1. Profili di utilizzabilità e valore dimostrativo degli accertamenti genetici e problemi di bilanciamento di interessi costituzionalmente garantiti.
Recentissime decisioni assunte dalla Corte di Cassazione in casi giudiziari di grande rilievo - anche per l’impatto esercitato sull’opinione pubblica -, stimolano nell’interprete del diritto positivo l’esigenza di compiere una riflessione globale sulle tensioni, riscontrabili nel sistema processuale penale vigente, generate dalle questioni attinenti al prelievo, all’analisi ed alla catalogazione ed archiviazione del DNA e di ogni altro elemento biologico che attiene strettamente alla sfera individuale delle persone. Ci si vuol riferire, in particolare, alle spinte contrastanti che pervadono il tessuto ideologico vivente del codice di rito penale, diviso tra il potenziamento della funzione accertativa dei reati, per effetto dell’avvento delle tecniche di esplorazione scientifica delle tracce del patrimonio genetico umano, in chiave di valorizzazione delle esigenze di difesa sociale e l’attenzione per le istanze di effettività delle garanzie concernenti i diritti fondamentali di rilievo costituzionale.
Il fine auspicato è quello che la ricostruzione critica degli approdi cui il dibattito scientifico e giurisprudenziale innescato da tali tematiche ha condotto consenta di ricercare e delineare un percorso operativo che indichi un punto di equilibrio tra le necessità dell’esercizio del potere punitivo da parte della sovranità statuale - che si esplica nel principio di obbligatorietà dell’azione penale e nel suo corollario della completezza delle indagini - e la tutela dei diritti irrinunciabili dell’individuo, quali quello alla salvaguardia della libertà personale - anche sotto il profilo del diritto all’identità personale e familiare nel tempo e nello spazio - ed alla difesa.
Ciò si appalesa di stringente necessità ove si rammenti che il quadro assiologico nazionale è complicato dagli impegni internazionali assunti convenzionalmente dal nostro paese per effetto dell’adesione – che ha avuto luogo con la Legge n. 85/2009 - al Trattato di Prum, siglato da alcuni paesi membri dell’Unione Europea – Austria, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Spagna, Paesi Bassi – il 27 maggio 2005, che ha istituito la c.d. ‘Banca dati del DNA’, vale a dire una "rete comune" di profili genetici realizzata mediante la conservazione di campioni biologici di condannati, imputati e indagati ristretti nella libertà personale, ma anche di tutte le tracce biologiche raccolte dalla polizia scientifica sulla scena del delitti, pur se appartenenti a persone non iscritte nel registro degli indagati[1].
Legge, quella richiamata (la n. 85/2009)[2], cui si deve l’introduzione nel nostro codice di rito delle norme poste dagli artt. 224 bis c.p.p. – Provvedimenti del giudice per le perizie che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale – e dell’art 359 bis c.p.p. – Prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi -, le quali – anticipate da quella di cui all’art. 349 2° comma bis c.p.p. (Prelievo coattivo di materiali biologici da parte della Polizia Giudiziaria in sede d’identificazione), introdotta dal D.L. n. 14472005 conv. in L. n. 155/2005 – hanno sancito lo sgretolamento del canone dell’inviolabilità del corpo – inteso come il ‘leib’, il corpo vissuto, del quale parla E. Husserl nelle sue Meditazioni Cartesiane[3] -, cioè il recinto simbolico dell’identità personale dell’essere umano nella sua irripetibile particolarità posto al riparo – come aveva affermato J. Locke nel XVII secolo - dall’interventismo statuale[4].
Il protagonismo giudiziario del patrimonio genetico dell’individuo non può, inoltre, non sollecitare una valutazione sul peso che gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA possono avere nella decisione del Giudice penale: se presentino, cioè, natura di prova o di mero elemento indiziario ai sensi dell'art. 192, comma 2, c.p.p. ed a quali condizioni ad essi possa essere riconosciuta valenza dimostrativa. Tema, questo, cui è strettamente connesso quello dei rapporti tra il Giudice e la Scienza e di quali siano i criteri cui egli si debba affidare nella scelta dei periti e nello scrutinio critico dei loro apporti di conoscenza specialistica.
