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Magistratura Indipendente

PENALE  

La riforma del reato di abuso d’ufficio e le sue implicazioni su reati correlati

  Penale 
 martedì, 14 maggio 2024

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di Linda PURI

 
 

Sommario
1. Introduzione
2. La storia del reato
3. Definizione di “abuso d’ufficio”
4. Analisi della riforma: sostenitori e critici
5. Relazioni con i reati correlati
6. Analisi conclusiva

 

1. Introduzione

 

L’abuso d’ufficio è un concetto centrale nell’ambito di molti sistemi penali europei attesa l’importanza che riveste per proteggere l’integrità e l’efficienza delle istituzioni pubbliche nonché per la salvaguardia dei diritti dei cittadini e della legalità nello svolgimento degli affari pubblici.

Generalmente il termine “abuso d’ufficio” denota una serie di comportamenti scorretti commessi da individui che detengono una carica pubblica o che operano all'interno di un contesto governativo. Tali comportamenti possono includere, ma non sono limitati a, decisioni arbitrarie, favoritismi, discriminazioni, abusi di autorità e utilizzo improprio delle risorse pubbliche per fini personali o illeciti. In sostanza, l'abuso d'ufficio si manifesta quando un pubblico ufficiale viola i suoi doveri e responsabilità, danneggiando l'interesse pubblico o terzi.

La definizione e la sanzione dell'abuso d'ufficio variano da Paese a Paese, ma si basano su violazioni del dovere d'ufficio, l'intenzionalità e i danni causati. La sua complessità può portare a sfide interpretative e dispute legali, specialmente nella determinazione di comportamenti abusivi.

Combattere l'abuso d'ufficio è prioritario per promuovere trasparenza, responsabilità e legalità nel settore pubblico, evitando la corruzione e l'inefficienza che danneggiano la società. Ciò richiede misure legislative adeguate e un'applicazione giudiziaria indipendente.

In particolare, in Italia, il reato di abuso d'ufficio è disciplinato dall'articolo 323 del codice penale, il quale fornisce una cornice normativa per l'individuazione dei presupposti che ne determinano l'applicabilità e stabilisce le relative sanzioni penali.

L’attuale formulazione dell’art. 323 c.p. è il risultato di un lungo e complesso processo legislativo, che ha subito numerosi emendamenti nel corso degli anni, a tutt’oggi ancora non esaurito.

Invero, il recente disegno di legge n. 808/2023 con cui l’attuale Esecutivo ha proposto l’abolizione dello stesso art. 323 c.p., ha suscitato un interesse accademico e giuridico considerevole, poiché si tratta di una proposta di riforma che potrebbe avere un impatto significativo sul sistema giuridico italiano e sulla tutela dell'interesse pubblico.

Pertanto, il presente contributo si propone di analizzare la riforma della disciplina dell'abuso d'ufficio. A tal fine, si procederà con un inquadramento del reato, sia da un punto di vista tecnico-giuridico che socio-culturale, per comprendere le motivazioni che hanno portato alla scelta politico-criminale di abolire questa fattispecie criminosa dall'ordinamento italiano.

Successivamente, il focus del contributo si sposterà sulle relazioni del reato di abuso d'ufficio con altri reati correlati. Questo include un'analisi delle eventuali conseguenze che potrebbero derivare dall'accoglimento definitivo della riforma proposta, esaminando il possibile impatto su altre fattispecie di reato dell’abolizione del reato di abuso d’ufficio.

 

2. La storia del reato[1]

 

Il reato di abuso d'ufficio, introdotto nel panorama giuridico italiano con il Codice Penale del 1930, ha rappresentato, da subito, un parametro di controllo della condotta degli amministratori durante l'adempimento dei loro doveri.

Nel testo originario del Codice Penale del 1930, l'abuso d'ufficio era disciplinato all'articolo 314, il quale puniva il pubblico ufficiale che, nell'esercizio delle sue funzioni, compiva atti contrari ai doveri d'ufficio, arrecando un danno ingiusto alla pubblica amministrazione o a terzi. Questo articolo forniva una prima definizione del reato di abuso d'ufficio e stabiliva le relative sanzioni penali, delineando i contorni iniziali di questa figura giuridica. Nella sostanza si trattava di una fattispecie sussidiaria alla quale si faceva ricorso quando il fatto non integrasse un diverso reato. Si descriveva in termini di “abuso innominato” proprio perché la sua indeterminatezza costituiva il suo tratto distintivo e il suo fondamento.

