Abstract: L'articolo si concentra sulla differenza tra modificazione ed innovazione nella comunione e nel condominio (artt. 1102, 1108, 1120 cod. civ.). Partendo dal dato codicistico, si illustreranno le due diverse discipline, per poi analizzare le differenze a livello definitorio individuate dalla giurisprudenza e dalla dottrina. In particolare, si evidenzierà come un'ordinanza della Corte di Cassazione nel 2017 (Cass. sez. II, ord. 04 settembre 2017, n. 20712) abbia dato vita ad un nuovo orientamento giurisprudenziale che ha sposato una posizione dottrinaria più restrittiva rispetto a quella adottata dalla Suprema Corte in precedenza.
Abstract: The paper examines the distinctions between the legal concept "modification" and "innovation" in relation to shared ownership in Italy (as outlined in articles 1102, 1108, and 1120 of the Italian Civil Code). Beginning with an overview of the legal framework, the two disciplines are then explored, followed by an analysis of the differences in definition as identified by both case law and legal literature. Then, the paper highlights a 2017 decision by the Court of Cassation (Cass. sez. II, ord. 04 settembre 2017, n. 20712) which established a new line of case law, subsequently leading to a more restrictive doctrinal position compared to the previous positions of the Cassation.
Sommario: 1. La questione e diverse discipline codicistiche. – 1.1 Le modificazioni (art. 1102 cod. civ.). – 1.2 Le innovazioni (artt. 1108 e 1120 cod. civ). – 1.3 Le differenze codicistiche e la mancanza di una definizione. – 2. La differenza fra modificazione e innovazione in giurisprudenza e dottrina – 2.1 La giurisprudenza precedente al 2017. – 2.2 La dottrina – 2.3. L’orientamento successivo alla Cass. sez. II, ord. 04 settembre 2017, n. 20712 – 3. Spunti critici sul nuovo orientamento giurisprudenziale.
1. La questione e la disciplina codicistica. – Qual è la differenza tra una modificazione ed un’innovazione del bene comune? Il dilemma non è meramente definitorio, dal momento che la qualificazione di un’operazione sul bene nell’uno o nell’altro senso implica numerose conseguenze sul piano giuridico. Ciononostante, i confini fra le due figure giuridiche non sono così netti e definiti.
Da una parte, vi sono le «modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa» all’articolo 1102 cod. civ., dall’altra le «innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio il godimento» all’articolo 1108 cod. civ. in tema di comunione in generale oppure, con simile formulazione[1], «le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni» ai sensi dell’art. 1120 cod. civ. in tema di condominio di edifici.
1.1 Le modificazioni (art. 1102 cod. civ.) - Partendo dalla disciplina codicistica, le modificazioni possono essere apportate a proprie spese alla cosa comune, senza la necessità di un consenso da parte degli altri comunisti o condòmini. A tal fine, il codice impone il rispetto degli stessi due limiti posti dal legislatore per l’uso della cosa comune da parte di ciascun comproprietario: a) non alterare la destinazione b) non impedire «agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto» (art. 1102 cod. civ.).
L’espressa statuizione che il comproprietario possa svolgere tali modifiche al bene comune a sue spese è una novità del codice civile del 1942, dal momento che nel codice civile del 1865 all’art. 675 cod. civ. prev. non vi era esplicita menzione al riguardo[2]. Nella Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice civile del 4 aprile 1942 il legislatore giustifica tale introduzione su spinta del formante giurisprudenziale precedente: «518. [...] seguendo il largo indirizzo tracciato dalla giurisprudenza, si consente al singolo partecipante di trarre dalla cosa la migliore utilizzazione possibile, entro i limiti inderogabilmente fissati dalla legge».
Per completezza è opportuno segnalare che l’articolo 1102 cod. civ., pur essendo collocato nel capo della comunione in generale, è senza dubbio applicabile anche alla disciplina del condominio ai sensi del richiamo operato dall’art.1139 cod. civ.[3].
