L’autore, Sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione e sino all’ottobre
1. Premessa. Dall’attività ispettiva ordinaria svolta presso gli uffici giudiziari del territorio nazionale emerge come di particolare rilievo il dato relativo alle scarcerazioni disposte in ritardo rispetto alla scadenza del termine.
Nel periodo gennaio 2013 - maggio 2016, infatti, sono state effettuate n. 115 ispezioni ordinarie presso uffici giudiziari di primo e di secondo grado, all’esito delle quali ben n. 58 uffici ispezionati, ossia il 50,4%, é risultato interessato da problematiche di ritardata scarcerazione oggetto di segnalazione preliminare al Capo dell’Ispettorato, con un trend che si presenta pressoché costante nelle varie annualità esprimendo valori pari a 44,4% per il
A fronte di n. 68 proposte di esercizio dell’azione disciplinare relative ad eventi di ritardata scarcerazione formulate dall’Ispettorato Generale nel periodo gennaio 2013 - giugno 2016, sono state esercitate dal Ministro della Giustizia n. 45 azioni disciplinari, in ragione di un valore pari al 66,1% di accoglimento delle proposte formulate dall’ufficio; al proposito è interessante osservare come, scomponendo il dato, la risultanza statistica di maggiore impatto è rappresentata dal prevalente coinvolgimento degli uffici di dimensioni medio-piccole, rispetto a quelli di grandi dimensioni,[2] nella problematica di che trattasi, atteso che, mentre per gli uffici di minore dimensione si è verificato un accoglimento di oltre i quattro/quinti delle proposte dell’Ispettorato (85,1%), per gli uffici di maggiore dimensione la percentuale di accoglimento delle proposte di azione disciplinare scende al 53,6%, ossia a poco più della metà.
2. La rilevazione dei dati conoscitivi. L’attività ispettiva diretta all’accertamento degli eventi di ritardata scarcerazione perché disposta oltre la scadenza dei termini massimi custodiali, ha inizio con l’acquisizione dei necessari elementi conoscitivi, ovviamente avuto riguardo allo specifico segmento o fase procedimentale in cui è maturata la scadenza del termine custodiale, ed è accompagnata dall’esame del fascicolo processuale in cui si è verificata l’intempestività.
Va preliminarmente ricordato che l’attuale sistema dei termini massimi di custodia cautelare è così sostanzialmente articolato:
- termini di fase, variabili in funzione della gravità della pena prevista per il reato contesto o ritenuto in sentenza e della fase in cui si trova il procedimento, stabiliti dall’art. 303, comma 1, cod. proc. pen.;
- termini complessivi, riferiti all’intera durata del procedimento ed anch’essi variabili in funzione della gravità della pena prevista per il reato, stabiliti dall’art. 303, comma 4, cod. proc. pen.;
- termini finali di fase, in funzione di limiti massimi insuperabili per ciascuna fase e pari al doppio dei termini di fase di cui all’articolo 303, comma 1, cod. proc. pen., stabiliti dall’art. 304, comma 6, cod. proc. pen.;
- termini finali complessivi (c.d. massimo dei massimi), in funzione di limite massimo insuperabile, oggi disciplinati dall’art. 304, comma 6, cod. proc. pen.
In particolare, la prassi operativa consolidata dall’ufficio prevede l’accertamento della data di inizio della custodia cautelare, di quella di scarcerazione, delle specifiche imputazioni oggetto del provvedimento restrittivo, con rilevazione delle eventuali modificazioni alla qualificazione giuridica dei fatti intervenute in itinere; la verifica in ordine ad eventuali provvedimenti modificativi del regime cautelare, compresi i provvedimenti del giudice del riesame e della Corte di legittimità, nonché di eventuali provvedimenti di sospensione o di proroga adottati ai sensi degli articoli 304, 305 e 303 co. 1, lett. b), n. 3 bis, cod. proc. pen.; l’indicazione nominativa dei magistrati del pubblico ministero e dell'ufficio giudicante titolari del procedimento alla data di scadenza del termine custodiale, con specifica indicazione delle date di assegnazione del procedimento e del momento della effettiva disponibilità del fascicolo in capo al magistrato assegnatario; la ricognizione di date e modalità di sviluppo della vicenda processuale, dall’esercizio dell’azione penale sino all’eventuale decisione della Corte di legittimità, ovviamente in relazione alla fase in cui si è verificata la scadenza del termine custodiale, nonché dell’esistenza di determinazioni organizzative adottate in via generale dalla dirigenza dell’ufficio circa l’eventualità che possa maturare una scadenza del termine custodiale durante il periodo feriale, l’aspettativa, il congedo, l’assenza extraferiale o l’avvenuto trasferimento ad altro ufficio del magistrato titolare del procedimento, con specifica indicazione, in caso positivo, delle eventuali determinazioni adottate dal capo dell’ufficio ovvero dal presidente di sezione.