Tra i principali problemi sollevati dalla norma, uno dei più frequenti è stato il deficit di specificità e determinatezza, il quale non può essere corretto mediante interpretazione, suscitando quindi dubbi sulla compatibilità con l'articolo 25 co. 2 della Costituzione. La Corte Costituzionale, investita della questione, si pronunciò a favore della manifesta infondatezza[2].

La riforma del 1990, avvenuta con legge del 26 aprile 1990 n. 86, ha segnato un momento di profonda trasformazione nell'assetto normativo del reato di abuso d'ufficio. La disposizione è stata resa sussidiaria solo rispetto a reati sanzionati con maggiore severità, creando così un quadro normativo più preciso e mirato nella sua applicazione. Inoltre, la riforma del 1990 ha ampliato il raggio d'azione della norma includendo gli incaricati di pubblico servizio come soggetti attivi del reato, allineandosi ad altre disposizioni penali e consolidando il principio di responsabilità degli agenti pubblici nel loro agire istituzionale.

Nonostante tali cambiamenti, la struttura fondamentale dell’abuso d'ufficio è rimasta sostanzialmente invariata, mantenendo ferma la sua natura di reato di mera condotta con dolo specifico. Di conseguenza, per potere qualificare una condotta in termini di abuso d’ufficio era necessario dimostrare l’intenzione dell’agente di raggiungere un risultato ingiusto e quindi la finalizzazione della sua attività alla realizzazione dell’evento. In tal modo si garantiva continuità con la normativa precedente.

A partire dal 1997, con la legge n. 234 del 16 luglio, si è verificata una significativa trasformazione nel trattamento normativo dell'abuso d'ufficio. La locuzione "abuso d'ufficio" è stata eliminata dal testo della disposizione e sostituita da una descrizione più dettagliata dei requisiti del reato. Questo cambiamento è stato fatto per fronteggiare le lacune emerse con la riforma del 1990, che aveva ampliato il campo di applicazione del reato, concentrando l'attenzione sulle motivazioni personali del soggetto. La riforma del 1997 ha introdotto meccanismi selettivi per circoscrivere l'abuso d'ufficio, concentrandosi sulla violazione delle norme di legge o di regolamento e sull'omissione del dovere di astenersi in caso di conflitto di interessi. Questa evoluzione ha spostato l'attenzione dalla generica esercitazione di potere all'effettiva violazione di doveri specifici, enfatizzando la trasgressione delle disposizioni legali o regolamentari che disciplinano l'azione dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio. Il reato di abuso d'ufficio da un reato di tipo "formale" è passato a uno di tipo "materiale" o di "evento", per cui è richiesta un'attenzione maggiore all'effettiva manifestazione di un evento lesivo e agli effetti che questo comporta nell'ambito dell'amministrazione pubblica.

L'intenzione del legislatore era volta a restringere l'ambito di incriminazione, mantenendosi in linea con gli orientamenti della politica criminale, e a limitare l'intervento del giudice penale sulle decisioni discrezionali della Pubblica Amministrazione. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ridusse la portata rivoluzionaria che aveva mosso l’intervento legislativo, riconoscendo che il requisito della violazione di norme di legge può essere integrato «dall'inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della P.A., per la parte in cui riguarda l'attività dei pubblici funzionari, poiché esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi[3]» nonché nell’inosservanza dell’art. 97 Cost. nella parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico funzionario,

nell'esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni.[4]

È il 2012[5] quando aumenta la durata della sanzione per chi commette abuso d’ufficio: i termini minimi di pena sono stati incrementati da sei mesi a un anno, mentre quelli massimi sono stati estesi da tre a quattro anni.

L'obiettivo principale delle riforme legislative sul reato di abuso d'ufficio è stato quello di definire in modo più preciso i suoi elementi costitutivi. Le interpretazioni ambigue e l'interferenza ingiustificata del potere giudiziario, in parte causate dalla formulazione precedente della norma, hanno generato divergenze interpretative e discrezionalità nell'applicazione della legge. Le riforme successive si sono concentrate nel colmare queste lacune normative e garantire una maggiore certezza del diritto, proteggendo gli interessi pubblici e promuovendo i principi di legalità e correttezza nell'amministrazione. E’ questo infatti il proposito che ha spinto il Legislatore ad intervenire, di nuovo, sull’art. 323 c.p. L’art. 23, comma 1, d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv., con modif., in l. 11 settembre 2020, n. 120, in vigore dal 17 luglio 2020 e attualmente vigente, ha introdotto la corrente formulazione dell’art 323 c.p.: «Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità», sostituendo al comma 1 la precedente espressione «norme di legge o di regolamento» con «specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità», circoscrivendo in tal modo l’ambito oggettivo di applicazione della fattispecie.

