LA FASE ESECUTIVA DEL CONTRATTO DI APPALTO STIPULATO CON LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Sommario
1. La consegna dei lavori
2. La perizia di variante
3. La responsabilità per i danni a terzi
4. Le riserve
5. La sospensione dei lavori
6. Inadempimento della parte privata
7. Normativa principale di riferimento
1. La consegna dei lavori
La procedura per la consegna dei lavori in materia di opere pubbliche è disciplinata dagli artt. 153, 154, 155, 156 e 157 del d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207, costituente il “Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”.
Il responsabile del procedimento autorizza il direttore dei lavori alla consegna dell’opera da eseguire dopo che il contratto o l’aggiudicazione sono divenuti efficaci.
La consegna dei lavori deve avvenire per le amministrazioni statali non oltre quarantacinque giorni dalla data di registrazione alla Corte dei Conti del decreto di approvazione del contratto, e non oltre quarantacinque giorni dalla data di approvazione quando la registrazione della Corte dei Conti non è richiesta per legge.
Per le altre stazioni appaltanti il termine di quarantacinque giorni decorre dalla data di stipula del contratto, mentre per i cottimi fiduciari il termine decorre dalla data dell’accettazione dell’offerta.
Il direttore dei lavori comunica all’appaltatore il giorno ed il luogo in cui deve presentarsi per ricevere la consegna dei lavori, munito del personale idoneo nonché delle attrezzature e materiali necessari per eseguire, ove occorra, il tracciamento dei lavori secondo i piani, profili e disegni di progetto.
Sono a carico dell’appaltatore gli oneri per le spese relative alla consegna, alla verifica ed al completamento del tracciamento che fosse stato già eseguito a cura della stazione appaltante.
La consegna dei lavori deve risultare da verbale redatto in contraddittorio con l’appaltatore e dalla data di tale verbale decorre il termine utile per il compimento dell’opera.
Il verbale di consegna dei lavori costituisce l’atto con il quale l’amministrazione pone l’appaltatore in condizione di dare inizio all’opera, postulando, pertanto, l’effettiva messa a disposizione da parte del committente delle aree.
Come vedremo, l’appaltatore a pena di decadenza ha l’onere di formulare eventuali riserve relative a maggiori compensi nel primo documento contabile utile e, dunque, qualora l’esigenza sorga al momento della consegna, proprio nel verbale di consegna dei lavori, documento idoneo all’apposizione di riserve, salvo poi l’onere di ripeterle nel registro di contabilità.
Vengono in considerazione, ad esempio, la pretesa dell’appaltatore di ulteriore compenso per maggiori oneri derivanti da una situazione dei luoghi diversa da quella contemplata nel contratto, l’inadeguatezza progettuale dell’opera da eseguirsi, ovvero il caso in cui la consegna dei lavori non comporti anche l’effettiva e concreta disponibilità delle aree destinate all’esecuzione dell'opera appaltata per la presenza di ostacoli, quali anche l’esistenza di linee elettriche, telefoniche, telegrafiche e acquedotti, la cui rimozione faccia carico all’amministrazione (Cass. civ., Sez. I, 13/04/2005, n. 7691).
Conseguentemente è ritenuta tardiva la riserva, per fatti già noti al momento della consegna dei lavori, iscritta solo nel primo stato di avanzamento dei lavori, ma non anche nel verbale di consegna dei lavori o in quello di ripresa degli stessi (Cass. civ., Sez. I, 21/07/2004, n. 13500).
Qualora, invece, l’appaltatore non si presenti nel giorno stabilito, il direttore dei lavori fissa una nuova data, ma la decorrenza del termine contrattuale resta comunque quella della data della prima convocazione, e qualora sia inutilmente trascorso il termine assegnato dal direttore dei lavori la stazione appaltante ha facoltà di risolvere il contratto e di incamerare la cauzione.
Se la consegna, invece, avviene in ritardo per fatto o colpa della stazione appaltante, l’appaltatore può chiedere di recedere dal contratto.
Nel caso di accoglimento dell’istanza di recesso, l’appaltatore ha diritto al rimborso di tutte le spese contrattuali, nonché di quelle effettivamente sostenute e documentate, ma in misura non superiore ai limiti indicati dall’articolo 157 del regolamento, mentre se l’istanza dell’appaltatore non è accolta e si procede tardivamente alla consegna, lo stesso ha diritto ad un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo, le cui modalità di calcolo sono stabilite sempre dall’articolo 157.
La facoltà della stazione appaltante di non accogliere l’istanza di recesso dell’appaltatore non può, tuttavia, esercitarsi, con il conseguente diritto al rimborso delle spese, qualora il ritardo nella consegna dei lavori superi la metà del termine utile contrattuale o comunque sei mesi complessivi.
Dunque, il ritardo nella consegna dei lavori per fatto imputabile all’amministrazione non comporta l’automatico differimento del termine per l’ultimazione dell'opera, nè conferisce all’appaltatore il diritto di risolvere il rapporto o di richiedere prestazioni risarcitorie, ma soltanto la facoltà di presentare istanza di recesso, il cui mancato accoglimento da parte dell’amministrazione giustifica il riconoscimento di un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo.
