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Magistratura Indipendente

PENALE  

LA TUTELA PENALE DELLO STRESS DA LAVORO CORRELATO

  Penale 
 lunedì, 14 novembre 2016

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di PIETRO POLLIDORI, sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma

 
 

IL DISAGIO DA LAVORO è ormai riconosciuto nell’ordinamento giuridico una malattia professionale, tutelata con sanzioni penali, ma solo da alcuni anni. Infatti, a fronte della norma generale sulle malattie professionali prevista nell’art. 590 codice penale, solamente con la modifica al DL.vo n. 81/2008 (c.d. testo unico sulla sicurezza dei lavoratori), è stata introdotta dal d.lgs 106/2009, la norma che prevede espressamente lo stress da lavoro correlato:l’art.28, I co, ("Oggetto della valutazione dei rischi": La valutazione di cui all’art. 17 comma 1 lett. a).. deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori,ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress da lavoro correlato..).

Tale norma fondamentale, di cui si è riportato solo un estratto del primo comma, che in questa sede interessa, prevede quindi che il Documento di valutazione dei rischi, in essa citata(DVR) deve contenere una valutazione dei rischi anche per questa nuova patologia individuata. Tale onere ricade sul datore di lavoro, sui dirigenti ed eventuali preposti.

In realtà, successivamente, nel gennaio 2012, sono state emanate da un organismo misto Stato-Regioni, linee guida per la corretta applicazione di tale normativa ("Stress da lavoro correlato: indicazioni per la corretta gestione del rischio"). Tale corposa normativa secondaria è assolutamente esaustiva sulla questione qui in esame, affrontandone in modo analitico ogni aspetto.

Conseguentemente, le imprese devono ormai, da alcuni anni, adottare strumenti metodologici che garantiscano la preventiva valutazione della patologia in esame.

- Lo stress da lavoro correlato.

Lo stress, di per sé, non è una malattia, ma una "reazione aspecifica di adattamento dell’individuo all’ambiente" di lavoro, ed a particolari stimoli(stressors) che esso presenta. Tale condizione può determinare, specie se intensa e prolungata, una patologia, sia di natura psichica che fisica.

Quando questa malattia è causata da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro, siamo in presenza di questa nuova (per l’ordinamento) figura dello stress da lavoro correlato.

Vari sono i fattori (i predetti stressor) che possono determinare tale situazione. Facendo una breve – ma non esaustiva – elencazione, possono citarsi, in relazione al lavoro: i ritmi, i carichi, i compiti specifici, la natura ripetitiva (aspetto qualitativo); la ripartizione dei ruoli, i controlli gerarchici, le prospettive di carriera, le relazioni personali; ma non è una categoria chiusa.

- Il mobbing.

Generalmente si ritiene che il MOBBING sia uno dei possibili fattori di stress da lavoro-correlato. In realta’ non è previsto dalla normativa vigente.

E’, in generale, una condotta persecutoria con finalità lesiva, nei confronti della vittima, esercitata spesso attraverso violenza psicologica o comunque con condotte moleste. Infiniti sono i comportamenti concreti in cui si può realizzare; spesso consistono in maltrattamenti (verbali),  umiliazioni, minacce.

Creano comunque un ambiente di lavoro ostile, per determinati lavoratori, o gruppi di essi.

Orbene, l’art. 28 co I dichiara che la valutazione dello dello "stress lavoro-correlato" è effettuata secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’ 8/10/2004. Tuttavia tale accordo recita, tra l’altro: "il presente accordo non riguarda né la violenza sul lavoro, né la sopraffazione sul lavoro, né lo stress post-traumatico".

Quindi non rientrano nell’ambito della tutela penale prevista dal predetto testo unico per la sicurezza dei lavoratori quelle condotte dei datori di lavoro che hanno la caratteristica di avere uno specifico fine ed intento di creare disagio al lavoratore.

Peraltro, il mobbing, in Italia, non è una figura autonoma di reato. Cosicchè, condotte che sostanzialmente integrano tale figura sono state ricomprese-e sanzionate, in sede giudiziaria penale-applicando, ove possibile, le fattispecie e le sanzioni dei reati di maltrattamenti in famiglia (art 572 cp) e violenza privata (art. 610 cp).

Dunque, nei casi in cui si accerti una condotta (del datore di lavoro) con l’intento specifico di creare una situazione di disagio ad uno o più dipendenti, con condotte moleste, analoghe a quelle poc’anzi evidenziate, siamo in presenza di mobbing, che può essere sanzionato in sede penale se così si integrano uno dei reati appena citati (violenza privata o maltrattamenti).

Nell’ipotesi in cui inoltre tali condotte persecutorie provochino anche effettivamente una situazione di disagio, si verifica la malattia dello stress lavoro-correlato, tutelata pero’ solo in sede civile, e non anche in sede penale ai sensi dell’art. 28 predetto.