 

3. Definizione di “abuso d’ufficio” oggi

Come visto, l’attuale formulazione dell’art. 323 c.p. si deve alla riforma del 2020 il cui intento è stato quello di limitare l'applicazione della fattispecie di abuso d'ufficio, ponendo l'accento sull'esercizio del potere discrezionale come elemento determinante cioè quale confine oltre il quale non si configura un abuso di potere.[6]

La riforma, attraverso il conferimento di una maggiore precisione alla normativa, ha tentato di contrastare il fenomeno noto come "burocrazia difensiva" (vedi infra, cap. 4), il quale si contrappone agli obiettivi di ripresa economica del Paese imposti dagli standard europei, atteso il blocco prolungato imposto per far fronte alla pandemia. Un intervento volto esplicitamente a limitare l'ambito di rilevanza penale, in contrasto con le tendenze delle riforme degli ultimi dieci anni riguardanti i reati contro la Pubblica Amministrazione, in particolare quelle della legge "spazzacorrotti[7].

Obiettivo che non è stato comunque pienamente raggiunto poiché la condotta lascia spazio ad ampie interpretazioni nonché a dibattiti sotto diversi punti di vista, primo tra tutti l’individuazione del bene giuridico tutelato.

Invero, si può genericamente identificare il bene giuridico tutelato dalla norma in esame nel buon andamento e nell’imparzialità della pubblica amministrazione, laddove il primo presuppone che le attività pubbliche siano svolte in modo tale da garantire il soddisfacimento degli interessi pubblici e dei diritti dei cittadini nel rispetto delle norme di legge e dei principi di equità e giustizia[8] mentre la seconda implica che l'amministrazione debba agire in modo neutrale e senza favoritismi, trattando tutti i cittadini in maniera equa e imparziale, indipendentemente dal loro status sociale, politico o economico[9].

Allo stesso tempo l’art. 323 c.p. tutela l’interesse del privato a non essere turbato in diritti costituzionalmente garantiti, affiancando così al bene giuridico pubblico altri beni giuridici a titolarità privata.[10] Questo ultimo profilo è stato recentemente accolto, in particolare dalla giurisprudenza affinché si possa considerare il singolo cittadino come persona offesa dal reato, non solo come individuo danneggiato, con tutte le implicazioni, specialmente in ambito processuale, che tale qualifica comporta[11].

Al contrario, la dottrina[12]  si è manifestata in opposizione all'impiego della categoria della pluri-offensività, in quanto si ritiene che tale concetto non si concili adeguatamente con il principio di determinatezza della fattispecie. Infatti, si sostiene che il danno causato al privato assume rilevanza solo in via indiretta, essendo una conseguenza di un comportamento che danneggia prevalentemente gli interessi tradizionali della pubblica amministrazione[13].

In base alla nuova formulazione, il reato di abuso d'ufficio sembra configurarsi solo quando l'agente pubblico viola specifiche regole di condotta definite da norme di legge o atti aventi forza di legge, senza avere spazi di discrezionalità. Questa modifica normativa supporta l'obiettivo della riforma di limitare l'abuso all'omissione di un dovere senza discrezionalità. Di conseguenza, il sindacato sulla discrezionalità dell'amministrazione pubblica è escluso dall'ambito del reato, mentre la giurisdizione del giudice penale è limitata ai casi di attività vincolata. In merito alla revisione della normativa riguardante le condotte caratterizzate da margini di discrezionalità, risulta evidente la rarità delle situazioni in cui un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio non disponga, anche se in minima parte, di un certo grado di discrezionalità nell'ambito delle proprie funzioni[14]. Se da un lato la recente modifica mirava a limitare il suo ambito per garantire determinatezza e precisione, dall'altro ha reso più complesso identificare le condotte rientranti in essa, sollevando sfide probatorie nell'accertamento del grado di discrezionalità del soggetto agente. Tuttavia, come verrà discusso nei paragrafi successivi, l'interpretazione operata è stata meno restrittiva, vanificando l'intento originario del legislatore.

Prima di considerare l'abolizione del reato di abuso d'ufficio e l'applicazione delle leggi penali nel tempo, è importante condurre tre verifiche per accertare se il fatto perda effettivamente rilevanza penale. Queste verifiche considerano la possibilità di modificare l'imputazione o riqualificare il fatto, a seconda della fase procedimentale. La perdita di rilevanza penale avviene solo se, a seguito della modifica normativa, il fatto non può essere ricondotto a un'altra fattispecie diventata applicabile.
La prima verifica riguarda la riconducibilità del fatto alla nuova ipotesi di abuso d'ufficio penalmente rilevante. Se la violazione è attribuibile a una fonte normativa primaria e non lascia spazio alla discrezionalità, rimane rilevante penalmente. Soluzione a cui è pervenuta la Corte di Cassazione in una sentenza relativa a un caso di abuso d'ufficio edilizio-urbanistico[15].