Ai fini del predetto differimento, l’esigenza di certezza in ordine ai tempi di esecuzione dei lavori impone, però, la presentazione di una istanza di proroga, da avanzarsi in data anteriore alla scadenza del termine contrattualmente fissato, in mancanza della quale deve presumersi che, nonostante il ritardo nell'inizio dei lavori, l’appaltatore abbia ritenuto ancora possibile il rispetto del predetto termine (Cass. civ., Sez. I, 07/06/2012, n. 9233).
Sotto altro profilo, occorre osservare che la regolare e tempestiva consegna dei lavori all’appaltatore si configura come obbligo dell’amministrazione, il cui inadempimento è pur sempre fonte di responsabilità contrattuale, in quanto il dovere di collaborazione dell’amministrazione non perde la sua natura contrattuale solo perché derivante dalla legge, essendo questa, viceversa, una delle fonti di integrazione del contratto ai sensi dell’art. 1374 c.c.
Qualora, invece, sia iniziata la consegna e questa sia sospesa dalla stazione appaltante per ragioni non di forza maggiore, la sospensione non può durare oltre sessanta giorni, trascorso inutilmente tale termine l’appaltatore può chiedere di recedere dal contratto e, in caso di diniego dell’istanza, anche in questo caso il riconoscimento di un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo.
L’art. 154 disciplina la forma ed il contenuto del verbale di consegna e prevede, 6° e 7° comma, che in base al capitolato speciale la consegna dei lavori possa farsi in più volte con successivi verbali di consegna parziale quando la natura o l’importanza dei lavori o dell’opera lo richieda e in caso di urgenza l’appaltatore comincia i lavori per le sole parti già consegnate, con la conseguenza che la data di consegna a tutti gli effetti di legge è quella dell’ultimo verbale di consegna parziale.
Peraltro, negli appalti ai quali si applichi “ratione temporis” il capitolato generale per le opere pubbliche dello Stato di cui d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063, abrogato dall’art. 231, d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554, si deve escludere una differenza di disciplina tra la mancata consegna ed il ritardo nella consegna, in quanto in entrambi i casi trova applicazione il disposto dell’art. 10, comma ottavo, del citato d.p.r., secondo il quale l’appaltatore può scegliere se chiedere il recesso dal contratto, acquisendo il diritto al rimborso dei maggiori oneri ove la sua istanza venga rigettata, ovvero proseguire nel rapporto con la sola esclusione della sua responsabilità per eventuale conseguente ritardo nel completamento dell’opera (Cass. civ., Sez. I, 07/02/2013, n. 2983).
2. La perizia di variante
Come vedremo parlando della sospensione dei lavori, le ragioni di pubblico interesse o necessità che legittimano l’ordine di sospensione sono identificate in esigenze pubbliche oggettive e sopravvenute, non previste né prevedibili dall’amministrazione con l’uso dell’ordinaria diligenza, così che esse non possono essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza del soggetto pubblico.
In particolare, nel caso che sopravvenga la necessità di approvare una perizia di variante, tale emergenza non deve essere ricollegabile ad alcuna forma di colpa nella predisposizione e nella verifica del progetto da parte dell’ente appaltante, il quale è tenuto, prima dell’indizione della gara, a controllarne la validità in tutti i suoi aspetti tecnici, e ad impiegare la dovuta diligenza nell’eliminare il rischio di impedimenti alla realizzazione dell’opera per come progettata (Cass. civ., Sez. VI - 1, 25/10/2012, n. 18239).
Oggi la variazione in corso d’opera è prevista dall’art. 114 del d.l.vo n. 163 del 12.4.2006 nei casi specifici elencati nell’art. 132 dello stesso decreto, il quale, tra le altre ipotesi, prevede espressamente che la variazione in corso d’opera può essere disposta per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera, ovvero la sua utilizzazione.
In base all’art. 132 si considerano errore o omissione di progettazione l’inadeguata valutazione dello stato di fatto, la mancata od erronea identificazione della normativa tecnica vincolante per la progettazione, il mancato rispetto dei requisiti funzionali ed economici prestabiliti e risultanti da prova scritta e la violazione delle norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali.
Ove la variante sia disposta per questo motivo ed ecceda il quinto dell'importo originario del contratto, ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 132 il soggetto aggiudicatore procede alla risoluzione del contratto e indice una nuova gara alla quale è invitato l’aggiudicatario iniziale, previo pagamento dei lavori eseguiti, dei materiali utili e del dieci per cento dei lavori non eseguiti, fino a quattro quinti dell’importo del contratto.
Qualora la redazione della variante sia stata imposta dalla necessità di rimediare ad errori od omissioni colpevoli della progettazione iniziale, l’appaltatore ha diritto anche al risarcimento dei danni eventualmente subiti e documentati.
Per altro aspetto, ai sensi della normativa in materia di lavori pubblici (art. 342 e 343, legge n. 2248 all. F del 1865, abrogati dalla lettera a) del comma 1 dell'art. 358, D.P.R. 5.10.2010, n. 207, a decorrere dall’8.6.2011 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 359 dello stesso provvedimento, oggi art. 161 del d.p.r. n. 207/10), ogni variazione deve essere preventivamente autorizzata dal direttore dei lavori ed approvata dall’autorità superiore competente ed è considerata illegittima, secondo l’interpretazione prevalente, l’approvazione di una perizia di variante ad un contratto per l’esecuzione di opera pubblica, intervenuta a sanatoria di modifiche apportate unilateralmente dall’impresa al progetto originario.