2. Scienza e diritto: quali rapporti?
L’irrompere della genetica sulla scena del diritto è direttamente collegata all’evoluzione delle tecnologie applicate alla scienza, che ha aperto nuove possibilità di esplorazione delle cause e del dinamismo determinativo di taluni fenomeni che, spesso, costituiscono il sostrato delle questioni affidate alla cognizione del Giudice.
Tale constatazione assume un rilievo peculiare nel processo penale, ove l’interferenza delle procedure scientifiche di ricostruzione di taluni elementi del fatto oggetto di accertamento ha determinato lo spostamento del baricentro dell’orizzonte cognitivo del Giudice penale dalla prova dichiarativa alla prova c.d. scientifica[5]. Ed allora è preliminare l’approfondimento dei temi relativi ai rapporti tra la scienza ed il diritto ed, in particolare, delle conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza di vertice nella ricerca di un punto di equilibrio tra le posizioni che attribuiscono un peso decisivo a qualunque contributo della scienza, quand’anche non pienamente validato dalla comunità scientifica[6], e l'orientamento che tende, invece, ad una processualizzazione della scienza, consentendo l’ingresso di quelle sole esperienze scientifiche collaudate secondo i canoni metodologici comunemente condivisi.
In effetti la Corte di legittimità ha, in più occasioni, affrontato il problema della selezione dei criteri cui il Giudice deve ispirarsi nella scelta delle teorie scientifiche indispensabili per la ricostruzione di un fatto che richieda l’apporto di competenze specialistiche ed, in particolare, di quelle in competizione, ed ha, in primo luogo affermato che, onde assicurare il rispetto del principio di legalità e di quello di uguaglianza, il giudice dev’essere un mero fruitore della legge scientifica di copertura utilizzata nella ricostruzione di un fatto e non un creatore della stessa[7]. Sicchè, in presenza di opinioni scientifiche contrastanti, egli deve fornire una motivazione adeguata ed esauriente in ordine alle ragioni per le quali ritenga di scegliere una teoria piuttosto che un’altra[8]. Ma, più ancora, la Nomofilachia ha precisato[9], ispirandosi ai criteri dettati dalla Corte Suprema americana nel caso Daubert VS Merrel Dow Pharmaceuticals[10], che, proprio nei contesti connotati da “incertezza scientifica”, il giudice è tenuto a ponderare le diverse teorie scientifiche che si fronteggiano nella soluzione del caso concreto, dapprima, prendendo in esame sia gli studi che le sorreggono, al fine di scrutinarne “l’affidabilità metodologica”, sia la personalità dell’esperto incaricato di veicolare il sapere scientifico nel processo penale, così da discernerne “l’integrità delle intenzioni”, per poi collocare ciascuna delle teorie prospettate nel corso del dibattimento nel quadro del dibattito scientifico internazionale, giungendo a selezionare quella <<sulla quale si registra un preponderante, condiviso consenso>>.[11]
Sviluppando queste indicazioni metodologiche, la Suprema Corte ha ammonito il Giudice di merito circa la necessità di evitare che la propria incapacità di governare "autonomamente" la prova scientifica si traduca in una <<sostanziale rinuncia al proprio ruolo, mediante la fideistica accettazione del contributo peritale, cui delegare la soluzione del giudizio e, dunque, la responsabilità della decisione>>: e questo perché: <<La prova scientifica non può ambire ad un credito incondizionato di autoreferenziale affidabilità in sede processuale, per il fatto stesso che il processo penale ripudia ogni idea di prova legale>>[12]. Il risultato della prova scientifica, piuttosto, può essere ritenuto attendibile solo ove sia controllato dal giudice secondo un metodo di approccio critico simile a quello richiesto per l'apprezzamento delle prove ordinarie; il che equivale a dire che il giudice medesimo, nel ragionamento probatorio che gli consente di passare dall'elemento di prova al risultato di prova, è si legittimato a valersi, come elemento unificante, sia di regole di esperienza che leggi scientifiche, di valenza universale o statistica, o di leggi della logica, a condizione che ne fornisca congrua motivazione, attraverso il ricorso tanto ad una loro "giustificazione esterna" – saggiandone, cioè, in astratto la validità – che ad una loro "giustificazione interna", dimostrando, in concreto, la validità del risultato conseguito mediante l'applicazione della regola prescelta[13].
