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PENALE  

La confisca di prevenzione e l’immanente pericolosita’ della res confiscata

  Penale 
 giovedì, 14 settembre 2017

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dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 e gli interventi chiarificatori delle Sezioni unite

di ALESSANDRO CENTONZE, consigliere della Corte di cassazione

 
 

 

Sommario: 1. L’inquadramento della confisca di prevenzione dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159: la sentenza “Spinelli” e il primo intervento chiarificatore delle Sezioni unite. – 2. La confisca di prevenzione dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011 e l’indefettibilità del requisito della pericolosità sociale del prevenuto. – 3. La posizione del prevenuto e l’immanente a pericolosità della res confiscata. – 4. La confisca di prevenzione e l’esercizio dei poteri ablatori nei confronti degli eredi, degli aventi causa e dei terzi intestatari: la sentenza “De Angelis” e l’ulteriore intervento chiarificatore delle Sezioni unite. – 5. L’immanente pericolosità della res confiscata e la necessaria correlazione temporale tra l’acquisto del bene e la manifestazione della pericolosità sociale del soggetto acquirente. – 6. La confisca di prevenzione dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011 e l’accertamento della pericolosità sociale qualificata del prevenuto.

 

1. L’inquadramento della confisca di prevenzione dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159: la sentenza “Spinelli” e il primo intervento chiarificatore delle Sezioni unite.

 

Il tema della pericolosità della res confiscata, come requisito indeffettibile della confisca di prevenzione, pone il problema preliminare della delimitazione degli spazi applicativi di questo provvedimento ablatorio, così come disciplinato negli artt. 16 e seguenti del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia”[1].

Sul piano oggettivo, i presupposti della confisca di prevenzione sono individuati dall’art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011, a norma del quale: «Il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego».

Sul piano soggettivo, invece, la confisca di prevenzione non presuppone la commissione di un reato, ma postula una condizione individuale di pericolosità sociale, rilevante con riferimento alle categorie soggettive enucleate nell’art. 16, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 159 del 2011.

In questa cornice normativa, innanzitutto, occorre verificare quale sia, tenuto conto dell’evoluzione legislativa sfociata nel d.lgs. n. 159 del 2011 e del dibattito, dottrinario e giurisprudenziale, che ne ha preceduto l’introduzione, la natura giuridica della confisca di prevenzione.

Tale questione ruota attorno al quesito dell’inquadramento della confisca di prevenzione nella categoria della pena, come conseguenza della natura sanzionatoria collegata alla sua definitività, ovvero nella categoria delle misure di prevenzione, come conseguenza delle finalità preventive e di neutralizzazione patrimoniale perseguite, che ha rappresentato per lungo tempo oggetto di un acceso dibattito giurisprudenziale[2].

Sotto il profilo della configurazione dogmatica, invero, la confisca di prevenzione è un istituto che si caratterizza per la sua neutralità funzionale, essendo capace di assumere natura e fisionomia diverse, a seconda del regime normativo che la contempli e degli obiettivi di politica criminale che vi sono sottesi. Appare, quindi, appropriata la definizione di istituto multifunzionale[3], a eloquente sottolineatura della capacità della confisca di prevenzione di adattarsi al contesto normativo di riferimento e di realizzarne gli obiettivi, che, per il suo tramite, il legislatore intende perseguire[4].

Questa peculiare connotazione dogmatica, del resto, è risalente e deriva dalle caratteristiche polivalenti della confisca, efficacemente descritte dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza 25 maggio 1961, n. 29[5].

Il riferimento alla natura multifunzionale della confisca di prevenzione, tuttavia, non implica che l’indagine sia condotta sul solo versante degli effetti prodotti dall’attivazione di tale strumento ablatorio, comportando la dimensione teleologica dell’istituto una verifica accurata delle sue finalità; finalità che, naturalmente, non possono essere che quelle che la giurisprudenza di legittimità assegna all’istituto in esame, sulla base di opzioni ermeneutiche che si rapportano all’essenza del fenomeno acquisitivo, tenendo conto delle scelte di politica criminale compiute dal legislatore italiano, succedutesi nel corso degli anni[6].