In secondo luogo, è necessario valutare se l'omessa astensione si è verificata in situazioni di interesse personale o familiare, o in altre circostanze specifiche previste dalla legge. Se il fatto è stato precedentemente considerato come omessa astensione prima della riforma, non ci sono dubbi poiché non c'è stata una successione di leggi penali. Tuttavia, se il fatto è stato originariamente contestato come abuso per violazione di norme di regolamento o di legge non specifiche e discrezionali, occorre determinare se possa essere considerato un caso di omessa astensione, ancora rilevante penalmente.

Infine, la terza verifica riguarda la possibilità che il fatto contestato come abuso possa essere ricondotto a un'altra categoria criminale già prevista dalla legge, divenuta applicabile a seguito della modifica legislativa. Se sì, non si verifica l'abolitio criminis, ma si pone il problema dell'individuazione della legge più favorevole[16].

Invece, è rimasto invariato l'elemento psicologico del dolo intenzionale, così come la modalità alternativa di condotta meramente omissiva, che consiste nella violazione dell'obbligo di astensione. In questo caso, la fonte normativa della violazione è la norma penale stessa, con il rinvio ad altre fonti normative solo in situazioni diverse dalla presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto[17].

Nonostante le revisioni apportate, sembrerebbe che la norma non abbia raggiunto l'obiettivo di ridurre l'impatto sul sistema giudiziario atteso il permanente divario[18] tra le iscrizioni nel registro degli indagati e le decisioni di merito. A tal proposito, è opportuno rilevare che la mancanza di condanne per abuso d'ufficio può generare una fallacia logica, ignorando il ruolo deterrente del diritto penale e l'importanza di certi reati nel proteggere beni giuridici cruciali. Ad esempio, le poche condanne per inquinamento ambientale non giustificano l'abolizione del reato. Da altro lato, l'alto numero di archiviazioni non riflette la necessità di filtrare le notizie di reato, poiché ogni Pubblico Ministero è obbligato, pena sanzioni disciplinari, a registrarle, senza averne discrezionalità sul punto.

 

4. Analisi della riforma: sostenitori e critici
 

La proposta di abolizione del reato di abuso d'ufficio è stata formalizzata nel disegno di legge presentato dall'attuale Governo. Il 15 giugno 2023, su proposta del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al disegno di legge n. S. 808, che include, tra le altre disposizioni, la proposta di abrogare l'articolo 323 del codice penale. Tale iniziativa è motivata dal persistente squilibrio, poc’anzi presentato, tra le iscrizioni di notizie di reato e le assoluzioni.

Secondo i sostenitori della riforma, l'eliminazione del reato di abuso non lascerebbe un vuoto normativo poiché il sistema dei reati contro la pubblica amministrazione rimarrebbe completo, e i reati comuni sarebbero sanzionati più severamente se comportassero un abuso di potere o una violazione dei doveri pubblici. Inoltre, il complesso sistema nazionale per contrastare le pratiche amministrative scorrette, che include misure preventive come la creazione di piani organizzativi, l'istituzione di Autorità specializzate, e l'accentuazione della trasparenza, rimarrebbe significativo anche senza il reato di abuso d'ufficio. Vi è inoltre una vasta normativa anti-corruzione che include piani di prevenzione e vigilanza da parte di un'agenzia indipendente, oltre all'attuazione di una direttiva europea sulla protezione dei whistleblower[19]. Questo insieme di misure preventive e repressive garantisce una tutela completa degli interessi pubblici senza sovraccaricare il sistema giudiziario e proteggendo l'azione amministrativa e gli indagati da ricadute negative dovute a iscrizioni per fatti non costituenti reati penali.[20]

Il 10 gennaio 2024 la maggioranza del Senato ha approvato, in prima lettura, il disegno di legge in questione e ha bocciato tutti gli emendamenti delle opposizioni.

L'idea di abrogare completamente il reato è sostenuta da coloro che, oltre a condividere le motivazioni dei proponenti, notano come nonostante le modifiche apportate, la giurisprudenza continui ad allargare l'applicazione della norma, andando contro le intenzioni del Legislatore, ricorrendo spesso ad interpretazioni estensive. In tal senso, la Corte di Cassazione ha varie volte ribadito che ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio «sussiste il requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l'attribuzione»[21].