Relativamente agli uffici di appello specifica attenzione è dedicata alla rilevazione ed all’accertamento della data in cui il giudice di prime cure ha inviato il fascicolo al giudice di appello, della data di assegnazione del fascicolo alla sezione competente e del pervenimento del fascicolo alla sezione designata, della data del provvedimento di fissazione della prima udienza e di nomina del relatore, con indicazione nominativa del relatore e del magistrato (presidente di sezione o del collegio) che ha proceduto alla sua designazione e della data di effettiva consegna dell'incarto processuale al relatore; ancora, della data di effettiva celebrazione della prima udienza del processo di appello e di eventuali mutamenti intervenuti nella composizione del collegio.
3. Il controllo delle scadenze dei termini custodiali presso gli uffici giudiziari. Allo stato la materia, oltre che dalle disposizioni del codice di rito, è regolata:
1. dalla circolare prot. n. 131.52.542/90, del Ministero della Giustizia, Direzione Generale Affari Penali, in data 20 giugno 1990, nella quale per evitare il verificarsi di scarcerazioni fuori termine, si consiglia e raccomanda:
- che <<ove sia adottata una [misura cautelare personale], venga formato un sotto-fascicolo da allegare al fascicolo principale (e, quindi, a quello per il dibattimento nei caso di rinvio a giudizio), nel quale vengano raccolte le copie dell’ordinanza con cui la misura è stata adottata (art. 292 cod. proc. pen.), del verbale di esecuzione della ordinanza (art. 293, comma primo, cod. proc. pen.) e di tutti gli atti incidenti sulla durata, modifica o cessazione della misura>>;
- che, <<qualora venga proposto ricorso per cassazione, tale sotto-fascicolo sarà trattenuto presso la cancelleria dei giudice che ha emesso la sentenza impugnata>>;
- che, <<fermi restando [..] i diversi accorgimenti che ciascun ufficio abbia ritenuto o riterrà più opportuni al fine di evitare ritardi nell’adozione dei provvedimenti in esame>> si provveda alla<<istituzione, presso ciascuna cancelleria [...] e, per gli uffici suddivisi in sezioni, presso la cancelleria di ciascuna sezione, di uno scadenziario nel quale, non appena il processo sarà pervenuto, verrà annotata la data di scadenza dei termini di durata delle misure, ovvero - se anteriore - quella nella quale l’imputato sarà scarcerato per avvenuta espiazione della pena in custodia cautelare o agli arresti domiciliari (ciò riguarda quasi esclusivamente la corte d’appello)>>;
2. dalla circolare prot. n. 131.98.506/2000, del Ministero della Giustizia, Direzione Generale Affari Penali, in data 6 febbraio 2001, nella quale si sollecita l’osservanza delle prescrizioni concernenti:
- le annotazioni da apporre sulla copertina del fascicolo, in guisa tale che sulla stessa risulti sempre<<riportata l’esatta indicazione delle generalità delle parti, del loro domicilio, dei nomi dei loro difensori nonché della data di prescrizione dei reati>> e siano <<adeguatamente evidenziati, nel caso di procedimenti con imputati detenuti, lo stato di custodia degli imputati e i termini di durata della custodia cautelare>>;
- la tenuta degli incartamenti processuali, in guisa tale che i fogli all’interno dei fascicolo siano sempre<<legati e numerati e [] preceduti da un indice scrupolosamente compilato>>;
3. dalla circolare prot. n. 91233.U del Ministero della Giustizia, Direzione GeneraleAffari Penali, in data 8 luglio 2008, nella quale, richiamate le precedenti direttive, si invitano gli uffici giudiziari ad<<assicurare che sulla copertina dei fascicoli>>, oltre a quanto previsto in via generale dall’art 3 del D.M. 30 settembre 1989, n. 334, siano tra l’altro indicati: la <<data di prescrizione dei reati, con riferimento anche alle eventuali cause di sospensione>> e, nel caso di procedimenti con imputati detenuti, i<<termini di durata della custodia cautelare>>, il<<pertinente termine di fase>> il <<termine complessivo ex art. 303 c.p.p.>>, le <<eventuali proroghe o sospensioni dei termini medesimi, nonché le <<data d’arresto, del fermo o comunque della data di esecuzione della misura cautelare>>.
