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Magistratura Indipendente

PENALE  

La responsabilità disciplinare dei magistrati

  Penale 
 lunedì, 20 giugno 2016

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Del pubblico ministero per omesso compimento di attività doverose durante la fase delle indagini preliminari.

di CORRADO MISTRI

 
 

L’autore, Ispettore Generale Capo presso l’Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia, affronta il tema della responsabilità disciplinare dei magistrati del pubblico ministero derivante da comportamenti omissivi tenuti nel corso delle indagini preliminari, esaminando le principali fattispecie portate all’attenzione del giudice disciplinare ed illustrando i più recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di inerzia investigativa.

 

1. Premessa. Tra le principali ipotesi di rilievo deontologico che interessano il magistrato del pubblico ministero1 viene in rilievo il fenomeno dell’omissione nel compimento di attività doverose durante la fase delle indagini preliminari, tra cui possono annoverarsi:

- la tardiva ovvero l’intempestiva iscrizione del nominativo della persona sottoposta ad indagini nel registro di cui all’articolo 335, cod. proc. pen.;

- l’omessa vigilanza sugli ausiliari o sulla polizia giudiziaria che non rispettano i termini stabiliti per l’espletamento dell’incarico ovvero delle investigazioni delegate;

- il mancato rispetto dei termini previsti per la conclusione delle indagini preliminari;

- la vera e propria inerzia investigativa, ossia il mancato compimento di qualsivoglia attività e la mancata assunzione di determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale, trascorso un lasso di tempo dalla scadenza dei termini di cui agli articoli 405, 406 e 407, cod. proc. pen., oltre ogni ragionevolezza.

 

2. Orientamenti giurisprudenziali del giudice disciplinare. Dopo un iniziale orientamento secondo cui la condotta del magistrato del pubblico ministero che ritarda ovvero omette l’iscrizione nell’apposito registro del nominativo della persona sottoposta ad indagini, in virtù del principio di specialità, è stata ritenuta sussumibile nella fattispecie del reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni di cui alla lettera q), dell’articolo 2, comma 1, decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 1092, attualmente tale comportamento è pacificamente ritenuto integrare l’illecito disciplinare sanzionato dall’articolo 2, comma 1, lettera g), decreto legislativo n. 109 del 20063, trattandosi di <<adempimento per il quale non sussiste alcun margine di discrezionalità4>>.

Del pari, anche la mancanza di correttezza nell’adempimento del dovere funzionale tassativamente previsto dall’articolo 335, cod. proc. pen., è stata apprezzata in chiave di disvalore deontologico nell’ipotesi di iscrizione di notitia criminis nel registro Mod. 45 (atti non costituenti notizia di reato) anziché in quello Mod. 21, avendo il giudice disciplinare5 ritenuto, in una recente pronuncia, che tale condotta integrasse grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile e pertanto inosservanza degli articoli 1, comma 1 e 2, comma 1, lettera g), decreto legislativo n. 109 del 20066.

Anche la condotta del pubblico ministero che omette di sollecitare per iscritto al consulente il deposito dell’elaborato peritale, consentendo in tal modo la protrazione oltre ogni ragionevole durata di un procedimento in fase di indagini preliminari, è stata ritenuta inquadrabile nella violazione dell’articolo 2, comma 1, lettera g), decreto legislativo da ultimo citato7; mentre si è ritenuto non commettere tale illecito disciplinare il magistrato del pubblico ministero che, conferita una delega investigativa alla polizia giudiziaria, non solleciti il deposito della annotazione né faccia istanza di proroga delle indagini, assumendo però tempestivamente le proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale (nella concreta fattispecie attraverso richiesta di archiviazione), <<trattandosi di condotta che rientra nell'ambito della valutazione discrezionale riservata al magistrato inquirente8>>.

 

3. La violazione dei termini delle indagini preliminari. La mancata definizione del procedimento penale entro i termini previsti dagli articoli 405, 406 e 407, cod. proc. pen., è stata ritenuta configurare l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni per grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile9 [lettera g), articolo 2, comma 1, decreto legislativo n. 109 del 2006], atteso che la mancata assunzione di una qualunque determinazione in ordine all’esercizio dell’azione penale, una volta scaduti i termini di durata delle indagini preliminari, incide, da un lato sull’interesse delle parti alla quanto più possibile celere definizione del procedimento penale e dall’altro sull’interesse pubblico al controllo dell’operato del pubblico ministero da parte del giudice.