Queste soluzioni sono state oggetto di critica da parte del giudice delle Leggi che, investito della questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1 del decreto legge 76/2020, ha evidenziato come le intenzioni legislative siano state disattese dalla giurisprudenza che «dopo una fase iniziale di ossequio allo spirito della novella, è virata verso interpretazioni estensive degli elementi di fattispecie, atte a travalicare i rigidi paletti che la novella legislativa aveva inteso fissare e a riaprire ampi scenari di controllo del giudice penale sull’attività amministrativa discrezionale»[22].

Il comportamento giurisdizionale ampliando l'interpretazione dell'abuso d'ufficio, ha generato la "paura della firma" o "burocrazia difensiva", caratterizzata da eccessiva documentazione, lentezza nelle decisioni, centralizzazione e scarsa flessibilità. Questo fenomeno, causato da molteplici fattori come il timore delle conseguenze legali e la mancanza di incentivi per assumere rischi, limita l'efficienza dell'amministrazione pubblica nell'adattarsi alle esigenze dei cittadini e nel raggiungere gli obiettivi istituzionali.

Tuttavia, l'abolizione totale del reato ha suscitato preoccupazioni significative da parte di coloro che temono un calo dell'etica pubblica e la mancanza di allineamento dell'ordinamento italiano con le normative internazionali sulla lotta alla corruzione e con la recente proposta di direttiva europea del 3 maggio 2023[23].

Quest’ultima, avanzata dalla Commissione europea, aderente all’art. 19[24], della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione[25], adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4 nota come Convenzione di Merida, che si ispira, a sua volta, alla Convenzione interamericana del 1996[26], prevede la criminalizzazione dell'abuso d'ufficio. La proposta di direttiva dell'Unione Europea impone agli Stati membri di incriminare una serie di comportamenti che favoriscono pratiche corruttive, come conflitti di interesse non dichiarati e violazioni etiche gravi. L'articolo 11 della proposta, intitolato "abuso di funzioni", richiede agli Stati membri di punire penalmente i pubblici ufficiali che, agendo intenzionalmente, compiono o omettono atti in violazione delle leggi per ottenere vantaggi indebiti per sé o per terzi. Ciò implicherà che gli Stati membri debbano introdurre nel loro ordinamento interno il reato di abuso d'ufficio "a vantaggio[27]", includendone la sanzione penale. Questo obbligo si estende a comportamenti come favoritismi e utilizzo di interessi privati nel pubblico ufficio, che potrebbero rimanere indifesi in seguito all'abrogazione dell'articolo 323 del codice penale, a meno che non presentino caratteristiche tipiche di corruzione o peculato.

Da un altro punto di vista, secondo alcuni studiosi, l'abolizione del reato di abuso d'ufficio potrebbe esporre la norma a possibili contestazioni di costituzionalità, con potenziali conseguenze negative, sia per contrasto con l'articolo 117 della Costituzione in relazione all'articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall'Assemblea generale il 31 ottobre 2003 e aperta alla firma a Merida dal 9 all'11 dicembre dello stesso anno, entrata in vigore a livello internazionale il 14 dicembre 2005 e ratificata dall'Italia con la legge n. 116 del 2009, che richiede la penalizzazione di comportamenti abusivi, sia perché lasciando ipotesi di strumentalizzazione della pubblica amministrazione non punite, potrebbe creare delle vere e proprie "zone grigie" nell'ordinamento giuridico[28].

Quanto al primo punto, Il Titolo III della Convenzione contro la corruzione impone agli Stati membri di definire penalmente una vasta gamma di atti corruttivi, anche se non già contemplati come reati penali nel diritto interno. Inoltre, specifici atti di corruzione devono essere necessariamente incriminati, mentre altri possono essere soggetti a discrezione nazionale.
L'articolo 19 della Convenzione contro la corruzione si focalizza sull'abuso d'ufficio, esortando gli Stati membri a introdurre disposizioni legislative per criminalizzare gli atti di pubblici ufficiali che abusino delle loro funzioni per ottenere vantaggi indebiti. La Convenzione allarga la definizione di corruzione, includendo comportamenti che ostacolano la giustizia e il riciclaggio di proventi illeciti. Tale approccio riflette l'obiettivo di contrastare la corruzione a ogni livello, inclusa l’attività dell'autorità pubblica per scopi personali o di terzi.

