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Magistratura Indipendente

CIVILE  

La Consulenza tecnica d’ufficio (Prima Parte). Albo CTU. Disciplina e rotazione incarichi.

  Civile 
 sabato, 18 marzo 2017

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Corrado Cartoni

Giudice del Tribunale di Roma

 
 

Sommario: 1. L’Albo dei C.T.U. L’iscrizione, la revisione ed il procedimento disciplinare (artt. 13-21 disp. att. c.p.c.). – 2. La responsabilità penale, civile e disciplinare. – 3. La nomina e la rotazione degli incarichi (artt. 22 e 23 disp. att. c.p.c.).

 

1. Presso ogni Tribunale è istituito l’Albo dei Consulenti il cui funzionamento è disciplinato dagli artt. 13-23 disp. att. c.p.c.

L’Albo è tenuto da un apposito Comitato composto dal Presidente del Tribunale e dal Procuratore della Repubblica, ovvero da un loro delegato, e dal rappresentante dell’ordine professionale di volta in volta interessato, mentre i professionisti che non hanno un ordine professionale sono rappresentati dalla Camera di Commercio.

Il Comitato provvede all’iscrizione degli aspiranti, alla revisione periodica quadriennale dell’Albo ed alla irrogazione delle sanzioni disciplinari.

Per l’iscrizione all’Albo devono sussistere i due requisiti ex art. 15, primo comma, disp. att. c.p.c. della speciale competenza, normalmente intesa come una competenza superiore alla media, e della specchiata moralità, la quale si identifica con una condotta seria, onesta e proba, i quali devono sussistere per tutta la durata della permanenza nell’Albo e sono oggetto di controllo in sede di revisione periodica ogni quattro anni ex art. 18 disp. att. c.p.c.

Il requisito della speciale competenza si presenta di non facile individuazione e piuttosto generico, atteso che non è agevole stabilire quale sia questa competenza superiore alla media.

Nei Tribunali, di conseguenza, sono di norma adottate delle “linee guida” per poter inquadrare questo requisito, fornendo rilievo alla qualità e quantità di attività professionale svolta, all’anzianità dell’iscrizione al relativo Albo professionale, alla partecipazione a specifici corsi di formazione, ovvero all’eventuale svolgimento della funzione di docente in convegni o seminari.

Per la specchiata moralità, invece, occorre chiarire che la stessa non si identifica necessariamente con il fatto di essere incensurato, considerato che possono sussistere condotte penalmente rilevanti che non inficiano questo requisito nel senso voluto dalla norma, ovvero condotte sottratte alla sanzione penale ma che non possono godere di un giudizio positivo in ordine alla serietà e moralità dell’aspirante consulente.

In particolare, basti pensare all’omicidio colposo a seguito di incidente stradale, il quale, al di là dell’ipotesi di guida in stato di ebbrezza o sotto uso di sostanze stupefacenti o di condotte particolarmente negligenti, non necessariamente esclude una specchiata moralità, mentre, invece, l’emissione di assegni a vuoto, ormai depenalizzata, costituisce certamente indice di non affidabilità dell’aspirante C.T.U.

Peraltro, la mancanza o l’invalidità della iscrizione nell’albo dei consulenti tecnici non è motivo di nullità della relativa nomina (Cass. civ., Sez. II, 06/07/2011, n. 14906), così come la scelta del consulente è riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice, non è sindacabile in sede di legittimità e non richiede specifica motivazione (Cass. civ., Sez. III, 30/03/2010, n. 7622; Cass. civ., Sez. III, 12/03/2010, n. 6050).

L’albo è permanente (art. 18, primo comma, disp. att. c.p.c.) ed è vietata l’iscrizione in più albi presso diversi Tribunali (art. 15, secondo comma, disp. att. c.p.c.)

Il procedimento disciplinare è regolato dagli artt. 19-21 disp. att. c.p.c. ed inizia con la comunicazione della condotta irregolare del consulente effettuata al Comitato dai giudici, dagli avvocati, dalle parti e dagli altri soggetti del processo.

Il Comitato, esaminati gli atti, può disporre l’immediata archiviazione, ovvero procedere alla contestazione scritta dell’addebito con invito a produrre una memoria difensiva, a seguito della quale, sempre salva la possibilità dell’archiviazione, è disposta l’audizione personale del consulente incolpato, il quale può anche farsi assistere da un difensore.