L’esperienza pratica ha consentito di constatare una forte disomogenietà degli strumenti utilizzati nei vari uffici per il controllo dei termini cautelari ed, in molti casi, l’assenza ovvero l’inadeguatezza dei sistemi di monitoraggio del fascicolo nelle varie fasi processuali, circostanza questa che contribuisce, sovente in maniera determinante, al verificarsi delle intempestività, con conseguenze inaccettabili sul piano della tutela dei diritti di libertà, indipendentemente dalle valutazioni di natura disciplinare e di impatto ed economico dipendenti dall’attivazione di azioni dirette ad ottenere l’equa riparazione per la custodia cautelare ingiustamente subita, ai sensi degli articoli 314 e 315, cod. proc. pen. Si va, infatti, dall’apprestamento di scadenziari cartacei alla predisposizione di scadenziari mediante agende informatiche, collegate o meno con le cancellerie e tra uffici (ufficio del pubblico ministero e del giudice per le indagini e l’udienza preliminare e tra questo e l’ufficio del dibattimento), dalla formazione di programmi in formato excel ad altri più sofisticati realizzati, per così dire, in house, mentre risulta purtroppo scarsamente utilizzato, forse perché attivato ancora troppo di recente, il modulo BDMC (banca dati misure cautelari), integrato all’interno del SICP, pensato per raccogliere e gestire le informazioni relative alle misure cautelari personali e quindi garantire un supporto informatizzato di utilità per l’intero ciclo di vita della misura cautelare personale, compreso quindi anche il profilo dello scadenziario dei termini.
Al proposito va evidenziato che presso il Dipartimento per gli Affari di Giustizia risulta essere stato costituito un apposito tavolo di lavoro per verificare le criticità inerenti la problematica in argomento e l’effettiva operatività, negli uffici giudiziari dell’intero territorio nazionale, del modulo BDMC di SICP, nella prospettiva di pervenire ad un aggiornamento ovvero all’emanazione di una nuova circolare in tema di procedure e di strumenti diretti al controllo delle scadenze dei termini custodiali presso gli uffici giudiziari, oltremodo auspicabile, a parere di chi scrive, essendo di tutta evidenza l’importanza di accompagnare il passaggio dalla fase attuale a quella del monitoraggio informatico, disciplinando specificamente competenze e tempistiche degli incombenti facenti capo all’Autorità Giudiziaria ed al personale delle cancellerie e delle segreterie.
4. I criteri di individuazione dei soggetti responsabili. In relazione alle singole fasi in cui si riscontra un evento di ritardata scarcerazione avente astrattamente rilievo disciplinare, i criteri per l’individuazione dei soggetti cui far risalire la responsabilità risultano in genere individuati come segue:
4.1. Ove il procedimento si trovi nella fase delle indagini preliminari, il soggetto responsabile della tardiva scarcerazione viene individuato nel Pubblico Ministero e non nel giudice per le indagini preliminari, il quale assume la veste di un <<giudice senza processo a funzione intermittente […che non dispone] atti d’indagine e non è a conoscenza dello sviluppo del procedimento>> (Corte Cost., sentenza n. 89 del 1998), sussistendo ovviamente la responsabilità di quest’ultimo solamente quando egli ha <<la disponibilità degli atti per il compimento di attività rientranti nella sua competenza funzionale durante la fase delle indagini preliminari>>[3];
4.2. una volta che il giudizio è stabilmente radicato avanti al giudice, a questi soltanto spetta il compito di adottare d'ufficio i provvedimenti conseguenti alla scadenza del termine massimo di custodia; sussiste peraltro corresponsabilità del pubblico ministero di udienza quando l’intervenuto decorso dei termini massimi di custodia cautelare non viene rilevato o segnalato in quella sede dal pubblico ministero, sul quale pure incombe l’obbligo di diuturnamente vigilare sulle condizioni legittimanti la privazione della libertà personale dell’imputato/indagato[4]. In particolare, ove il procedimento sia pendente avanti ad organi collegiali, viene seguito l’indirizzo secondo cui, nei procedimenti di competenza collegiale, essendo richiesta per la sussistenza dell’illecito disciplinare l’inescusabilità della negligenza, questa non ricorre in capo al giudice che non ha la disponibilità materiale del fascicolo, come avviene<<nella prassi che può dirsi consolidata, secondo la quale, nel caso di organo collegiale, durante il dibattimento il fascicolo è di regola nella disponibilità del relatore e del presidente>>[5]; al proposito va ricordato come espressamente la sentenza n. 136 del 2013, della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, abbia deciso nel senso che la responsabilità dell’omessa scarcerazione per gli organi collegiali compete al presidente ed al relatore, stante l’incolpevole affidamento del terzo componente del collegio sulla condotta dei colleghi, con orientamento che non ha evidenziato successive pronunce in controtendenza;
