riferibile direttamente ad uno dei parametri della Corte (peraltro, espressi naturalmente non in via esaustiva) può senz’altro essere riferito al concetto generale della tenuità del fatto.

 

Interessante altresì l’applicazione della circostanza in esame nel raffronto con le altre circostanze attenuanti ed aggravanti ed il giudizio di bilanciamento delle stesse operate dal Giudice.

In particolare, ancora allo stato di tossicodipendenza ed al conseguente stato di alterazione – accertato da perizia medica) si è fatto ricorso per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, mentre non è stata riconosciuta la circostanza attenuante prevista dall’articolo 62 numero 4 del Codice penale, nonostante la stessa faccia riferimento alla tenuità del danno, parametro come si è visto evocato per il riconoscimento della diminuente speciale del 629 c.p. in esame.

Come correttamente spiegato dal decidente, infatti, il danno economico arrecato alle vittime delle estorsioni, seppure qualificabile in somme definibili - singolarmente considerate – esigue, non può dirsi di speciale tenuità, in una valutazione complessiva che tenga conto della reiterazione delle condotte nel tempo.

In altri termini, singole micro-estorsioni possono connotare il reato come di speciale tenuità ma non necessariamente implicano che alla persona offesa sia stato arrecato un danno patrimoniale lieve, dovendosi per l’applicazione di questa circostanza fare riferimento alle condizioni economiche della vittima e al danno complessivamente arrecato.

È dunque possibile tracciare, grazie all’applicazione della circostanza introdotta dalla Corte costituzionale al caso concreto, una linea di demarcazione importante con altra circostanza già esistente, in uno sforzo di armonizzazione sistematica necessariamente lasciato agli operatori del diritto e alla giurisprudenza vivente.

Da rilevare infine la motivazione sulla quantificazione della diminuzione della pena applicata dal giudice nel massimo, indicato in un terzo come specificamente prescritto dalla Corte costituzionale in riferimento all’articolo 65 c.p. Il Giudice ha infatti specificato che i parametri presi in considerazione per l’applicazione della circostanza speciale si presentano con particolare pregnanza, tale da giustificare la diminuzione massima prevista, mentre a diverse conclusioni è giunto per la valutazione della diminuzione conseguente al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, controbilanciate dai precedenti penali (anche gravi) dell’imputato e dalla notevole durata delle condotte criminose (circa dieci anni).

La possibilità di modulare anche nel quantum la diminuzione e in modo indipendente dalle altre circostanze attenuanti, di cui vi è prova nel provvedimento in commento, dimostra il successo dell’operazione di ortopedia compiuta dalla Corte per rimediare alla originaria anelasticità della norma di cui si è detto in principio di trattazione.

Costantino De Robbio

 

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