- INTERPRETAZIONI GIURISPRUDENZALI

In realtà, proprio perché la norma relativa alla patologia professionale qui in esame è recente, non esiste una copiosa giurisprudenza in materia . Tuttavia, in data 14/12 /12 è stata emessa sentenza, dalla quarta sezione penale della Corte di Cassazione, che allo stato costituisce un prezioso e solido elemento di riferimento in materia, perché conferma il principio di diritto delle sentenze dei giudici di primo e secondo grado che si erano espressi in conformità sulla vicenda).

Trattasi della sentenza n. 1986/2012 (dep. 8/3/2013). Essa ha rigettato il ricorso dell’imputato nei confronti della pronuncia, n. 1187/2008 del 26/1/2012, della Corte d’Appello di Ancona, che a sua volta aveva confermato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Pesaro per l’imputato, datore di lavoro. Questi era stato ritenuto responsabile, infatti, dell’infortunio occorso ad un suo dipendente per essere caduto da una scala. In particolare, egli aveva omesso di "elaborare all’esito della valutazione dei rischi il prescritto documento contenente anche una relazione esaustiva dei rischi per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro, con riguardo ai rischi specifici dei lavoratori addetti alle pulizie dei vetri relativamente allo stress da lavoro ripetitivo...".

La Suprema Corte ha ritenuto corrette le decisioni dei giudici di merito, che avevano censurato tali omissioni di valutazioni da parte del datore di lavoro, ex art. 28 D.L.vo 81/08.

Ha infatti evidenziato le caratteristiche del tipo di lavoro svolto dalla persona offesa, e cioè che è ripetitivo ed implica posture incongrue, e la sua necessita di essere svolto con ritmi serrati. A fronte di cio’, nella fattispecie concreta, non era stata inserita, nel DVR, la previsione di una procedura che limitasse la durata delle operazioni per evitare affaticamenti, come realmente avvenuto. In particolare la caduta del lavoratore era stata dovuta alla sua eccessiva stanchezza per essere giunto alla fine della giornata lavorativa, con attività ripetitiva senza interruzioni.

In sostanza la Corte ha riconosciuto la rilevanza causale di questi fattori (i predetti "stressors" a cui sopra si accennava) determinanti per l’infortunio del lavoratore per la mancata valutazione dei relativi rischi da parte del datore di lavoro.

Tuttavia, già precedentemente al 2009 la giurisprudenza aveva assunto un orientamento rigoroso, censurando le condotte dei datori di lavoro che avevano effettuato valutazioni preventive parziali – e quindi ritenute insufficienti-dei rischi da lavoro.

Occorre altresì ricordare che, ovviamente, ben piu’ copiosa e’la produzione giurisprudenziale, sul punto, in ambito civile.

Tra le altre, significativa e’ la – relativamente recente - sentenza n. 9945/2014 emessa in data 8 maggio 2014 dalla sezione lavoro della Suprema Corte. Infatti affronta, nella complessa vicenda processuale, i numerosi aspetti problematici, anche con riferimento alla questione, affrontata dalla Corte d’Appello,dell’obbligo del datore di lavoro di predisporre un adeguato modello organizzativo per prevenire lesioni fisiche e psichiche per i lavoratori.

Obbligo che, nel processo penale, è sanzionato dall’art. 25 septies d.lgs 231/2001 per i reati colposi d’evento, la previsione di sanzione amministrativa per l’ente (Società datore di lavoro) oltre alla sanzione penale per i singoli soggetti (dirigenti) responsabili del reato.

I presupposti per l’applicazione della condanna-ulteriore a quella penale per gli imputati-alla suindicata sanzione amministrativa sono stati ribaditi, da ultimo, dal Tribunale di Milano, IX sez. penale n.10647/2015 del 28/10/15.

In sostanza, il Giudice ha stabilito che sussiste –e viene riconosciuto in sede di processo penale-l’illecito ex art. 25 septies solo quando si realizza un vantaggio(interesse) per l’ente-società in conseguenza di violazioni di norme a tutela dei lavoratori ex D.Lvo 81/08, tra cui ovviamente quella dell’art. 28, qui esaminata.

Questa sentenza ha, tra l’altro, confermato il principio, già enunciato dall’orientamento prevalente, per cui si applica la predetta sanzione, e quindi sussiste l’illecito in questione, quando si è effettivamente verificato un vantaggio economico (in termini di risparmio nella gestione) per l’ente in conseguenza di un’inadeguata organizzazione del ciclo produttivo e del lavoro, che non tenga conto delle norme a salvaguardia dell’igiene sul lavoro.

Verosimilmente, nel prossimo futuro ci saranno ulteriori sviluppi giurisprudenziali in materia di disagio dal lavoro, istituto-si ripete-di recente introduzione nell’ordinamento.

PIETRO POLLIDORI

SOSTITUTO PROCURATORE

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA

 
 
 
 
 
 

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