Sommario: Inadeguatezza del processo civile nella conflittualità familiare. La figura del coordinatore genitoriale e gli ostacoli pratici alla diffusione del relativo metodo. Genesi e funzione della coordinazione genitoriale. Connotazioni processuali dell’istituto. I compiti del coordinatore. Rapporti con la giurisdizione e con i protagonisti del processo. Conseguenze del fallimento del ricorso al coordinatore. Rapporti tra i protagonisti della coordinazione.
§- Inadeguatezza del processo civile nella conflittualità familiare.
La condivisione dell’affido della prole nell’ambito della crisi della famiglia, quando si accompagna ad una forte conflittualità tra i genitori, disvela l’insufficienza degli strumenti propri del processo civile in tale delicato settore della giurisdizione.
La Corte europea dei diritti dell'uomo[1] ha affermato che uno degli elementi fondamentali del diritto alla vita familiare è rappresentato dalla reciproca presenza, dalla continuità e dalla stabilità di relazione tra i genitori e i figli ed ha sollecitato l’Italia nel senso della necessità di predisporre ogni misura atta a garantire l’effettività di tale rapporto, sicchè la relativa conservazione rispetto ad entrambi i genitori si presume rispondente all’interesse del minore [2].
Tuttavia, l’attuazione pratica offerta dai nostri Tribunali a tale presunzione è spesso foriera di gravi criticità, quando i genitori non vogliano dismettere gli atteggiamenti di contrapposizione, reciproco discredito e svalutazione che spesso si accompagnano al fallimento della loro unione.
E’ noto, infatti, che la conflittualità tra i genitori non sia ostativa all'applicazione dell'affidamento condiviso[3] nonostante incida negativamente sull’effettiva compartecipazione alle scelte che caratterizza il regime di affidamento privilegiato.
Gli aspetti disfunzionali che ne derivano nelle famiglie appalesano l’inadeguatezza della risposta giurisdizionale rispetto alla complessità dei bisogni delle coppie conflittuali che condividono l’affido, in quanto il processo e, più in generale, la giurisdizione non sono in grado di offrire soluzioni efficaci e stabili alle corrispondenti problematiche.
Infatti, il processo, in quanto fenomeno per definizione contingente e caratterizzato da un oggetto tipico e limitato, non è in grado di intervenire nella genesi del conflitto, apprestando pertinenti risposte agli aspetti più intimi dello stesso, a tutela delle esigenze di tutti i componenti il nucleo familiare, nonostante le significative riforme intervenute nel processo di famiglia e l’incessante contributo dell’esperienza giurisprudenziale nell’adattare gli istituti civilistici tradizionali in chiave sempre più rispettosa delle esigenze dei singoli membri del disgregato nucleo familiare[4].
In particolare, ad essere penalizzata dalla pervicace conflittualità tra i genitori è in primo luogo la concreta gestione del processo che ne risente negativamente in termini di durata, di ingiustificata ed improduttiva attenzione a temi poco rilevanti nella definizione dei rapporti tra i coniugi piuttosto che ai temi centrali [5], in termini di genesi di ulteriore contenzioso, con crescente senso di insoddisfazione e di sfiducia da parte degli utenti.
L’intervento del giudice della famiglia dovrebbe essere limitato alla disamina di quelle domande che consistano nell’accertamento di un diritto soggettivo, nella regolamentazione di un rapporto giuridico o nella costituzione di uno status personale e che rientrino nel thema decidendum del processo di separazione e divorzio [6] e non estendersi a quelle istanze che, pur sostenute da un generico interesse, siano prive del contenuto sopra esposto ed estranee all’oggetto dei predetti giudizi[7].
E’ pertanto opportuno che il giudice illustri, talvolta, alle parti che non vi è coincidenza tra l’ambito del proprio intervento e quanto i genitori in conflitto intendono portare, anche insistentemente, alla sua attenzione e chiarisca quali siano gli aspetti che meritano effettivamente di essere vagliati in concreto ai fini della pronuncia, senza farsi coinvolgere nel ruolo di arbitro di ogni pretesa espressa dalle parti, quale portato della loro incapacità di comunicare e dei loro limiti nell’adottare soluzioni condivise nella gestione della crisi.