Non può, allora, sorprendere che, nel dibattito giurisprudenziale sviluppatosi nel corso degli anni, alla confisca di prevenzione, nelle sue diverse applicazioni, sia stata attribuita natura diversa, in termini, tra loro alternativi, di misura di sicurezza, di strumento sanzionatorio, di misura di prevenzione[7].

In questo ambito, i termini dell’alternativa dogmatica che occorre risolvere attengono, eminentemente, alla natura preventiva o sanzionatoria della confisca di prevenzione.

Tale questione è solo all’apparenza complessa, atteso che la confisca di prevenzione, in una prospettiva multifunzionale, si colloca in una posizione peculiare rispetto alle altre figure del sistema di prevenzione, in conseguenza della sua definitività, nel senso dell’irreversibile mutamento del regime giuridico del bene ablato per effetto della sua acquisizione al patrimonio dello Stato, cui si correla la spoliazione del soggetto passivo, che viene privato della titolarità della res; definitività che risponde all’obiettivo di politica criminale di rimuovere i beni di provenienza illecita dal mercato legale, neutralizzandone la funzione economica.

La soluzione di tale quesito, al contempo, non risponde a esigenze di mera classificazione sistematica, essendo foriera di importarti conseguenze giuridiche, rilevanti sul versante della disciplina normativa applicabile. Infatti, il riconoscimento della connotazione preventiva giustifica l’assimilazione della confisca di prevenzione alle misure di sicurezza, con la conseguente applicazione dell’art. 200 cod. pen.; laddove, per converso, l’attribuzione alla confisca di prevenzione di una natura sanzionatoria ne comporta la soggezione al principio di irretroattività delle leggi penali favorevoli, così come prefigurato dall’art. 2 cod. pen.

In questo contesto, per quanto riguarda il dibattito  giurisprudenziale sulla natura giuridica della confisca di prevenzione, deve osservarsi che, a differenza di altre tipologie di provvedimenti ablatori, dopo alcune incertezze interpretative, peraltro risalenti[8] su questo istituto si è consolidato un orientamento ermeneutico tendente a riconoscergli natura preventiva; riconoscimento che le Sezioni unite hanno ribadito nel loro primo intervento chiarificatore, adottato dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011[9].

Questa opzione era tradizionalmente propugnata nel mondo giudiziario, soprattutto di merito, che poneva l’accento sugli obiettivi di politica criminale perseguiti dalla confisca di prevenzione, funzionali a neutralizzare la pericolosità della res confiscata, insita nel permanere della ricchezza illecita nelle mani di soggetti che avrebbe potuto continuare a impiegarla per produrre altre utilità illegali attraverso la perpetrazione di ulteriori attività delinquenziali.

A fronte delle incertezze ermeneutiche manifestatesi al riguardo, le Sezioni unite, nel passato, avevano individuato una sorta di tertium genus dogmatico, nel cui ambito collocavano la confisca di prevenzione, sul rilievo che la stessa non possedeva né connotazioni preventive né natura sanzionatoria, caratterizzandosi alla stregua di una sanzione amministrativa, equiparabile, quanto a contenuto ed effetti, alla misura di sicurezza prevista dall’art. 240, comma secondo, cod. pen.[10]

Questi dubbi ermeneutici sono stati definitivamente superati con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011, in ragione del fatto che la pericolosità sociale del prevenuto, nel nuovo assetto normativo della confisca di prevenzione, costituisce un ineludibile presupposto di applicabilità dell’istituto ablatorio, che vale a ricondurlo nell’ambito proprio delle misure di prevenzione.