Non, quindi, la pura e semplice violazione dei termini di cui agli articoli 405, 406 e 407, cod. proc. pen., integra illecito disciplinare, dovendo essere considerati, per la configurabilità della fattispecie di cui alla lettera g), una serie di elementi inferenziali da cui desumere la <<negligenza inescusabile>>, quali, ad esempio, la circostanza che l’oggetto delle indagini riguardi fatti di rilevante gravità ovvero di particolare allarme sociale, la presenza sul ruolo di un numero non trascurabile di procedimenti di risalente iscrizione, il numero delle richieste di archiviazione per prescrizione del reato senza che il pubblico ministero abbia provveduto a richiedere la proroga del termine delle indagini, la presenza di istanze di sollecita trattazione del procedimento da parte della persona offesa, ovvero, ancora, il mancato rispetto delle scelte di graduazione nella trattazione degli affari operate dal dirigente dell’ufficio, qualora sia evidente l’esistenza di una situazione oggettiva che rende impossibile la trattazione tempestiva di tutti i procedimenti assegnati10.

Del resto, considerato il limite oggettivo alla capacità di smaltimento del lavoro dell'organismo giudiziario nel suo complesso e della Procura della Repubblica in particolare, la distinzione tra l'adozione di criteri di priorità che tendono ad operare scelte razionali nell'impegno delle risorse e l’arbitraria selezione dei procedimento da promuovere è ben chiara anche al giudice disciplinare, che ha escluso la responsabilità per la mancata trattazione di tipologie di procedimenti a seguito di una scelta motivata e consapevole operata secondo criteri e direttive di carattere generale11.

In proposito va ricordato che compete al procuratore della Repubblica, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, seconda parte, decreto legislativo 20 febbraio 2006, assicurare <<il rispetto delle norme sul giusto processo da parte del suo ufficio>>, impedendo l’accumularsi di ritardi di eccessiva ed irragionevole durata nell’assunzione delle determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale una volta scaduti i termini di durata delle indagini preliminari, e che la violazione di tale disposizione normativa ben può essere fonte di responsabilità disciplinare per il capo dell’ufficio, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera g), decreto legislativo n. 109 del 2006, non potendo che essere qualificata grave e conseguente ad inescusabile negligenza, contrastando con i parametri fissati nella Costituzione all’articolo 111, comma 2, e nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, all’articolo 6.

 

4. L’inerzia investigativa. Quanto, invece, alla mera inazione del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, si è ritenuto, sin dall’anno 2013, che l’omesso compimento di ogni e qualsivoglia attività investigativa da parte del P.M. integri la violazione dell’articolo 2, co. 1, lett. g), decreto legislativo n. 109 del 2006, qualora sia provata una negligenza inescusabile del magistrato con accertamento demandato al giudice di merito e da effettuare caso per caso.

Il giudice disciplinare12, rimarcata in linea generale la gravità della condotta di inerzia investigativa derivante dal fatto che il disposto di cui all’art. 405, comma 1, cod. proc. pen. trasfonde in regola procedurale il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, ha peraltro ritenuto, sin dalla sentenza n. 79 del 2010, che valgono ad escludere la negligenza inescusabile:

- l’unicità o meno dell’episodio nella vita professionale del magistrato;

- la laboriosità ed il carico di lavoro;

- i favorevoli giudizi espressi in tema di valutazione di professionalità;

evidenziando altresì come con l’ipotesi di cui alla lettera g) può concorrere quella di cui alla lettera a), dell’articolo 2, comma 1, decreto legislativo citato, quando l’inazione del pubblico ministero si pone in nesso di causalità con l’evento naturalistico dell’indebito vantaggio per l’indagato ovvero del danno ingiusto per la persona offesa ovvero per i parenti della vittima, da accertare specificamente caso per caso e del quale occorre dare specifica prova, non potendo ipotizzarsi che in ogni caso l’inerzia investigativa determini di per sé stessa un danno in re ipsa e dovendosi invece dimostrare in concreto il verificarsi di un danno ingiusto conseguente all’inazione, ad esempio in termini di lesione del diritto alla salute, o di perdite patrimoniali, o di sofferenze morali, o di mancata possibilità dell’esercizio del diritto di impugnazione, o di altro ancora.

 

5. Recenti orientamenti e conclusioni. L’orientamento giurisprudenziale in tema di condotte di inerzia investigativa del pubblico ministero ha recentemente incontrato un importante arresto con la pronuncia della sentenza n. 78 del 22 aprile 2016, depositata il successivo 12 maggio, della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura.