3. Il prelievo del materiale biologico.
Ad avviso della Corte di legittimità, dunque, il rispetto di tali canoni metodologici offre un <<coefficiente convenzionalmente accettabile di affidabilità delle acquisite risultanze, primariamente legata alla ripetività delle stesse, ossia alla possibilità che quelle evidenze, e soltanto quelle, si riproducano in costanza di identica procedura di indagine e di identiche condizioni>>[14]. Affidabilità che, dunque, non può essere riconosciuta <<alle risultanze della prova scientifica, con particolare riferimento alle indagini genetiche, acquisite in violazione delle regole consacrate dai protocolli internazionali>>, proprio perché:<< il rispetto degli standards [in essi] fissati… compendiano le regole fondamentali di approccio prescritte dalla comunità scientifica, sulla base dell'osservazione statistica ed epistemologica>>, con la conseguenza che: <<L'asettica repertazione di tutti gli elementi utili alle indagini - in ambiente di cui sia garantita la previa sterilizzazione, sì da porlo al riparo da possibili inquinamenti - costituisce il primo, prudenziale, accorgimento, indefettibile preludio - a sua volta - di una corretta analisi e "lettura" dei campioni [di materiale biologico repertato]>>[15].
Il conformarsi dell’attività di repertazione e conservazione del campione alle regole di esperienza consacrate dai protocolli in materia così da preservarne l’integrità e la genuinità, costituisce, dunque, la primaria garanzia di affidabilità delle risultanze dell'analisi genetiche.
Premesso che la raccolta del materiale biologico dal quale ricavare i profili genotipici eventualmente utili a condurre all’identificazione di soggetti coinvolti nella commissione di reati può avere luogo sia sulla scena del crimine che da persona vivente o da cadavere e che soltanto ove essa si riferisca al prelievo di tessuti o liquidi organici da persona vivente può eventualmente involgere profili di coattività, deve rilevarsi che la Corte di legittimità - decidendo in sede di incidente cautelare il caso dell’omicidio Gambirasio - ha ritenuto che, onde sgombrare il campo da possibili profili di inutilizzabilità degli esiti degli accertamenti genetici con riferimento a vizi attinenti a tale momento prodromico, sia necessario distinguere tra i rilievi tecnici e gli accertamenti tecnici e, all'interno di questi ultimi, tra gli accertamenti tecnici ripetibili e quelli irripetibili, conformemente alle previsioni di cui agli artt. 359 e 360 c. p. p.[16].
Ha, perciò, ribadito, in linea generale, che il rilievo tecnico consiste nell'attività di raccolta di elementi attinenti al reato per il quale si procede, mentre l'accertamento tecnico, ripetibile o irripetibile, si estende al loro studio e alla loro valutazione critica, secondo canoni tecnici, scientifici ed ermeneutici[17], ed ha precisato, di conseguenza, che il prelievo del DNA, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici, è qualificabile come rilievo tecnico delegabile alla Polizia Giudiziaria ex art.370 c.p.p., il quale, tra l’altro, integrando un atto non invasivo e prodromico di successivi accertamenti tecnici - ripetibili o irripetibili -, non richiede l'osservanza delle garanzie difensive[18].