Sotto diverso profilo, la natura contingente del processo esclude che esso sia in grado di assicurare una funzione di controllo sui comportamenti dei familiari dopo la sua definizione o di conformare il loro reciproco relazionarsi, a prescindere dalle dimensioni (banali o rilevanti) del contrasto espresso nella fase di cognizione di talchè è necessario considerare con attenzione il rapporto tra tale fase e quella dell’attuazione ed interrogarsi sempre, sin dalla prima, sulla possibilità che i provvedimenti del giudice siano condivisibili e “sopportabili” nel futuro dai destinatari, specie a fronte della incoercibilità che caratterizza quelli emessi nell’ambito del processo di famiglia, i cui effetti si basano essenzialmente- pertanto- sulla compliance degli interessati [8].
I limiti testè indicati rendono evidente l’importanza di garantire ai genitori in crisi delle misure di sostegno che li portino ad interiorizzare la necessità di un mutamento di prospettiva nella futura gestione dei propri rapporti, in funzione del benessere dei figli, attraverso l’adozione, da parte del giudice della famiglia, di ogni più opportuno strumento affinché i comportamenti delle parti si conformino - per quanto possibile - alle prescrizioni individuate come rispondenti all'interesse della prole.
§- La figura del coordinatore genitoriale e gli ostacoli pratici alla diffusione del relativo metodo.
In tali ambiti di riflessione e di critica trova fondamento la coordinazione genitoriale, istituto che di recente ha trovato ingresso anche in Italia attraverso le pronunce di vari giudici di merito[9] ma alla cui diffusione ostano alcuni elementi di criticità che sono ampiamente rilevabili nella nostra realtà territoriale.
In primo luogo, le difficoltà economiche in cui si dibattono proprio le coppie genitoriali maggiormente conflittuali, a fronte della necessità di retribuire la figura professionale investita di tale pregnante ruolo che dovrà essere impegnata per un significativo lasso temporale e con un rilevante dispendio di energie e di competenze.
Ancora, un atteggiamento culturale delle coppie in crisi tendente a disconoscere o svalutare il ruolo di “estranei” che incidano sulle scelte educative riguardanti la prole- pur nella consapevolezza della sua sofferenza e del suo disagio- nella fallace convinzione della propria autosufficienza familiare e dell’assenza di bisogni nei confronti degli altri.
Infine, un sistema orientato verso la proliferazione e non già il contenimento della domanda di giustizia.
Non a caso, l’esperienza di diversi Tribunali [10]si è atteggiata nel senso di demandare -quanto meno in pendenza della causa- in tutto o in parte i compiti che altri Uffici Giudiziari hanno deferito al coordinatore familiare, ai consulenti tecnici d’ufficio, in prosecuzione del percorso di valutazione deferito a tali ausiliari, per un arco temporale contenuto, una volta accertatane l’utilità con riferimento allo specifico contesto familiare, la sostenibilità sotto il profilo economico e la condivisione dei valori sottostanti tale iniziativa da parte dei protagonisti.
In altri casi, caratterizzati da situazioni familiari particolarmente delicate nell’ambito delle quali si prende atto di una adesione al rimedio da parte degli interessati, analogo incarico è stato deferito al Servizio Sociale professionale operante presso gli Uffici Comunali; con ciò, peraltro, determinando indubbie difficoltà nella conduzione del servizio per un lasso di tempo che, inevitabilmente, eccede gli ambiti ordinari di intervento di quegli Uffici: ciò allo scopo di dare supporto alla coppia genitoriale, superando i limiti derivanti dalla relativa incapacità economica.
§- Genesi e funzione della coordinazione genitoriale
La coordinazione genitoriale è un istituto giuridico di conio giurisprudenziale, importato dall'esperienza degli ordinamenti statunitensi (Parenting Coordination) in cui si è affermato sin dagli anni ’80, pur con le difficoltà derivanti, nelle prime fasi, dalla mancanza di regole definite a livello pratico ed a livello etico.
Dal 2005, ha potuto fondarsi sulle linee guida di Association of Family and Conciliation Courts (AFCC), frutto del lavoro svolto a livello interdisciplinare e internazionale, alle quali si sono ispirati quei Tribunali che, in maniera innovativa, hanno inteso adottare tale strumento.
In particolare, la Association of familiy and Conciliation Courts ha approvato una serie di linee guida sulla coordinazione genitoriale che, pur non avendo né potendo avere alcuna vincolatività per l’interprete in quanto prive di valenza normativa, costituiscono un importante supporto anche nel nostro sistema per gli Uffici Giudiziari che hanno inteso introdurre tale istituto, adattandolo alla realtà giuridica e sociale italiana.
