1. Premessa metodologica
A distanza di dieci anni dall’ultima revisione delle norme europee relative alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, la Direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione.
L’impegno profuso dal legislatore europeo per contrastare il fenomeno del money laundering risale ai primi anni novanta, riflettendosi nel corso di oltre due decenni nelle ormai note tre Direttive antiriciclaggio. L’obiettivo perseguito era quello di definire il quadro delle norme preventive contro il riciclaggio, chiaramente ispirate ai principi internazionali sanciti in materia, che gli Stati membri avrebbero dovuto importare nei rispettivi ordinamenti legislativi[1].
A distanza ormai di oltre un ventennio, il riciclaggio continua a rappresentare un tema presente nell’agenda europea, in quanto, com’è noto, i flussi di denaro illecito compromettono la stabilità e l’integrità del settore finanziario e rappresentano una concreta minaccia per il mercato interno dell’Unione, nonché per lo sviluppo internazionale[2]. Una prevenzione mirata e proporzionata all’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, unitamente ad un ulteriore incremento degli strumenti di diritto penale già presenti a livello europeo, appare ancora oggi una priorità del legislatore comunitario.
In tal senso, nel dicembre del 2014 il Consiglio dell’Unione Europea ha raggiunto un accordo con il Parlamento e la Commissione europea sul testo della quarta Direttiva antiriciclaggio. Il provvedimento è stato successivamente sottoposto alla procedura di formale adozione da parte del Consiglio e del Parlamento europei.
Nell’ultima fase della procedura comunitaria di “co- decisione”, la mediazione tra il Consiglio, il Parlamento e la Commissione europea si è svolta nell’ambito degli appositi “Triloghi”, ovvero incontri tra rappresentanti delle tre istituzioni realizzati con l’obiettivo di raggiungere accordi di compromesso tra le diverse posizioni espresse da ciascuna[3].
L’articolato, frutto di intensi negoziati, costituisce senza alcun dubbio un importante risultato nel quadro europeo antiriciclaggio. Ciò in quanto non solo dà attuazione alle Raccomandazioni FATF (Financial Action Task Force), allineando in tal modo i Paesi Ue ai più avanzati standard internazionali, ma introduce una serie di disposizioni fondamentali che consentiranno – rectius, si auspica consentiranno - all’Europa di compiere passi avanti nel contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.
Questo andrò dicendo nel seguito del presente scritto, poiché è ormai opinione comune che senza una “uniformazione” del diritto europeo dell’antiriciclaggio l’aspetto preventivo non potrà soccorrere quello repressivo, con tutto ciò che ne consegue[4].
2. Le direttive comunitarie antiriciclaggio
A distanza di dieci anni dall’ultima revisione delle norme europee relative alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, la citata Direttiva (UE) 2015/849 modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga le direttive 2005/60/CE e 2006/70/CE.
Ma occorre procedere con ordine, per comprendere come si è giunti a tale ultima formulazione. Ciò ritengo utile ai fini di una, ancorché sintetica, ricostruzione sistemica della normazione.
Orbene, la presa di coscienza della ramificazione di organizzazioni criminali dedite al riciclaggio ha indotto le Autorità europee alla realizzazione di sistemi di prevenzione e contrasto che assicurino la maggiore armonizzazione possibile. Le tre Direttive Antiriciclaggio sono senz’altro la maggiore espressione degli sforzi profusi dall’Unione Europea per contrastare il dilagare di un fenomeno i cui perniciosi effetti rischiano di rompere gli equilibri raggiunti a livello macro economico, non senza grandi difficoltà[5].
La scelta di tale strumento normativo è connessa alla natura genetica dello stesso. La Direttiva, infatti, rientra nei c.d. atti legislativi vincolanti giacché impone ai suoi destinatari il raggiungimento di un obiettivo prefissato, pur lasciando agli stessi piena autonomia sulle modalità di azione. Infatti, a differenza del Regolamento (anch’esso rientrante nella succitata categoria), vincolante per i suoi destinatari in tutte le sue parti, la Direttiva individua un obiettivo comune per tutti gli Stati membri concedendo al contempo autonomia nella scelta delle modalità attraverso le quali raggiungerlo, nel pieno rispetto dell’identità di ogni singolo ordinamento giuridico. Ad interessare, in buona sostanza, è che si assicuri un minimo comune denominatore di tutela valido in tutti i Paesi membri.
Ciò detto, la prima Direttiva antiriciclaggio (91/308/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1991)[6], relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, definiva il reato in relazione a quelli connessi con il traffico di stupefacenti ed imponeva obblighi solo al settore finanziario. Nonostante i suoi “limiti contenutistici”, detta Direttiva ha svolto un ruolo fondamentale nella lotta all’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio fino al 2005, anno in cui fu riformata l’intera disciplina a livello comunitario. La rilevanza di questa normazione comunitaria è consistita nel coordinamento e nell’impulso fornito ai legislatori degli Stati membri; è sufficiente pensare che nella maggior parte degli Stati stessi era possibile constatare la mancata esistenza di una legislazione efficacie per contrastare il fenomeno del riciclaggio[7].
Nello specifico, la Dir. 91/308/CEE recepiva interamente la disciplina della fattispecie contenuta nella Convenzione di Vienna delle Nazioni Unite del 1988, soffermandosi su una precisa definizione delle condotte rilevanti ai fini della corretta qualificazione del reato di riciclaggio. In relazione invece ai c.d. reati presupposto, la normativa sanciva un doppio livello di identificazione: in un primo livello individuava una serie di reati che dovevano essere riconosciuti come presupposto del riciclaggio in tutti i Paesi aderenti; in un secondo livello concedeva la possibilità agli Stati di estendere il novero dei reati imposti come minimo comune denominatore, ampliandolo ad altre fattispecie di reato.