4.3. ove il procedimento si trovi nella fase successiva a quella delle indagini preliminari nei procedimenti a citazione diretta, viene tenuto presente che, se è indirizzo giurisprudenziale consolidato che il decreto di citazione a giudizio si perfeziona con la sottoscrizione del pubblico ministero e dell’ausiliario che lo assiste, con conseguente passaggio ai successivi termini di fase di cui all’articolo 303, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., è altrettanto vero che, in tali procedimenti, il giudice del dibattimento assume la disponibilità del fascicolo solo successivamente all’avvenuta notificazione del decreto di citazione a giudizio, con la materiale trasmissione del fascicolo ai sensi dell’articolo 553, cod. proc. pen., come si desume dalla lettura dell’articolo 554, cod. proc. pen., che prevede che il giudice per le indagini preliminari è competente ad assumere gli atti urgenti ed a provvedere sulle misure cautelari sino a quando il decreto, unitamente al fascicolo per il dibattimento, non è trasmesso al giudice a norma dell’articolo 553, comma 1, cod, proc. pen. Conseguentemente, nei procedimenti a citazione diretta, il momento attributivo della competenza a provvedere sullo status libertatis in capo al giudice del dibattimento monocratico si ritiene individuato con riferimento alla trasmissione materiale del fascicolo e del decreto nella cancelleria del giudice del dibattimento, mirando la norma richiamata ad evitare possibili incertezze e vuoti di competenza in una situazione di transizione tra una fase processuale e l’altra;
4.4. ove il procedimento sia pendente nella fase di appello, premesso che la fase del giudizio di secondo grado pone maggiori problemi per la molteplicità dei segmenti processuali che la contraddistingue ed all’interno dei quali può risultare problematica l’individuazione del magistrato che ha la disponibilità degli atti, ci si è orientati nel senso che, in assenza di specifiche disposizioni organizzative esistenti presso il singolo ufficio - ossia nella quasi totalità dei casi, stando all’esperienza operativa dell’Ispettorato Generale - l’individuazione del soggetto responsabile avviene nel modo seguente:
a. - nella fase precedente la nomina del relatore e la fissazione dell’udienza: la disponibilità deve ritenersi in capo al presidente di sezione, salvo che l’assegnazione dei processi avvenga automaticamente al singolo collegio, quindi con immediata individuazione e trasmissione degli atti al presidente del collegio, in tal caso soggetto responsabile in questo segmento procedimentale;
b. - nella fase successiva alla nomina del relatore, ma precedente l’inizio del processo: la disponibilità deve ritenersi in capo al presidente del collegio ed al relatore, salvo risulti comprovata la mancata comunicazione ai predetti della loro intervenuta designazione, permanendo comunque la responsabilità del presidente di sezione (qualora abbia provveduto all’incombente) in caso di fissazione della data della prima udienza successivamente alla scadenza dei termini custodiali;
c. - nella fase del giudizio e sino al momento del deposito della motivazione: la disponibilità deve ritenersi in capo al presidente del collegio ed al relatore-estensore; al riguardo, occorre aver cura di verificare eventuali mutamenti nella composizione del collegio giudicante;
4.5. frequenti criticità e situazioni problematiche si manifestano nella fase procedimentale successiva al deposito della motivazione della sentenza di appello, durante la pendenza dei termini per la proposizione del ricorso per cassazione e durante la pendenza del giudizio di legittimità, fino alla fissazione dell’udienza dell’eventuale giudizio di rinvio. In tale fase l’Ispettorato Generale ha ripetutamente riscontrato un vero e proprio oblio del fascicolo: mancano quasi sempre disposizioni organizzative specifiche assunte al proposito dalla dirigenza dell’ufficio o della sezione e plurimi sono stati i casi accertati di ritardata scarcerazione, anche di non breve estensione temporale, ove non intervenga istanza di parte difesa.
Va ricordato che nella fase di che trattasi, la competenza a provvedere in ordine alle misure cautelari è in capo al «giudice che ha emesso il provvedimento impugnato», ai sensi dell’articolo 91, disp. att. cod. proc. pen.; si è ritenuto, quindi, che in tale segmento temporale la responsabilità della ritardata scarcerazione debba gravare sul presidente del collegio di appello che ha deliberato la sentenza oggetto di gravame nonché sul relatore-estensore, qualora questi non abbia provveduto, all’atto del deposito della motivazione della sentenza, ad indicare specificamente la data di scadenza del termine massimo custodiale più prossimo (di fase, finale di fase, complessivo ovvero ex articolo 300, comma 4, cod. proc. pen.) nel sottofascicolo dell’esecuzione provvisoria ovvero nel registro scadenziario in uso presso la sezione[6]; altrimenti, la costante verifica del rispetto dei termini massimi custodiali la cui scadenza è stata specificamente annotata dal relatore-estensore incombe al solo presidente del collegio di appello che ha deliberato la sentenza oggetto di gravame, in quanto a lui compete la convocazione del collegio ovvero la trasmissione degli atti al collegio de libertate tabellarmente competente per la pronuncia della doverosa ordinanza di revoca della misura cautelare per decorso dei termini massimi custodiali e, in caso di suo trasferimento o impedimento, al presidente di sezione, cui compete l’adozione degli opportuni interventi organizzativi nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza sull’attività della sezione, ai sensi dell’articolo 47-quater Ordinamento Giudiziario;
4.6. da ultimo, va rimarcato come anche la scadenza dei termini massimi custodiali verificatasi a seguito di regressione del procedimento, ai sensi dell’articolo 303, comma 2, cod. proc. pen., abbia sovente evidenziato situazioni problematiche, soprattutto in conseguenza delle pronunce di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, dovendosi in tali casi procedere ad una operazione di ricalcolo ex post dei termini di custodia cautelare conseguente alla pronuncia del giudice di legittimità.