Le ragioni giuridiche sottese a una tale scelta sistematica appaiono evidenti, non potendosi consentire l’applicazione di una misura ablatoria nei confronti di un soggetto che non sia mai stato socialmente pericoloso, rimanendo la pericolosità un presupposto indefettibile dell’attivazione del provvedimento acquisitivo. Ne consegue la persistente possibilità di assimilare la confisca di prevenzione alle misure di sicurezza, consentendo l’applicabilità a tale istituto dell’art. 200 cod. pen.[11]  

Occorre, pertanto, ribadire conclusivamente che la precipua finalità della confisca di prevenzione è quella di sottrarre i patrimoni illecitamente accumulati alla disponibilità dei titolari che non possano dimostrarne la legittima provenienza, sul presupposto della loro pericolosità sociale[12].

 

2. La confisca di prevenzione dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011 e l’indefettibilità del requisito della pericolosità sociale del prevenuto.

 

Rispetto a tale inquadramento non sembra che il nuovo assetto normativo consenta di ritenere che l’applicazione della confisca di prevenzione possa restare svincolata dal presupposto della pericolosità sociale del prevenuto, anche tenendo conto del tenore della previsione dell’art. 18, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011, secondo cui: «Le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione».

Il legislatore italiano, invero, ha inteso ribadire che l’applicazione della confisca di prevenzione non possa prescindere dalla condizione di pericolosità sociale del prevenuto, potendosi soltanto prescindere dalla verifica, in concreto, dell’esistenza di quel presupposto al momento della presentazione della relativa richiesta; il che comporta, in sede applicativa, che non è necessaria l’attualità di tale condizione[13].

Ne discende che, rispetto alla misura di prevenzione personale, il requisito della persistente pericolosità continua ad avere una sua ragione, in quanto tale condizione soggettiva potrebbe attenuarsi o scemare nel tempo[14]; per la confisca di prevenzione, invece, la connotazione di pericolosità è collegata alla res confiscata, come conseguenza dell’illegittimità della sua acquisizione al patrimonio del prevenuto, inerendo alla stessa geneticamente e derivando dalla condizione di illiceità del bene giuridico[15].

Tutto questo comporta che presupposto indefettibile della confisca di prevenzione continua a essere la pericolosità sociale del prevenuto, desumibile dalla sua riconducibilità a una delle categorie soggettive previste dall’art. 16, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 159 del 2011.

Correttamente, pertanto, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, anche nei casi di applicazione disgiunta, il giudice della prevenzione deve valutare, sia pure incidentalmente, la condizione di pericolosità sociale del soggetto nei cui confronti sia richiesta la misura di prevenzione patrimoniale. Tali conclusioni conseguono al fatto che la confisca disgiunta non è un istituto che ha introdotto nel nostro ordinamento un’azione diretta sul bene ablato, restando imprescindibile il rapporto tra la pericolosità sociale dell’inciso e gli incrementi patrimoniali illecitamente conseguiti[16].

Sul punto, non si può non richiamare il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite nella sentenza “Spinelli”, secondo cui: «La possibilità di applicazione disgiunta della confisca dalla misura di prevenzione personale, così come emerge dalle riforme normative operate dalla legge 24 luglio 2008 n. 125 e dalla legge 15 luglio 2009 n. 94, non ha introdotto nel nostro ordinamento una “actio in rem”, restando presupposto ineludibile di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale la pericolosità del soggetto inciso, in particolare la circostanza che questi fosse tale al momento dell’acquisto del bene»[17].

Pertanto, ad assumere rilievo, ai fini dell’attivazione dei poteri ablatori da parte dell’autorità giudiziaria, non è tanto la qualità di soggetto socialmente pericoloso del titolare del bene giuridico confiscato, in sé e per sé considerata, quanto la circostanza che l’inciso versasse in una tale condizione al momento dell’acquisto della res ablata.

In altri termini, un determinato bene può essere sottoposto a confisca di prevenzione solo a condizione che il titolare era, al momento dell’acquisto, un soggetto socialmente pericoloso, restando in tal modo esaltata la funzione preventiva dell’ablazione e la correlata finalità di neutralizzazione del bene giuridico ablato; finalità, queste, volte a prevenire la realizzazione di ulteriori condotte costituenti reato da parte del prevenuto, come conseguenza dell’immanente pericolosità sociale della res confiscata[18].