Con tale pronuncia l’indirizzo del giudice disciplinare pare acquisire connotati di maggiore rigidità, essendosi ritenuto che l’inerzia investigativa assoluta e prolungata, indipendentemente dalla gravità della fattispecie oggetto del procedimento - che in precedenza poteva costituire un elemento discriminante ai fini del giudizio di responsabilità - integra sempre l’ipotesi specificamente prevista dall’articolo 2, comma 1, lettera g), decreto legislativo n. 109 del 2006,comportando la violazione del combinato disposto di cui agli articoli 326, 358, 405, 406 e 407, cod. proc. pen., coacervo normativo che impone al pubblico ministero di contenere, nei limiti del possibile, il pregiudizio alla sfera personale di un cittadino indagato, chiamato ad affrontare un procedimento penale sopportandone, oltre ai patemi, anche i relativi costi, nonché di tenere nella dovuta considerazione <<la posizione della persona offesa che invoca giustizia>>, a maggior ragione quando il procedimento non necessita di particolari accertamenti probatori ovvero quando sono intervenute sollecitazioni alla definizione del contesto; ed eventualmente anche la violazione della lettera a), del medesimo articolo, ogniqualvolta l’inazione determina un indebito vantaggio per l’indagato ovvero un danno ingiusto per la persona offesa ovvero per i parenti della vittima, da accertare specificamente caso per caso e del quale occorre dare specifica prova, come indicato al paragrafo che precede.

La pronuncia in argomento, peraltro, riconosce espressamente che le circostanze in precedenza costituenti causa esimente da responsabilità (gravità della fattispecie, carico del ruolo, numero degli episodi, ecc…) possono comunque essere valutate, ma unicamente in chiave di irrilevanza disciplinare in concreto della condotta, ai sensi dell’articolo 3-bis, decreto legislativo n. 109 del 2006, riservando al giudice disciplinare, con accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivato, il compito di verificare se, ex post ed in concreto, si sia verificata una lesione del bene giuridico tutelato, attraverso una considerazione congiunta dell’aspetto oggettivo, legato all’esiguità del danno o del pericolo e di quello soggettivo, rappresentato dal grado della colpevolezza, così scongiurando rigidità ed automatismi eccessivamente ed ingiustificatamente penalizzanti in un contesto, quale quello attuale, caratterizzato da situazioni di sempre maggiore sofferenza operativa e di emergenza sempre più marcata per gli uffici del pubblico ministero.

 

 

 

Corrado Mistri

1 Il dato statistico presentato dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016 evidenzia che, su n. 100 magistrati sottoposti a procedimento disciplinare, n. 64 svolgono funzioni giudicanti e n. 36 quelle requirenti.

2 si veda la sentenza n. 57 del 2012, della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, pronunciata nel procedimento disciplinare n. R.G. 100/2010.

3 si veda la sentenza 4 giugno 2014, n, 92, della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura; naturalmente la condotta può essere in concreto valutata <<di scarsa rilevanza>>, ai sensi dell’articolo 3-bis, decreto legislativo n. 109 del 2006, ove, ad esempio, dalla ritardata iscrizione non sia derivato alcun danno alle parti (in tal senso si veda l’ordinanza n. 59 del 2014, della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, pronunciata nel procedimento disciplinare n. R.G. 46/2013).

4 in tal senso Sez. Un., sent. 12 ottobre 2011, n. 20936.

5 sentenza 24 aprile 2015, dep. 22 luglio 2015, n. 83, della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura; nella fattispecie, all’iscrizione a Mod. 45 era seguita l’emissione di decreti di perquisizione e sequestro.

6 merita di essere incidentalmente ricordata, al proposito, la decisione di Sez. Un., sent. n. 34536 dell’11 luglio 2001, che riconosce il potere di avocazione al Procuratore Generale presso la Corte di appello in caso di iscrizione a Mod. 45 di una notizia di reato, costruendolo come reazione ad un atto abnorme del pubblico ministero.

7 si veda la sentenza 4 giugno 2014, n, 92, della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura.

8 in tal senso Sez. Un., sent. 15 giugno 2015, n. 12311.

9 principio affermato sin dalla sentenza 16 gennaio 2010, n. 16, della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, secondo cui <<[…]anche la fase delle indagini preliminari, pur se estranea alla nozione di processo, é regolata dal principio di ragionevole durata, con conseguente inescusabilità della protrazione di una condotta omissiva per un arco di tempo sicuramente irragionevole[…]>>.

10 si veda, in proposito, la sentenza 11 ottobre 2013, n. 145, della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura

11 si veda, in proposito, la sentenza 27 settembre 2012, n. 3, della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura.

12 si veda l’ordinanza 13 settembre 2013, n. 116, della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura.

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