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Magistratura Indipendente

CIVILE  

La nuova produttività del giudice civile e la valorizzazione delle definizioni alternative alla sentenza[1]

  Civile 
 sabato, 17 dicembre 2016

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Valeria Spagnoletti, Giudice Tribunale Bari – R.I.D. settore civile Distretto Corte Appello Bari, già MAG. RIF. per l’informatica Tribunale Bari

 
 

 

La nuova produttività del giudice civile e la coerenza con il dato normativo

I più recenti interventi normativi in tema di giustizia civile sono stati invariabilmente accomunati da un dichiarato intento di accelerazione e deformalizzazione del processo, funzionale agli obiettivi, individuati come prioritari, di riduzione dell’arretrato e ragionevole durata dei procedimenti.

Il legislatore ha scelto, in tale ottica, di modificare profondamente anche la struttura della fase decisoria del processo civile, non soltanto incentivando la redazione di sentenze con struttura semplificata e motivazione sintetica, ma anche assoggettando una quota sempre crescente di pronunce giurisdizionali definitorie a modelli provvedimentali alternativi alla sentenza (in particolare, ordinanze)[2].

Benchè il semplice cambiamento della forma richiesta per la pronuncia giurisdizionale non abbia, evidentemente, alcuna incidenza sull’impegno richiesto al magistrato per lo studio del fascicolo e la stesura della motivazione, i provvedimenti c.d. “alternativi” alla sentenza non risultano analiticamente e distintamente censiti a livello statistico: i principali prospetti statistici oggetto di elaborazione, infatti, pur a fronte dei richiamati mutamenti normativi, continuano a contemplare quasi esclusivamente le sentenze, così cristallizzando una rappresentazione tutt’altro che esaustiva della quantità di lavoro svolta dal magistrato e della sua produttività complessiva.

A ciò si aggiunga che, ormai da alcuni anni, il legislatore ha scelto di valorizzare e promuovere, in funzione deflativa dell’ingente arretrato di cause civili, la figura del giudice-conciliatore, codificando l’istituto processuale della proposta conciliativa endoprocessuale attraverso l’art. 185 bis c.p.c. (che trova il suo omologo nell’art. 420, co. 1, c.p.c. per il rito del lavoro).

Orbene, è evidente come, anche in tal caso, il giudice dovrà dedicare tempo e risorse allo studio del fascicolo, nella prospettiva di una sua integrale definizione, riveniente dall’adesione delle parti ad una proposta conciliativa che, indipendentemente dal suo essere diffusamente motivata, avrà tante più possibilità di essere accettata quanto più sarà congrua, ragionata ed equilibrata rispetto alle contrapposte posizioni delle parti, oltre che aderente alle già acquisite emergenze processuali: eppure, anche  di tali provvedimenti, specie ove seguiti non da una conciliazione giudiziale, ma dall’abbandono del giudizio ex artt. 309-181 c.p.c., non resta significativa traccia nelle statistiche ufficiali del lavoro svolto.

Orbene, non può dubitarsi che tutti i provvedimenti sin qui citati, benché emessi in forma di ordinanza, siano del tutto sovrapponibili ad una sentenza per funzione definitoria ed oneri di studio e/o motivazionali, e siano dunque meritevoli di apprezzamento e valutazione nell’ambito del complessivo lavoro svolto dal giudice civile; né appare congruo che una parte ormai rilevantissima del lavoro del magistrato, peraltro contraddistinto da un effetto interamente definitorio dei giudizi pendenti, alla stessa stregua che se venisse pronunciata una sentenza, sfugga ad una possibilità di piena cognizione e ragionato apprezzamento, confluendo in maniera indifferenziata all’interno della macro-categoria degli “altri provvedimenti”[3] ovvero degli “altrimenti definiti”[4].

Del resto, in assenza di una ricognizione sistematica ed ufficiale delle predette modalità di definizione non è affatto agevole estrapolare i relativi dati e conseguirne un’adeguata valorizzazione: se, infatti, i prospetti statistici comparati redatti ed acquisiti ai fini della valutazione di professionalità contemplano perlopiù solo le sentenze, ogni ricognizione di provvedimenti di diversa natura resta di fatto rimessa all’iniziativa del singolo magistrato in sede di autorelazione, peraltro in assenza della predisposizione periodica di un prospetto statistico comparato ed omogeneo avente funzione certificativa.