In conclusione, secondo il dettato codicistico ed in mancanza di una espressa regolamentazione fra i partecipanti della comunione o fra i condomini, un comproprietario può attuare a proprie spese qualsiasi miglioria per un maggior godimento della cosa se rispetta i limiti sopracitati. Pertanto, egli potrà prescindere dal passaggio in assemblea o dal consenso degli altri comproprietari.
1.2 Le innovazioni (artt. 1108 e 1120 cod. civ.) – Le innovazioni, invece, devono essere approvate dalla maggioranza dei partecipanti dell’assemblea condominiale o dei partecipanti della comunione che, in entrambi i casi, rappresentino almeno i 2/3 del valore del bene comune (art. 1108 cod. civ. per la comunione in generale e gli artt. 1120 e 1136 cod. civ. per il condominio).
Per quanto concerne la comunione, l’articolo 1108 cod. civ. prescrive che le innovazioni non devono pregiudicare «il godimento di alcuno dei partecipanti e non importino una spesa eccessivamente gravosa». La Relazione Guardasigilli al Codice civile del 1942 a tal riguardo si era espressa in questi termini: «520. [...] Dal conferimento di tale potere alla maggioranza l'istituto deriva elasticità di disciplina: a differenza delle modificazioni che può apportare il singolo partecipante, le quali trovano un limite nel rispetto della destinazione della cosa, le innovazioni deliberate dalla maggioranza, salvo il concorso delle condizioni dianzi indicate, possono importare anche un mutamento di destinazione»
Per quanto concerne il condominio, sono vietate quelle innovazioni sulle parti comuni che «possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino» ai sensi dell’art. 1120 ultimo comma cod. civ.
Inoltre, al seguito dell’intervento modificativo dell’art. 5 della legge 11 dicembre 2012, n. 220, l’art. 1120 comma 2 cod. civ. specifica alcuni specifici oggetti delle innovazioni che comportano, oltre alla necessaria deliberazione assembleare a maggioranza qualificata, anche un iter specifico da attuare da parte dell’amministratore che, in caso di richiesta anche di un solo condòmino, è tenuto a convocare l’assemblea entro 30 giorni (art. 1120 comma 3 cod. civ.).
A livello codicistico, si fa riferimento alle innovazioni anche all’art. 1121 cod. civ. che disciplina il caso specifico delle «innovazioni gravose e voluttuarie». In sintesi, per le opere suscettibili di utilizzazione separata si può esonerare la ripartizione delle relative spese per i condòmini che non intendano trarne vantaggio; mentre, in caso contrario, l’innovazione va esclusa, salvo che coloro che l’hanno deliberata si sobbarchino ugualmente le spese.
1.3 Le differenze codicistiche e la mancanza di una definizione - Di conseguenza, dal dato letterale, emerge che i principali elementi che differenziano le innovazioni dalle modificazioni a livello normativo sono: a) la necessità o meno di seguire l'iter assembleare e la citata maggioranza qualificata; b) il riparto delle spese, dal momento che nelle modificazioni sono sostenute dal singolo comproprietario, mentre, generalmente, nelle innovazioni gravano sull’intera compagine proprietaria (cfr. art. 1104 cod. civ.)[4].
Come si può evincere da questa breve panoramica, il legislatore del ‘42 (analogamente a quello del 2012 che è intervenuto in materia) non ha fornito delle chiare definizioni normative dei due istituti, ma piuttosto si è concentrato sul precisarne le finalità a cui le opere sottendono (il miglior godimento della cosa oppure il miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio il godimento) e ha delineato una differente disciplina in termini di consenso degli altri comproprietari e ripartizione della spesa[5].
2. La differenza fra modificazione e innovazione in giurisprudenza e dottrina – A supplire questa mancanza definitoria, sono state giurisprudenza e dottrina. Entrambi i formanti si sono spesso interrogati se e quali fossero gli elementi che comportavano la qualificazione di un intervento modificativo del bene nell’una o nell’altra fattispecie codicistica, specialmente in un’ottica di definire il confine per gli interventi del singolo comproprietario sulla res communes.