Peraltro, secondo altre pronunce, invece, in caso di variazioni ai lavori appaltati non disposte con ordine scritto da parte del direttore dei lavori, ma riassunte in una perizia di variante, l’approvazione successiva della perizia stessa da parte dell’amministrazione sana l’irregolarità derivante dalla mancanza dell’ordine scritto e comporta il riconoscimento del diritto dell’appaltatore a ricevere il compenso per le opere eseguite (si veda Cass. civ., Sez. I, 26/05/1994, n. 5172).
Sempre la giurisprudenza precisa, peraltro, che l’appaltatore non ha facoltà di sospendere i lavori, neanche quando ravvisi la necessità di una variante al progetto originario, se non vi è alcuna necessità oggettiva di ordine tecnico che impedisca la prosecuzione dei lavori progettati, e non ha diritto al risarcimento dei danni conseguenti a tale volontaria sospensione, ancorché la richiesta variante sia successivamente adottata dalla stazione appaltante e approvata dalle autorità competenti, atteso che tale approvazione non ha il valore di una ratifica della sospensione unilateralmente adottata dall’appaltatore.
Del pari, il ritardo nell’approvazione di una perizia di variante non esonera l’appaltatore dall’adempimento degli obblighi derivanti dal contratto, non potendo egli legittimamente sospendere unilateralmente l’esecuzione dei lavori (Cass. civ., Sez. I, 07/06/2012, n. 9246).
3. La responsabilità per i danni a terzi
Per altro aspetto, l’appaltatore, il quale è tenuto a predisporre tutte le misure, comprese le opere provvisionali, e tutti gli adempimenti per evitare il verificarsi di danni alle opere, all’ambiente, alle persone e alle cose, è da considerarsi in via generale unico responsabile dei danni cagionati a terzi nella esecuzione dell’appalto.
Una responsabilità concorrente dell’ente pubblico appaltante può sussistere solo qualora il fatto dannoso sia stato posto in essere in esecuzione del progetto o di direttive impartite dallo stesso, mentre una responsabilità esclusiva dell’amministrazione resta configurabile solo allorquando essa abbia rigidamente vincolato l’attività dell’appaltatore, così da neutralizzare completamente la sua libertà di decisione (per tutte Cass. civ., Sez. III, 22/10/2002, n. 14905).
Si osserva, in particolare, che, se è vero che la sfera di autonomia e di discrezionalità dell’impresa appare limitata dalla concorrenza dei poteri di controllo e di ingerenza che persistono in capo all’amministrazione, non si assiste, di norma, ad una totale eliminazione della sfera di autonomia nella scelta delle modalità e delle soluzioni tecniche di esecuzione dei lavori, ed anzi, anche quando il committente abbia predisposto la progettazione o impartito direttive ed ordini, residua pur sempre in capo all’imprenditore il dovere di segnalarne le insufficienze o l’erroneità delle prescrizioni adottate.
L'impresa è, quindi, tenuta a realizzare l’opera a regola d’arte, osservando nell’esecuzione della prestazione la diligenza qualificata ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., quale modello astratto di condotta, il quale si estrinseca nell’adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell’attività esercitata, volto all’adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell’interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi.
Dunque, anche laddove si attenga alle disposizioni del committente o alla progettazione, l’impresa resta responsabile, giacché la prestazione dovuta implica un costante controllo ed un impegno in fase attuativa che si estende ad ogni profilo, compresa la verifica e la correzione degli eventuali errori del progetto (Cass. civ., sez. III, 31/05/2006, n. 12995), essendo, invece, esente da responsabilità laddove il committente, pur reso edotto delle carenze e degli errori, richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o gli ribadisca le indicazioni. In tale ipotesi, infatti, l’appaltatore stesso, come già evidenziato, si riduce a mero “nudus minister”, cioè passivo strumento nelle mani del primo, direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute, senza possibilità di iniziativa o vaglio critico.
La giurisprudenza ritiene anche che l’appaltatore che debba eseguire un progetto fornitogli dal committente è responsabile verso lo stesso per i vizi dell’opera derivanti da errori del progetto, sia nel caso in cui, pur essendosi accorto di tali errori, non li abbia tempestivamente denunziati al committente, sia se non li abbia rilevati, ma avrebbe potuto e dovuto riconoscerli con la normale diligenza nei limiti delle sue cognizioni tecniche.
Anche in questo caso è esentato da responsabilità se dimostri, invece, di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguire il progetto come “nudus minister” per le insistenze del committente ed a rischio del medesimo, ciò indipendentemente dalla nomina del direttore dei lavori, il cui concorso di colpa, ove ne sia fornita la prova, può determinare al più una riduzione del risarcimento, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c., assumendo la qualifica di organo tecnico straordinario e la veste di agente dell’amministrazione committente (Cass. civ., Sez. I, 02/07/2010, n. 15784).