Produttività e valutazione di professionalità

L’esigenza di prendere in considerazione altri provvedimenti definitori, assimilabili alle sentenze, è da tempo avvertita, ma è spesso destinata a scontrarsi con la difficoltà conclamata di disporre di rilevazioni statistiche realmente esaustive, attendibili ed uniformi su tutto il territorio nazionale; tuttavia, non può ulteriormente prescindersi da una rilevazione capillare delle definizioni alternative alla sentenza, né appare più rinviabile l’effettiva valorizzazione dell’attività definitoria nel suo complesso, quantomeno nell’attuale contesto caratterizzato da sempre più penetranti verifiche della produttività del giudice, legate alla predisposizione di obiettivi prioritari prefissati[5] e di standards generali, precostituiti e – tendenzialmente – omnicomprensivi di rendimento.

Ai fini delle valutazioni quadriennali di professionalità, è infatti espressamente previsto[6] che il parametro della laboriosità sia riferito “alla produttività, intesa come numero e qualità degli affari trattati in rapporto alla tipologia degli uffici e alla loro condizione organizzativa e strutturale, ai tempi di smaltimento del lavoro, nonché all'eventuale attività di collaborazione svolta all'interno dell'ufficio, tenuto anche conto degli standard di rendimento individuati dal Consiglio Superiore della Magistratura, in relazione agli specifici settori di attività e alle specializzazioni”; ne consegue che uno degli elementi cui riferire la valutazione di laboriosità del magistrato, alla luce del peculiare concetto quali-quantitativo di produttività, è costituito da standard di rendimento individuali, la cui determinazione è affidata, in via esclusiva, al CSM.

Nel quadro della complessiva rimeditazione delle fonti e dei parametri da utilizzare in sede di valutazione di professionalità, il CSM si è pure espresso nel senso della necessità di inclusione, nei prospetti statistici del lavoro svolto dal magistrato, oltre che dei provvedimenti d’urgenza, possessori, cautelari e di inibitoria, anche delle ordinanze di cui all’art. 702 ter c.p.c. e 348 bis c.p.c.[7].

Tuttavia, in materia di standard di rendimento[8], pare essere stata ribadita la tradizionale distinzione tra procedimenti “definiti con sentenza” ed “altrimenti definiti” [9]; senza contare che il dato relativo agli “altrimenti definiti”  sembra allo stato emergere in collegamento con l’indicatore di valutazione della durata e dell’anzianità mediana dei processi piuttosto che trovare congrua espressione nel dato definitorio in senso stretto (nel cui ambito le c.d. “variabili di laboriosità” sono apparentemente sviluppate con esclusivo riferimento alle “definizioni con sentenza”).

Al contempo, anche ove, ai fini della valutazione di professionalità, sia prescritta[10] la ricognizione dei procedimenti conciliati, essendo la tracciabilità attualmente limitata alle controversie definite tramite verbale di conciliazione, è di tutta evidenza come il dato sia largamente carente e non esaustivo, avuto riguardo all’ingente quota di procedimenti civili che, a seguito di definizione bonaria, vengono semplicemente abbandonati dalle parti ex artt. 309-181 c.p.c.  

Eppure, l’attività conciliativa del giudice, ormai espressamente codificata dal diritto positivo, può fornire utili spunti non soltanto per l’apprezzamento degli indici di laboriosità, ma pure per la valutazione della capacità organizzativa nella gestione del ruolo[11], del parametro dell’impegno e di quello dell’aggiornamento professionale[12]. 

In definitiva, non pare siano stati ancora messi in campo adeguati strumenti in vista di una sintesi e di una sinergia tra il profilo tecnico-statistico e quello normativo, idonei a garantire la differenziazione e la valorizzazione del c.d. “lavoro al nero” [13], come “parametro equitativo di fondo in riferimento alle più ampie problematiche dell’individuazione del rendimento dei magistrati e del c.d. carico esigibile” [14].