In particolare, l’analisi giuridica degli interpreti si è concentrata soprattutto in tema di facoltà del condòmino di modificare le parti comuni, ma, per ovvie ragioni di sistematica, quanto scritto da dottrina e giurisprudenza può essere facilmente trasposto anche al caso della comunione in generale.
2.1 La giurisprudenza precedente al 2017 – Precedentemente all’orientamento giurisprudenziale inaugurato da Cass. sez. II, ord., 04 settembre 2017, n. 20712, il criterio principale che distingueva le due figure discendeva direttamente dai limiti posti dall’art. 1102 cod. civ.
Secondo una giurisprudenza consolidata di Cassazione, la necessità della maggioranza assembleare di cui all’art. 1136 comma 5 cod. civ., propria delle innovazioni, atteneva solo agli interventi che comportavano una notevole modificazione della cosa comune, tale da alterare «l’originaria funzione e destinazione» oppure tale da incidere sull’essenza della cosa, trasformando «l’entità sostanziale» del bene»[6]. Detta impostazione si poteva riscontrare già in pronunce risalenti[7] ed era avvallata da numerosi precedenti della Cassazione[8].
Secondo tale indirizzo costante, dunque, non tutte le modifiche che incidono sul bene comune devono configurarsi automaticamente come innovazione, ma il giudice dovrà valutare se tale intervento alteri o meno la destinazione (la funzione o la finalità) e/o l’essenza (la consistenza materiale o la natura) rispetto alla situazione precedente l’intervento modificativo[9]. Inoltre, la Suprema Corte precisava al riguardo che l’indagine sull'integrazione o meno di tali requisiti compiuta dal giudice è insindacabile in Cassazione se sostenuta da una congrua motivazione[10].
Alcuni casi particolarmente interessanti ai fini della presente trattazione, si possono riscontrare nella qualificazione di facoltà ex art. 1102 cod. civ. del singolo condomino di implementare un ascensore nella tromba delle scale (cfr. Cass., Sez. II, 12 febbraio 1993, n. 1781)[11], oppure di aprire un nuovo ingresso nell'androne condominiale (Cass., sez. VI, 14 novembre 2014, n. 24295), oppure ancora di ampliare l'autorimessa condominiale (Cass., Sez. II, 05 novembre 2002, n. 15460).
In conclusione, secondo queste pronunce, un’opera migliorativa che non turba l’uso delle parti comuni e non ne altera la destinazione e/o l’entità sostanziale poteva essere effettuata dal singolo condòmino senza ulteriori vincoli.
2.2 La dottrina. – Una parte della dottrina si è espressa in modo analogo alla citata giurisprudenza. Ad esempio, alcuni autori ricollegano la distinzione fra l’innovazione e modificazione «all’entità e alla qualità dell’incidenza della nuova opera sulla consistenza e destinazione della cosa comune»[12] oppure al fatto di intaccare o meno «l’identità economica-sociale» e permettendo una modificazione anche nel caso in cui «tutti ne beneficiano»[13]. Altri ancora hanno definito le innovazioni come «forme aggravate quantitativamente e qualitativamente della figura della modificazione»[14] e così via.
Inoltre, si è anche evidenziato che la destinazione non è necessariamente quella astrattamente ipotizzabile, ma si intende quella che i partecipanti alla comunione o i condòmini danno effettivo rilievo a seconda dell’uso[15].