Nonostante la prima Direttiva comunitaria abbia costituito senza alcun dubbio uno dei principali strumenti internazionali per la lotta al money laundering, nel luglio del 1999 la Commissione europea presentò una proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio nella quale venivano individuate le criticità rilevate e le annesse integrazioni da apportare alla Dir. 91/308/CEE. L’analisi del progetto di direttiva trovò la sua conclusione il 4 dicembre 2001, con l’approvazione del testo di compromesso elaborato dal Comitato di Conciliazione. In virtù di tale testo, la nuova direttiva avrebbe dovuto ampliare il campo di applicazione della disciplina, allargandola a tutti i reati propri della criminalità organizzata, e di estendere gli obblighi propri delle banche anche ad altre categorie professionali.
In tal senso, la seconda Direttiva antiriciclaggio (2001/97/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2001), recante modifica della direttiva 91/308/CEE relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, ha appunto esteso l’ambito di applicazione della precedente direttiva per quanto riguarda sia la tipologia di reati, sia le professioni, che le attività coinvolte. In tal modo, da un lato, si prevedeva di controllare non solo i proventi del traffico di stupefacenti, ma anche quelli derivanti da tutti i reati considerati “gravi”[8]; dall’altro, di estendere il campo d’applicazione delle misure antiriciclaggio oltre il mondo dell’intermediazione finanziaria, prevedendo obblighi particolari anche per le persone giuridiche e fisiche allorquando agiscono nell’esercizio della loro attività professionale[9]. Gli obblighi cui questi ultimi erano sottoposti consistevano essenzialmente nell’identificazione della clientela, nella registrazione delle operazioni, nella conservazione della relativa documentazione per almeno cinque anni e nella segnalazione di operazioni sospette alle autorità responsabili del contrasto al riciclaggio[10].
Nel giugno del 2003, il GAFI rielaborava le sue raccomandazioni estendendole al finanziamento del terrorismo e disponeva obblighi più dettagliati per quanto riguarda l’identificazione e la verifica dell’identità del cliente, le situazioni in cui un rischio elevato di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo potesse giustificare l’applicazione di misure rafforzate e quelle in cui, invece, un rischio ridotto potesse legittimare l’attuazione di controlli meno rigorosi.
Di tali modifiche si è tenuto conto nella Direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 ottobre 2005 e nella Direttiva 2006/70/CE della Commissione, del primo agosto 2006, recante misure di esecuzione della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la definizione di persone politicamente esposte e i criteri tecnici per le procedure semplificate di adeguata verifica della clientela, nonché per l’esenzione nel caso di un’attività finanziaria esercitata in modo occasionale o su scala molto limitata[11].
La direttiva del 2005 ha avuto il pregio di dettare un’inversione di marcia rispetto alle due precedenti, consolidando il diritto comunitario esistente[12]. Innanzitutto, ha offerto una più esaustiva nozione della condotta di riciclaggio, uniformando la definizione di reati presupposto comunitaria a quella di “reati gravi” di cui all’Azione Comune n. 98/699. L’interesse del legislatore si è altresì concentrato su due aspetti: da un lato, sul finanziamento del terrorismo, riconosciuto per la prima volta a livello comunitario come una delle principali destinazioni dei proventi illeciti derivanti dal riciclaggio di denaro[13] e, dall’altro, sulla corretta identificazione del c.d. beneficial owner (titolare effettivo) di un’operazione.
La terza Direttiva, successivamente integrata dalla Dir. 2006/70/CE, riguardante la definizione del concetto di persone politicamente esposte, è stata recepita in Italia con il D.lgs. 21 novembre 2007, n. 231.
In questo contesto normativo s’inserisce la nuova direttiva antiriciclaggio, la quale ha il “dichiarato” scopo di rafforzare la lotto contro i crimini fiscali e il finanziamento del terrorismo. Le disposizioni contenute nella quarta Direttiva recepiscono quasi ad litteram le Raccomandazioni della Financial Action Task Force (FATF) - ormai considerate un punto di riferimento universale per le regole contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo - arrivando, in alcuni casi, ad ampliarne la portata.
La ratio sottesa all’elaborazione di una nuova Direttiva si rinviene nella sempre maggiore esigenza di adattare l’attuale sistema preventivo all’evoluzione tecnologica delle tecniche di reimpiego di denaro sporco utilizzate dalla criminalità.
Rispetto alle più “classiche” usura, estorsione, crimini finanziari, infatti, oggi si aggiungono contraffazione, reati ambientali, distrazione di fondi pubblici, cyber crime,etc. Si tratta delle nuove frontiere del riciclaggio[14].
3. L’ambito di applicazione della IV Direttiva
Conformemente a quanto sostenuto nelle pagine che precedono, un primo punto di intervento della direttiva in esame riguarda l’estensione del campo di applicazione della normativa de qua. In tal senso, essa fornisce la seguente definizione del reato: a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni; b) l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; c) l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; d) la partecipazione a uno degli atti di cui alle lettere a), b), c), l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l’esecuzione.
Sul punto appare importante evidenziare che, in linea con le Raccomandazioni riviste dal GAFI, i reati fiscali connessi alle imposte dirette e indirette rientrano nell’ampia definizione di “attività criminosa” di cui sopra. Nello specifico, l’articolo 3, paragrafo 4, lett. f) della direttiva, sancisce che rientrano nell’attività criminosa “tutti i reati, compresi i reati fiscali relativi a imposte dirette e indirette, quali specificati nel diritto nazionale, punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata massima superiore ad un anno ovvero, per gli Stati membri il cui ordinamento giuridico prevede una soglia minima per i reati, tutti i reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata minima superiore a sei mesi”.