Lo stesso Giudice di vertice ha, inoltre, sancito la piena legittimità della raccolta di tracce biologiche riferibili all'indagato, eseguita dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 348 c.p.p., senza ricorrere ad alcun prelievo coattivo, ancorché posta in essere all'insaputa dello stesso[19] ed ha escluso la necessità del ricorso alla procedura prevista dall'art. 224 bis c.p.p. – introdotta dalla l.85/2009 - se il campione biologico sia stato acquisito in altro modo, con le necessarie garanzie sulla provenienza dello stesso e senza alcun intervento coattivo sulla persona, come nel caso di prelievo di tracce biologiche da un mozzicone di sigaretta maneggiata e fumata dall'indagato, acquisito dalla polizia giudiziaria dopo che l'indagato medesimo l'abbia abbandonato[20]. La detta procedura garantita dovendosi, in effetti, attivare quando non vi sia il consenso della persona nei cui confronti deve essere effettuato il prelievo; e tanto in ossequio al dictum della Giudice delle leggi che, nella sentenza n. 238/1996, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 13 della Costituzione, dell’art. 224, comma 2, c. p. p., nella parte in cui consentiva che il giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, potesse disporre misure tali da incidere sulla libertà personale dell'indagato o dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste nei casi e nei modi stabiliti dalla legge, il parametro evocato assoggettando ogni restrizione della libertà' personale, tra cui espressamente la detenzione, l'ispezione e la perquisizione personale, alla duplice garanzia della riserva di legge e della riserva di giurisdizione[21].
Qualificato, dunque, il prelievo di materiale biologico come <<attività prodromica ed ancillare>> all’estrazione del profilo genetico, ove, nel corso delle indagini preliminari, l’indagato non vi presti il consenso, il Pubblico Ministero – ad avviso della Nomofilachia – ha due possibilità per raccogliere il materiale organico all’uopo necessario: o provvedendovi direttamente, attraverso la nomina di un consulente tecnico ai sensi dell’art. 359 bis c.p.p., e quindi con l'autorizzazione del giudice per garantire il controllo di legalità nella esecuzione di un atto che incide sulla libertà personale; o chiedendo al giudice di disporre il prelievo del campione del materiale organico, con le forme della perizia incidentale, secondo quanto disposto dall'art. 392, comma 2, c.p.p. – il cui testo è stato integrato sotto questo aspetto proprio dalla l.85/2009 -, nell'ambito delle operazioni tecniche dirette all'estrazione del profilo genetico dai campioni organici ed alla successiva comparazione degli stessi[22].
Infine, utilizzando l’argomento offerto dalla disposizione di cui all’art. 349 comma 2 bis, c.p.p., che consente che le operazioni di identificazione comportanti il prelievo coattivo di capelli o saliva possano essere compiute dalla Polizia Giudiziaria, nel rispetto della dignità personale del soggetto e previa autorizzazione scritta oppure resa oralmente e confermata per iscritto dal Pubblico Ministero, la Suprema Corte ha stabilito che la detta attività prodromica ed ancillare rispetto alle successive analisi tecniche non richieda competenze specialistiche, a meno che non implichi l’acquisizione di campioni di tessuto interno, riconducibili a materiale organico non apprendibile senza l'utilizzo di tecniche chirurgiche o senza il ricorso a competenze mediche[23].
4. L’estrapolazione e la decodificazione del DNA e la comparazione dei profili genetici.
Diversamente l'estrapolazione del profilo genetico rinvenibile sui campioni e/o la decodificazione dell’impronta genetica prelevata da persona vivente, con o senza il di lei consenso, sono attività che richiedono sempre l'attivazione di competenze specialistiche, essendo operazioni tecniche di significativa complessità.
In effetti, il procedimento di identificazione del DNA della persona attraverso l'utilizzo del profilo genetico si articola in fasi distinte costituite dall'estrapolazione del profilo genetico presente sui reperti; dalla decodificazione dell'impronta genetica dell'indagato; dalla comparazione tra i due profili.