In generale, sfruttando una dicotomia elaborata da un’autorevole dottrina e spesso ripresa anche successivamente da altri autori[16], la differenza può coinvolgere sia la dimensione funzionale del bene o "immateriale" («la destinazione della cosa comune») sia una dimensione sostanziale o "materiale" («l’entità»). Alla base di tale dualità vi è la disciplina delle innovazioni agli artt. 1108 e 1120 cod. civ che elencano due diverse finalità degli interventi innovativi. Da una parte, vi è il «più comodo e redditivo godimento» e si riferimento alle c.d. innovazioni materiali che possono avvenire senza modificare la destinazione economica. Un esempio può essere individuato nell'allargamento macroscopico di una strada. Dall'altra, il codice riporta il «miglioramento della cosa» e dunque contempla anche le innovazioni immateriali, come, ad esempio, la trasformazione di un’area da cortile a parcheggio[17].
In ogni caso, questi criteri elaborati dalla citata dottrina, pur nella loro diversità, si concentrano soltanto su un aspetto "oggettivo", cioè l’intervento di modifica del bene, e non su altri.
Altra parte della dottrina, però, ha dato una definizione più articolata del concetto di innovazione e – si anticipa sin d’ora – è da queste voci accademiche che la Cassazione nel 2007 ha preso spunto nella motivazione dell’ordinanza. Secondo questa impostazione, si possono individuare due aspetti nell’innovazione che la differenziano rispetto alla modificazione: quello oggettivo e quello soggettivo. Il primo è contraddistinto dall’analisi del "tipo di intervento" operato e quindi la differenza fra le due figure si basa sull’impatto che la modifica ha sulla funzione o sull’entità del bene, analogamente a quanto è stato esposto precedentemente. A questo primo criterio, però, si affianca un secondo, di tipo soggettivo, che è determinato dal riscontro o meno di un interesse da parte della maggioranza dei condomini per l’esecuzione dell'intervento sul bene. Nello specifico, soltanto l’innovazione permetterebbe un’operazione la cui miglioria comporta degli effetti a tutti i comproprietari, mentre il maggior godimento della cosa comune a livello individuale può rientrare nell’alveo delle facoltà di modificazione riconosciute al comproprietario ex art. 1102 cod. civ.[18].
Per giustificare una tale interpretazione, il Branca si è basato sul dato testuale codicistico (il codice utilizza all'art. 1102 cod. civ. le parole «A tal fine [...]» e si riferisce all’uso del singolo comproprietario), sul richiamo alla comunione del muro comune, sul coordinamento dell’art. 1102 cod. civ. con l’art. 1108 cod. civ. e, infine, sul fatto che non sia stata accolta la proposta dell’università di Siena formulata in sede di redazione del codice di farne beneficiare anche gli altri comunisti[19].
2.3. L’orientamento successivo alla Cass. sez. II, ord. 04 settembre 2017, n. 20712. – A partire dall'ordinanza Cass., sez. II, ord., 04 settembre 2017, n. 20712, la Suprema Corte ha fatto propria questa impostazione dottrinaria ed ha iniziato a distinguere esplicitamente l’aspetto oggettivo e quello soggettivo al fine di distinguere modificazioni ed innovazioni. In particolare, si può leggere il seguente passaggio che riporta la necessità di questo duplice criterio [corsivi dell'autore]: «[...] In realtà, tra le nozioni di modificazione della cosa comune e di innovazione (e, pertanto, tra le sfere di operatività delle norme di cui agli artt. 1102 e 1120 c.c.) corre una differenza che è di carattere innanzitutto soggettivo, giacché, fermo il tratto comune dell'elemento obiettivo consistente nella trasformazione della "res" o nel mutamento della destinazione, quel che rileva nell'art. 1120 c.c. (mentre è estraneo all'art. 1102 c.c.) è l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata dei partecipanti, espresso da una deliberazione dell'assemblea. Le modificazioni dell'uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c., non si confrontano con un interesse generale, poiché perseguono solo l'interesse del singolo, laddove la disciplina delle innovazioni segna un limite alle attribuzioni dell'assemblea» (Cass., sez. II, ord., 04 settembre 2017, n. 20712).