4. Le riserve
Le riserve sono le contestazioni che l’impresa inserisce sui documenti contabili ed hanno per oggetto ogni fatto che produce una maggiore spesa per la esecuzione delle opere, ovvero tutte le possibili richieste inerenti a partite di lavori eseguite, alle contestazioni tecniche o giuridiche circa la loro quantità e qualità, ai pregiudizi sofferti dall’appaltatore ed ai costi aggiuntivi dovuti affrontare, sia a causa dello svolgimento dell’appalto, sia a causa delle carenze progettuali per le conseguenti maggiori difficoltà che le stesse hanno ingenerato, sia, infine, per i comportamenti inadempienti della stazione appaltante.
Tutte le circostanze che generano le riserve hanno come denominatore comune il fatto che il contratto di appalto non rientra nei contratti c.d. “aleatori”, bensì commutativi, e pertanto la c.d. “riserva” assolve il ruolo di strumento di riequilibrio contrattuale, laddove il sinallagma venga ad essere alterato da circostanze e fatti sopravvenuti, non previsti né prevedibili al momento della stipula del contratto.
Trattasi di istituto a carattere generale, il quale, oltre a comprendere tutte le richieste e le ragioni giustificatrici idonee ad incidere sul compenso spettante all’imprenditore, assolve anche una funzione a tutela della pubblica amministrazione appaltante, la quale deve poter esercitare prontamente ogni attività necessaria a verificare con esattezza i fatti indicati dall’appaltatore (Cass. civ., Sez. I, 11/03/2011, n. 5871), ma anche conoscere il “quantum” dell’esborso eventualmente necessario per poter prendere tempestivamente le sue decisioni.
Sussiste, inoltre, differenza fra riserva e domanda, atteso che la riserva, in realtà, costituisce soltanto la parte strumentale della domanda.
La riserva, infatti, ha lo scopo di cristallizzare le pretese dell’appaltatore in forma condizionata e non definitiva, in modo da consentire allo stesso di potere successivamente esplicare le proprie domande.
Queste ultime, invece, sono i maggiori compensi o indennizzi, e non necessariamente devono essere precedute dalle riserve in quanto possono essere apposte immediatamente dall’appalta-tore, il quale, in pratica, all’atto della sottoscrizione del registro di contabilità o di un altro docu¬mento contabile idoneo, firma con riserva solo quando non è in grado di formulare subito le domande.
L’equo compenso o l’indennizzo richiesto in riserva, a differenza del risarcimento del danno, non assolve la funzione di reintegrare il patrimonio del creditore delle perdite e dei mancati guadagni subiti per effetto dell’inadempimento o del fatto illecito, ma mira esclusivamente a ripartire tra le parti contraenti il maggior costo della prestazione dell’appaltatore derivato da difficoltà di esecuzione non previste.
Svolge, dunque, una funzione analoga a quella del corrispettivo e, al pari di questo, dà luogo ad un debito di valuta tale da non determinare, in caso di inadempimento, la rivalutazione monetaria.
Le riserve sono disciplinate nel codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs n.163/2006, nell’art. 240, il quale riproduce, in buona sostanza quanto già normato dall’art. 31/bis della legge n. 109/94 (c.d. legge Merloni), e dagli art. 190 e 191 del d.p.r. n. 207 del 5.10.2010.
L’appaltatore che invochi il rimborso dei maggiori costi sopportati è tenuto ad iscriverne tempestiva riserva nel registro di contabilità o in altri appositi documenti contabili, nonché, sotto il profilo del contenuto, ad esporre in modo completo e compiuto gli elementi atti ad individuare il titolo e l’ammontare della sua pretesa, ivi compresi i processi logico-matematici di quantificazione delle pretese.
Se iscritte prima ed in un documento diverso, devono, in ogni caso e sempre, essere riportate a pena di decadenza nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole, nonchè confermate al momento della sottoscrizione del conto finale, ritenendosi diversamente abbandonate.
La sede esclusiva per la proposizione delle domande e delle riserve da parte dell’appaltatore è costituita dagli atti contabili per i quali è prevista la sottoscrizione e, in particolare, dal registro di contabilità.
Si ammette, dunque, la possibilità di avanzare inizialmente le pretese in atti diversi dal registro di contabilità, in quanto può agevolmente verificarsi che tra l’evento pregiudizievole e la sottoscrizione del registro di contabilità via siano altri atti relativi all’appalto che possono costituire sede idonea per la riserva, quali, per quanto concerne quelli previsti espressamente dal regolamento, il verbale di consegna dei lavori, le liste settimanali, il conto finale, i verbali di sospensione e di ripresa dei lavori, il certificato di ultimazione lavori, il certificato di collaudo o di regolare esecuzione e gli ordini di servizio.
In caso di materiale indisponibilità del registro di contabilità, l’appaltatore, che abbia formulato una riserva generica, ha l’obbligo di esplicitarla nel termine di legge mediante tempestiva comunicazione all’amministrazione con apposito atto scritto (Cass. civ., Sez. I, 24/05/2012, n. 8242).
Di fronte al fatto obiettivo della lacunosità delle riserve spetta all’appaltatore dimostrare che una causa obiettivamente non imputabile a sua negligenza ha reso inevitabile la incompletezza (Cass. civ., Sez. Unite, 04/03/1988, n. 2247), in caso contrario una riserva dal contenuto indeterminato per titolo o per la somma è inefficace e non vale a preservare dalla decadenza dall’azionabilità del diritto vantato.