Va osservato, al riguardo, che le principali criticità rilevate attengono:
- da un lato, alla necessità che il giudice a quo riceva tempestiva comunicazione dell’esito del giudizio di legittimità;
- dall’altro, alla necessità di individuare correttamente la data di scadenza del termine custodiale più prossimo a seguito della pronuncia di annullamento con rinvio, che in genere investe il termine finale di fase, stabilito dall’articolo 304, comma 6, cod. proc. pen. e pari al doppio dei termini di fase di cui all’articolo 303, comma 1, cod. proc. pen., ovvero il termine complessivo stabilito dall’articolo 303, comma 4, cod. proc. pen., riferito all’intera durata del procedimento e variabile in funzione della gravità della pena prevista per il reato.
In tale ipotesi, il magistrato chiamato a provvedere - e che quindi ha la disponibilità degli atti - è il presidente della sezione competente alla celebrazione del giudizio di rinvio individuata secondo gli ordinari criteri tabellari, beninteso una volta che il fascicolo sia stato trasmesso alla sezione deputata alla celebrazione del giudizio di rinvio, salvo eventuali specificità legate alla concreta fattispecie.
5. Anche il verificarsi della scadenza dei termini custodiali durante il periodo feriale ha sovente evidenziato criticità e situazioni problematiche.
Al proposito, in sede di verifica ispettiva viene in primo luogo accertata l’esistenza di determinazioni organizzative adottate dalla dirigenza dell’ufficio e verificata l’esistenza o meno di apposita comunicazione, resa dal magistrato titolare all'atto del congedo feriale, circa la pendenza di procedimenti con persone sottoposte ad indagini o imputate in stato di custodia cautelare, la cui omissione può fondare la sua responsabilità per evidente violazione dell’<<obbligo di diuturnamente vigilare circa la persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della libertà personale>>, di cui parla Cass. Sez. Un., n. 507 del 2011.
Analogamente può ritenersi quando la scadenza dei termini custodiali avvenga durante il periodo di aspettativa, congedo o assenza extraferiale ovvero in caso di trasferimento ad altro ufficio o di collocamento a riposo.
Anche in questo caso viene accertata l’esistenza di determinazioni organizzative adottate dall'ufficio, che l’esperienza dimostra quasi mai presenti; nei suddetti casi, peraltro, trattandosi di evento non preventivamente programmato e che incide direttamente sull’attività della sezione, richiedendo necessariamente l’adozione di opportune determinazioni organizzative sull’assegnazione dei fascicoli di cui era titolare il magistrato non presente in ufficio, temporaneamente ovvero in via definitiva, la violazione dell’obbligo di costante vigilanza di cui si è detto grava comunque su chi aveva il compito di provvedere all’assunzione delle suddette determinazioni organizzative, ossia sul presidente di sezione, nell’esercizio dei poteri di vigilanza sull’attività della sezione che gli competono, ai sensi dell’articolo 47-quater Ordinamento Giudiziario.
6. Orientamenti giurisprudenziali del giudice disciplinare. Il rigido orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di ritardata scarcerazione è cristallizzato nell’insegnamento di Sez. Un., sentenza n. 507 del 2011, secondo cui <<è compito precipuo del magistrato, nei procedimenti di cui è investito, diuturnamente vigilare circa la persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della libertà personale di chi è sottoposto alle indagini o imputato>>, emergendo la gravità e l’inescusabilità dell’infrazione dalla lesione cagionata al fondamentale diritto alla libertà personale, direttamente tutelato dall’articolo 13 della Costituzione.