Tenuto conto che ciascuno Stato membro può ricondurre reati fiscali differenti alla nozione di attività criminosa perseguibile mediante le sanzioni di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lett. f), le definizioni di reati di fiscali previste dalle normative nazionali potrebbero divergere. In ogni caso, gli Stati membri dovrebbero consentire, nella massima misura possibile ai sensi della propria legislazione, lo scambio di informazioni o la prestazione di assistenza tra le Unità di informazione finanziaria dell’Unione (Financial Information Units – FIU).
Altra novità consiste nella previsione di cui all’articolo 2, che estende l’ambito di applicazione soggettivo della normativa. Quindi, la quarta la direttiva si applica, oltre che agli enti creditizi e agli istituti finanziari, nonché alle persone fisiche o giuridiche, già obbligati in precedenza, anche agli altri soggetti che negoziano beni, quando il pagamento è effettuato o ricevuto in contanti per un importo pari o superiore a 10.000 euro, indipendentemente dal fatto che la transazione si effettua con un’operazione unica con diverse operazioni che appaiono collegate, e ai prestatori di servizi di gioco d’azzardo.
Qui si rinviene un profilo assai innovativo tutto da chiarire. Sembrerebbero obbligati alle regole anche soggetti non finanziari “imprese”, poiché non si vede come si potrebbe qualificare chi effettua “negoziazioni di beni”. Una innovazione che chi scrive non ha mancato di sollecitare a più riprese negli scritti già citati.
In riferimento ai prestatori di servizio di gioco d’azzardo, rispetto alla prima versione risalente al febbraio del 2014, nel testo ultimo della IV Direttiva è stato inserito il principio che consente agli Stati membri la possibilità di esentare gli operatori di gioco a basso rischio: “ad eccezione delle case da gioco e a seguito di un’opportuna valutazione del rischio, gli Stati membri possono decidere di esonerare, in tutto o in parte, i prestatori di determinati servizi di gioco d’azzardo dalle disposizioni nazionali che recepiscono la presente direttiva sulla base del basso livello di rischio comprovato dalla natura e, se del caso, dalle dimensioni operative di detti servizi”.
Si tratta con assoluta certezza di un aspetto di particolare rilevanza, ma è necessario che il legislatore nazionale ne colga le sfaccettature, giacché se – come detto – determinati settori non devono essere sottoposti ad obblighi relativi al riciclaggio, è al contempo indiscutibile che la verifica della clientela non debba essere l’unico perno su cui fondare la prevenzione.
In altri termini, gli Stati membri dovrebbero considerare la previsione di un’esenzione esclusivamente in circostanze rigorosamente limitate e giustificate, ovvero quando i rischi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo sono limitati. Tali esenzioni dovrebbero formare oggetto di una specifica valutazione del rischio che tenga in considerazione anche il grado di vulnerabilità delle relative operazioni.
4. Il risk based approach
La IV Direttiva ribadisce che il rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo non è sempre lo stesso, per cui va adottato un approccio “olistico” basato sul rischio. Proprio in relazione alla valutazione di esso, gli articoli 6 e 7 prevedono rispettivamente un approccio sovranazionale ed uno nazionale al rischio stesso.
In tal senso, in relazione al primo tipo di approccio, è previsto che la Commissione effettui una valutazione dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo che gravano sul mercato interno e relativi alle attività transfrontaliere. A tal fine, la Commissione, entro il 26 giugno 2017, elaborerà una relazione che identifica, analizza e valuta tali rischi a livello dell’Unione. Successivamente, la Commissione stessa aggiornerà la sua relazione ogni due anni o, se del caso, più frequentemente.
Detta relazione comprenderà almeno i seguenti elementi: a) i settori del mercato interno maggiormente esposti al rischio; b) i rischi associati a ciascun settore interessato; c) i mezzi più diffusi cui ricorrono i criminali per riciclare proventi illeciti.
Inoltre, entro il 26 dicembre 2016, il comitato congiunto delle Autorità Europee di Vigilanza (AEV) emanerà un parere sui rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo concernente il settore finanziario dell'Unione. Le AEV aggiorneranno tale parere ogni due anni.
Con riferimento invece all’approccio nazionale, l’articolo 7 prevede che ciascuno Stato membro adotti opportune misure per individuare, valutare, comprendere e mitigare i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo che lo riguardano, nonché le eventuali problematiche connesse in materia di protezione dei dati. Avendo riguardo ai rischi di cui sopra, ciascuno Stato membro: a) usa tale valutazione per migliorare il proprio regime in materia di AML/CFT, in particolare individuando i settori in cui i soggetti obbligati devono applicare misure rafforzate e, se del caso, specificando le misure da adottare; b) individua, se del caso, i settori o le aree di minore o maggiore rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo; c) utilizza tale valutazione come ausilio ai fini della distribuzione e della definizione della priorità delle risorse da destinare al contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; d) utilizza tale valutazione per garantire che sia predisposta una normativa adeguata per ogni settore o area in funzione del corrispondente rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo; e) mette tempestivamente a disposizione dei soggetti obbligati le informazioni per facilitarne l’esecuzione delle valutazione dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.
I soggetti destinatari degli obblighi devono anch’essi adottare misure volte a individuare e valutare i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, tenendo conto di fattori di rischio, compresi quelli relativi ai loro clienti, paesi o aree geografiche, prodotti, servizi, operazioni o canali di distribuzione. Gli stessi destinatari devono porre in essere politiche, controlli e procedure per mitigare e gestire in maniera efficace i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.
5. Il restyling dell’adeguata verifica della clientela
In più disposizioni, richiamando il risk based approach, il legislatore europeo richiede una maggiore attenzione dell’espletamento dell’adeguata verifica, sottolineando come gli intermediari finanziari, alla luce del privilegiato punto di osservazione di cui godono, debbano necessariamente intensificare i controlli.