Sollecitata sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto soltanto all’operazione di estrapolazione del profilo genetico dai reperti rilevati su oggetti presenti sulla scena del crimine o dai campioni prelevati da cadavere un profilo di eventuale irripetibilità dipendente sia nella scarsa quantità della traccia genetica, sia nella scadente qualità del DNA presente nella stessa[24]; tanto perché il suo espletamento comporta lo svolgimento di attività qualificabili come ripetibili o irripetibili a seconda che, sulla base di una valutazione di natura esclusivamente tecnico-fattuale, determinino la distruzione o il grave deterioramento dei campioni utilizzati[25].
Il che significa, sul piano della ricaduta in termini di utilizzabilità processuale dei relativi risultati, che, qualora l’estrapolazione del profilo genetico comporti una modificazione irreversibile delle cose oggetto di analisi – ad esempio di mozziconi di sigaretta -, e il detto accertamento non sia compiuto nelle forme stabilite dalle norme di cui al combinato disposto degli artt. 117 disp. att. c.p.p. e 360 c.p.p.. , non è consentito utilizzare il meccanismo di recupero degli elementi di prova acquisiti nella fase delle indagini preliminari a norma dell'art. 512 c.p.p., difettando il requisito della irripetibilità determinata da fatti e circostanze imprevedibili al momento del compimento dell’accertamento medesimo[26].
In ipotesi di concreta irripetibilità dell’operazione di estrazione del DNA dal campione repertato, da compiersi nelle forme stabilite dal citato combinato disposto, ricorre, tuttavia, l'obbligo del P.M. di dare l'avviso al difensore delle modalità di effettuazione dell’accertamento tecnico solo nel caso in cui al momento del conferimento dell'incarico al consulente sia già stata individuata la persona nei confronti della quale si procede, non ricorrendo, invece, ove la persona indagata sia stata individuata solo successivamente all'espletamento dell'attività tecnica specialistica[27].
Al contrario, l’estrazione del profilo genetico dal materiale biologico proveniente dall'indagato – la c.d. decodificazione dell’impronta genetica - è attività pacificamente ripetibile, con la conseguenza che nessun avviso è dovuto all’indagato, salvo il suo diritto di chiedere l'accertamento peritale con attivazione del contraddittorio tecnico sulle operazioni di estrazione del profilo genetico[28]. Del pari è sempre ripetibile l'attività di comparazione dei profili genetici estratti dai reperti o campioni, poiché questi vengono trasposti in supporti documentali nei quali è riversata la composizione della catena genomica rilevata dall'analisi dei campioni, i quali sono stabili e non modificabili[29]: sempre che sia stata assicurata la corretta conservazione degli stessi supporti sui quali sono impresse le impronte genetiche[30].
5. Il valore processuale degli accertamenti genetici.
L’ultima questione con la quale l’interprete del diritto positivo si deve cimentare è quella di accertare quale valenza processuale possano assumere gli esiti dell'indagine genetica condotta secondo le scansioni procedimentali precedentemente ricostruite.
Invero la consolidata giurisprudenza di legittimità riconosce, di regola, agli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA natura di prova, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore[31], o, comunque - allorché il calcolo si attesti comunque su una compatibilità elevata - pieno valore di elemento indiziario grave, che, unitamente ad altri, consente di risalire e provare il fatto ignoto[32].
Quid iuris, tuttavia, nell’ipotesi in cui le attività di repertazione, conservazione ed analisi dei campioni delle tracce genetiche siano state svolte <<in un contesto di accertamenti e rilievi assai poco rispettosi delle regole consacrate dai protocolli internazionali e da quelle cui deve ispirarsi l'attività di ricerca scientifica>>[33]?