Del resto, l’auspicabile ampliamento delle fonti di conoscenza sul lavoro oggettivo svolto dal magistrato, ai fini di un apprezzamento della sua produttività che ne valorizzi la specificità professionale, non può in alcun modo prescindere da un maggiore dettaglio nell’elaborazione statistica delle definizioni, ora più che in passato concretamente accessibile e verificabile grazie all’implementazione di sistemi informatici ministeriali – come il SICID – su tutto il territorio nazionale ed alle utilità avanzate – ed ulteriormente migliorabili, attraverso opportune modifiche evolutive – offerte dagli applicativi del PCT.

Una svolta nella direzione dell’abbandono di un’ormai anacronistica logica fondata sulla corrispondenza biunivoca tra produttività e numero di sentenze, in favore di una coerente valorizzazione delle definizioni alternative, appare necessaria anche al fine di evitare un effetto disincentivante sul magistrato, in controtendenza con le scelte di politica legislativa; in altre parole, continuare ad incentrare l’apprezzamento della produttività individuale unicamente – o in via preferenziale – sul mero dato numerico delle sentenze è un’opzione che reca in sé il rischio ineliminabile di penalizzare ingiustificatamente – e forse persino demotivare – proprio quei magistrati che, concentrandosi sull’obiettivo delle definizioni complessive, riescano a conseguire proficui risultati sotto il profilo dell’abbattimento dell’arretrato e della durata dei procedimenti, piuttosto che sotto quello del mero raggiungimento o superamento di una soglia numerica di sentenze immediatamente apprezzabile in chiave statistica tradizionale.

Produttività e programmi di gestione.

Il ripensamento della logica di valutazione della produttività dovrebbe poi, per evidenti ragioni di coerenza del sistema, investire anche l’elaborazione dei programmi di gestione[15], nella prospettiva di un auspicabile allineamento dei dati e dei parametri della produttività individuale con quella complessiva dell’ufficio.

Anche in quest’ultimo contesto, appare di stringente attualità l’esigenza di tenere conto, nell’interpretazione dei flussi e nella determinazione dei carichi esigibili, anche delle sempre più numerose – e perciò, verosimilmente, di non trascurabile, ed anzi crescente, incidenza statistica – definizioni alternative alla sentenza, che, quindi, dovrebbero rientrare a pieno titolo ad integrare il numero delle definizioni previste per ciascun magistrato appartenente all’ufficio giudiziario, specie sotto il profilo del carico esigibile per il quadriennio cui il programma si riferisce[16].

Tanto vieppiù ove si tenga nella giusta considerazione il progressivo e fisiologico mutamento[17] della composizione qualitativa dei carichi di lavoro dell’ufficio giudiziario e, correlativamente, delle tipologie di definizione, con una prevedibile sempre maggiore incidenza numerica delle ordinanze a discapito delle sentenze.

L’attendibilità di tale previsione è ulteriormente rafforzata dalle recenti restrizioni introdotte in tema di indennizzo da irragionevole durata del processo (c.d. legge Pinto[18]), che lasciano presumere un ulteriore e notevole incremento dei flussi in ingresso dei procedimenti sommari ex art. 702 bis c.p.c., e, di conseguenza, una verosimile flessione nel medio-lungo periodo delle cause da definire con sentenza rispetto a quelle da definire con ordinanza[19].

D’altro canto, la sostanziale imprevedibilità dal punto di vista numerico dei procedimenti definibili ex art. 702 ter c.p.c.[20] ed ancor più ex art. 348 bis c.p.c.[21], non consente, in sede di elaborazione del programma di gestione, una differenziazione a priori della c.d. “quota di definizioni esigibile” per distinte categorie provvedimentali, neppure prendendo a parametro il dato statistico[22] del periodo precedente, potendosi solo fare riferimento, in una sede fisiologicamente prognostica, qual è quella di fissazione degli obiettivi e dei carichi esigibili, alla loro cifra complessiva.  