La novità principale consiste nell’applicazione dell’adeguata verifica anche a soggetti che negoziano in beni quando eseguono operazioni occasionali in contanti d’importo pari o superiore a 10.000 euro, indipendentemente dal fatto che l’operazione sia eseguita con un’unica operazione o con diverse operazioni che appaiono collegate, nonché per i prestatori di servizi di gioco d’azzardo, all’incasso delle vincite, all’atto della puntata, o in entrambe le occasioni, quando si eseguono operazioni d’importo pari o superiore a 2.000 euro, indipendentemente dal fatto che la transazione sia eseguita con un’unica operazione o con diverse operazioni che appaiono collegate.
Com’è noto, l’Italia è da tempo ormai già allineata a tale ultima impostazione dettata dalla IV Direttiva. La normativa antiriciclaggio italiana, infatti, impone agli operatori che svolgono l’attività di gestione di case da gioco on line, di procedere all’identificazione ed alla verifica dell’identità di ogni cliente per importo superiore a 1.000 euro (art. 24, comma 4, D.lgs. 231/07); per i casinò, invece, la soglia è di 2.000 euro (art 24, comma 1, D.lgs. 231/07)[15].
Il legislatore della IV Direttiva ha, altresì, assunto consapevolezza della circostanza che l’utilizzo dei prodotti di moneta elettronica è considerato sempre più un surrogato dei conti bancari. Quanto detto giustifica che, in aggiunta alle misure previste dalla Direttiva 2009/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, detti prodotti siano assoggettati agli obblighi di prevenzione e contrasto del riciclaggio e della lotta al finanziamento del terrorismo. Tuttavia, lo stesso legislatore europeo ha ritenuto che, in talune comprovate circostanze di rischio esiguo e a rigorose condizioni di mitigazioni del rischio, gli Stati membri dovrebbero poter esonerare i prodotti di moneta elettronica da determinate misure di adeguata verifica della clientela, quali l’identificazione e la verifica del cliente e del titolare effettivo, ma non dal controllo delle operazioni o dei rapporti d’affari.
Ai sensi dell’articolo 12 della IV Direttiva le condizioni di mitigazione del rischio sono le seguenti: “a) lo strumento di pagamento non è ricaricabile oppure è soggetto a un limite mensile massimo di operazioni di 250 euro, utilizzabile sono in tale Stato membro; b) l’importo massimo memorizzato elettronicamente non supera i 250 euro; c) lo strumento di pagamento è utilizzato esclusivamente per acquistare beni o servizi; d) lo strumento di pagamento non può essere alimentato con moneta elettronica anonima; e) l’emittente effettua un controllo sulle operazioni o sul rapporto d’affari sufficiente a consentire la rilevazione di operazioni anomale o sospette”.
Ciò detto, è noto che alcune situazioni comportano un maggior rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, o meglio, ferma restando la necessità di stabilire l’identità e il profilo economico di tutti i clienti, vi sono casi in cui si richiedono procedure d’identificazione e di verifica della clientela particolarmente rigorose. Quanto appena sostenuto vale in particolare per i rapporti con persone che ricoprono o hanno ricoperto funzioni pubbliche di rilievo nell’Unione o a livello internazionale, soprattutto con riferimento a persone che provengono da paesi in cui la corruzione è un fenomeno altamente diffuso[16]. Tali rapporti possono esporre in modo particolare il settore finanziario a notevoli rischi di reputazione e legali.
Gli sforzi condotti sul piano internazionali volti a combattere la corruzione altresì giustificano la necessità di prestare particolare attenzione a tali persone che ricoprono o hanno ricoperto funzioni pubbliche di rilievo a livello nazionale o all’estero e nei confronti di alti funzionari in organizzazioni internazionali[17].
In questa ottica s’inseriscono gli obblighi rafforzati di adeguata verifica nei confronti di coloro che svolgono o hanno svolto funzioni politiche all’interno del Paese o in organizzazioni internazionali[18]. La sintetica definizione di persone politicamente esposte, in precedenza richiamata all’art. 3 n. 8, è ora sostituita con un’esplicita individuazione delle PEP in Paese terzi o nel Paese membro o in organismi internazionali, indicando che sono inclusi: a) capi di Stato, capi di governo, ministri e viceministri o sottosegretari; b) parlamenti o membri di organi legislativi analoghi; c) membri degli organi direttivi di partiti politici; d) membri delle corti supreme, delle corti costituzionali e di altri organi giudiziari di alto livello le cui decisioni non sono soggette a ulteriore appello, salvo in circostanze eccezionali; e) membri delle corti dei conti e dei consigli di amministrazione delle banche centrali; f) ambasciatori, incaricati d’affari e ufficiali di alto grado delle forze armate; g) membri degli organi di amministrazione, direzione o sorveglianza delle imprese di proprietà statale; h) direttori, vicedirettori e membri dell’organo di gestione, o funzione equivalente, di organizzazioni internazionali.
In ultimo, l’articolo 22 della Direttiva n. 849 del 2015, apprestando una novità di rilievo, sancisce che “quando una persona politicamente esposta non ricopre più importanti cariche pubbliche in uno Stato membro o in un paese terzo ovvero cariche pubbliche importanti in un’organizzazione internazionale, ai soggetti obbligati è prescritto di prendere in considerazione, per almeno dodici mesi, il rischio che tale persona continua a costituire e di applicare adeguate misure in funzione del rischio fino al momento in cui ritengono che tale rischio specifico delle persone politicamente esposte cessi”.
Appare solo il caso di ricordare che non esiste un elenco ufficiale di PEPs, per cui bisognerà rifarsi a banche dati elaborate da società specializzate. A quest’ultimo problema si può ovviare attraverso la richiesta dell’informazione al soggetto cliente, che inserirà nella scheda di adeguata verifica una apposita “crocetta” nell’elenco che si consiglia di predisporre[19].