Origina, pertanto, dall’esperienza socio-culturale americana che condivide con quella degli altri paesi occidentali le criticità proprie dei sistemi in cui viene privilegiato il regime dell’affido condiviso, la natura estremamente complessa e variegata delle esigenze espresse dalle famiglie altamente conflittuali ed ancora il rilevante numero delle domande di giustizia che provengono da tali famiglie ed il loro oggetto, prevalentemente estraneo alla materia giuridica e coinvolgente aspetti che attengono alle scelte educative, formative, sanitarie concernenti la prole [11].
La coordinazione genitoriale unisce la sua funzione conformativa dei comportamenti delle parti ad una originaria strumentalità alla soluzione alternativa della crisi [12], in quanto ha il compito di prevenire, in ipotesi di conflittualità esasperata, un ricorso inutile e logorante ad ulteriori iniziative giudiziarie in punto di responsabilità genitoriale.
Tale finalità si apprezza maggiormente nelle ipotesi in cui il coordinatore genitoriale venga nominato dopo la definizione del processo, quando è già stato adottato un piano genitoriale, ma non è esclusa neppure quanto tale strumento sia introdotto in pendenza della lite, noto essendo agli operatori di questo settore che la conflittualità genitoriale è idonea ad ingenerare frequenti richieste di revisione ed impugnazioni dei provvedimenti provvisori emessi nel corso dei procedimenti di famiglia.
L’istituto in esame persegue tali obiettivi deflattivi, disincentivando il ricorso al processo attraverso la sollecitazione del convincimento secondo cui proprio i diretti protagonisti di ogni controversia siano in grado di risolverla al meglio attraverso un’adeguata comunicazione e composizione negoziale, con vantaggi decisamente superiori e più stabili nell'ampia sfera degli interessi che non possono trovare reale spazio di ascolto all'interno dei modelli processuali tradizionali..
A differenza della mediazione che, accompagnando le coppie per periodi di tempo limitati, non è in grado di intervenire quando le difficoltà relazionali sono persistenti, il coordinatore è volto a sostenere per un lasso di tempo significativo le coppie altamente conflittuali.
Il campo di operatività dell’istituto è senz’altro costituito dal supporto ai genitori la cui gestione dell’affido non sia tale da degenerare in atteggiamenti contrari all’interesse della prole, posto che ciò condurrebbe a misure limitative o ablative della responsabilità genitoriale e neppure sia tale indurre il decidente a derogare al principio della condivisione dell’affido.
Infatti, entrambe le situazioni sopra rappresentate escludono per definizione il ricorso alla coordinazione, in quanto determinano il venire meno del presupposto indispensabile per la sua operatività, rappresentato dall’affidamento condiviso.
D’altra parte, nelle situazioni di alta conflittualità, la mediazione rischierebbe di rivelarsi non definitiva né esaustiva per la risoluzione dei continui problemi di relazione, sia perché si articola –come si è detto- in un percorso limitato nel tempo e sia perché rimane estranea alla interlocuzione con i procuratori delle parti e, conseguentemente, non possiede la medesima forza persuasiva nei confronti degli interessati, come di seguito verrà più approfonditamente osservato.
§- Connotazioni processuali dell’istituto.
Il coordinatore genitoriale ha la funzione di “esperto facilitatore” e deve essere scelto tra professionisti dotati di adeguate competenze nella gestione dei conflitti familiari e nella comprensione delle dinamiche evolutive nonché in ambito giuridico.
I suoi compiti mutuano da un incarico di natura privata che lo distingue da ulteriori soggetti dei quali il nostro ordinamento dispone per monitorare il rispetto dei provvedimenti relativi all'affidamento e agli aspetti personali dei rapporti tra i genitori e la prole, quali i Servizi Sociali, dislocati su tutto il territorio e spesso incaricati con funzioni di ausilio e monitoraggio dell'ottemperanza dei provvedimenti giudiziali.
Anche con riguardo all’efficacia dell’intervento, la differenza è notevole in quanto il coordinatore genitoriale ha una funzione riservata che è diretta alle esigenze specifiche di un nucleo familiare.
Il carattere privato dell’incarico refluisce sulla nomina del coordinatore in quanto il Tribunale non potrà certamente imporre d’autorità l’affiancamento alla coppia genitoriale di soggetti nei quali pure riveste fiducia e ritiene competenti, in quanto ciò sarebbe fortemente limitativo nella sfera della libertà degli interessati, rispetto alle cui modalità di gestione del rapporto genitoriale il ruolo del coordinatore si rivelerà estremamente pregante.