In pronunce successive si è specificato con maggior precisione cosa comportino l’uno e l’altro aspetto. A tal riguardo è opportuno citare una Cassazione del 2022 [corsivi dell'autore]: «Questa Corte spiega costantemente che le innovazioni di cui all'art. 1120 cod. civ. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall'art. 1102 cod. civ., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 cod. civ., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne, poi, l'aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell'assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni [...].» (Cass., sez.VI, ord., 13 dicembre 2022).
Si può affermare con una certa sicurezza che il nuovo orientamento sia ormai consolidato in più sezioni della Suprema Corte[20].
3. Spunti critici sul nuovo orientamento giurisprudenziale. – La scelta della Cassazione di aderire espressamente all’impostazione della citata dottrina, con doppio vaglio soggettivo ed oggettivo, è da apprezzare per molteplici motivi. Tuttavia, in alcuni casi, questa scelta può porre di fronte ad alcune perplessità.
Indubbiamente, l'utilizzo congiunto dei due criteri delimita con maggior precisione l'ambito applicativo delle due figure e garantisce maggior certezza sui limiti della facoltà di intervento del comproprietario sul bene comune o sulla parte comune condominiale. Inoltre, in questo modo, se il criterio oggettivo dell'alterazione della funzione o della sostanza non fosse decisivo, il criterio soggettivo dell'interesse collettivo o individuale potrebbe essere maggiormente dirimente. In questo modo si fornisce al giudice un ulteriore criterio per far pendere l'ago della bilancia verso l'una o l'altra figura.
Ad esempio, si pensi ad una modifica meramente estetica della parte comune che non altera né la sostanza né destinazione della parte comune né impedisce l'uso degli altri comproprietari, ma tale modificazione risulta gradita ad un solo soggetto che sarebbe disposto a pagarla a sue spese. In tal frangente, il criterio soggettivo potrebbe essere particolarmente adatto, non permettendo al singolo soggetto di aggirare la volontà della maggioranza degli altri comproprietari con l'istituto dell'art. 1102 cod. civ.
Inoltre, in generale, se un'opera comporta degli effetti che si riverberano su altri comunisti o condòmini potrebbe comportare una compressione dell'uso degli altri comproprietari e rischia pertanto di essere intaccato quel limite invalicabile ex art. 1102 cod. civ. del non impedire «agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto».
Tuttavia, a parere di chi scrive, il criterio soggettivo, se fosse applicato con eccessivo rigore, potrebbe condurre ad una eccessiva compressione del campo di applicazione del 1102 cod. civ.
In generale, vi sono dei beni che per migliorare «il godimento della cosa» (cfr. art. 1102 cod. civ.) necessariamente comportano degli effetti anche sugli altri comproprietari e, diversamente, vi sono altri beni in cui è possibile che vi sia un miglioramento dell’uso da parte di un unico partecipante alla comunione senza comportare alcun vantaggio sugli altri (ad es. l’apertura di una finestra sul muro condominiale in un appartamento).
In merito alla prima categoria di beni si può riportare il già citato caso della modifica della tromba delle scale con l'aggiunta di un ascensore (vedi supra cap. II, §1). La Suprema Corte nel 1993 aveva deciso che fosse lecito implementare un ascensore senza il consenso della delibera assembleare, purché venissero rispettati i limiti di cui all'art. 1102 cod. civ., pertanto, riteneva che tale intervento fosse una facoltà ammissibile da parte del singolo condòmino[21]. Impiegando l'attuale criterio soggettivo al caso, per un simile intervento, è indubbio che rileva l'interesse della maggioranza e pertanto con gli attuali criteri, forse il caso del '93 sarebbe stato deciso diversamente, qualificando l'intervento come innovazione.
Un altro bene con simili caratteristiche può essere considerato il tetto condominiale. Infatti, è imprescindibile che le conseguenze delle modifiche possano riverberarsi anche sugli altri comproprietari, a causa della funzione del bene come copertura dalle intemperie e dal sole per l'intero edificio.