L’alternativa concreta ad una rappresentazione della produttività dell’ufficio limitata alla sola quota prevedibile di definizioni con sentenza – nella consapevolezza, però, in quest’ultimo caso, di un fisiologico e progressivo abbassamento del target  – non può che essere costituita dalla soluzione di indicare, quale livello di definizioni annuali esigibili dai magistrati, una cifra da intendersi comprensiva delle sentenze, così come degli altri provvedimenti interamente definitori, o quantomeno di quelli comportanti analogo impegno in termini di studio e sforzo motivazionale  (ordinanze ex art. 702 ter c.p.c.; ex art. 348 bis c.p.c.; ex art. 279 c.p.c.; ex art. 1, comma 47, l. n. 92/2012; ordinanze cautelari in genere; etc.).

Sotto altro profilo, appare utile valorizzare, anche ai fini della produttività dell’ufficio, l’incidenza sulle definizioni complessive delle conciliazioni endoprocessuali, attraverso una rilevazione statistica mirata, in grado di evidenziare correttamente ogni ricaduta positiva in termini di riduzione delle pendenze di più risalente iscrizione a ruolo, in consonanza con le recenti indicazioni ministeriali di cui alla c.d. “metodologia Strasburgo”; e tanto specialmente in tutte quelle ipotesi in cui il modulo della conciliazione endoprocessuale venga adottato dall’ufficio giudiziario quale vera e propria “buona prassi organizzativa”[23], orientata al contenimento dei tempi di durata media dei procedimenti ed allo smaltimento dell’arretrato.

Prospettive di evoluzione dei sistemi informatici ministeriali ed esaustività del dato statistico: l’esperienza della B.D.D.C.[24]

La riflessione complessiva sulla nuova produttività del giudice civile può oggi giovarsi dell’ausilio di tutte le opportunità offerte dai sistemi informatici ministeriali, già disponibili ed utilizzabili in modo diffuso ed omogeneo presso gli uffici giudiziari di tutto il territorio nazionale, e suscettibili di ulteriore implementazione anche come estrattori statistici avanzati, attraverso lo sviluppo delle utilità già accessibili lato SICID e lato consolle  (basti pensare al c.d. controllo di gestione del “cruscotto” ed ai relativi filtri “per oggetto”).

In tale ottica, appare, però, auspicabile l’adozione di opportune modifiche evolutive[25] del  SICID e della consolle del magistrato, al fine di adeguare i “tipi di evento”, predeterminati dal sistema informatico, alla varietà, tipizzata dal legislatore, di riti e di provvedimenti definitori alternativi alla sentenza, così da consentire un censimento informatico immediato ed attendibile del lavoro giudiziario “aggiuntivo”, valorizzabile in chiave di produttività sia individuale, sia dell’ufficio.

L’estrazione di una statistica più esaustiva, perchè “arricchita” di una notevole mole di attività giurisdizionale che allo stato sfugge ad una compiuta rilevazione, consentirebbe non solo di apprezzare nella sua giusta dimensione la produttività complessiva in ambito civile, ma anche di disporre di un patrimonio di dati condivisi, perché sempre consultabili anche dal singolo magistrato in valutazione e dal singolo dirigente dell’ufficio giudiziario per l’elaborazione del programma di gestione; al contempo, si porrebbero le premesse per riportare a coerenza l’intero sistema, allineando i “tipi di evento” censiti sui registri informatici con la varietà di opzioni processuali introdotte dalle ultime riforme normative, consentendo, oltretutto, la concreta verifica dell’efficacia dei nuovi istituti giuridici rispetto all’obiettivo dichiarato di deflazione del contenzioso giurisdizionale ed abbattimento della durata media dei processi.

In tale prospettiva, si colloca l’esperienza maturata dal Tribunale di Bari ed esportabile presso altri uffici giudiziari con la diffusione del Progetto “Ufficio del Processo, Ragionevole Durata e Best Practice Conciliativa”[26]: nel più ampio quadro della buona prassi conciliativa sottesa al Protocollo distrettuale[27], si è avviata[28] in via sperimentale una rilevazione statistica mirata dell’incidenza delle ordinanze ex art. 185 bis c.p.c. sulle definizioni del contenzioso civile, idonea a consentire una prima valutazione su base locale della concreta applicazione ed efficacia del nuovo strumento processuale della proposta conciliativa del giudice[29].