Ne discende che la confisca di prevenzione è svincolata dal requisito dell’attualità della pericolosità sociale del soggetto inciso, riflettendo tale autonomia la distinzione tra il soggetto inciso e il bene giuridico illecitamente acquisito[19].

A ben vedere, la stessa essenza di soggetto socialmente pericoloso postula un intrinseco dinamismo, che è espressione dell’evoluzione propria dell’essere umano, nel suo percorso esistenziale; viceversa, l’idea della immanente pericolosità della res confiscata postula una dimensione che, al di là di possibili perenzioni legate a fenomeni contingenti, mantiene nel tempo la sua consistenza oggettiva che prescinde dalla prosecuzione dell’attività illecita del suo originario acquirente[20].

 

3. Il requisito della pericolosità sociale del prevenuto e l’immanente pericolosità della res confiscata.

 

Le considerazioni che si sono espresse nel paragrafo precedente impongono di ribadire che, nelle misure di prevenzione personale, l’attenzione dell’ordinamento è rivolta alle qualità della persona destinataria del provvedimento, in quanto ritenuta, in base a determinati parametri canonizzati dal legislatore, socialmente pericolosa, ovvero capace di porre in essere attività illecite, secondo una valutazione prognostica collegata alla sua personalità.

Nella confisca di prevenzione, invece, quell’attenzione si sposta sul bene in relazione al quale vengono esercitati i poteri ablatori, che si reputa pericoloso per le sue potenzialità economiche, collegate allo stesso bene[21].

Né potrebbe essere diversamente, atteso che, in natura, i beni possono acquisire connotazioni di pericolosità solo per effetto di una forza esterna dovuta all’azione dell’uomo. Di conseguenza, nel caso di beni illecitamente acquistati, il carattere della pericolosità si riconnette non tanto alle qualità soggettive dell’acquirente, quanto, piuttosto, alle modalità della loro acquisizione, dalle quali derivano le loro peculiari caratteristiche strutturali.

D’altra parte, la pericolosità sociale del soggetto acquirente al momento dell’acquisizione giuridica del bene non può non riverberarsi sulla res confiscata; pericolosità sociale che, dunque, assume rilievo non già in una dimensione dinamica, ovvero per le attuali qualità soggettive dell’acquirente, ma per le sue potenzialità economiche, che gli derivano dall’oggettiva pericolosità del mantenimento di cose, illecitamente acquistate, nella disponibilità di un soggetto che rientra a in una delle categorie previste dal legislatore[22].

Queste caratteristiche del bene ablato, quindi, finiscono con l’oggettivarsi, traducendosi in una connotazione strutturale della res confiscata, che costituisce una qualità intrinseca del bene in relazione al quale vengono attivati i poteri ablatori, idonea a incidere sulla sua condizione giuridica. Questa connotazione appare evidente nelle ipotesi di morte del titolare, ritenuto socialmente pericoloso, ovvero nelle ipotesi di trasferimento o intestazione fittizi, atteso che il bene è aggredibile anche nei confronti dell’avente causa, a titolo universale o particolare, secondo quanto previsto dall’art. 18 del d.lgs. n. 159 del 2011, nonché nelle ipotesi di fittizietà dell’operazione di trasferimento della titolarità presupposta, disciplinate dall’art. 26 dello stesso decreto[23].

In tali ipotesi, infatti, la confisca di prevenzione in danno di eredi o proprietari apparenti non può più trovare giustificazione nel rapporto di pertinenza tra il bene giuridico e il soggetto deceduto, giustificandosi soltanto in ragione della qualità oggettiva della res confiscata e della sua immanente pericolosità, conseguente al fatto che, a suo tempo, era stata acquistata da un soggetto socialmente pericoloso ed era ritenuta il frutto di un’acquisizione illecita. Ne consegue che, proprio perché è divenuto oggettivamente pericoloso, il bene possiede una sua pericolosità e deve essere rimosso dal circuito di circolazione legale delle risorse economiche, imponendo che vengano attivati nei suoi confronti i poteri ablatori previsti dagli artt. 18 e 26 del d.lgs. n. 159 del 2011.