Alla conclusione del procedimento, se non è dichiarata l’archiviazione, è sanzionato il consulente, gradualmente ed a seconda della gravità dell’addebito, con l’avvertimento, con la sospensione dall’Albo per un tempo non superiore ad un anno o con la cancellazione (art. 20 disp. att. c.p.c.).

I Comitati Albo previsti dagli artt. 14 e 15 disp. att. c.p.c. hanno natura di organi amministrativi e non giurisdizionali e, pertanto, avverso le loro deliberazioni non è proponibile il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 21/05/1998, n. 460; Cass. civ., Sez. III, 30/11/2006, n. 25499), mentre è possibile proporre reclamo ex art. 15, ult. comma, disp. att. c.p.c., ad altro apposito Comitato istituito presso la Corte di Appello, la cui determinazione, tipico atto amministrativo, è impugnabile davanti al giudice amministrativo.

Gli atti di conferimento degli incarichi di consulente tecnico d’ufficio in quanto appartenenti al processo civile e costituenti esplicazione di funzione giurisdizionale, sono sottratti alla disciplina dell’accesso che la l. 7 agosto 1990 n. 241 limita agli atti amministrativi (T.A.R. Campania Napoli, 08/07/1997, n. 1795).

 

2. Al momento dell’iscrizione all’Albo il consulente assume due obblighi fondamentali, quello di conservare i requisiti della speciale competenza e della specchiata moralità, oggetto di controllo in sede di revisione dell’Albo, e quello di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di fare conoscere al giudice la verità, il quale rappresenta anche il contenuto del giuramento del consulente disciplinato dall’art. 193 c.p.c. (la giurisprudenza, tuttavia, precisa che se il consulente non presta il giuramento di cui all’art. 193 c.p.c. si ha una mera irregolarità formale, inidonea a determinare l’invalidità del verbale e del relativo conferimento dell’incarico, ostandovi il principio di tassatività delle nullità. Si veda Cass. civ., Sez. II, 06/07/2011, n. 14906).

Il consulente, dunque, quale ausiliario del giudice e sua “longa manus”, deve essere, al pari del magistrato, imparziale, attento e scrupoloso e, soprattutto, deve conoscere la legge del processo, in particolare gli artt. 61-64 e 191-201 c.p.c., disciplinanti la consulenza tecnica d’ufficio, nonché i doveri connessi allo svolgimento dell’incarico, la cui violazione può dare luogo a responsabilità civile e penale come prevede espressamente l’art. 64 c.p.c., ovvero disciplinare.

Per la responsabilità penale l’art. 64 c.p.c. estende ai consulenti tecnici le norme del codice penale relative ai periti e gli stessi sono soggetti alla responsabilità dei pubblici funzionari per le condotte poste in essere in violazione dei doveri connessi all’ufficio, in particolare il rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366 c.p.), falsa perizia o interpretazione (art. 373 c.p.c.) e frode processuale (art. 374 c.p.), mentre per quella civile è espressamente richiamata la clausola generale di responsabilità dell’art. 2043 c.c.

Sul punto è opportuno chiarire che non vi è alcun rapporto contrattuale tra le parti del processo ed il consulente, il quale è ausiliario del giudice e svolge il suo compito nel superiore interesse della giustizia, di guisa che non si applicano le disposizioni sull’inadempimento contrattuale, né, tanto meno, trova spazio l’art. 2236 c.c.

Sulla questione veda la risalente, ma chiara, Cass. civ., 25/05/1973, n. 1545, secondo la quale “All’attività del consulente tecnico non possono applicarsi gli schemi privatistici dell’adempimento e dell’inadempimento, quasi che egli fosse vincolato alle parti da un rapporto di prestazione d’opera, giacché egli svolge nell’ambito del processo una pubblica funzione quale ausiliare del giudice, nell’interesse generale e superiore della giustizia, con responsabilità oltre che penale e disciplinare, anche civile, la quale importa l’obbligo di risarcire il danno che, come qualsiasi pubblico funzionario, abbia cagionato in violazione dei doveri connessi all’ufficio”, nonché, in motivazione, Cass. civ., Sez. I, 21/10/1992, n. 11474: “l’attività del consulente tecnico che è svolta nell’esercizio di una pubblica funzione nell’ambito di un processo, non è in alcun modo inquadrabile negli schemi di un rapporto di lavoro, sia esso subordinato o anche autonomo, quasi che il consulente fosse vincolato alle parti da un rapporto di prestazione d’opera”.