È importante notare che diversi Stati dell'Unione Europea considerano l'abuso d'ufficio un reato. In Francia, l'articolo 432-12 del Code Pénal, che tratta della "prise illégale d'intérêts", mira a prevenire conflitti di interesse da parte dei funzionari pubblici. Questo reato si verifica quando un funzionario trae un vantaggio personale da un atto ufficiale che è in conflitto con i suoi doveri pubblici, compromettendo così l'integrità dell'azione amministrativa e minando la fiducia del pubblico nell'apparato statale. La legislazione francese mira a garantire la neutralità e l'imparzialità delle decisioni prese dai funzionari pubblici e a proteggere l'interesse pubblico da influenze indebite.

In Spagna, l'articolo 404 del Código Penal punisce la "prevaricación administrativa", che si riferisce al comportamento di un funzionario pubblico che agisce in modo arbitrario o illegittimo nell'esercizio delle sue funzioni. Questo reato mira a garantire che i funzionari pubblici rispettino i principi di legalità, imparzialità ed equità nell'amministrazione della giustizia e nell'adozione di provvedimenti amministrativi. La prevaricación administrativa è considerata una violazione della fiducia pubblica e può compromettere la credibilità delle istituzioni governative e la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario.

In Germania, il § 266 "Untreue" (StGB) tratta della "Untreue", che si riferisce all'abuso di fiducia da parte di funzionari pubblici o di altri soggetti che gestiscono denaro o beni per conto di altri. Questo reato è finalizzato a proteggere l'integrità del sistema finanziario e a prevenire comportamenti fraudolenti che danneggiano l'interesse pubblico. Il § 266 Untreue del codice penale tedesco mira a garantire la correttezza e l'onestà nella gestione dei fondi pubblici e privati da parte dei funzionari e degli amministratori, rafforzando così la fiducia del pubblico nel sistema legale ed economico del paese.[29]

 

 

 

 

5. Relazioni con i reati correlati

 

Una delle critiche più significative all'ipotetica abrogazione del reato di abuso d'ufficio si basa sull'argomento secondo cui questo reato assume una funzione di "reato-spia”, ovvero sebbene abbia una sua autonomia e un proprio oggetto giuridico, funge anche da indicatore o segnale per altri reati o condotte criminali. In sostanza, il reato spia non è necessariamente collegato direttamente al reato principale che si vuole individuare o reprimere, ma la sua commissione può suggerire la possibilità che siano stati commessi anche altri illeciti.

L'articolo 323 c.p., ancorché soggetto a una clausola di sussidiarietà che ne limita l'applicabilità, ha confini intersecanti con altre disposizioni normative, come il peculato, l'omissione di atti d'ufficio e la corruzione. L'abolizione del reato di abuso d'ufficio porterebbe ad un significativo indebolimento del microsistema della corruzione, considerando che questo reato ha un ruolo cruciale all'interno di tale contesto. Spesso, infatti, costituisce il principale punto di accesso e svolge un ruolo di primo piano nelle manifestazioni più evidenti di corruzione. Se viene eliminata la possibilità di partire da questo punto, si rischia - come affermano i magistrati che operano sul campo contro la criminalità organizzata - di impedire di scoprire anche malaffari molto più ampi che si celano dietro[30].

In altri termini, esaminando il rapporto tra abuso d'ufficio e corruzione, quale esempio emblematico della complessa interconnessione tra diversi reati all'interno della pubblica amministrazione, indagare su condotte ascritte alla fattispecie di cui all’art. 323 c.p. consente di rilevare, in modo tempestivo e agevolato, pratiche di corruzione, poiché spesso i comportamenti che configurano l'abuso d'ufficio sono parte integrante di un sistema più ampio di condotte illecite volti a ottenere vantaggi personali o illeciti a scapito dell'interesse pubblico.

Infatti, la sua funzione di "reato-spia" risiede nel fatto che le indagini e i procedimenti giudiziari relativi all'abuso d'ufficio possono rivelare attività illegali più estese e complesse all'interno dell'amministrazione pubblica. Ad esempio, un caso di abuso d'ufficio potrebbe portare alla luce forme di favoritismo, tangenti o malversazioni di denaro pubblico. Di conseguenza, l'identificazione e il perseguimento di casi di abuso d'ufficio consentono agli investigatori e ai magistrati di avviare indagini più approfondite e mirate sulla corruzione, intervenendo tempestivamente per contrastare tali fenomeni e preservare l'integrità delle istituzioni pubbliche.

 

6. Analisi conclusiva


Molto spesso, la condotta di abuso d'ufficio è associata a comportamenti più gravi e assorbenti, come nel caso del falso ideologico e dell'abuso.