Sul tetto, peraltro, si può riscontrare un recente orientamento della Suprema Corte, in merito alla ricostruzione e la trasformazione parziale del tetto comune, che non aderisce pienamente all'applicazione del criterio soggettivo. Nei casi in questione, le operazioni erano state sostenute a spese dei condòmini delle unità abitative sottostanti al tetto e per tali iniziative la Cassazione aveva ritenuto integrante la fattispecie di cui all’art. 1102 cod. civ. e non l’art. 1120 cod. civ.[22].
In conclusione, è indubbiamente necessaria la presenza di un interesse attuale e concreto da parte del singolo comproprietario per la modificazione – come implica il criterio soggettivo –, ma anche l’opera di modificazione potrà avere un effetto sugli altri comproprietari, soprattutto su quei determinati beni o parti comuni che altrimenti non sarebbero modificabili in toto. Naturalmente, tali modificazioni dovranno sempre rispettare il limite invalicabile posto dalla stessa norma codicistica di non «impedire agli altri di farne uso secondo il loro diritto» (cfr. art. 1102 cod. civ.).
[1] Come sottolineava già Branca in: G. Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Comm. Scialoja-Branca, sub artt. 1100-1139, Zanichelli-Foro Italiano, Bologna-Roma, III ed., 1960, p. 342.
[2] E. Vincenti, Le innovazioni, in AA.VV., Il nuovo Condominio (a cura di R. Triola), II ed., Giappichelli, Torino, 2017, p. 242
[3] Tale precisazione si può riscontrare espressamente anche in molteplici sentenze di Cassazione ed è suffragata dalla dottrina. Per citare solo alcune sentenze della Suprema Corte, si vedano: Cass. civ. Sez. II, 14 aprile 2004; Cass. Sez. II, 30 maggio 2003, n. 8808; Cass. civ. Sez. II, 11 gennaio 1997, n. 240. Si veda anche: E. Vincenti, op.cit., p. 240.
[4] A. Celeste (a cura di), Le vicende modificative, in AA.VV., Trattato dei diritti reali (diretto da Gambaro A. e Morello U.), vol. III, Condominio negli edifici e comunione, Giuffré, Milano, 2012, p. 397; M. Bianca, VI. La proprietà, in Diritto civile, Giuffré, Milano, 1999, p. 469: «[...] l’obbligazione di «contribuire» grava su ciascuno in ragione della sua quota e sussiste nei confronti degli altri compartecipi [...].»
[5] E. Vincenti, op. cit., p. 236.
[6] Ex multis si vedano: Cass. Sez. II, 03 agosto 2012, n. 14107: «[...] le innovazioni, di cui all'art. 1120 cod. civ., non corrispondono perfettamente alle modifiche, cui in realtà si riferisce l'art. 1102 cod. civ., atteso che le prime sono costituite da opere di trasformazione della cosa comune, che incidono sull'essenza di essa e ne alterano l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà che il condomino ha in ordine alla migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 cod. civ. (così, Cass. n. 2940/63).»; Cass. Sez. II, 05 novembre 1990, n. 10602: «la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all'entità e qualità dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, nel senso che per «innovazione» deve intendersi soltanto quella modificazione notevole della cosa comune che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, con esclusione, quindi, delle modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione.»; Cass. Sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1911: «Orbene, le innovazioni, di cui tratta l'art. 1120 [...], devono essere tenute distinte dalle modificazioni che si concretino in un'utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino ai sensi dell'art. 1120 cod. civ.: dette modificazioni, che non implicano alterazione della consistenza e della destinazione della cosa anche quando determinano un uso più intenso a favore dell'autore, sono consentite sempre che non ne consegua un cambiamento della destinazione del bene comune o un turbamento dell'equilibrio nella possibilità di uguale uso da parte degli altri condomini; le innovazioni sono invece costituite da quelle modifiche materiali della cosa comune, che importino alterazione della sua entità sostanziale o mutamento della sua destinazione originaria».