6. Il nuovo registro centralizzato di informazioni
Alla luce delle criticità connesse alla sua identificazione, la quarta Direttiva presta particolare attenzione alla complessa figura del “beneficial owner” nelle compagini societarie. È nota la necessità non solo di identificare le persone fisiche che sono titolari ovvero esercitano il controllo di soggetti giuridici, ma anche di ottenere informazioni accurate e aggiornate sul c.d. titolare effettivo, al fine di rintracciare criminali che potrebbero altrimenti occultare la propria identità dietro una struttura societaria.
Un primo punto di forza, ma soprattutto di novità, della Direttiva in esame si rinviene nella creazione di un “registro centralizzato di informazioni” riguardanti la proprietà effettiva delle società e dei trust, con il chiaro fine di aumentare i livelli di trasparenza. Pertanto, gli Stati membri dovrebbero assicurare che i soggetti giuridici costituiti nel loro territorio in conformità del diritto nazionale ottengano e conservino informazioni adeguate, accurate e attuali sulla loro titolarità effettiva, oltre alle informazioni di base quali il nome della società, l’indirizzo e la prova dell’atto costitutive e della titolarità legale.
Con l’obiettivo di promuovere la trasparenza al fine di contrastare l’abuso dei soggetti giuridici, gli Stati membri dovranno assicurare che le informazioni sulla titolarità effettiva siano archiviate in un registro centrale situato all’esterno della società, in piena conformità con il diritto dell’Unione.
A tal fine, gli Stati membri possono utilizzare una banca dati centrale che raccolga le informazioni sulla titolarità effettiva, o il registro delle imprese, ovvero un altro registro centrale. La nuova previsione normativa sancisce, altresì, che gli stessi Stati membri provvedono affinché le informazioni sulla titolarità effettiva siano accessibili in ogni caso: a) alle autorità competenti e alle FIU, senza alcuna restrizione; b) ai soggetti obbligati, nel quadro dell’adeguata verifica della clientela a norma del capo II; c) a qualunque persona od organizzazione che possa dimostrare un legittimo interesse.
Le persone od organizzazioni di cui alla lettere c) hanno accesso almeno al nome, al mese ed anno di nascita, alla cittadinanza, al paese di residenza del titolare effettivo così come alla natura ed entità dell’interesse beneficiario detenuto.
L’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva deve essere conforme alle norme sulla protezione dei dati e può essere soggetto a registrazione online. Forse questo costituirà il principale ostacolo all’attuazione del registro nel nostro Paese, nel quale la normativa della c.d. privacy ha raggiunto un grado di invasività senza paragoni rispetto ad altri ordinamenti europei.
Nella medesima logica di migliorare la trasparenza e combattere gli abusi, l’articolo 31 dispone che gli Stati membri prescrivono: che i fiduciari di trust espressi disciplinati dal loro diritto nazionale ottengano e mantengano informazioni adeguate, accurate e aggiornate sulla titolarità effettiva del trust, inclusa l’identità del costituente, del “trustee”, del guardiano, dei beneficiari e delle altre persone fisiche che esercitano il controllo effettivo sul trust; che il “trustee” renda noto il proprio stato e fornisca prontamente ai soggetti obbligati le informazioni quando, in tale veste, instaura un rapporto d’affari o esegue un’operazione; che le autorità competenti e le FIU abbiano prontamente accesso a tali informazioni; che tali informazioni siano conservate in un registro centrale quando il trust genera obblighi fiscali, con accesso tempestivo e senza limitazioni alle autorità competenti, alle FIU, e ai soggetti obbligati nel quadro dell’adeguata verifica della clientela.
Sebbene il libero accesso alle titolarità effettive da parte degli operatori del settore rappresenti un evidente vantaggio ai fini dell’adempimento dell’obbligo di adeguata verifica, l’articolo 30 della novella direttiva chiarisce che tale patrimonio informativo non deve comunque essere considerato sufficiente.
Non si comprende quindi, quale sia la ratio sottesa a tale scelta. Da un lato, si concede l’accesso ad un importante serbatoio informativo, superando così le ataviche difficoltà connesse all’identificazione del titolare effettivo; dall’altro, se ne dichiara contestualmente la quasi inutilità.
7. Gli obblighi di segnalazione e conservazione
Gli obblighi di collaborazione non variano rispetto a quelli attuali[20]. La nuova Direttiva dispone infatti che gli Stati membri prescrivono che i soggetti obbligati e, se del caso, i loro amministratori e dipendenti collaborino pienamente, provvedendo tempestivamente ad: a) informare la UIF di propria iniziativa, anche tramite segnalazione, quando il soggetto obbligato sa, sospetta o ha motivo ragionevole di sospettare che i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengono da attività criminose o sono collegati al finanziamento del terrorismo e rispondendo tempestivamente, in tali casi, alle richieste di informazioni ulteriori da parte della UIF; b) fornire alla UIF, direttamente o indirettamente, su sua richiesta, tutte le informazioni necessarie secondo le procedure previste dalla legislazione vigente[21].
Le raccomandazioni riviste del GAFI dimostrano che, per poter cooperare pienamente e soddisfare rapidamente le richieste di informazioni da parte delle autorità competenti al fine di prevenire, individuare o investigare su attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, i soggetti obbligati dovrebbero conservare, per almeno cinque anni, le necessarie informazioni ottenute mediante misure di adeguata verifica della clientela e le registrazioni delle operazioni.
Al fine di, da un lato, evitare approcci diversi e, dall’altro, ottemperare alle prescrizioni in materia di protezione dei dati personali e di certezza del diritto, la quarta Direttiva ha ritenuto opportuno fissare tale periodo di conservazione a cinque anni dalla fine del rapporto d’affari o dell’operazione occasionale. Tuttavia, se necessario per prevenire, individuare o investigare in merito ad attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, e dopo aver effettuato una valutazione in merito alla necessità e proporzionalità, gli Stati membri dovrebbero poter autorizzare un periodo ulteriore di conservazione dei dati, non superiore ad un periodo supplementare di cinque anni, fatto salvo il diritto penale nazionale in materia di prove applicabili alle indagini penali e ai procedimenti giudiziari in corso.