Conferma tale rigidità la circostanza che non si ritiene di attribuire rilevanza alla condanna riportata dal soggetto interessato da un evento di ritardata scarcerazione, con sentenza divenuta irrevocabile, a pena maggiore del presofferto in custodia cautelare;[7] nonché l’indirizzo secondo cui, in materia di ritardata scarcerazione, non ha efficacia esimente o comunque giustificativa l’unicità dell’episodio nella vita professionale del magistrato, anche in un contesto di evidenziata capacità e laboriosità, atteso che la gravità dell’infrazione emerge dalla prodotta lesione del diritto fondamentale alla libertà personale, tutelato direttamente dall’art. 13 della Costituzione[8]; quello secondo cui il ritardo nella scarcerazione non è scusabile dal carico di lavoro, da problematiche famigliari, dimenticanze o affidamenti su scadenziari tenuti dalla cancelleria[9]; quello secondo cui non ha efficacia esimente la disorganizzazione dell’ufficio[10]; ed ancora quello secondo cui, nei casi di ritardata scarcerazione, non valgono ad escludere l’inescusabilità della negligenza e non costituiscono quindi elementi di giudizio caratterizzati da decisività, né singolarmente considerati, né nel loro complesso, i problemi di carenza di organico dell'ufficio di appartenenza, l'entità complessiva del carico di lavoro, quand'anche superiore alle stime di esigibilità, l’assenza di iniziative da parte del difensore, la situazione familiare del ricorrente ove non caratterizzata da circostanze di estremo rilievo, le positive valutazioni sull'attività professionale e, come ricordato, tanto meno, l'entità delle sanzioni in prosieguo inflitte ai soggetti sottoposti alle misure cautelari[11].
Alcuni spiragli di tolleranza, a prescindere da ipotesi legate a problematiche di carattere soggettivo di rilevante spessore[12], sono stati riconosciuti in casi qualificati come “di incolpevole affidamento” ed inquadrati nell’ipotesi prevista dall’articolo 3 bis, decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, nelle seguenti ipotesi: erronea annotazione della data di scadenza dei termini massimi custodiali sugli appositi registri informatici dell’ufficio del giudice per le indagini preliminari, trasmessi o comunque accessibili al pubblico ministero[13]; presenza nell’intestazione della sentenza della indicazione “detenuto per altra causa”, in assenza di indicazioni dello stato custodiale in copertina ed a fronte del gravoso carico di lavoro; ricezione di un fascicolo con imputato in stato custodiale a termini già scaduti (quindi con l’intervenuta scadenza del termine massimo custodiale già maturata in una fase precedente) e con l’indicazione della corretta data di scadenza del termine custodiale della fase successiva annotata dal collega in copertina, in assenza di richieste di revoca della misura da parte del difensore ed a fronte del gravoso carico di lavoro[14].
E’ poi stata esclusa, in via generale, la responsabilità del magistrato in caso di <<alto numero dei provvedimenti da adottare contemporaneamente a causa dell’applicazione dell’indulto>>, ovvero in caso di <<circostanze del tutto particolari tra le quali un difetto di comunicazione interna all’ufficio, nonostante l’adozione di tutti gli accorgimenti necessari a prevenire il verificarsi di ritardi nelle scarcerazioni>>, ovvero, ancora, quando<<pur nell'ambito di un generale necessario rispetto di disposizioni processuali dettate a garanzia di primarie esigenze connesse alla libertà personale dei cittadini, non poteva essere chiesto al magistrato di controllare l'operato della cancelleria nella fase di esecuzione dei provvedimenti da lui adottati, tanto più in assenza di elementi fattuali che avrebbero potuto o dovuto indurre ad immaginare un errore da parte di ausiliari amministrativi sul cui operato, in precedenza, il giudice aveva potuto fare tranquillamente affidamento>>. In particolare non è stata ritenuta negligenza inescusabile il mancato controllo sull’operato della cancelleria nell’ipotesi di ritardata trasmissione del fascicolo alla Corte di appello e di conseguente scadenza dei termini di fase di tale grado del giudizio, qualora: -) il magistrato abbia correttamente indicato nel sottofascicolo delle misure cautelari la esatta data di scadenza dei termini massimi custodiali; -) il termine per l’espletamento degli incombenti di cancelleria collegati alla trasmissione del fascicolo al giudice di seconde cure era assolutamente congruo rispetto alla data di scadenza del termine custodiale di fase; -) l’assoluta mancanza di un precedente analogo disservizio tale da giustificare il sicuro affidamento del giudice sul tempestivo trattamento preferenziale del fascicolo[15].
7. L’ipotesi di scarcerazione formale. Nell’ipotesi in cui il soggetto, all’atto della intempestiva pronuncia del provvedimento di scarcerazione, risulti detenuto in virtù anche di altro titolo, cautelare ovvero definitivo, si è osservato che, se è vero che: <<un imputato/detenuto ha tutto il diritto e l'interesse di vedersi riconosciuto il titolo alla scarcerazione, anche se nella pratica priva di effetti. E, del resto, non può non tenersi conto del fatto che sovente le vicende processuali interferiscono l'una con l'altra, come quando vi siano procedimenti penali a carico della stessa persona; con la conseguenza che quelle che potrebbero apparire in un determinato momento "scarcerazioni formali" in realtà assumono inopinatamente rilievo anche sostanziale - quindi con grave nocumento della libertà personale - per il concomitante verificarsi di eventi relativi ad altri procedimenti penali>> (Sez. Disc. C.S.M., ord. n. 88 del 2012); e che la mancanza di pregiudizio per effetto della illegittima prosecuzione della misura custodiale: <<non cancella l'ingiusta protrazione della misura subita […] né fa venir meno la violazione, da parte del magistrato, dell'obbligo di continua vigilanza della persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della libertà personale di chi è sottoposto a indagini>> (Sez. Disc. C.S.M., ord. n. 117 del 2012); pur tuttavia è altrettanto innegabile l’affievolirsi della concreta offensività del fatto nei casi in cui, anche qualora fosse intervenuta la doverosa pronuncia di revoca della misura custodiale per decorrenza dei termini massimi di fase, il soggetto non potesse riacquistare lo status libertatis perché sottoposto ad altri titoli di restrizione.