Nel caso di genitori in crisi, favorevoli a conseguire l’ausilio del coordinatore, esso potrà essere individuato all’esito di un apposita istruttoria deformalizzata tendente ad accertare la presenza, in un ambito di professionisti formati appositamente, di un soggetto apprezzato dalle parti, rispetto al quale possa formarsi un accordo che sarà posto alla base di uno specifico mandato formulato dal giudice.
Posto che lo svolgimento dell’incarico presuppone un significativo dispendio di tempo e di risorse professionali, il coordinatore dovrà essere retribuito dalle parti [13], sebbene debba escludersi che tali oneri possano essere regolati sulla base del principio di causalità, come avviene per altri incombenti processuali, stante la già accennata natura privata dell’incarico.
Quanto alla sua durata, deve ritenersi necessaria la fissazione di un termine così da evitare che le parti siano vincolate senza limiti a ricorrere all'ausilio di un terzo: nel caso fosse necessario proseguire nel supporto alla coppia genitoriale, l’originario termine potrà essere prorogato.
Sotto il profilo della competenza, è certo che lo svolgimento dei compiti di coordinazione presupponga un'adeguata formazione che dovrà in particolare incentrarsi nel campo psicologico, relazionale, con competenze in ambito giuridico, nella comprensione delle dinamiche dell’età evolutiva e del conflitto parentale.
Il coordinatore genitoriale deve, come si è detto, affiancare i genitori nella gestione della relazione con il minore e nell'assunzione delle scelte fondamentali che lo riguardano.
Tale incarico comprende una serie ampia di compiti gestori concreti, organizzativi e decisionali sebbene nella nostra realtà giudiziaria non sempre veri e propri compiti decisionali siano stati attribuiti al professionista incaricato, da parte dei Tribunali che hanno fatto ricorso a tale istituto, essendo difficile immaginare che possa essere demandata ad un soggetto diverso dal giudice l’assunzione di determinazioni che concernono la crisi della famiglia: piuttosto, si è ritenuto che compiti decisionali potessero giustificarsi nell’ambito di specifici e limitati ambiti di intervento, puntualmente individuati dall’autorità giudiziaria al momento della nomina.
Nello stesso senso, è opportuno che, quando dotato di poteri decisionali, il perimetro di intervento del professionista sia delineato, per quanto possibile, attraverso l'attribuzione di compiti specifici, come previsto dai giudici di merito[14] che hanno individuato alcune aree particolari di interesse, quali la verifica della regolarità di percorsi terapeutici prescritti ai componenti il nucleo familiare.
Il coordinatore genitoriale diviene in sostanza, sotto questo profilo, il garante della concreta attuazione della rete di protezione e di sostegno individuata dal giudice nell’interesse della prole, attraverso l’esercizio di poteri decisionali in ambiti specifici e predeterminati dall’autorità giudiziaria la quale, in tal modo, non abdicherà alla funzione, che le è propria, di risolvere le controversie tra privati.
In secondo luogo, il coordinatore genitoriale viene chiamato anche a salvaguardare e preservare la relazione dei genitori con il minore, fornendo ai primi le opportune indicazioni eventualmente correttive dei comportamenti disfunzionali rispetto al progetto di crescita e di affrancazione dei figli.
Ancora, il coordinatore genitoriale è chiamato a coadiuvare i genitori, esprimendo se del caso anche raccomandazioni e decisioni, nell'assunzione delle scelte concrete che riguardano la vita del minore, in particolare in ambito medico, educativo e più in generale di formazione e di crescita [15].
Considerata la pregnanza dei compiti attribuitigli, al coordinatore genitoriale deve al contempo essere riconosciuto sicuramente un margine di discrezionalità nelle modalità e negli spazi di esplicazione della propria attività di supporto ai genitori e di ausilio nel reperimento delle necessarie soluzioni, decisioni e scelte.
Nella quotidianità di un minore non è infatti certamente possibile prevedere in modo rigido tutti gli aspetti e profili critici che potranno manifestarsi e spetta quindi al coordinatore genitoriale proprio il compito di analizzare di volta in volta con i genitori le diverse problematiche e selezionare, tra le soluzioni astrattamente possibili, quelle maggiormente idonee a tutelare l'interesse della prole.
§- Rapporti con la giurisdizione e i protagonisti del processo.
L’istituto in esame deve interagire anche rispetto alla giurisdizione e la sua funzione in questo senso si atteggia come una supervisione e un sostegno nella gestione futura dei più rilevanti aspetti relativi alla prole, già trasfusi in provvedimenti giurisdizionali.