Ne deriva ulteriormente che, in questi casi, pur essendo venuto meno il rapporto diretto tra il bene confiscato e il soggetto socialmente pericoloso, per le ragioni di cui agli artt. 18 e 26 del d.lgs. n. 159 del 2011, la pericolosità della res rimane immutata essendo collegata all’illiceità originaria dell’acquisto.

In proposito, non si può che richiamare il percorso ermeneutico seguito dalla Corte costituzionale[24], secondo cui le finalità perseguite della confisca di prevenzione comprendono ma eccedono quelle delle misure di prevenzione patrimoniale, consistendo nel sottrarre definitivamente il bene al circuito economico di origine, per inserirlo in un altro, esente dai condizionamenti criminali che caratterizzavano il primo; per altro verso, a differenza delle misure di prevenzione, la confisca di prevenzione si propone un ulteriore obiettivo di politica criminale, costituito dall’esigenza di impedire la circolazione dei beni nei confronti di ulteriori soggetti socialmente pericolosi, consentendo l’esercizio dei poteri ablatori, anche oltre la permanenza in vita del soggetto pericoloso con le modalità previste dall’art. 18 del d.lgs. n. 159 del 2011.

Questa estensione dell’efficacia ablativa della confisca di prevenzione, del resto, corrisponde perfettamente agli obiettivi di politica criminale perseguiti con l’introduzione di questo istituto, non potendosi dubitare del fatto che il bene, proprio perché frutto di illecita acquisizione, reca in sé una connotazione negativa persistente, che ne impone l’apprensione coattiva, anche oltre la vita del soggetto socialmente pericoloso, per i già evidenziati effetti di distorsione degli accumuli illeciti di ricchezza[25].

In altri termini, una tale connotazione di pericolosità sociale resta impressa alla res confiscata, indipendentemente da qualsiasi vicenda giuridica riguardante la sua titolarità, sino all’eventuale perenzione del bene, ovvero alla sua definitiva acquisizione al patrimonio dello Stato per effetto della confisca, la quale, in definitiva, mira a modificarne la natura e il regime giuridico, equiparandolo, dopo l’apprensione, ai beni demaniali.

Ne deriva che la previsione dell’art. 18 del d.lgs. n. 159 del 2011, tenuto conto delle connotazioni di pericolosità della res confiscata, risulta armonica rispetto alla configurazione della confisca di prevenzione, apparendo assai difficile che, in sua mancanza, si sarebbe potuto dubitare del fatto che l’attivazione dei poteri ablatori potesse riguardare beni giuridici recanti, in sé, connotazioni di oggettiva pericolosità, preesistenti alla proposta e indipendenti dalla verifica della pericolosità del loro titolare[26].

La pericolosità della res confiscata, pertanto, costituisce una qualità intrinseca e immanente del bene, che deve ritenersi collegata alla sua presenza nel circuito economico, derivante dal metodo di illecita acquisizione, a sua volta riconducibile alla condizione soggettiva del suo originario titolare. Proprio per queste connotazioni di pericolosità, dunque, il bene giuridico deve essere rimosso dal circuito economico, allo scopo di impedire al soggetto socialmente pericoloso di disporne, anche in funzione di deterrenza dalla commissione di ulteriori attività illegali.

In un simile quadro di riferimento normativo, la necessità di accertare il duplice e concorrente presupposto della condizione oggettiva di pericolosità del bene giuridico e delle correlate modalità di accumulazione patrimoniale finisce per interferire, giustificandola, sulla natura preventiva della confisca di prevenzione, influendo sul versante delle garanzie sostanziali e procedimentali che stanno alla base della misura ablatoria.