La tempestività della riserva è collegata al momento in cui l’appaltatore sia in grado di valutare, secondo il criterio della media diligenza e della buona fede, l’incidenza dei fatti sopravvenuti sull’esecuzione dei lavori con suo pregiudizio economico, la cui entità potrà, poi, essere precisata in occasione delle singole registrazioni contabili.
In presenza di fatti continuativi, ovvero prodotti da una causa costante o da una serie causale di non immediata rilevanza onerosa, secondo la giurisprudenza, non può porsi alcuna deroga al principio di tempestività delle riserve.
In questi casi, infatti, il giudizio sulla tempestività della riserva deve fondarsi sull’individuazione del momento in cui l’inconveniente generatore dell’aggravio economico assume, nella rappresentazione dell’impresa secondo canoni di diligenza e buona fede, la connotazione dell’insuperabilità e della definitività, e non alla cessazione della continuità, salvo il completamento e l’indicazione precisa del danno e del maggiore onere a fatto continuativo cessato.
Più in generale può affermarsi che, anche quando non è possibile quantificare subito il danno, è obbligo dell’impresa inserire una riserva, anche generica, nella contabilità contestualmente all’insorgenza e percezione del fatto dannoso stesso, mentre il “quantum” può essere successivamente indicato (Cass. civ., Sez. I, 19/05/2014, n. 10949).
Vige, altresì, il principio della scissione del profilo della tempestività dell’iscrizione della riserva da parte dell’appaltatore dal profilo della tempestività della compiuta sua esplicazione, da effettuare a pena di decadenza nei quindici giorni successivi dalla data di sottoscrizione del registro di contabilità con riserva.
Da quanto esposto si ricavano anche i casi decadenza dalle riserve, vale a dire la sottoscrizione del registro di contabilità senza formulazione di domande o riserve, la mancata sottoscrizione del registro di contabilità entro i termini prescritti dall’art. 190, commi 1 e 2 e 3, del regolamento n. 207/2010, la sottoscrizione del registro di contabilità con riserva cui non fa seguito la sua esplici¬tazione entro i successivi quindici giorni come previsto dall’art. 190, comma 3, del regola¬mento, la formulazione tardiva, la domanda inefficace in quanto priva dei presupposti giuridici e la mancata conferma delle riserve, eventualmente non risolte in corso d’opera, all’atto della sottoscrizione del conto finale.
L’appaltatore può, ovviamente, rinunciare anche espressamente alle riserve, così come si ritiene ammissibile per la stazione appaltante la possibilità di rinunciare all’eccezione di decadenza delle riserve formulate dall’appalta-tore, riconoscendo specificatamente la riserva formulata tardivamente.
L'onere dell'iscrizione tempestiva della riserva viene meno, invece, nei seguenti casi.
In primo luogo per fatti estranei all’oggetto dell’appalto e rientrano in questa ipotesi tutte le controversie che non si riferiscono direttamente alle registrazioni contabili, quali, per esempio, le azioni della stazione appaltante esercitate in via di autotutela, oppure altre azioni che discendono da interpretazioni di disposizioni contrattuali o normati¬ve.
La giurisprudenza ha, in particolare, precisato che qualora si controverta della risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltante, o, in generale, dell’invalidità del contratto o della sua estinzione, la relativa domanda, arbitrale o giudiziaria, non riguarda la quantificazione della prestazione spettante all’appaltatore, ma l’esistenza stessa del contratto, sicché non è soggetta alla decadenza per inosservanza dell’onere di tempestiva iscrizione della riserva nel registro di contabilità, la quale opera soltanto con riferimento alle pretese dell’appaltatore che comportino il riconoscimento di compensi o indennizzi aggiuntivi (Cass. civ., Sez. I, 17/10/2014, n. 22036; Cass. civ., Sez. I, 17/09/2014, n. 19531).
Altri casi in cui si deroga al principio di tempestività della riserva sono i comportamenti dolosi o gravemente colposi della stazione appaltante nell’esegui¬re adempimenti amministrativi, quando non incidano direttamente sull’esecuzio¬ne dell’opera e siano perciò indifferenti agli effetti delle riserve, l’esistenza di una contabilità informe e non ricostruibile perché riportata da sem¬plici appunti o brogliacci ed in caso di pretesa agli interessi legali sulle somme percepite (Cass. civ., Sez. I, 09/06/2011, n. 12628).
Occorre anche precisare che le riserve non hanno natura e contenuto di intimazione di pagamento, bensì la diversa funzione, dichiarata dalla legge, di impedire decadenza e prescrizione, con la conseguenza che non possono essere idonee a costituire in mora l’amministrazione ai fini del decorso degli interessi accessori a norma dell’art. 1224 c.c. (Cass. civ., Sez. I, 21/02/2006, n. 3768; Cass. civ., Sez. VI, 30/03/2011, n. 7204).
Il d.lgs n.163/2006 a seguito delle ultime innovazioni legislative, ed in particolare il d.l. n.70/201, convertito nella legge n. 106/2011, ha subito rilevanti innovazioni con una profonda rivisitazione dell’art. 240 bis, al quale è stato aggiunto un ulteriore periodo ed il comma 1bis.