Anche se esercitati nella vita quotidiana della famiglia, i compiti del coordinatore genitoriale rimangono, in ogni caso, legati al processo, sia pure in senso limitativo e/o alternativo, in quanto l’istituto –come si è osservato- è volto a prevenire l’adozione di ulteriori provvedimenti giudiziali in punto di responsabilità genitoriale, facilitando la risoluzione bonaria e concordata delle dispute tra genitori altamente conflittuali in guisa da scongiurare il sistematico ricorso ad azioni giudiziarie.
Con riguardo ai rapporti con la giurisdizione, un provvedimento del Tribunale di Milano[16] individua tra gli specifici compiti del coordinatore genitoriale anche quello di "segnalare con urgenza all'autorità giudiziaria minorile ogni condizione di concreto pregiudizio psicofisico della minore che venisse a ravvisare".
Il coordinatore dovrà limitarsi a “segnalare” agli Uffici Giudiziari competenti tali aspetti disfunzionali, in quanto lo stesso è certamente privo di una legittimazione processuale diretta che non sarebbe compatibile con un incarico che, per quanto di matrice giurisdizionale, rimane pur sempre privato.
Del resto, come spiega lo stesso giudice che ha fatto riferimento al dovere di segnalazione in parola, il coordinatore genitoriale non dispone di poteri processuali autonomi, poiché suo scopo è quello di risolvere il conflitto rimanendo al di fuori dell'ambito del processo.
Egli potrà segnalare al giudice della famiglia, nel corso del processo, le disfunzioni che legittimano l’esercizio di poteri officiosi e l’adozione di provvedimenti che prescindono della domanda delle parti.
Fuori dal processo, la segnalazione di criticità al giudice competente per la regolamentazione dei rapporti tra i genitori e la prole potrà essere attuata attraverso una sollecitazione del potere di impulso riconosciuto al Pubblico Ministero, come nelle ipotesi in cui occorra instaurare un procedimento limitativo o finanche ablativo della responsabilità genitoriale allorchè i comportamenti dei genitori, malgrado le prescrizioni dell'autorità giudiziaria e il vigile sostegno e ausilio offerto dal coordinatore stesso, siano tali da ingenerare pregiudizio per la crescita del minore.
Gli aspetti deontologici, inerenti la formazione, i confini dell’intervento e i compiti specifici del coordinatore si desumono dalle linee guida elaborate dall' Association of Family and Conciliation Courts nel corso del biennio 2003-2005 come risultato del gruppo di lavoro della seconda Task Force sulla coordinazione genitoriale[17].
Secondo la prima linea guida, il coordinatore deve essere qualificato, istruito e formato alla coordinazione genitoriale, deve avere competenze nella mediazione familiare e vasta esperienza pratica nell'esercizio professionale con genitori ad alto conflitto o in contesa.
Le linee guida sono, peraltro, corredate da un’appendice in cui vengono definiti nel dettaglio i programmi dei corsi di formazione ai quali dovranno accedere i professionisti interessati a tale incarico.
La seconda, terza e quarta linea guida stabiliscono il ruolo di terzo che il coordinatore riveste in relazione alle parti e il confine della sua attività: il coordinatore deve mantenere imparzialità e obiettività nel processo di coordinazione; non deve prestare servizio in caso di conflitto di interesse o ritirarsi qualora insorga; non deve prestare servizio in doppio ruolo simultaneo o sequenziale[18].
Secondo la quinta linea guida, il coordinatore deve informare le parti circa i limiti di riservatezza che connotano il suo ruolo, correlati alla necessità di comunicare con i genitori, i figli, i procuratori delle parti, i professionisti da queste incaricati e qualsiasi soggetto utile per lo svolgimento del suo incarico: il coordinatore acquisirà le necessarie informazioni anche attraverso l’accesso a documenti riservati, quali cartelle mediche, registri scolastici, certificazioni concernenti l’esito di prove tossicologiche.