Occorre, infine, ribadire che sarà possibile parlare di effetti sanzionatori della confisca di prevenzione soltanto in senso generico, in ragione del fatto che il nucleo essenziale del provvedimento ablatorio previsto dall’art. 24 del d.lgs. n. 159 del 2011 non risiede nella commissione di un delitto ovvero dal costituirne il provento, ma nelle qualità del soggetto ritenuto pericoloso e nelle modalità dell’originaria acquisizione del bene giuridico, anch’esse pericolose, perché avulse da un contesto di liceità, indispensabile per il mantenimento della titolarità[27].

 

4. La confisca di prevenzione e l’esercizio dei poteri ablatori nei confronti degli eredi, degli aventi causa e dei terzi intestatari: la sentenza “De Angelis” e l’ulteriore intervento chiarificatore delle Sezioni unite.

Le considerazioni che si sono espresse, a proposito delle finalità preventive della confisca di prevenzione e della immanente pericolosità della res confiscata, appaiono ulteriormente confermate dalla possibilità di esercitare i poteri ablatori nei confronti degli eredi, degli aventi causa e degli intestatari fittizi dei beni. Tali poteri ablatori risultano disciplinati dagli artt. 18 e 26 del d.lgs. n. 159 del 2011, sulla cui portata sistematica e sulle cui conseguenze applicative, in tempi recenti, si è registrato un ulteriore intervento chiarificatore delle Sezioni unite, di cui occorre dare conto[28].

Questo arresto ermeneutico, sostanzialmente confermativo del precedente intervento chiarificatore delle Sezioni unite[29], ci consente di ribadire ulteriormente che la possibilità di esercitare i poteri ablatori nei confronti degli eredi, degli aventi causa del soggetto proposto o proponibile e dei terzi intestatari, così come disciplinata dagli artt. 18, commi 2 e 3, 26, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011 costituisce la più eloquente conferma della connotazione preventiva della confisca di prevenzione, fondata sulla condizione di immanente pericolosità delle res confiscata.

Fatta questa premessa, occorre prendere le mosse dalla previsione dell’art. 18, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, che consente di esercitare i poteri ablatori tipici della confisca di prevenzione anche nei confronti dei terzi o degli aventi causa del soggetto proposto o proponibile, disponendo: «Le misure di prevenzione patrimoniali possono essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione. In tal caso il procedimento prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa». Tale disposizione è strettamente collegata a quella del terzo comma dello stesso art. 18, secondo cui: «Il procedimento di prevenzione patrimoniale può essere iniziato anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la confisca; in tal caso la richiesta di applicazione della misura di prevenzione può essere proposta nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare entro il termine di cinque anni dal decesso».

In questo contesto, si inserisce il primo passaggio ermeneutico della decisione in esame, nel quale le Sezioni unite hanno precisato quale fosse l’ambito applicativo della nozione di eredi e aventi causa del soggetto proposto ovvero proponibile, richiamata dall’art. 18, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 159 del 2011, affermando il seguente principio di diritto: «In tema di misure di prevenzione patrimoniale, le nozioni di erede e di successore a titolo universale o particolare di cui all’art. 18, commi, 2 e 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sono quelle proprie del codice civile»[30].

Quanto al correlato problema dell’individuazione dei beni giuridici riconducibili al patrimonio degli eredi e degli aventi causa del soggetto socialmente pericoloso, proposto ovvero proponibile, in relazione ai quali vengono attivati i poteri ablatori dall’autorità giudiziaria, le Sezioni unite hanno affermato il seguente principio di diritto: «Nell’ipotesi in cui l’azione di prevenzione prosegua ovvero sia esercitata dopo la morte del soggetto socialmente pericoloso, la confisca può avere ad oggetto non solo i beni pervenuti a titolo di successione ereditaria, ma anche i beni che, al momento del decesso, erano comunque nella disponibilità del de cuius, per essere stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi»[31].

La possibilità di ricomprendere nell’ambito proprio della confisca di prevenzione anche i beni rientranti nella signoria di fatto degli eredi e degli aventi causa era già stata affermata dalla Corte di cassazione che aveva escluso la necessità di un transito formale nel patrimonio ereditario dell’inciso quale condizione indispensabile per esercitare i poteri ablatori[32].