La nuova versione dell’art. 240-bis, la cui applicazione concerne solo i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 70 del 13.5.2011 e quindi a far data 14.5.2011, oltre a ribadire che le domande che fanno valere pretese già oggetto di riserve non possono essere proposte per importi maggiori rispetto a quelli quantificati nelle riserve stesse, dispone che l’importo complessivo delle riserve non può in ogni caso essere superiore al venti per cento dell’importo contrattuale e, al comma
1-bis, che non possono essere oggetto di riserve gli aspetti progettuali che sono stati oggetto di verifica.
Viene, dunque, introdotto un limite quantitativo, il tetto massimo del 20%, ed un limite qualitativo, essendo preclusa ogni di censura laddove il progetto sia validato ai sensi dell’art. 112 del d.lgs 163/2006.
La finalità della norma è chiaramente quella di contenere i costi a carico della pubblica amministrazione appaltante, ma determina anche questioni applicative.
In particolare, per quello che riguarda l’inibizione di formulazione di riserve, prevista dalla norma in presenza di un progetto validato, occorre verificare cosa accada in caso di validazione manchevole o incompleta.
Sul punto, un contributo importante alla problematica è offerto dal Consiglio di Stato, Sez. VI, il quale, con la sentenza del 24/11/2011, n. 6207, ha ravvisato l’incompletezza del progetto, pur validato, deducendone la illegittimità della procedura di gara, o per mancata acquisizione di tutte le prescritte autorizzazioni di legge, ovvero per assenza di relazione geologica, affermando di non potersi ritenere validato il progetto, nella fattispecie per la realizzazione di un parcheggio interrato, in assenza di relazione geologica e disponendo l’annullamento di un provvedimento di approvazione di un progetto definitivo, anche se validato.
Si può, pertanto, ragionevolmente concludere che la preclusione contenuta nella norma, con riferimento al progetto validato, sia superabile ove si provino delle omissioni o carenze nel complesso procedimento di validazione quale attività che conclude tutte le verifiche sul progetto nei sui vari livelli.
5. La sospensione dei lavori
Le cause che danno luogo alle riserve sono piuttosto varie potendo concernere, la contestazione del prezzo di riferimento, il ritardo nella consegna dei lavori, la sorpresa idrogeologica, ovvero, più in generale, la richiesta di equo-compenso in presenza di fatti che rendono più onerosa la prestazione.
Certamente la fattispecie più frequente che determina l’apposizione di riserve è la sospensione dei lavori.
Premesso che l’appaltatore e l’amministrazione non possono disporre la sospensione dei lavori se non in presenza di cause determinate, l’istituito è oggi disciplinato dagli artt. 158, 159 e 160 del d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207 ed è prevista la sospensione nei casi di avverse condizioni climatiche, di forza maggiore o di altre circostanze speciali che impediscano in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d’arte (art. 158, 1° comma), ovvero per ragioni di pubblico interesse o necessità (art. 158, 2° comma), con la precisazione che rientra tra le ragioni di pubblico interesse l’interruzione dei finanziamenti disposta con legge dello Stato, della Regione e della Provincia autonoma per sopravvenute esigenze di equilibrio dei conti pubblici.
In entrambe le ipotesi il direttore dei lavori, con l’intervento dell’appaltatore, compila il verbale di sospensione indicando le ragioni che hanno determinato l’interruzione dei lavori e nello stesso è indicato lo stato di avanzamento, le opere la cui esecuzione rimane interrotta e le cautele adottate.
E’ esclusa, invece, ogni possibile decisione unilaterale di sospensione ad opera dell’impresa, anche nell’ipotesi in cui la mancata sospensione comporti per la stessa maggiori oneri, salva la valutazione delle complessive conseguenze nella determinazione del corrispettivo o dei compensi aggiuntivi.
Cessata la sospensione è redatto il verbale di ripresa dei lavori, il quale risponde all’esigenza di certezza in ordine al computo dei termini di esecuzione delle opere (Cass. civ., Sez. I, 17/12/2008, n. 29494), da redigere a cura del direttore dei lavori, nel quale è indicato il nuovo termine contrattuale.
Ove successivamente alla consegna dei lavori insorgano, per cause imprevedibili o di forza maggiore, circostanze che impediscano parzialmente il regolare svolgimento dei lavori, l’appaltatore è tenuto a proseguire le parti di lavoro eseguibili, mentre si provvede alla sospensione parziale dei lavori non eseguibili in conseguenza di detti impedimenti, dandone atto in apposito verbale.
In ogni caso, e salvo che la sospensione non sia dovuta a cause attribuibili l’appaltatore, la sua durata non è calcolata nel tempo fissato dal contratto per l’esecuzione dei lavori, così come l’appaltatore che per cause a lui non imputabili non sia in grado di ultimare i lavori nel termine fissato può richiederne la proroga.
Per l’art. 160 del regolamento, infine, le sospensioni totali o parziali dei lavori disposte dalla stazione appaltante per cause diverse da quelle stabilite dal regolamento sono considerate illegittime e danno diritto ad ottenere il risarcimento dei danni subiti.
La sospensione a causa della sopravvenienza di cause di forza maggiore, tra le quali rientra di frequente la sorpresa archeologica (Cass. civ., Sez. I, 17/02/2014, n. 3670), o di avverse condizioni climatologiche, o ancora in altre speciali circostanze, differisce da quella che si fonda su ragioni di pubblico interesse o necessità, la cui valutazione, in quanto rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione committente, costituisce espressione dei poteri autoritativi a quest’ultima spettanti anche nell’ambito della fase esecutiva del contratto d’appalto.