La sesta linea guida individua puntualmente le funzioni mediante le quali il coordinatore deve assistere le parti nella riduzione del conflitto: funzione di valutazione, mediante la quale il coordinatore utilizza gli strumenti che gli permettono di comprendere le fonti esplicite e nascoste del conflitto; funzione educativa, mediante la quale informa i genitori sullo sviluppo del figlio, sull'impatto del loro comportamento nella vita della prole, sulle loro competenze di comunicazione e di risoluzione dei conflitti; funzione di gestione del caso, nell’ambito della quale lavora con i professionisti e le istituzioni al servizio della famiglia e con questa anche in dimensione allargata, ovvero comprensiva dei congiunti che hanno un ruolo significativo rispetto alla prole, dei genitori acquisiti o di nuovi partners; funzione di gestione dei conflitti, nell’ambito della quale il coordinatore assiste le parti nella risoluzione dei loro disaccordi concernenti i figli per minimizzare i contrasti, avvalendosi dei principi e delle pratiche di negoziazione, mediazione e arbitrato.
Pregnante è il compito del coordinatore di comunicare con tutte le parti coinvolte e di rivolgersi, tra gli altri, ai procuratori della coppia genitoriale, i quali pertanto- allorche’
il proprio assistito si trovi nel processo di coordinazione genitoriale- è necessario conoscano pienamente il funzionamento e gli obiettivi degli strumenti alternativi di risoluzione dei conflitti, utilizzati nell’ambito della famiglia in generale e della coordinazione genitoriale in particolare, in guisa da porsi in un’ottica sinergica con la strategia di intervento individuata dal giudice, come meglio sarà chiarito in seguito.
Sotto il profilo temporale, solitamente la coordinazione si colloca in un momento successivo alla definizione del processo di separazione giudiziale o di divorzio contenzioso ovvero all’esito dei procedimenti aventi ad oggetto la regolamentazione dei rapporti tra i genitori e i figli nati fuori dal matrimonio o la revisione di previsioni preesistenti negli ambiti processuali anzidetti: ovviamente, in tutte le ipotesi in cui si sia optato per la condivisione dell’affido.
In alcuni casi, potrebbe collocarsi dopo l’emissione dei provvedimenti provvisori ed urgenti relativi al piano genitoriale nell’ambito dei diversi procedimenti concernenti la famiglia, siano essi di giurisdizione ordinaria che volontaria.
In particolare, nei procedimenti di separazione e divorzio, potrebbe accedersi alla relativa individuazione già all’esito della fase presidenziale.
Si tratta, in tutte le ipotesi, di contesti processuali in cui è finalmente opportuno, per il benessere di figli e genitori, ricostruire le relazioni familiari compromesse dall’alta conflittualità, esacerbata da un sistema che sollecita una crescente domanda di giustizia, alla luce delle previsioni che il giudice della famiglia ha individuato, sia pure in via interinale, come maggiormente rispondenti all’interesse della prole e della serenità del disgregato nucleo familiare.
§- Conseguenze del fallimento del ricorso al coordinatore.
La mancata collaborazione con il coordinatore genitoriale o il mancato assenso alla scelte attuate dallo stesso non possono ritenersi condotte prive di effetti sul piano processuale, sebbene l’individuazione delle conseguenze del mancato rispetto del piano genitoriale e, ancor più, dell’iniziativa di instaurare altro contenzioso da parte del genitore su aspetti già rimessi all’attenzione del coordinatore, susciti una serie di incertezze che inducono a ritenere quello di cui si discute un aspetto meritevole di ulteriore approfondimento, una volta che l’interprete possa avvantaggiarsi di una consolidata esperienza sul campo.
E’ certo, infatti che l’avvenuto assenso alla nomina del coordinatore non possa considerarsi in sé e per sé impeditivo di un rinnovato ricorso al tribunale poiché, diversamente opinando, si vanificherebbe il diritto di accesso alla giustizia, costituzionalmente garantito dall’art. 24 della Costituzione.
Si è dell’idea che eventuali iniziative dei genitori volte a disattendere le indicazioni contenute nel piano genitoriale, la cui attuazione il coordinatore ha il compito di curare in sintonia con la coppia, non possano che essere sanzionate alla stregua di quanto avviene a seguito di ogni violazione avente ad oggetto la disciplina dei rapporti personali e/o patrimoniali tra i coniugi e, tra questi, e la prole, attraverso il ricorso alle specifiche misure di cui all’art. 709 ter c.p.c.. che trovano applicazione in caso di “gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento”.[19]
In tale ambito, l’ulteriore e concorrente violazione concernente il formale impegno assunto dal genitore con l’assenso alla nomina del coordinatore, potrà indurre ad una gradazione delle sanzioni (applicabili anche congiuntamente) in senso più incisivo per il responsabile, previa puntuale motivazione di tale soluzione.