Il principio della necessaria correttezza metodologica nelle fasi di raccolta, conservazione ed analisi dei dati biologici, tali da preservarne integrità e genuinità, come necessario presupposto della successiva valenza processuale dei relativi esiti - sia che ad essi si assegni portata probatoria (in termini di certezza dell’identificazione della persona) che portata indiziaria (in termini di compatibilità) - è stato ribadito - come già ricordato - di recente dalla Suprema Corte nella sentenza n. 36080/15, Knox/Sollecito, e trova giustificazione nella stessa nozione di indizio offerta dall’art. 192 comma 2, c.p.p. . In effetti, ad avviso del Giudice di vertice, i connotati della gravità, precisione e concordanza, richiesti al fine di far assurgere un elemento processuale alla dignità di indizio, si compendiano nella c.d. "certezza" dell'indizio, quale garanzia che la procedura con la quale si perviene alla dimostrazione del tema di prova - fatto ignoto - partendo da un fatto noto e, dunque, accertato come vero, non sia viziata in nuce da fallacia ed inaffidabilità metodologica avendo preso le mosse da premesse fattuali non precise e gravi e dunque certe. Ed ha perciò concluso nel senso che il dato di analisi genetica - che si sia svolta in violazione delle prescrizioni dei protocolli in materia di repertazione e conservazione – non può dirsi dotato dei caratteri della gravità e della precisione, sia in ipotesi di identità, che di mera compatibilità con un determinato profilo genetico, a tale dato non potendosi riconnettere rilevanza alcuna, neppure di mero indizio.
Esso può costituire, in ogni modo, <<un dato processuale, che, ancorché privo di autonoma valenza dimostrativa, è comunque suscettivo di apprezzamento, quanto meno in chiave di mera conferma, in seno ad un insieme di elementi già dotati di soverchiante portata sintomatica>>[34].
[1] marafioti – luparia, Banca dati del DNA e accertamento penale, Giuffrè, 2010.
[2] Tranquillo, Osservazioni sulle conseguenze in sede giudiziaria della legge 30 giugno 2009 n. 85, in Arch. N.proc.pen. 2011, n. 6, pag. 604, collocazione A.411.
[3] husserl, Meditazioni Cartesiane, Bompiani, Studi, 2002.
[4] locke, Saggio sull'intelletto umano, a cura di Penati, La Scuola, Il Pensiero filosofico, 2005; Lettera sulla tolleranza, a cura di Viano, Laterza, Economica Laterza, 2005.
[5] damaska, Il diritto delle prove alla deriva, Il Mulino, collana Saggi, 2003.
[6] Il possibile richiamo è agli studi epidemiologici (osservazionali “a coorte” o “caso – controllo”) nella ricostruzione del nesso di causalità materiale nelle malattie professionali, i quali, quand’anche abbiano evidenziato, nel campione esaminato, un alto rischio di insorgenza di patologie tumorali nei lavoratori esposti ad alte concentrazioni di particolare sostanze tossico nocive nello svolgimento di talune mansioni non sono stati ritenuti dotati di una sufficiente capacità esplicativa in relazione alla peculiare causa innescante talune patologie multifattoriali, rimanendo, pertanto, impossibile attribuire il singolo caso di tumore ad una specifica esposizione. Sul punto i. scordamaglia, Dalla salvaguardia dell’integrità del lavoratore alla tutela dell’incolumità collettiva: la prova della causalità materiale nei delitti per malattie professionali da esposizione a sostanze tossico – nocive, in Leg. pen, 2, 2013.
[7] Cass. Pen., Sez. IV, n. 38991 del 10/06/2010 - dep. 04/11/2010, Quaglierini e altri, in CED. Cass, Rv. 248853, ed in Resp. Civ. Prev. 2011, 2, 354 ss., con nota di coggiola, La Cassazione penale ed il problema della scelta delle teorie scientifiche secondo cui ricostruire la causalità nelle fattispecie di mesoteliomi causati dall’esposizione all’amianto, cit. ed in Riv.med.leg. 2011, 2, 469 ss., con nota di fiori e Marchetti, I garanti del sapere scientifico in sede giudiziaria. Nello stesso senso Cass. Pen., Sez. IV, n. 18933 del 27/02/2014 - dep. 08/05/2014, in CED. Cass. Rv. 262139, con la quale la Corte ha annullato la sentenza di merito impugnata proprio sul rilievo che il giudice aveva elaborato un proprio originale punto di vista scientifico non sorretto da basi sufficientemente chiare e ponderose.