Pertanto, mentre, in riferimento alla prima ipotesi, la norma citata dispone che la sospensione debba cessare non appena vengano meno le circostanze che l’hanno determinata, trattandosi di situazioni che il giudice ordinario può accertare obiettivamente, per la seconda essa si limita ad individuare una durata massima, atteso che, altrimenti, il giudice ordinario sarebbe legittimato a sindacare l’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione, trascorsa la quale, come vedremo, è riconosciuta all’appaltatore la facoltà di chiedere lo scioglimento del contratto (Cass. civ., Sez. I, 17/07/2014, n. 16366).
Le ragioni di pubblico interesse o necessità che legittimano l’ordine di sospensione dei lavori, come già visto per la perizia di variante, sono identificate in esigenze pubbliche oggettive e sopravvenute, non previste né prevedibili dall’amministrazione con l’uso dell’ordinaria diligenza, così che esse non possono essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza o imprevidenza dell’amministrazione medesima.
Anche nelle ipotesi di sospensione dei lavori disposta dall’amministrazione, l’onere d’iscrizione della riserva per maggior compenso sorge, per l’appaltatore, nel momento in cui emerga, secondo una valutazione rimessa al giudice del merito, la concreta idoneità del fatto dedotto in riserva a determinare la pretesa.
Le contestazioni dell’appaltatore devono poi essere iscritte a pena di decadenza nei verbali di sospensione e di ripresa dei lavori, salvo che per le sospensioni inizialmente legittime per le quali è sufficiente l’iscrizione nel verbale di ripresa dei lavori.
La giurisprudenza ha, in particolare precisato che se l’appaltatore ritenga illegittima la sospensione ab origine, dovrà inserirla nel verbale di sospensione, mentre nel caso di illegittimità sopravvenuta della sospensione, la riserva va apposta nel verbale di ripresa dei lavori o, in mancanza di tale verbale, la cui compilazione è rimessa all’iniziativa dell’appaltante, nel registro di contabilità successivamente firmato o, in caso di ulteriore mancanza anche di quest’ultimo, in apposito atto scritto tempestivamente comunicato ed esplicato all’amministrazione nel termine di quindici giorni dal maturare della ragione di dedotta illegittimità (Cass. civ., Sez. Unite, 03/12/2014, n. 25571).
Si ritiene, inoltre, in assenza di un divieto di legge e rientrandosi in materia di diritti disponibili, possibile la rinuncia preventiva effettuata dall’appaltatore al diritto, futuro ed eventuale, all’indennizzo degli oneri derivanti dalla sospensione dei lavori, purché al momento della rinuncia siano prevedibili la durata della sospensione e la sua incidenza economica (Cass. civ., Sez. I, 17/07/2014, n. 16365).
L’art. 159, 4° comma, del regolamento prevede, poi, che nel caso di sospensione per ragioni di pubblico interesse o necessità, che il responsabile del procedimento determini il momento in cui sono venute meno le ragioni di pubblico interesse o di necessità che lo hanno indotto a sospendere i lavori, mentre la sospensione dei lavori per la sopravvenienza di una causa di forza maggiore, non può prolungarsi illimitatamente, fondandosi sul presupposto della temporaneità dell’impedimento sopraggiunto e sulla prospettiva di una ripresa dei lavori in tempi ragionevoli.
Qualora la sospensione per ragioni di pubblico interesse o necessità, o le sospensioni se più di una, durino per un periodo di tempo superiore ad un quarto della durata complessiva prevista per l’esecuzione dei lavori stessi, o comunque quando superino sei mesi complessivi, l’appaltatore può richiedere lo scioglimento del contratto senza indennità e se la stazione appaltante si oppone allo scioglimento, ha diritto alla rifusione dei maggiori oneri derivanti dal prolungamento della sospensione oltre i termini suddetti.
Peraltro l’appaltatore non ha diritto ad ulteriori compensi o indennizzi nell’ipotesi in cui abbia preferito comunque protrarre l’esecuzione del contratto.
La facoltà dell’appaltatore di chiedere lo scioglimento del contratto senza indennità in caso di sospensione dei lavori, con conseguente diritto al risarcimento dei danni nel caso in cui l’amministrazione si opponga a tale richiesta, si riferisce solamente all’ipotesi in cui la sospensione sia disposta per ragioni di interesse pubblico o per necessità, oltre all’ipotesi in cui la sospensione si protragga per un motivo legittimo.
Tale facoltà, invece, non può esercitarsi quando la sospensione sia illegittima, ovvero si protragga per un motivo illegittimo dovuto a fatto imputabile all’amministrazione committente.
In tal caso trova applicazione la disciplina dettata in tema di inadempimento delle obbligazioni, con diritto dell’appaltatore alla corresponsione di una congrua proroga del termine per l’ultimazione dei lavori, oltre al rimborso delle maggiori spese, nonché il rimedio generale della risoluzione del contratto e del risarcimento del danno (Cass. civ., Sez. I, 16/06/2010, n. 14574).
La sospensione dei lavori, di regola, non comporta la cessazione o l’interruzione della custodia dell’opera da parte dell’appaltatore, il quale resta obbligato a porre in essere, con la sua organizzazione e secondo i suoi criteri tecnici, le cautele necessarie e specifiche alla situazione di attesa, onde evitare che nel periodo di interruzione derivi dalle cose in sua custodia pericolo o danno ai terzi.