Seguendo tale impostazione il Gabinetto del Ministero della Giustizia, e quindi l’Ispettorato Generale, si sono orientati nel senso che - fatta salva l’astratta ricorrenza della sola ipotesi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera g), decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, e non anche, quindi, della più grave ipotesi di cui alla lettera a), mancando il danno ingiusto - la fattispecie della scarcerazione virtuale possa inquadrarsi, di regola, nell’ipotesi della scarsa rilevanza, ai sensi dell’articolo 3-bis, decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, per l’assenza di concrete ed effettive conseguenze pregiudizievoli sullo status libertatis del soggetto, fatti salvi i casi di particolare gravità da valutare in concreto; nell’ultimo triennio, infatti, non sono state registrate ipotesi di esercizio di azione disciplinare da parte del Ministro della Giustizia per ritardata scarcerazione nelle ipotesi di c.d. scarcerazione formale, quando cioè il soggetto si trovava ristretto anche per altra causa, in virtù di diverso titolo di natura cautelare ovvero definitiva.
8. L’inquadramento giuridico. Nelle ipotesi di ritardata scarcerazione, dopo iniziali pronunce di segno difforme da parte della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura si è consolidato l’indirizzo secondo cui va riconosciuto il concorso formale tra le ipotesi di cui all’articolo 2, co. 1, lett. a) e lett. g), decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, il primo essendo illecito di evento ed il secondo di mera condotta; per la configurabilità dell’illecito sub lettera a), infatti, è sufficiente la violazione di anche di uno solo dei doveri primari indicati dalla norma (ad esempio quello della diligenza, come accade nelle ipotesi di che trattasi), ma è sempre necessaria la prova del danno ingiusto ovvero dell’ingiusto vantaggio in concreto e non in base a mera prospettazione apodittica, sanzionando l’illecito di cui alla lettera a) anche violazioni ai doveri deontologici del magistrato commesse attraverso condotte connotate da sola colpa[16].
A tale indirizzo si è conformata Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura nella sentenza 9 giugno 2016, depositata il successivo 5 luglio, n. 107, che ha ribadito il principio del concorso formale degli illeciti di cui all’articolo 2, co. 1, lettere a) e g), decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, beninteso purché sia offerta la prova del danno ingiusto ovvero dell’ingiusto vantaggio in concreto arrecato/derivato dalla condotta del magistrato; al proposito va ricordata la recente pronuncia della Corte Costituzionale, intervenuta con sentenza n.ro 170 del 2015, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 1, decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, laddove disponeva l’automatica applicazione della sanzione accessoria obbligatoria del trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio in caso di condanna per violazione della lettera a), dell’articolo 2, comma 1, decreto legislativo n. 109 del 2006.
9. Conclusioni. Come evidenziato anche nel paragrafo 1., l’attenzione rivolta dall’Ispettorato Generale al fenomeno delle ritardate scarcerazioni è stata particolarmente attenta e mirata, stante il primario rilievo costituzionale che riveste la tutela della libertà personale ed il rigore seguito dal giudice disciplinare in materia.
La dimensione del fenomeno, ad avviso di chi scrive, rende indispensabile un decisivo salto di qualità in sede di organizzazione dell’ufficio ed improcrastinabile l’implementazione degli idonei strumenti informatici diretti ad allertare il magistrato nell’imminenza della scadenza di un termine custiodiale, valorizzando in primis le molteplici funzioni di cui dispone il modulo BDMC (banca dati misure cautelari) realizzato all’interno del SICP, oramai operativo in tutti gli uffici del territorio nazionale.
[1] In particolare: nell’anno 2013, su n. 36 uffici ispezionati, n. 16 sono stati interessati da problematiche di ritardata scarcerazione oggetto di segnalazione preliminare da parte dei magistrati ispettori; negli anni 2014 e 2015, su n. 31 uffici ispezionati, n. 17 sono stati interessati da problematiche di ritardata scarcerazione; e nel primo semestre 2016, sino al turno ispettivo di maggio, su n. 17 uffici ispezionati, n. 8 sono stati interessati da problematiche di ritardata scarcerazione.