Conformemente a quanto appena sostenuto, l’articolo 40 della IV Direttiva prevede che gli Stati membri stabiliscono che i soggetti obbligati conservino i documenti e le informazioni seguenti, in conformità al diritto nazionale, al fine di prevenire, individuare e indagare da parte della FIU o di altra autorità competente su eventuali attività di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo: a) per quanto riguarda l’adeguata verifica della clientela, la copia dei documenti e delle informazioni che sono necessari per soddisfare gli obblighi di adeguata verifica della clientela stessa ai sensi del capo II, per un periodo di cinque anni dalla cessazione del rapporto d’affari con il cliente o successivamente alla data di un’operazione occasionale; b) le scritture e le registrazioni delle operazioni, consistenti nei documenti originali o in copie aventi efficacia probatoria nei procedimenti giudiziari in base al diritto nazionale, che sono necessarie per identificare l’operazione, per un periodo di cinque anni dalla cessazione di un rapporto d’affari con il cliente o successivamente alla data di un’operazione occasionale. Alla scadenza del periodo di conservazione di cui al primo comma, gli Stati membri provvedono affinché i soggetti obbligati cancellino i dati personali, salvo disposizione contraria del diritto nazionale che determina le situazioni in cui i soggetti obbligati continuano o possono continuare a conservarli. Gli Stati membri possono autorizzare o prescrivere un periodo più lungo di conservazione dopo aver effettuato una valutazione accurata della necessità e della proporzionalità di tale ulteriore conservazione e aver considerato che questa è giustificata in quanto necessaria al fine di prevenire, individuare o investigare su attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Tale ulteriore periodo di conservazione non eccede ulteriori cinque anni.
È essenziale che l’allineamento delle presente direttiva alle raccomandazioni riviste dal GAFI sia effettuato in piena conformità con il diritto dell’Unione, in particolare per quanto riguarda la legislazione dell’Unione in materia di protezione dei dati e la tutela dei diritti fondamentali quali sanciti dalla Carta. Alcuni aspetti dell’attuazione della presente direttiva comportano la raccolta, l’analisi, la conservazione e la condivisione dei dati.
Tale trattamento dei dati personali, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali, dovrebbe essere consentito esclusivamente per gli scopi definiti nella direttiva de qua e le attività previste da essa, tra cui l’adeguata verifica della clientela, il controllo costante, le indagini e le segnalazioni delle operazioni anomale e sospette, l’identificazione dei titoli effettivi di persone giuridiche o di istituti giuridici, l’identificazione delle persone politicamente esposte, la condivisione di informazioni tra le autorità competenti e la condivisione di informazioni tra gli enti creditizi e gli istituti finanziari ed altri soggetti obbligati.
La raccolta e il successivo trattamento di dati personali da parte dei soggetti obbligati dovrebbero essere limitati a quanto necessario per conformarsi alle prescrizioni della presente direttiva, senza un ulteriore trattamento dei dati personali che sia incompatibile con gli scopi suddetti. In particolare, occorre vietare categoricamente l’ulteriore trattamento dei dati personali a fini commerciali.
8. Il nuovo impianto sanzionatorio
L’ultima parte della nuova Direttiva, probabilmente tra le più delicate, è riservata alle sanzioni. L’importanza di combattere il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo ha indotto l’Italia a prevedere sanzioni e misure amministrative effettive, proporzionate e dissuasive in caso di inosservanza della relativa normativa[22].
Tuttavia, attualmente vige negli Stati membri una gamma differenziata di sanzioni e misure amministrative per violazioni delle vigenti disposizioni fondamentali di natura preventiva. Tale diversità potrebbe pregiudicare gli sforzi compiuti per contrastare il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo e la risposta dell’Unione rischia di essere frammentaria.
La presente direttiva si è dunque proposta il delicato compito di fornire una gamma di sanzioni e misure amministrative a disposizione degli Stati membri, quanto meno per violazioni gravi, reiterate o sistematiche degli obblighi relativi alle misure di adeguata verifica della clientela, conservazione dei documenti, segnalazione delle operazioni sospette e controlli interni dei soggetti obbligati.
Tale gamma di misure appare essere sufficientemente ampia da consentire agli Stati membri e alle autorità competenti di tener conto delle differenze tra i diversi soggetti obbligati, in particolare, tra enti creditizi ed istituti finanziari e soggetti obbligati di altro tipo, in termini di dimensioni, caratteristiche e natura delle attività.
Nel recepimento della presente direttiva, gli Stati membri dovranno assicurare che l’imposizioni di sanzioni e misure amministrative in conformità con la stessa e di sanzioni penali in conformità con il diritto nazionale non violi il principio del ne bis in idem.
Tanto premesso, l’art. 59 della Direttiva prescrive una gamma di sanzioni e misure amministrative che gli Stati membri dovranno assicurare in caso di violazioni gravi, reiterate, sistematiche degli obblighi di adeguata verifica della clientela, segnalazione di operazioni sospette, conservazione dei documenti, controlli interni. In tali casi, la direttiva prevede quantomeno: a) la pubblicità alle sanzioni; b) ordine alla persona fisica o giuridica responsabile della violazione di porre termine al comportamento sanzionato e di astenersi dal ripeterlo; c) ove un soggetto obbligato sia soggetto ad autorizzazione, la revoca o sospensione dell'autorizzazione; d) interdizione temporanea dall'esercizio di funzioni dirigenziali per le persone con compiti dirigenziali in un soggetto obbligato ritenute responsabili della violazione, o per qualsiasi altra persona fisica ritenuta responsabile della violazione; e) sanzioni amministrative pecuniarie massime pari almeno al doppio dell'importo dei profitti ricavati grazie alla violazione, quando tale importo può essere determinato, o pari almeno a 1.000.000 euro.