In attesa della creazione dello specifico “evento di sistema 185 bis”[30] è stata adottata una soluzione provvisoria[31], consistente nell’annotazione nel fascicolo informatico, a cura della Cancelleria, della voce omogenea ed univoca “art. 185 bis”, annotazione che consente, a seguito di un’interrogazione del sistema con ricerca per “parole chiave”, un censimento informatico con cadenza trimestrale delle ordinanze ex art. 185 bis c.p.c. emesse e, correlativamente, dei procedimenti definiti a seguito dell’espletamento di tale incombente processuale, quale che sia la forma di definizione[32].

Uno degli obiettivi che si propone il monitoraggio è quello di garantire un’effettiva differenziazione del dato statistico “neutro”, relativo al numero complessivo di procedimenti cancellati, estinti o abbandonati, mediante un’estrapolazione ragionata ed attendibile, dal totale delle definizioni, di tutte quelle non casuali, ma direttamente ed interamente riconducibili all’attività conciliativa del magistrato; e tanto nella consapevolezza che, attraverso l’adozione uniforme su tutto il territorio nazionale, con modalità automatizzate[33], di un sistema di rilevazione delle proposte conciliative e di monitoraggio dei procedimenti in cui il giudice le ha emesse, si potrebbe conseguire agevolmente il risultato di recuperare in chiave statistica un’attività di natura comunque giurisdizionale, allo stato sostanzialmente priva di riscontro e di rendicontazione.

L’individuazione di una soluzione tecnica, verosimilmente praticabile tramite un semplice adeguamento dei sistemi informatici in utilizzo, costituisce il presupposto dell’espresso riconoscimento e della corretta valorizzazione, in sede di valutazione di professionalità, non solo dell’attività conciliativa del giudice, ma, più in generale, di tutte le pronunce definitorie emesse in forma diversa dalla sentenza, in vista della piena equiparazione tra produttività desumibile dalla sentenza e produttività che, benché cristallizzata in un diverso esito definitorio del giudizio, appare espressione di analoga profusione di risorse e di professionalità: e ciò tanto nell’ottica della produttività individuale del magistrato, quanto di quella dell’intero ufficio giudiziario.