[8] Cass. Pen., Sez. VI, n. 5749 del 09/01/2014 - dep. 05/02/2014, Homm, in CED. Cass., Rv. 258630, secondo cui il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d'ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, pur non essendo gravato dell'obbligo di fornire, in motivazione, autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneità, per converso, delle altre, "è comunque tenuto" alla dimostrazione del fatto che le conclusioni peritali siano state valutate "in termini di affidabilità e completezza", e che non siano state ignorate le argomentazioni del consulente.
[9] Cass. Pen. Sez. IV, n. 43786 del 17/09/2010 - dep. 13/12/2010, Cozzini e altri, in CED. Cass., Rv. 248943, ed in Cass. Pen. 2011, 5, 1712 ss., con nota di bartoli, Responsabilità penale da amianto: una sentenza destinata a segnare un punto di svolta?, ed in Dir.Pen.Proc. 2011, 11, 1341 ss., con nota di tonini, La Cassazione accoglie i criteri Daubert sulla prova scientifica. Riflessi sulla verifica delle massime di esperienza.
[10] Il caso Daubert del 1993 riguardava i supposti effetti collaterali sul feto del Benedectin, prodotto dalla Merrell Dow Pharmaceuticals, la quale aveva negato in giudizio tali effetti invocando lavori scientifici, sottoposti a peer review e quindi generalmente accettati. I genitori dei bambini nati malformati, per contestare i dati della Merrell Dow, invece, avevano chiesto ai giudici di acquisire anche la testimonianza di altri esperti, in grado di portare evidenze scientifiche contrarie basate su dati non ancora pubblicati, ma che reinterpretavano i risultati ottenuti dalla casa farmaceutica. La Suprema Corte ha deciso il caso accogliendo le dette testimonianze e stilando una sorta di ‘protocollo’ della prova scientifica.
[11] Sul punto zirulia, L’accertamento del nesso causale tra il cumulo delle esposizioni ad amianto e l’accelerazione della cancerogenesi nel mesotelioma pleurico: la Quarta Sezione indica i criteri per la scelta della legge scientifica più affidabile, nonché per lo svolgimento del giudizio di cd. causalità individuale, nota a Cass. Pen., Sez. IV, 17.9.2010 n. 43786, Ferrovie Trento Malè, in Dir.Pen.Cont. 12.1.2011.
[12] Cass. Pen., Sez. V, n. 36080 del 27/03/2015 - dep. 07/09/2015, Knox e altri, in CED. Cass.. Per un primo commento della sentenza Luparia, Taroni, Vuille, La prova del DNA nella pronuncia della Cassazione sul caso Amanda Knox e Raffaele Sollecito, in Dir. pen. cont. 12 aprile 2016.
[13] Cass. pen.,Sez. I, n. 31456 del 21/05/2008 - dep. 29/07/2008, Franzoni, in CED. Cass., e in La Giustizia penale 2009, fasc. 8-9, p. 3, pag. 459, con nota di ventura, Prove penali e leggi scientifiche.
[14] Cass. pen., Sez. V, n. 36080/15, Knox e altri, cit.
[15] Cass. pen., Sez. V, n. 36080/15, Knox e altri, cit.
[16] Cass. pen., Sez. I, n. 18246 del 25/02/2015 - dep. 30/04/2015, B, in CED Cass., Rv. 263858.
[17] Cass. pen., Sez. II, n. 34149 del 10/07/2009 - dep. 04/09/2009, Chiesa e altro, in CED Cass. Rv. 244950 e Cass. pen. Sez. I, n. 14852 del 31/01/2007 - dep. 13/04/2007, Piras e altri, in CED Cass., Rv. 237359, in cui la Corte ha qualificato come mero rilievo e non come accertamento tecnico il prelievo del materiale biologico rinvenuto in un passamontagna, utilizzato per effettuare al dibattimento, nel contraddittorio fra le parti, l'esame comparativo del DNA da esso estratto con quello dell'imputato.