Nei casi di proposizione di una nuova domanda giudiziale fondata sul dissenso o sulla mancata condivisione delle indicazioni provenienti dal coordinatore, alla eventuale soccombenza potrà conseguire anche l’affermazione della responsabilità aggravata ex art. 96 C. III c.p.c.[20] i cui presupposti sono rappresentati dalla infondatezza della domanda giudiziale e dall’utilizzo di strumenti processuali in maniera contrastante rispetto al canone della normale prudenza[21]: invero, sarà difficile escludere che l’attore (in via principale o riconvenzionale) abbia avuto consapevolezza della presumibile infondatezza della sua pretesa al momento del ricorso al Tribunale allorchè una specifica soluzione stragiudiziale fosse stata indicata dal coordinatore genitoriale al quale la stessa coppia aveva rimesso il contenimento della propria conflittualità, previa ratifica da parte dello stesso ufficio giudiziario.
Tale conseguenza della resistenza alle indicazioni del coordinatore appare coerente con la ratio della citata disposizione codicistica, ai sensi della quale condotte abusive sono proprio quelle che comportano un ingiusto aggravamento del sistema giurisdizionale suscitando un inutile spreco di tempo e di energie da parte del suddetto sistema[22].
Segnatamente, l’art. 96 c. III c.p.c. ha natura non tanto risarcitoria, quanto più propriamente sanzionatoria delle condotte di quanti, abusando del diritto di azione e di difesa, si servano dello strumento processuale a fini dilatori, aggravando il volume del contenzioso: l’istituto è sottratto, come è noto, all’impulso di parte ed opera ex officio, con ciò attestando la finalizzazione di tale strumento alla tutela di un interesse trascendente quello della parte stessa e dotato di connotazioni pubblicistiche (Corte Cost. n. 152/2016).
§- Rapporti tra i protagonisti della coordinazione.
Così delineate le possibili conseguenze del fallimento del ricorso alla coordinazione, possono formularsi alcune conclusioni in ordine alla natura dei rapporti che devono intercorrere tra tutti i soggetti coinvolti: per l’efficacia del rimedio in esame dovrà attivarsi una vera e propria sinergia ed una leale collaborazione tra coordinatore e coppia genitoriale nonchè tra il primo e il giudice, basata sulla consapevolezza che il fine ultimo e comune da perseguire rimane quello della salvaguardia dell'interesse del minore.
Anche il ruolo dei procuratori delle parti dovrà essere opportunamente orientato nello stesso senso, tenendo presente che l’ottica deflattiva dello strumento processuale in esame non deve ritenersi in antitesi con il ruolo dell’avvocato familiarista, per il quale il ricorso al Tribunale dovrebbe essere proposto quale soluzione estrema, tutte le volte in cui le questioni controverse abbiano scarsa rilevanza e per le quali proprio la coordinazione si rivela la sede più accogliente per convincere i genitori, l’uno delle ragioni dell’altro.
I procuratori delle parti avranno sicuramente ben presente che il conflitto provocato dalla crisi del matrimonio ricade generalmente su questioni che inaspriscono il reciproco vissuto dei due coniugi, i quali, proprio per via di tale coinvolgimento emotivo, si distraggono dal benessere dei figli: essi stessi dovranno valorizzare agli occhi della coppia, la coordinazione genitoriale, che avrà la funzione di correggere il non più corretto centro di imputazione delle opposte rivendicazioni, facendone convergere l’attenzione sui figli, fuori dalla sfera di intervento del Tribunale.
L’avvocato non viene limitato nella sua funzione di “tutela” della parte, in quanto gli operatori nel settore della famiglia sanno bene che vicende apparentemente prive di significato sono alla base di gravi tensioni tra i genitori e motivo di continui ricorsi con il deleterio risultato di cedere sostanzialmente al giudice la funzione genitoriale.
In questo contesto, l’avvocato familiarista, quale avveduto e competente consulente giuridico, potrà chiarire al proprio assistito l’utilità dell’operato del coordinatore nella prospettiva di evitare un ulteriore intervento del giudice su questioni risolvibili con il semplice buon senso, con la semplice distensione nella comunicazione o con il semplice ascolto dell’altro.
Se è pertanto necessaria una vera e propria integrazione professionale e culturale tra avvocato e coordinatore genitoriale, finalizzata ad evitare che la conflittualità di coppia si ripercuota sui figli, è anche certo che il primo non dovrà essere coinvolto nella peculiare sfera di relazioni che si costituiranno tra il coordinatore e ciascuno dei genitori, in quanto il suo contributo dovrà essere limitato alla esplicazione sul piano giuridico delle diverse connotazioni che assumerà lo strumento conciliativo prescelto, delle finalità della relativa azione, delle conseguenze in caso di persistente disaccordo o di continuo rifiuto immotivato.