[1] Testo dell’intervento svolto all’ Incontro di approfondimento su tematiche organizzative degli uffici giudiziari, Praia a Mare (CS), 1° ottobre 2016.
[2] Basti pensare alle ordinanze conclusive dei procedimenti instaurati con i cc.dd. “rito sommario di cognizione” – artt. 702 bis e ss. c.p.c. e “rito Fornero” - art. 1, comma 47, l. n. 92/2012 -; all’ordinanza c.d. “filtro in appello” - art. 348 bis c.p.c. -; all’ordinanza con la quale, a mente del nuovo art. 279 c.p.c., nel testo modificato dall’art. 46, l. n. 69/2009, deve essere adottata ogni pronuncia declinatoria della competenza.
[3] Confondendosi in tal modo con decreti ed ordinanze comportanti impegno di gran lunga inferiore, quali, ad es.,  decreti di liquidazione, autorizzazioni, proroghe, ecc.
[4] Con inevitabile equiparazione delle cause abbandonate dalle parti che hanno aderito alla proposta conciliativa del giudice, recependola al di fuori del processo in una transazione stragiudiziale, alle cause che sono state, invece, cancellate o estinte per mero sopravvenuto disinteresse delle parti.
[5] Basti pensare alle recenti indicazioni ministeriali in tema di arretrato dei processi civili note come “metodologia Strasburgo” e “progetto Strasburgo  2”, reperibili sul sito istituzionale del Ministero della Giustizia, all’URL www.giustizia.it.
[6] V. l’art. 11, co. 2, lettera b), d. lgs. 5.4.2006, n. 160, come modificato dall’art. 2, co. 2, l. 30.7.2007, n. 111.
[7] Il riferimento è alle delibere del 24.7.2014 e 10.9.2014 ed alle schede statistiche per il Tribunale/Corte d’Appello (registro contenzioso) allegate, benchè con successiva delibera dell’11.3.2015 sia stato stabilito di sospendere allo stato la previsione contenuta nel Capo XIV, co. 4, della Circolare relativa ai “Nuovi criteri per la valutazione di professionalità dei magistrati” (n. 20691/2007), limitatamente al profilo della trasmissione al CSM delle nuove schede statistiche, proprio in  ragione delle significative difficoltà pratiche incontrate dagli Uffici nella compilazione delle schede, oltre che della reingegnerizzazione in corso dei sistemi informatici del CSM.
[8] Cfr. la delibera sugli standard di rendimento elaborati dal CSM per il settore civile del 23.7.2014, con particolare riferimento all’aggiornamento delle procedure di rilevazione con implementazione dell’acquisizione dei dati attraverso la datawarehouse della giustizia civile.
[9] A loro volta scomposti nelle quattro materie: convalide di sfratto, famiglia consensuale, volontaria giurisdizione e art. 101 l.f.
[10] Cfr. le medesime Circolari sopra citate.
[11] In collegamento con l’obiettivo di contenimento dei tempi di durata dei procedimenti.
[12] In rapporto all’adozione di schemi definitori del tutto inediti e produttivi di effetti virtuosi deflativi del contenzioso.
[13] E’ stato efficacemente scritto che “…stabilire con tutta esattezza il rendimento della magistratura non è cosa agevole. Se la sentenza è l’atto tipico della giurisdizione, tuttavia questa non si esaurisce sempre e soltanto in quella, giacchè sono funzione giurisdizionale, ai fini che qui interessano, oltre che provvedimenti diversi dalla sentenza, ma adottati dal giudice, anche una serie di attività che (…) mal si prestano ad essere contabilizzate”. Così G. Ferrari, Soliloquio sulla magistratura, 1984, 45, citato da A. Lepre, Standards di definizione del processo: un bivio culturale tra quantità e qualità.
[14] Cfr. A. Lepre, Standards di definizione del processo: un bivio culturale tra quantità e qualità, in cui si propone, tra l’altro, di riconoscere rilievo, ai fini del raggiungimento dello standard di rendimento individuale, anche a provvedimenti definitori diversi dalla sentenza, secondo lo schema del c.d. “portafoglio provvedimentale del giudice”, comprendente, in particolare, le ordinanze ex art. 688‐700‐702 bis‐703 c.p.c., in quanto assimilabili alle sentenze.
[15] V. l’art. 37, d.l. 6.7.2011, n. 98, conv. in l. 15.7.2011, n.111.
[16] Appare importante segnalare che, nelle more tra l’intervento al Convegno e la pubblicazione del presente contributo è intervenuta la nuova Circolare CSM n. prot. 22890/2016 del 9.12.2016 in tema di programmi di gestione dei procedimenti civili ex art. 37, D. L. n. 98/2011, che ha espressamente richiesto di tenere conto, ai fini della produttività sostenibile e del carico esigibile, di tutte le definizioni, anche diverse dalla sentenza, e dell’attività conciliativa del magistrato (punto 4).
[17] Attraverso il ricambio, dato dalla definizione dei procedimenti più risalenti, soggetti al rito ordinario di cognizione, e la progressiva sopravvenienza di procedimenti sottoposti a rito sommario di cognizione ed altri riti speciali interamente definibili con ordinanza.