[2] Tali intendendosi quelli aventi sede nel capoluogo del distretto di Corte di appello; va precisato che i dati indicati sono aggiornati alla data del 29 agosto 2016.
[3] Tale indirizzo, contrastato da una sola decisione della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura (trattasi dell’ordinanza n. 9 del 2014, depositata il 1° gennaio 2014), nella quale si sostiene che, nella fase delle indagini preliminari, in virtù <<dello specifico dovere di garanzia, rispetto al permanere delle condizioni che legittimano la misura cautelare, impostogli dalla citata norma dell’art. 306 c.p.p.>>, grava comunque sul G.I.P. - la cui responsabilità concorre, quindi, con quella del Pubblico Ministero - l’obbligo <<di vigilare sulla persistenza delle condizioni temporali della misura, in modo da poter adottare tempestivamente il provvedimento di liberazione nel caso di estinzione della misura per decorso del termine>>, è stato ulteriormente confermato in due recenti pronunce della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura (sentenze n. 106 del 7 luglio 2014, e n. 107 del 9 luglio 2014), che ribadiscono il principio secondo cui, poiché nella fase delle indagini preliminari la gestione dell’indagato detenuto appartiene al pubblico ministero - il solo soggetto processuale a conoscenza dell’evoluzione dell’inchiesta - ricade su di esso il dovere di attivarsi per assicurare il rispetto dei termini massimi custodiali ed evitare illegittime compressioni della libertà personale dell’indagato, mentre la responsabilità del giudice per le indagini preliminari sussiste quando egli ha la disponibilità degli atti per il compimento di attività rientranti nella sua competenza funzionale durante la fase delle indagini preliminari ovvero dopo l’esercizio dell’azione penale e quindi durante le fasi del processo vero e proprio; e da ultimo convalidato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 5866, del 20 marzo 2015 (udienza del 10 marzo 2015).
[4] Sentenza Sezione Disciplinare 12 febbraio 2016, depositata l’8 maggio 2016, n. 39.
[5] Principio affermato nelle ordinanze della Sezione Disciplinare del CSM n. 67 e n. 88 del 2012 e nella sentenza n. 66 del 2012.
[6] La Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura (si vedano le sentenze n. 64 del 2009 e, recentemente, n. 15 del 2015), ha infatti ritenuto che <<costituisce onere di ogni magistrato responsabile dello status libertatis degli indagati tenere un'agenda e uno scadenziario personali tali da costituire un sicuro allarme in ordine alle date di scadenza dei termini massimi di custodia, scadenziario da conservare presso di sé e non già presso la segreteria.>>.
[7] Si veda Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 4954, del 12 marzo 2015 (udienza 10 febbraio 2015), che afferma il principio di diritto secondo cui, in materia di ritardata scarcerazione, non rileva la successiva condanna a pena di durata superiore al presofferto, atteso che l’illegittima privazione della libertà personale in sede cautelare non può essere compensata da una successiva condanna a pena di durata superiore, essendo diversi i beni giuridici tutelati; ciò in quanto l’illegittima protrazione dello stato custodiale viola non solo il diritto alla libertà personale, ma anche il diritto, ulteriore e distinto, ad essere sottoposti ad indagini senza subire limitazioni superiori a quelle consentite dalla legge, garanzia che costituisce una declinazione del diritto di difesa garantito dall’articolo 24 della Costituzione.
[8] Si veda Sez. Un., 29 luglio 2013, n. 18191, confermata dalla sentenza Sez. Un., n. 3019, udienza dell’11 febbraio 2014, depositata il 16 febbraio 2015.
[9] Si vedano Sez. Un., sentenza n. 18191 del 2013, e Sez. Disc. 17 luglio 2015, dep. 22 settembre 2015, n. 101.
[10] Si veda Sez. Un., sentenza n. 5683, udienza del 10 febbraio 2015, depositata il 20 marzo 2015.
[11] Si veda Sez. Un., sentenza n. 14688, udienza del 7 luglio 2014, depositata il 14 luglio 2015.
[12] Secondo Sez. Disc. 19 settembre 2014, n. 152<<in caso di ritardata scarcerazione non si configura la negligenza inescusabile a fronte di grave patologia documentata (si omette in questa sede l’indicazione) che si pone in nesso di causalità con la violazione contestata, in caso di episodio isolato>>.
[13] Si veda Sez. Disc. 4 aprile 2014, n. 71.
[14] Sentenze Sez. Disc. 3 luglio 2015, dep. 15 settembre 2015, n. 92 e 24 luglio 2015, dep. 23 settembre 2015, n. 105.
[15] Sentenza Sez. Disc. 11 marzo 2016, dep. 24 marzo 2016, n. 52.
[16] Si vedano al proposito Sez. Un., 11 marzo 2013, n. 5943, 22 aprile 2013, n. 9691 e 11 febbraio 2014, dep. 16 febbraio 2015, n. 3019.