[7] Si veda Vincenti che cita Cass., 6 novembre 1963, n. 2940 in: E. Vincenti, op. cit., p. 246., nota 38.
[8] Ex multis: Cass., Sez. VI, Ord., 14 novembre 2014, n. 24295; Cass., Sez. II, 03 agosto 2012, n. 14107; Cass., Sez. II, 26-05-2006, n. 12654; Cass., Sez. II, 05 novembre 2002, n. 15460; Cass., sez. II, 23 ottobre 1999, n. 11936; Cass., Sez. II, 12 febbraio 1993, n. 1781; Cass., Sez. II, 05 novembre 1990, n. 10602; Cass., Sez. II, 29 luglio 1989, n. 3549; Cass. Sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1911.
[9] S. Pettiti, Art. 1120, in F. Pasi e S. Pettiti (a cura di), Libro III, Della proprietà (artt. 1110-1139), in C. Ruperto (a cura di) La giurisprudenza sul Codice civile coordinata con la dottrina, Giuffré, Milano, 2011, p. 328 ss.
[10] Ibidem, 332. Si veda anche: Cass., sez. II, 25 giugno 1994, n. 6109; Cass., sez. II, 5 novembre 1990 n. 10602.
[11] Cass., Sez. II, 12 febbraio 1993, n. 1781, massima : [...] ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto e può apportare a tal fine a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa medesima; ricorrendo le suddette condizioni, pertanto, un condomino ha facoltà di installare nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione degli altri condomini, e può far valere il relativo diritto con azione di accertamento in contraddittorio degli altri condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo.
[12] M. C. Pinto, art. 1120, in P. Rescigno (a cura di), Codice civile, Tomo I (artt. 1-1677), in Le fonti del diritto italiano, Giuffré, Milano IX ed., 2014, p. 2110-2111.
[13] M. Bianca, op. cit., p. 511.
[14] F. Girino- G. Bartoli, voce Condomino negli edifici, in Dig. disc. priv., sez. civ., III, Torino, 1988, p. 410.
[15] E. Vincenti, op. cit., p. 251.
[16] G. Branca, op. cit. p. 184-186; S. Pettiti, op. cit., 333; A. Celeste (a cura di), op. cit., 395.
[17] G. Branca, op. cit. p. 184-186
[18] Ex multis: G. Branca, op. cit., p. 82-83; A. Nicoletti, Le innovazioni e la sopraelevazione nel condominio, Cedam, Padova, 1992, 4; A. Celeste (a cura di), op. cit., 397; E. Vincenti, op. cit., p. 236, 249.
[19] G. Branca, op. cit., p. 83.
[20] Cass., sez. VI, ord.,13 dicembre 2022, n. 36389; Cass., sez. II, 4 febbraio n. 4709; Cass., Sez. VI, 03 febbraio 2022, n. 3440; Cass., sez. II, 29 gennaio 2021, n. 2126; Cass., civ. sez. II, 13 settembre 2020, n. 25790; Cass., sez. II, 15 giugno 2020, n. 11490; Cass., sez. II, 5 novembre 2019, n. 28465; Cass., sez. II, 20 maggio 2019, n. 13503; Cass., sez. VI, 15 gennaio 2019, n. 857; Cass., Sez. II, 16 aprile 2018, n. 9397.
[21] Vedi supra §2 e cfr. Cass., Sez. II, 12 febbraio 1993, n. 1781.
[22] Cfr. ex multis: Cass., sez. II, 03 agosto 2012, n. 14107, massima: «Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene.»; Cass. civ., 29 gennaio 2021, n. 2126: «[...] l'intervento di parziale ricostruzione del tetto comune eseguito, nella specie, dai condomini C.N. ed S.A., è riconducibile non alla nozione di innovazione ex art. 1120 cod. civ., ma a quello di modificazione ex art. 1102 cod. civ..»