Alcuni giudici di merito, poi, ritengono che la responsabilità aquiliana del consulente sia comunque limitata alla sola ipotesi della colpa grave (Trib. Verona, 19/03/2013; Trib. Bologna, Sez. III, 15/03/2010).

In realtà, la limitazione della responsabilità alla colpa grave è circoscritta alla sola previsione contravvenzionale di cui all’art. 25, l. 4 giugno 1985, n. 281, sostitutivo del già citato art 64, 2 comma, c.p.c., e non vi sono motivi ostativi ad una responsabilità del consulente ex art. 2043 c.c. quale che sia il grado della colpa, grave o lieve.

Diverso, invece, si presenta il discorso qualora la parte, a fronte di una consulenza dichiarata nulla, avanzi domanda diretta ad ottenere dal consulente tecnico la restituzione di somme corrispostegli. In questo caso, infatti, la parte esercita semplicemente il diritto alla ripetizione di un indebito oggettivo senza trovare preclusione, diretta o indiretta, nelle disposizioni dell’art. 64 c.p.c. (Cass. civ., Sez. I, 21/10/1992, n. 11474 già citata).

Sotto il profilo disciplinare vengono in considerazione, oltre alle ipotesi di nullità della C.T.U., la mancata presentazione del consulente, il quale, regolarmente intimato, non compare all’udienza fissata, e l’omesso o tardivo deposito della consulenza senza aver presentato istanza di proroga prima della scadenza dei termini originariamente concessi, con la precisazione che il deposito in ritardo della consulenza può dare luogo alla riduzione del compenso nella misura di un terzo ex art. 52, 2° comma, d.p.r. 30.5.2002 n. 115.

Da rilevare che, qualora la mancata presentazione del consulente all’udienza fissata per il giuramento dell’incarico sia non colposa ma dolosa, poiché ai sensi dell’art. 63 c.p.c. il consulente ha l’obbligo di accettare l’incarico, è integrato il reato di rifiuto di uffici legalmente dovuti ex art. 366 c.p.

Il consulente, poi, il quale svolge la propria attività anche nel superiore interesse della giustizia, non può sospendere le operazioni peritali in caso di mancato pagamento del compenso o dell’acconto disposto dal giudice, non può ritardare il deposito o interrompere le operazioni peritali nel caso in cui le parti non collaborino, dovendo, nel caso, redigere l’elaborato peritale in base agli atti in suo possesso e comunicare al giudice il comportamento ostruzionistico, valutabile ex art. 116, secondo comma, c.p.c.

Il C.T.U., inoltre, non può ritardare il deposito o interrompere le operazioni peritali anche nel caso in cui le parti siano in trattative, dovendo essere in tal senso autorizzato dal giudice.

In particolare è opportuno precisare che, al di fuori dell’ipotesi dell’esame contabile ex art. 198 c.p.c., il C.T.U. non ha alcun obbligo di tentare di conciliare le parti, tanto è vero che, ove il giudice istruttore violando l’anzidetta norma dichiari esecutivo un verbale di conciliazione redatto fuori udienza dal consulente tecnico d’ufficio in una controversia estranea a quella contabile, si è in presenza di un provvedimento abnorme che, incidendo sui diritti sostanziali delle parti, avendo effetto decisorio e non essendo soggetto agli ordinari mezzi di impugnazione, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (Cass. Civ., 16.12.1982 n. 6976; Cass. Civ., 20.6.1990 n. 6204; Cass Civ., 20.3.1991 n. 2978), salvo la possibilità per il giudice di ravvisare in quel verbale di conciliazione gli estremi d un negozio transattivo sostanziale, idoneo a determinare la cessazione dell’originaria materia del contendere e l’insorgere di nuove obbligazioni (Cass. civ., Sez. II, 26/05/2008, n. 13578).

La circostanza che il consulente ritardi il deposito della consulenza per mancato pagamento del compenso, ovvero per la pendenza di trattative o perché le parti non collaborino senza essere autorizzato dal giudice, ha conseguenze negative non solo sul processo e, sotto il profilo disciplinare, per il consulente, ma anche per lo stesso giudice, tenuto ad osservare la ragionevole durata del processo ed essendo soggetto all’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, c.d. “Legge Pinto”.