In ambito giurisprudenziale si delineano due orientamenti divergenti riguardo alla potenziale concorrenza tra le due norme, poiché esse tutelano beni giuridici distinti. Da un lato, si riconosce che i reati di falso ideologico preservano l'integrità e l'autenticità degli atti pubblici, mentre i reati di abuso d'ufficio salvaguardano l'imparzialità e il regolare funzionamento dell'amministrazione[31]. Dall'altro, si discute sull'eventualità di includere l'abuso d'ufficio come ipotesi di reato compreso nel falso ideologico, creando così una sovrapposizione tra le due fattispecie[32].  

A prevalere è quest’ultimo indirizzo tenendo conto dell’incriminazione prevista nell’art. 323 c.p., per cui il reato di abuso d'ufficio come un'ipotesi residuale. Tale disposizione indica che, in caso di sovrapposizione con altre norme, l'assorbimento avviene in favore della norma che prevede la sanzione più severa per lo stesso fatto costitutivo di reato. Si è anche notato che la diversità dei beni giuridici tutelati assume rilevanza solo ai fini di stabilire se applicare o meno il principio di specialità tra le norme, secondo quanto disposto dall'articolo 15 del codice penale.

Inoltre, L'attribuzione del bene giuridico come presupposto per l'operatività della clausola di riserva rischia di compromettere il principio di sussidiarietà, trasformandolo in un principio di specialità. Le modifiche alla disciplina dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione mirano a limitare le incriminazioni non fondate su un solido substrato di tipicità del fatto. Secondo un principio di interpretazione legislativa consolidato, la clausola di riserva non può essere limitata ai reati che tutelano lo stesso bene giuridico. In caso di unico fatto, essa impone l'applicazione del trattamento sanzionatorio più severo, anche se tutela un bene giuridico diverso dalla norma con pena meno severa.

Alla luce di simili conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza di legittimità, è ragionevole affermare che la motivazione per cui l’abuso d’ufficio debba essere mantenuto all’interno dell’ordinamento quale sintomo di altre fattispecie delittuose non trova facilmente accoglimento.

Tuttavia, l'idea di abrogare completamente la normativa in questione appare problematica, considerando anche gli impegni assunti nei confronti della comunità europea e internazionale (vedi supra §4).

Piuttosto che procedere con un'abrogazione pura e semplice, potrebbe essere più prudente e produttivo considerare una riformulazione della norma che tenga conto della necessità di proteggere i diritti degli individui e assicurare l'integrità del sistema giudiziario con la necessità di garantire un efficace contrasto della corruzione e degli abusi di potere.

La riformulazione proposta dovrebbe essere orientata a definire chiaramente i criteri per l'applicazione del reato di abuso d'ufficio, evitando che venga utilizzato in modo improprio per condotte che non rientrano nella sua sfera d'applicazione. Questo richiede una precisa definizione degli elementi costitutivi del reato e dei requisiti che devono essere soddisfatti affinché un comportamento possa configurare un abuso d'ufficio.



[1] Per una più esaustiva ricostruzione storica si veda B. Romano (a cura di) Il nuovo abuso d’ ufficio, Pacini Editore S.r.l., 2021

[2] Corte Cost., 19 febbraio 1965, n.7, la sentenza è stata pubblicata anche in Giur. cost. 1965, p 50.

[3] Cass., Sez. VI, 12 febbraio 2008, n. 25162; Sez. II, 10 giugno 2008; Sez. VI, 17 febbraio 2011, n. 27453

[4] Cass. Sez. VI, n. 41215 del 14 giugno 2012

[5] Art. 1, comma 75, lett. p), della Legge 6 novembre 2012, n. 190

[6] In termini, A. ALBERICO, Le vecchie insidie del nuovo abuso d’ufficio, in www.sistemapenale.it, 1° aprile 2021.

[7] L. 9 gennaio 2019, n. 3 che ha previsto una serie di misure, tra cui l’innalzamento delle pene per i reati di corruzione per l’esercizio della funzione e di appropriazione indebita, per potenziare l’attività di accertamento e repressione dei delitti contro la pubblica amministrazione.

[8] A. POLICE, Principi e azione amministrativa, in F.G. Scoca (a cura di) Diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2017, pp. 205 ss.

[9] A. POLICE, Principi e azione amministrativa, cit.

[10]Cass., Sez. VI, 19 gennaio 2016, n. 5746; Sez. VI, 10 aprile 2008, n. 17642; Sez. VI, 29 marzo 2012, n. 13179 del 29/03/2012.