[18] Cass.pen.,Sez. I, n. 2443 del 13/11/2007 - dep. 16/01/2008, Pannone, in CED Cass., Rv. 239101 e Cass.pen., Sez. I, n. 8393 del 2/02/2005 - dep. 03/03/2005, Candela ed altro, in CED Cass.,Rv. 233448.
[19] Cass.pen., Sez. IV, n. 25918 del 12/02/2009 - dep. 19/06/2009, Di Paola e altri, in CED Cass., Rv. 244224. In dottrina, in senso critico, Lepera , Il prelievo di reperti organici all'insaputa dell'indagato: una prassi contra legem, in
Giust. pen., 2013, n. 12, parte III, pag. 645 s.s..
[20] Cass. pen., Sez. I, n. 48907 del 20/11/2013 - dep. 05/12/2013, P.M. in proc. Costantino, in CED Cass., Rv. 258269; Cass. pen., Sez. I, n. 1028 del 02/11/2005 - dep. 12/01/2006, Esposito ed altri, in CED Cass., Rv. 233132.
[21] Corte cost., sent.n. 238/1996 del 27/6/1996 (p.u. 11/6/1996), dep. 9/7/1996, in G.U. 17/07/1996, Presidente Ferri - Redattore Granata.
[22] Cass.pen., Sez. II, n. 2476 del 27/11/2014 - dep. 20/01/2015, Santangelo, in CED Cass., Rv. 261865.
[23] Cass.pen., Sez. II, n. 2476/15, Santangelo, in CED Cass., cit.
[24] Cass. pen., Sez. I, n. 18246/15, B, in CED Cass., Rv. 263860, cit.
[25] Cass. pen., Sez. II, n. 2476/15, Santangelo, in CED Cass., Rv. 261867.
[26] Cass.pen., Sez. I, n. 11886 del 14/02/2002 - dep. 23/03/2002, Jolibert, in CED Cass., Rv. 221126.
[27] Cass.pen., Sez. I, n. 18246/15, B., in CED Cass., Rv. 263858; Cass.pen., Sez. IV, n. 36280 del 21/06/2012 - 20/09/2012, Forlani ed altri, in CED Cass., Rv. 253564; Cass. pen., Sez. II, n. 45929 del 24/11/2011 - dep. 09/12/2011, Cocuzza, in CED Cass., Rv. 251373; Cass. pen., Sez. II, n. 37708 del 24/09/2008 - dep. 03/10/2008, Vastante, in CED Cass., Rv. 242094.
[28] Cass.pen., Sez. II, n. 2476/15, Santangelo, in CED Cass., cit..
[29] Cass. pen., Sez. II, n. 2087 del 10/01/2012 - dep. 19/01/2012, Bardhaj e altri, in CED Cass., integrando la comparazione dei profili genotipici estratti dai campioni e reperti di materiale organico attività del tutto analoga a quella della comparazione delle impronte papillari prelevate con quelle già in possesso della polizia giudiziaria, rispetto alla quale la relazione della polizia giudiziaria riguardante la comparazione tra le impronte digitali dell'imputato e quelle rilevate sul luogo del delitto è atto ripetibile.
[30] Cass. pen.,Sez. II, n. 2476/15, Santangelo, in CED Cass., cit., Rv. 261866.
[31] Cass.pen., Sez. I, n. 48349 del 30/06/2004 - dep. 15/12/2004, Rizzetto, in CED Cass., Rv. 231182.
[32] Cass.pen., Sez. II, n. 8434 del 05/02/2013 - dep. 21/02/2013, Mariller, in CED Cass. Rv. 255257.
[33] Cass. pen., Sez. V, n. 36080/15, Knox e altri, cit.
[34] Cass. pen., Sez. V, n. 36080/15, Knox e altri, cit., in CED Cass., Rv. 264863.