6. Inadempimento della parte privata
L’art 134 del d.l.vo n. 163/06 prevede che la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere.
Questo recesso costituisce espressione di un diritto potestativo, il cui esercizio non postula la sussistenza di particolari condizioni e può aver luogo in qualsiasi momento, senza che assumano rilievo i motivi che lo hanno determinato (Cass. civ., Sez. I, 13/10/2014, n. 21595).
L’art. 136, invece, il quale riprende l’art. 340, della legge 20.3.1865, n. 2248, all. F, abrogato dall’art. 256, d.l.vo 12.4.2006, n. 163, con la decorrenza indicata nell’art. 257 dello stesso decreto, e l’art. 27 del r. d. n. 350 del 1895, abrogato a sua volta dall’art. 231, d.p.r. 21.12.1999, n. 554, disciplina la risoluzione del contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo, da ravvisarsi quando il direttore dei lavori accerta comportamenti dell’appaltatore che concretano violazioni alle obbligazioni di contratto, tali da compromettere la buona riuscita dei lavori.
In questo caso il direttore dei lavori invia al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei lavori eseguiti regolarmente e che devono essere accreditati all’appaltatore, nonché formula la contestazione degli addebiti, assegnando un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle controdeduzioni al responsabile del procedimento.
Acquisite e valutate negativamente le predette controdeduzioni, ovvero scaduto il termine senza che l’appaltatore abbia risposto, la stazione appaltante su proposta del responsabile del procedimento dispone la risoluzione del contratto.
Qualora, al di fuori dei precedenti casi, l’esecuzione dei lavori ritardi per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del programma, il direttore dei lavori assegna un termine, il quale, salvo i casi d'urgenza, non può essere inferiore a dieci giorni, per compiere i lavori in ritardo, e dà inoltre le prescrizioni ritenute necessarie.
Qualora l’inadempimento permanga è deliberata la risoluzione del contratto.
Questo procedimento di rescissione in danno per inadempimento dell’appaltatore, costituisce un meccanismo di autotutela della amministrazione committente assimilabile alla risoluzione unilaterale del contratto (Cass. civ., Sez. Unite, 16/11/1999, n. 775).
In caso di rescissione da parte dell’ente pubblico del contratto, che, dunque, ne determina “ipso iure” la risoluzione con effetto retroattivo, il danno risarcibile consiste nella maggiore spesa sostenuta al fine di garantire la realizzazione dell’opera o la continuità del servizio, tramite l’esecuzione d’ufficio o la stipulazione di un nuovo contratto (Cass. civ., Sez. I, 23/05/2014, n. 11511).
Il danno può anche consistere solo nella maggiore spesa determinata dalla sola incidenza sfavorevole del fenomeno inflattivo nel frattempo intervenuto, in quanto l’incremento del corrispettivo del secondo contratto, conseguente all’adeguamento ai prezzi di mercato, è destinato ad incidere negativamente sulle finanze pubbliche, mentre il tempestivo adempimento del primo contratto avrebbe consentito di elidere gli effetti depauperativi dell’inflazione (Cass. civ., Sez. I, 08/08/2013, n. 18958).
Inoltre si precisa anche che nel caso di rescissione del contratto per colpa dell’appaltatore, dal danno che questi è tenuto a risarcire non va detratto il compenso revisionale che gli sarebbe spettato, giacché il relativo importo, spettando solo ove l’amministrazione, avvalendosi della facoltà di procedere alla revisione dei prezzi, lo riconosca, è correlato ad una posizione di interesse legittimo dell’appaltatore che non può essere presa in considerazione nel giudizio di danno (Cass. civ., Sez. I, 13/03/1989, n. 1254).
All’inadempimento della parte privata consegue anche l’incameramento della cauzione di regola dovuta dall’appaltatore a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni contrattuali, la quale, di fatto assimilabile ad una caparra confirmatoria, può essere sostituita anche da una fideiussione bancaria o da una polizza assicurativa fideiussoria.
La stessa non ha funzione satisfattoria, ma natura di garanzia reale generica, finalizzata ad assistere qualsiasi ragione di credito effettivamente esistente a favore dell’amministrazione.
Ne consegue che l’ente pubblico può soddisfare il proprio credito incamerando l’importo ricevuto in numerario o procedendo alla vendita dei titoli o all’escussione della fideiussione, ma solo nei limiti del pregiudizio effettivamente subìto, del quale è tenuta a fornire la prova, essendole espressamente consentito di agire per il ristoro dei maggiori oneri eventualmente sopportati, ma non anche di trattenere importi eccedenti l’ammontare delle spese sostenute e dei danni riportati (Cass. civ., Sez. I, 08/10/2014, n. 21205).
7. Normativa principale di riferimento
Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163).
Regolamento del Codice dei contratti pubblici (D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207).
Testo unico sicurezza luoghi di lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81).
Norme tecniche per le costruzioni (D.M. 14 gennaio 2008).
Legge 12 luglio 2011, n. 106 (conversione decreto sviluppo D.L. 70/2011).
Legge 11 novembre 2011, n. 180 (tutela della libertà d'impresa)
Dr. Corrado Cartoni