L’adesione effettiva della coppia genitoriale alla scelta della coordinazione, in uno alla sinergia tra i procuratori delle parti ed il coordinatore genitoriale, determineranno senza dubbio quell’interazione virtuosa che dovrebbe condurre il padre e la madre a riappropriarsi della propria genitorialità sebbene, per raggiungere in concreto detto obiettivo, non sarà sufficiente valorizzare il diritto del minore alla bigenitorialità, ma sarà necessario dare attuazione ad un passaggio culturale più evoluto, rappresentato dal diritto del minore al recupero della cogenitorialità, sacrificata dalla crisi coniugale.
Ove tale effettiva condivisione non possa essere seriamente sperimentata in concreto nonostante il sostegno della coordinazione - fermo quanto si è sopra osservato in relazione alle eventuali conseguenze sanzionatorie delle violazioni da parte della coppia genitoriale- dovrà necessariamente essere escluso il riferimento privilegiato al valore della bigenitorialità per lo specifico contesto familiare interessato, in quanto non più meritevole di tutela stante la sua comprovata inidoneità a salvaguardare il superiore interesse della prole.
[1] CEDU, 4 maggio 2017, n. 66396, I. c. Italia,; CEDU, 15 settembre 2016, n. 43299, G. c. Italia; CEDU, 29 gennaio 2013, n. 25704, L. c. Italia,;
[2] In tale senso, E. Bellisario, Autonomia dei genitori tra profili personali e patrimoniali in L’affidamento condiviso”, pag. 69 e s.s.; cfr i principi fissati da Cass. Sez. IV 19 luglio 2016 n. 14728; cfr. da ultimo, Trib. Salerno sez. I 6 novembre 2017 n. 5028.
[3] Cass. Civ. 3 gennaio 2017, n. 27; 31 marzo 2014 n. 7477; 29 marzo 2012 n. 5108.
[4] Si pensi, nell’ambito delle innovazioni normative, alla obbligatorietà dell’ascolto del minore nell’ambito delle controversie civili che lo riguardano.
[5] Trib. Milano 7 luglio 2015; Trib. Milano 23 marzo 2016;
[6] Trib. Milano 23 marzo 2016.
[7] Nello stesso senso, Filippo Danovi, in “Il coordinatore genitoriale: una nuova risorsa nella crisi della famiglia”in Famiglia e Diritto, 2017, 8-9, 793;
[8] Solo in parte, la condivisione dei provvedimenti da parte degli interessati può essere orientata dai nuovi strumenti sanzionatori di cui all’art. 709 ter c.p.c.
[9] Per citare alcune pronunce più recenti o significative: Tribunale Mantova Sez. I 5 maggio 2017; Tribunale Pavia 21 luglio 216; Tribunale Milano sez. IX 29 luglio 2016; Tribunale Civitavecchia 20 maggio 2015.
[10] Tra questi il Tribunale di Messina.
[11] Claudia Piccinelli, Goffredo Iacobino “La Coordinazione genitoriale, il coordinatore e l’avvocato”
[12] Tanto è vero che nella realtà americana viene collocata nell’ambito degli strumenti di A.D.R.
[13] Cfr. Tribunale di Mantova sez. I 5 maggio 2017.
[15] Non è escluso che, in un simile contesto, svolga concrete funzioni di mediazione tra i genitori.
[17] La traduzione italiana è stata curata da Claudia Piccinelli, psicologa, in “Le linee guida sulla coordinazione genitoriale. Contestualizzazione e traduzione in italiano” in “Diritto della Famiglia e dei Minori”
[18] Ovvero non può svolgere compiti di mediatore familiare, consulente tecnico d’ufficio, o altra figura professionale individuata sulla base di un rapporto fiduciario dagli interessati, prima o durante lo svolgimento dell’incarico di coordinazione né a seguito della relativa conclusione.
[19] Nello stesso senso, Filippo Danovi, in “Il coordinatore genitoriale: una nuova risorsa nella crisi della famiglia” in Famiglia e Diritto, 2017, 8-9, 793;
[20] Così, Filippo Danovi, Lealtà e trasparenza nei processi della famiglia, in Riv. dir. proc., 2017.
[21] Cass. Civ. ord. 26151/2017.
[22] Cass. Civile n. 3376/2016.