Come si è detto, costituisce l’espressione di una stessa opzione di politica legislativa, incentrata sulla immanente pericolosità del bene sottoposto a confisca, la disposizione normativa dell’art. 26, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011, secondo la quale: «Quando accerta che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con il decreto che dispone la confisca il giudice dichiara la nullità dei relativi atti di disposizione».

Questa previsione, a sua volta, si pone in stretto collegamento con la disposizione contenuta nel secondo comma dello stesso art. 26, a tenore della quale, fino a prova contraria, si presumono fittizi: «a) i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell’ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado; b) i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione».

A ben vedere, tali disposizioni riflettono la scelta legislativa di tipizzare alcuni negozi giuridici, che si ritengono connotati da una fittizietà presuntiva temperata, laddove intercorrenti tra il prevenuto e determinate categorie di soggetti, stabilendo un limite temporale di operatività della presunzione nei due anni antecedenti la proposta; limite temporale che, per l’appunto, determina un temperamento della portata effettuale della previsione dell’art. 26, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011[33].

Anche su tale disposizione normativa le Sezioni unite sono intervenute con mirabile puntualità, affermando due principi di diritto di cui occorre dare conto, fornendo un’ulteriore conferma alla natura preventiva dell’istituto ablatorio in esame.

Quanto al primo comma dell’art. 26 del d.lgs. n. 159 del 2011, le Sezioni unite affermavano, il seguente principio di diritto: «Nell’ipotesi in cui il giudice accerti la fittizietà dell’intestazione o del trasferimento di beni a terzi, la declaratoria di nullità prevista dall’art. 26, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011 non è pregiudiziale ai fini della validità della confisca, ma costituisce un obbligo consequenziale all’accertamento della fittizietà, la cui inosservanza da parte del giudice non integra vizi rilevanti ai sensi degli artt. 177 ss. cod. proc. pen., bensì un’omissione rimediabile, anche d’ufficio, con procedura ex art. 130 cod. proc. pen.»[34].

Come detto, le Sezioni unite intervenivano anche sul secondo comma dell’art. 26 del d.lgs. n. 159 del 2011, affermando il seguente principio di diritto: «Le presunzioni di fittizietà previste dall’art. 26, comma 2, d.lgs. cit. si riferiscono esclusivamente agli atti realizzati dal soggetto portatore di pericolosità e non riguardano anche gli atti dei successori»[35].

Con questo ulteriore intervento chiarificatore, le Sezioni unite hanno inteso affermare che, attraverso il combinato disposto degli artt. 18 e 26 del d.lgs. n. 159 del 2011, si legittima una metodologia di acquisto della proprietà da parte dello Stato, fondata su una presunzione di illecita acquisizione da parte del privato, che non è estranea al nostro ordinamento.

Occorre, pertanto, ribadire che quello che assicura la tenuta del sistema prevenzionale e la sua conformità costituzionale è il riconoscimento al soggetto inciso della facoltà di prova contraria, che rende la presunzione di illecita acquisizione rilevante iuris tantum, oltre a essere temperata dal limite temporale quinquennale di cui all’art. 18, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 e dal limite temporale biennale di cui all’art. 26, comma 2, dello stesso decreto[36].

D’altra parte, l’onere probatorio a carico del soggetto inciso non è calibrato sui canoni di uno statuto rigoroso, tale da assurgere al rango di probatio diabolica. Per il suo assolvimento, infatti, è sufficiente la mera allegazione di fatti, situazioni o eventi che, in termini plausibili, siano idonei a indicare la provenienza lecita dei beni confiscati e siano, naturalmente, riscontrabili.

Su quest’ultimo profilo, del resto, le Sezioni unite erano già intervenute nel precedente intervento chiarificatore, affermando il seguente principio di diritto: «In tema di confisca di prevenzione, la presunzione di illecita provenienza dei beni ha natura di presunzione relativa e per l’assolvimento dell’onere probatorio posto a carico del soggetto inciso è sufficiente la mera allegazione di fatti, situazioni o eventi che, ove riscontrabili, siano idonei, “ragionevolmente e plausibilmente”, ad indicare la lecita provenienza dei beni»[37].