L’art. 59 al comma 3 prevede specifiche sanzioni per enti creditizi o un istituti finanziari. Nel caso di entità giuridiche:
- sanzioni amministrative pecuniarie massime pari almeno a 5.000.000 euro o al 10 % del fatturato complessivo annuo [23] in base agli ultimi bilanci disponibili approvati dall'organo di gestione.
Nel caso di persone fisiche:
- sanzioni amministrative pecuniarie massime pari almeno a 5.000.000 euro o, negli Stati membri la cui moneta non è l'euro, il valore corrispondente nella valuta nazionale alla data del 25 giugno 2015.
9. Conclusioni
La peculiarità del riciclaggio, e la sua proiezione oltre i confini nazionali, spiega l’articolata produzione normativa, internazionale e non, che negli ultimi decenni ha caratterizzato la prevenzione e la repressione del fenomeno de quo. In questo quadro s’inserisce la neonata quarta direttiva. Da quest’ultima è facilmente deducibile la piena presa di coscienza dell’importanza di un approccio transnazionale al fenomeno.
Pienamente condivisibile, oltre il già citato ampliamento dell’ambito di applicazione della direttiva, è la consapevolezza assunta circa l’importanza dell’adozione di un approccio sovranazionale unitario in relazione al rischio di riciclaggio.
Infatti, la terza direttiva, circa l’obbligo semplificato di adeguata verifica, si è rilevata eccessivamente permissiva, con la completa esenzione di alcune categorie di clienti od operazioni dagli obblighi in discorso. Le nuove disposizioni, benché non rappresentino per il nostro Paese un vero stravolgimento, considerato che la normativa italiana vigente già è uniformata in tal senso, da un lato, irrigidiranno gli obblighi di monitoraggio su persone considerate a rischio di corruzione e su determinati settori economici e, dall’altro, detterà procedure semplificate per chi presenta un basso rischio di riciclaggio. La direttiva sembra riconoscere – finalmente - che l’uso di un approccio basato sul rischio costituisce un modo efficace di individuare e mitigare i rischi per la stabilità del sistema finanziario e dell’economia nel suo insieme nell’area del mercato interno.
Inoltre, la normativa approvata – allo scopo di accrescere la trasparenza in merito alla proprietà delle società e dei trust, nonché di fornire alle autorità strumenti efficaci per la lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo – introduce come detto in tutti i Paese appartenenti alla Ue un registro centralizzato di informazioni riguardo alla proprietà effettiva. Pertanto, entro il mese di giugno del 2017, i Paesi aderenti dovranno dotarsi di un registro centrale che conterrà i dati sui beneficiari di fondi fiduciari e altro strumenti finanziari, sulle transazioni di alto valore e altre informazioni sensibili. Anche in tal caso si tratta, come ovvio, di una novità di non poco rilievo, ma che si auspica non porterà con sé troppe perplessità. Infatti, detto registro sarà accessibile non solo alle autorità competenti nazionali ed europee, ma anche a chi dimostra di avere un interesse legittimo ad ottenere tali informazioni; “legittimo interesse” che quindi necessiterà di ulteriori chiarimenti.
Altre disposizioni sono state invece dedicate alla tracciabilità del trasferimento di fondi, ritenuta di particolare importanza per la prevenzione, individuazione ed accertamento di condotte di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. A differenza dell’attuale regolamentazione, che già obbliga i fornitori di servizi di pagamento a richiedere informazioni sull’ordinante, il nuovo testo prevede la raccolta di informazioni anche sul beneficiario. Secondo la nuova direttiva, l’Autorità Centrale delle Banche Europee, l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali nonché l’Autorità Europea sugli strumenti finanziari e sui mercati saranno chiamate ad emanare linee guida sui requisiti e modalità per poter effettuare il trasferimento di fondi anche in ipotesi di informazioni mancanti o incomplete sul pagatore o beneficiario.
Le disposizioni contenute nel nuovo documento, anche se destinate a sostituire integralmente la direttiva precedente, non sembrano sostanzialmente mutare l’impianto della disciplina vigente.
L’approvazione della direttiva in sede politica è stata accompagnata da importanti “dichiarazioni” formulate da alcuni Stati membri, dalla Commissione e dal Consiglio europeo. In particolare, a seguito delle minacce provenienti dal terrorismo di matrice islamica, dette dichiarazioni sottolineano la necessità di applicare con efficacia e rapidità le nuove disposizioni della direttiva, mettendo in evidenza l’esigenza di rafforzare i poteri e la collaborazione delle FIU, di individuare i rischi di terrorismo a livello sovranazionale, di applicare le sanzioni economiche di congelamento. Ora tocca agli Stati membri, i quali avranno ora due anni per trascrivere la direttiva antiriciclaggio nei loro ordinamenti nazionali.
Mentre scrivo, il Consiglio dei Ministri italiano del 10 settembre ha approvato lo schema di legge comunitaria, che recepisce anche quella sin qui commentata. Vengono ripresi i principi sopra enunciati, in buona sostanza, con un approccio pienamente aderente a quanto richiesto in sede UE.
Confido nell’attuazione “ragionata” più che sulla previsione “tout court”. In special modo, alle Authority deputate la raccomandazione di guardare al mercato come destinatario di norme non eccessivamente gravose.
Prof. Avv. Ranieri Razzante
Docente di Legislazione antiriciclaggio - Università di Bologna
[1] R. Razzante, La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Giappichelli, 2011, pag. 36 ss.
[2] Per una approfondita disamina del riciclaggio come fenomeno transnazionale e della sua fisionomia in fieri si rimanda a R. Razzante (a cura di), Il Riciclaggio come fenomeno transnazionale: normative a confronto, Giuffrè, 2014.
[3] Banca d’Italia, Rapporto annuale dell’Unità di Informazione Finanziria, n.7, maggio 2015, Roma.