[18] L. n. 89/2001, come modificata dalla l. 28.12.2015, n. 208 (c.d. Legge di stabilità 2016), ove l’introduzione del giudizio nelle forme di cui all’art. 702 bis e ss. c.p.c. e la richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario ex art. 183 bis c.p.c. sono considerati “rimedi preventivi” (art. 1 ter) che la parte proponente la domanda di equa riparazione deve dimostrare di aver tempestivamente esperito a pena di inammissibilità (art. 2).
[19] Almeno a legislazione invariata, dovendosi dare atto dell’esistenza di una nuova bozza di riforma del processo civile, prevedente, tra l’altro, la soppressione del rito sommario di cognizione e l’introduzione di un unico rito semplificato innanzi al giudice monocratico di I grado, caratterizzato dalla definizione con sentenza a verbale ex art. 281 sexies c.p.c., solo da ultimo stralciata dal c.d. “Decreto giustizia” n. 168/2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31.8.2016, intitolato “Misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di Cassazione, per l’efficienza degli uffici giudiziari nonché per la giustizia amministrativa”. 
[20] Non solo per la difficoltà di prevedere esattamente i flussi in ingresso, ma altresì per l’eventualità, non rara, che il Giudice debba mutare il rito in ordinario, ove la causa abbisogni di istruzione non sommaria, anche in relazione alle difese del resistente.
[21] Ciò in quanto l’applicabilità del meccanismo del c.d. “filtro in appello” dipende essenzialmente dal contenuto dell’atto e dei motivi di appello, interamente rimesso all’iniziativa ed alla sfera di dominio della parte.
[22] Ottenibile a seguito dell’auspicata modifica evolutiva dei sistemi informatici in utilizzo.
[23] Sul valore della proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. in una dimensione programmatica organizzativa della gestione del contenzioso, v. L. Razete, Giudice e conciliatore. L’esperienza del nuovo articolo 185 bis c.p.c., in Questione Giustizia, 1/2015, 138 ss.
[24] L’acronimo sta per Banca Dati Digitale Conciliativa.
[25] Allo stato, infatti, non risulta generalmente accessibile un’interrogazione dei singoli eventi a livello statistico, come emerso a seguito di apertura di apposito Ticket n. 15422.
[26] Il riferimento è, in particolare, al Progetto di creazione di una Banca Dati delle ordinanze ex art. 185 bis c.p.c. e di rilevazione dell’incidenza statistica della conciliazione endoprocessuale sulla definizione dei procedimenti, autorizzato dal Presidente della Corte d’Appello di Bari in data 30.11.2015 e dal Presidente del Tribunale di Bari in data 24.12.2015. In argomento, cfr. M. Delia, Il giudice e le nuove combinazioni endoprocessuali nei moduli della mediazione. Gli artt. 185 e 185 bis c.p.c., in La nuova procedura civile, 6 febbraio 2015, reperibile all’URL www.lanuovaproceduracivile.com nonché Id. Il senso della giustizia ed il valore della conciliazione, in Questione Giustizia, 8 novembre 2015, reperibile all’URL www.questionegiustizia.it; L. Fazio, La giustizia tra riforme e buone prassi: appunti sulla conciliazione, in La nuova procedura civile, 5 febbraio 2016, reperibile all’URL www.lanuovaproceduracivile.com
[27] I Protocolli del Progetto, censiti nella Banca Dati Buone Prassi del CSM ai nn. 2526 e 2671, sono disponibili e scaricabili sul sito istituzionale della Corte d’Appello di Bari, all’URL www.giustizia.bari.it, accedendo al link dell’area Buone Prassi.
[28] Con decorrenza gennaio 2016.
[29] Sul punto sia consentito rinviare a V. Spagnoletti, La banca dati conciliativa (BDDC) e la rilevazione informatica dell’incidenza dell’attivita’ conciliativa del giudice sulla definizione del contenzioso civile, 23 febbraio 2016, reperibile all’URL www.ilprocessotelematico.it
[30] Formalmente richiesto nel gennaio 2016 con apertura Ticket n. 15219.
[31] C.d. workaround.
[32] Particolarmente interessante è il dato relativo ai fascicoli definiti con estinzione e/o cancellazione della causa dal ruolo  ex artt.  309-181 c.p.c. ovvero con non luogo a provvedere (per i procedimenti cautelari o d’urgenza), in quanto del tutto irrecuperabile in chiave statistica tradizionale.
[33] Tale rilevazione, come innanzi accennato, potrebbe essere resa tecnicamente più rapida ed immediata attraverso la tipizzazione all’interno dei sistemi informatici ministeriali di un evento predeterminato ed univocamente associato agli artt. 185 bis e 420 c.p.c., lato SICID e lato consolle.

 
 
 
 
 
 

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