Infatti, è da escludere che, in caso di irragionevole durata del processo causata dalla condotta negligente e dilatoria del C.T.U., sia quest’ultimo a dover rispondere, atteso che l’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89 impone di considerare, in relazione alla complessità del caso, non solo il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, ma anche di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o, comunque, a contribuire alla sua definizione, tra cui rientra il consulente tecnico d'ufficio.

Dunque, è necessario che, qualora occorra svolgere una indagine peritale laboriosa e complessa o il consulente sia inerte, il giudice eserciti in ogni caso tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento, provvedendo eventualmente alla sostituzione del consulente ed incorrendo altrimenti in responsabilità (Cass. civ., Sez. I, 30/10/2003, n. 16315).

Altra condotta censurabile del consulente è quella di rappresentare al giudice non quanto realmente accertato, bensì, per andare incontro alle esigenze di entrambe le parti, una realtà consapevolmente “mediata” tra le contrapposte pretese e, dunque, non veritiera, con la conseguente responsabilità non solo disciplinare, ma anche penale per falsa perizia ex art. 373 c.p.

 

3. L’art. 23 disp. att. c.p.c., così come modificato dal comma 1 dell’art. 52, L. 18 giugno 2009, n. 69, prevede che il Presidente del Tribunale vigila affinché, senza danno per l’amministrazione della giustizia, gli incarichi siano equamente distribuiti tra gli iscritti nell’albo in modo tale che a nessuno dei consulenti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al 10 per cento di quelli affidati dall’ufficio, e garantisce che sia assicurata l’adeguata trasparenza del conferimento degli incarichi anche a mezzo di strumenti informatici.

Questa disposizione costituisce uno degli aspetti più delicati dell’esercizio della funzione giurisdizionale da parte del giudice civile, in quanto attiene all’immagine del magistrato e del sistema giustizia in generale e può avere anche rilievi sotto il profilo disciplinare.

Così come la decisione di disporre una C.T.U. è rimessa, come già sottolineato, alla discrezionalità del magistrato, anche la scelta del singolo consulente è espressione di un potere non sindacabile del giudice, come tale esteso alla individuazione della concreta qualifica dell’esperto e delle sue conoscenze (Cass. civ., Sez. I, 14/05/2012, n. 7452).

La discrezionalità risulta anche dal fatto che, secondo la giurisprudenza, l’affidamento di un incarico ad un consulente iscritto nell’Albo di altro tribunale, o non iscritto in alcun Albo, in assenza di motivazione che indichi i motivi della scelta, è comunque valido e non è censurabile in sede di legittimità, attesa la natura non cogente delle norme di cui agli artt. 61, comma 2, c.p.c. e 22 disp. att. c.p.c. (Cass. civ., Sez. I, 28/09/2015, n. 19173), le quali hanno mere finalità direttive (Cass. civ., Sez. III, 30/03/2010, n. 7622).

Inoltre i fatti relativi all'attendibilità, ovvero all'affidabilità personale del consulente tecnico di ufficio, non possono essere oggetto di prova nel corso del giudizio, in quanto deducibili solo nel procedimento di ricusazione sotto il profilo della carenza di imparzialità dell'ausiliario (Cass. civ., Sez. III, 10/04/2014, n. 8406).

Tuttavia, questo potere deve essere necessariamente coordinato con l’obbligo di trasparenza, il quale si concreta in sostanza, oltre che nel dovere di nominare, salvo richiesta di autorizzazione al presidente del Tribunale o della Corte di Appello ex art 22, 2° e 3° comma, disp. att. c.p.c., i professionisti iscritti all’apposito Albo dell’ufficio giudiziario, nella rotazione degli incarichi tra tutti i consulenti.

Con l’art. 23 disp. att. c.p.c., infatti, si tende ad evitare che si verifichino non opportune situazioni di nomine continue e costanti del medesimo consulente da parte dello stesso giudice, tali da determinare, di fatto, che i professionisti nominati siano sempre i medesimi.

L’interesse qui tutelato, però, non è tanto, come ritengono invece alcuni ordini professionali, quello personale del singolo iscritto ad essere nominato con una certa regolarità ed in modo equilibrato rispetto agli altri, bensì il superiore bene del prestigio dell’ordine giudiziario, il quale deve sempre improntare la propria condotta ai canoni della terzietà, dell’equilibrio, dell’imparzialità e dell’indipendenza.