[4] Da ultimo, più in generale, R. Razzante e G. Tartaglia Polcini, I danni conseguenza del terrorismo di matrice islamica, in Gnosis, 2/2015, pag. 64 - 73.
[5] Il riferimento è alle Direttive: 91/308/CEE, 2001/97/CE nonché alla Terza Direttiva, ancora in vigore, 2005/60/CE. Sul punto si rimanda a R. Razzante, (a cura di), Riciclaggio internazionale e normativa di contrasto:gli effetti sul sistema imprese, Alter ego, 2015, pag. 29 ss., nonché M. Carbone, M. Tolla, Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio, Caccucci, Bari, 2010, pag. 144 ss.
[6] Per un approfondimento della prima Direttiva antiriciclaggio si rimanda a: C. F. Grosso, Frode fiscale e riciclaggio: nodi centrali di politica criminale nella prospettiva comunitaria, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1992, pag. 1227 ss.; F. Lombardini, La lotta contro il riciclaggio: la direttiva europea del 10 giugno 1991 e l’esperienza svizzera, in Cass. Pen. n. 1637, 1993; A. De Guttry, F. Pagani, La cooperazione tra gli Stati in materia di confisca dei proventi da reato e lotta al riciclaggio, Cedam. 1995, pag. 300 ss.; L. Ferola, Il riciclaggio dei proventi illeciti nel diritto internazionale, Giuffré, 2005, pag. 232 ss.
[7] Così L. Zitiello, La normativa antiriciclaggio: i riflessi sulle attività degli intermediari, in Le Società, 1996, pag. 638.
[8] Il riferimento è alla frode, corruzione, ovvero a qualsiasi altro reato che possa generare proventi e sia punibile con dure pene detentive in base al diritto penale dello Stato membro.
[9] Venivano dunque individuati tra i destinatari della normativa: i revisori contabili esterni, i consulenti tributari, gli agenti immobiliari, i commercianti di pietre o metalli preziosi o opere d’arte, le case d’asta, le case da gioco, i notai, gli avvocati, nonché tutti quei soggetti coinvolti in operazioni di compravendita immobiliare, apertura o gestioni di conti bancari, o libretti di deposito.
[10] P. Ciani, G. Marchese, La politica europea in materia di riciclaggio e reati finanziari, in Riv. G.d.F., 2002, pag. 13 ss.
[11] Sul punto si rimanda a M. Carbone – M. Tolla, Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio, Cacucci, 2010, pag. 144; R. Razzante (a cura di), Riciclaggio internazionale e normativa di contrasto:gli effetti sul sistema imprese, op. cit., pag.46.
[12] Per un approfondimento si veda G. Tramontano, La Terza Direttiva antiriciclaggio e obblighi per i professionisti, in Riv. Scuola Sup. econ. e fin., 1° marzo 2006.
[13] A. Balsamo, La destinazione delle somme di denaro fa scattare il finanziamento del terrore, in Guida dir., n. 1, 2006, pag. 37 ss.
[14] Così R. Razzante, I. Borrello, L. La Rocca, La necessità di un approccio multidisciplinare al “fenomeno riciclaggio”, in R. Razzante (a cura di), Il Riciclaggio come fenomeno transnazionale: normative a confronto, op. cit., pag. 6.
[15] In argomento si rimanda a R. Razzante, I singoli adempimenti, in R. Razzante, M. Arena, G. Imbergamo, Manuale operativo delle sanzioni nella legislazione antiriciclaggio italiana. Norme incriminatrici e sanzionatorie. Strategie difensive e processuali, Giappichelli, 2011, pag. 18 ss.
[16] Per un approfondimento sul tema si veda R. Razzante, La nuova fisionomia del delitto di corruzione nel diritto italiano, in R. Razzante, La nuova regolamentazione anticorruzione, Giappichelli, 2015, pag. 2 ss.
[17] Si veda J. Geary, PEP’s – let’s get serious, in Journal of Money Laundering Control, vol. I, n. 2, 2010, pag. 103 ss.
[18] In argomento si veda R. Cercone, La regolamentazione della Banca d’Italia in materia di adeguata verifica, registrazione e organizzazione, in G. Castaldi, G. Conforti (a cura di), Manuale antiriciclaggio. Adeguata verifica della clientela, Segnalazione di operazioni sospette, Archivio unico informatico, Bancaria editrice, 2013, pag. 175 ss.
[19] R. Razzante, I singoli adempimenti, in R. Razzante, M. Arena, G. Imbergamo, Manuale operativo delle sanzioni nella legislazione antiriciclaggio italiana. Norme incriminatrici e sanzionatorie. Strategie difensive e processuali, op. cit., pag. 27.
[20] Per un approfondimento su tale obbligo si veda M. Carbone, M. Tolla, Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio, op. cit., pag. 190.
[21] Per una disamina dell’obbligo di segnalazione di operazioni sospette previsto dal D.lgs. 231/2007 si veda R. Razzante, Segnalazione di operazioni sospette e anomalie del mercato, in Gnosis, n. 4, 2010.
[22] Per una visione d’insieme delle sanzioni penali ed amministrative previste nell’ordinamento italiano si rimanda a R. Razzante, M. Arena, G. Imbergamo, Manuale operativo delle sanzioni nella legislazione antiriciclaggio italiana. Norme incriminatrici e sanzionatorie. Strategie difensive e processuali, op. cit., pag. 57 ss.
[23] Se soggetto obbligato è un'impresa madre o una filiale di un'impresa madre che è tenuta a preparare bilanci finanziari consolidati conformemente all'articolo 22 della Direttiva 2013/34/UE, il fatturato da considerare è il fatturato complessivo annuo, o il tipo di reddito corrispondente, in conformità delle pertinenti direttive contabili, risultante negli ultimi bilanci consolidati disponibili approvati dall'organo di gestione dell'impresa madre a