[11] Il soggetto passivo del reato, o vittima, è il detentore del diritto tutelato dalla legge penale, che riceve un'aggressione a causa dell'atto criminale dell'autore, manifestatasi tramite una lesione o un pericolo. Questo ruolo deve essere nettamente separato da quello del danneggiato, individuo che subisce un danno risarcibile a causa del reato e che ha il diritto di presentarsi come parte civile durante il procedimento penale. La vittima ha accesso a specifici diritti e prerogative processuali, non disponibili al danneggiato, mettendo in evidenza l'importanza di distinguere tra chi subisce direttamente il danno del reato e chi è il legittimo titolare dell'interesse violato dall'azione illegale.

[12] M. CATENACCI, Considerazioni politico-criminali: il bene giuridico tutelato dagli artt. 314-335 c.p., in ID. (a cura di), Reati contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia, Torino, 2016, 5 ss.

[13] M. CATENACCI, Abuso d’ufficio, in ID. (a cura di), Reati contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia, Torino, 2016, 131 ss.

[14] M. CATENACCI, Abuso d’ufficio, in ID. (a cura di), Reati contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia, cit.

[15] Cass., sex VI, 17 settembre 2020, n. 31873

[16] In questi termini G.L. GATTA, Riforma dellabuso dufficio: note metodologiche per laccertamento della parziale abolitio criminisin www.sistemapenale.it, 2 dicembre 2020.

[17] G.L. GATTA, Riforma dellabuso dufficio: note metodologiche per laccertamento della parziale abolitio criminiscit.

[18] Nel 2021, il numero di iscrizioni nel registro degli indagati per abuso d'ufficio è stato di 4.745, mentre nel 2022 è sceso a 3.938. Tuttavia, nella maggior parte dei casi si sono verificate assoluzioni, con 4.121 archiviazioni su 4.745 nel 2021 e 3.536 su 3.938 nel 2022. - Fonte: relazione del Governo al disegno di legge n. 808

[19] Direttiva europea 2019/1937 recepita nel D.lgs. n. 24 del 10 marzo 2023 definitivamente approvato in Italia da parte del Consiglio dei ministri il 9 marzo 2023.

[20] Dalla Relazione al disegno di legge presentato dal Ministro della giustizia e della difesa n. 808: “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare”.

[21] Cass., Sez. U, 29 settembre 2011, n. 155; Sez. 6, 2 aprile 2015, n. 27816; Sez. 6, 13 aprile 2018, n. 19519

[22] Cort Cost., 25 novembre 2011, n. 8

[23] M. Gambardella, “La proposta di Direttiva in materia di lotta alla corruzione” al vaglio del Parlamento: qualche riflessione sui reati di abuso d’ufficio e traffico di influenze, in sistemapenale.it, 27 luglio 2023

[24]Art. 19 Convenzione di Merida: «Ciascuno Stato Parte esamina l'adozione delle misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quando l'atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell'esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per se o per un'altra persona o entità».

[25] Ratificata in Italia con Legge 3 agosto 2009, n. 116

[26]La Inter-American Convention Against Corruption (IACAC) è stata adottata dall’Organizzazione degli Stati Uniti d’America il 29 marzo 1996 ed entrata in vigore il 6 Marzo 1997.

[27] L’art. 323 quali eventi sia “l’ingiusto vantaggio” che “l’ingiusto danno”: il primo si verifica quando un pubblico ufficiale utilizza la propria posizione o autorità per ottenere un vantaggio personale o per favorire qualcun altro; nel secondo caso invece il pubblico ufficiale agisce in modo scorretto o illecito nell'esercizio delle sue funzioni e, come risultato diretto di questa azione, si verifica un danno per un'altra persona o per l'interesse pubblico. Quindi l'abuso d'ufficio di vantaggio è caratterizzato dal perseguimento di un beneficio personale o per un'altra persona, mentre l'abuso d'ufficio di danno comporta il risultato diretto di un danno per un individuo o per l'interesse pubblico.

[28] Dalla proposta di questione pregiudiziale n. 2, al DDL n. 808

[29] M. GAMBARDELLA, Considerazioni sulle “ultime” proposte legislative di modifica dei reati di abuso d’ufficio e traffico di influenze illecite, in Giur. Pen. Web, 2023, 5, p. 6 e s.

[30] Dal fascicolo Iter DDL S. 808

[31] Cass., Sez. II, 11 dicembre 2013, n. 5546; Sez. V, 1° febbraio 2000 n. 3349 del 01/02/2000; Sez. V, 5 maggio 1998 n. 7581.

[32] Cass., Sez. II,11 ottobre 2012, n. 1417; Sez. VI, 22 settembre 2009, n. 42577; Sez. V, 9 novembre 2005, n. 45225 del Sez. VI, del 19 maggio 2004, n. 27778.

 

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