Ciò, tuttavia, non significa che il giudice debba applicare un rigido criterio matematico di turnazione, nel senso di far ruotare automaticamente e ogni volta gli iscritti.

Questa impostazione, infatti, oltre a determinare nei grandi uffici con molti iscritti all’Albo dei C.T.U. un notevole lasso di tempo tra un incarico e l’altro, contrasta oggettivamente con il potere del giudice, conferito nell’interesse del processo, di nominare l’iscritto che ritiene più idoneo per la controversia.

Infatti, non bisogna dimenticare che il consulente tecnico d’ufficio è qualificato dal codice come un ausiliario del giudice e, dunque, è del tutto consono al sistema l’instaurazione di un rapporto fiduciario tra il magistrato ed un determinato consulente, il quale abbia manifestato rispetto agli altri maggiore serietà, tempestività e qualità nella redazione dell’elaborato peritale.

Del resto l’inciso dell’art. 23 disp. att. c.p.c., in base al quale la rotazione deve avvenire “senza danno per l’amministrazione della giustizia”, deve essere interpretato proprio nel senso che occorre coordinare l’esigenza della equa distribuzione degli incarichi con quella che nella singola causa o controversia venga nominato il consulente più bravo o ritenuto più idoneo dal giudice.

In definitiva, il giudice nel corso dello svolgimento della sua funzione giurisdizionale dovrà trovare un punto di equilibrio, nel senso che potrà certamente nominare più volte nelle cause più complesse e delicate i consulenti di sua maggior fiducia ed affidabili, anche se ciò comporterà per questi ultimi un numero di incarichi maggiore, ma, contemporaneamente, nelle cause più semplici o seriali dovrà ricorrere ad altri e diversi nominativi, cercando di dare così attuazione alla rotazione come valore tendenziale.

L’ obbligo di rotazione per il giudice è stato di recente ribadito dalle Sezioni Unite della Cassazione, secondo le quali “In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, commette l’illecito previsto dall’art. 2, comma 1, lett. g) e n), del d.lgs. n. 109 del 2006 il giudice che non si attenga al criterio dell’equa distribuzione degli incarichi di consulenza tecnica, concentrandoli su un numero ristretto di professionisti, in violazione del dovere di diligenza e correttezza, essendo a questo fine irrilevante la soglia del 10 per cento stabilita dall’art. 23 disp. att. c.p.c., la quale riguarda gli incarichi conferiti dall’intero ufficio e non dal singolo magistrato” (Cass. civ., Sez. Unite, 18/05/2016, n. 10157), precisando che “la grave violazione di legge rileva in relazione non al risultato dell’attività giurisdizionale, bensì al comportamento deontologicamente deviante posto in essere nell’esercizio della funzione”, tale da “compromettere sia la considerazione di cui il singolo magistrato deve godere, sia il prestigio dell’ordine giudiziario”.

Proprio per facilitare il lavoro dei giudici e per assicurare rotazione e trasparenza presso il Tribunale di Roma da ottobre 2011 è stato realizzato, in collaborazione con gli ordini professionali interessati, l’albo informatico dei C.T.U., denominato “MagCTU”, a disposizione di ogni magistrato sul suo computer e con tutte le informazioni professionali necessarie in ordine al consulente da scegliere, ivi compreso, ai fini della c.d. “rotazione”, il numero degli incarichi già conferiti, il tetto massimo di nomine ed un sistema di “feedback” per valutare l’operato del consulente e portarlo a conoscenza degli altri giudici interessati alla sua nomina.

Il numero massimo degli incarichi conferibili per ogni singolo anno è stato determinato calcolando il numero di incarichi complessivi assegnati nell’anno precedente alle singole categorie di consulente, quali, ad esempio, medici, architetti, ingegneri e commercialisti, e dividendo lo stesso per il numero degli iscritti.

L’albo informatico segnala al giudice quando il singolo consulente ha superato o sta per superare il tetto massimo di nomine. Il giudice, per quanto esposto sopra, potrà anche nominare un professionista che ha già superato il numero degli incarichi conferibili, ma, a questo punto, lo farà consapevolmente e in un’ottica di trasparenza e di conoscibilità da parte del Presidente del Tribunale.

 

 

 
 
 
 
 
 

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