Ricostruito in questi termini il percorso ermeneutico posto a fondamento della sentenza “De Angelis”, appare evidente che, con tale ulteriore intervento chiarificatore, le Sezioni unite hanno confermato che l’evoluzione legislativa conclusasi con l’emanazione del d.lgs. n. 159 del 2011 non ha inciso sulla fisionomia della confisca di prevenzione, imponendo di ribadire l’assimilabilità di questo istituto alle misure di sicurezza, cui consegue l’applicazione dell’art. 200 cod. pen. e l’inapplicabilità dell’art. 2 cod. pen.[38]

 

5. L’immanente pericolosità della res confiscata e la necessaria correlazione temporale tra l’acquisto del bene e la manifestazione della pericolosità sociale del soggetto acquirente.

 

Chiarite le ragioni che impongono di ritenere la res confiscata caratterizzata da una pericolosità sociale immanente, occorre affrontare il problema della correlazione temporale tra l’acquisto del bene e la manifestazione di tale pericolosità, dovendosi ribadire preliminarmente che la confisca di prevenzione non ha introdotto una forma di actio in rem[39].

In proposito, occorre evidenziare che, secondo quanto affermato dalle Sezioni unite, nella sentenza “Spinelli”[40], sono suscettibili di ablazione soltanto i beni giuridici acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, indipendentemente dalla persistenza di tale pericolosità al momento della proposta di prevenzione. Ne consegue che non è necessario che l’inciso sia socialmente pericoloso al momento dell’attivazione dei poteri ablatori, essendo invece necessario accertare tale condizione soggettiva esclusivamente al momento acquisto della res confiscata, riscontrata la quale il bene acquisisce quelle connotazioni di immanente pericolosità su cui ci si è soffermati.

Questa conclusione discende dall’apprezzamento dello stesso presupposto giustificativo della confisca di prevenzione, ossia dalla ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecite ed è pienamente coerente con la natura preventiva dello strumento ablatorio.

Invero, laddove fosse possibile aggredire i beni dell’inciso a prescindere da una qualsivoglia relazione pertinenziale e temporale con la pericolosità sociale del soggetto prevenuto, lo strumento ablatorio finirebbe con l’assumere connotati di una sanzione, dando origine a una forma impropria di actio in rem nei confronti del bene confiscato, che invece occorre escludere, in linea con quanto affermato dalle Sezioni unite[41].

Per quanto si è detto, l’acquisizione ablatoria di beni di provenienza illecita può considerarsi legittima soltanto quando risponde all’interesse generale di rimuovere dal circuito economico beni acquistati illegalmente. Né potrebbe essere diversamente, atteso che la funzione sociale della proprietà privata può essere garantita solo all’ineludibile condizione che il suo acquisto sia conforme alle regole dell’ordinamento e che tale conformità sia riscontrata negli eventuali transiti dei relativi beni[42].

Al contempo, l’individuazione di un preciso contesto cronologico, in riferimento al quale possono essere esercitati i poteri ablatori, rende più agevole l’esercizio del diritto di difesa, assolvendo a ineludibili esigenze di garanzia. Ne consegue che, sul piano delle garanzie difensive, l’apprensione coattiva di beni mediante confisca di prevenzione è esente da criticità sul versante della sintonia con i principi costituzionali, che rimane assicurata dal riconoscimento al soggetto inciso della facoltà di controprova in merito alla legittimità dell’acquisto della res.

Resta da affrontare, a questo punto, la questione del regime probatorio applicabile alla confisca di prevenzione, cui si è già accennato[43], per i riflessi che tale questione assume ai fini dell’inquadramento dell’istituto in esame.

Si tratta, in particolare, di accertare se il percorso legislativo che si è ricostruito abbia apportato modifiche sostanziali sul versante della ripartizione dell’onere probatorio ai fini dell’applicazione della confisca di prevenzione; quesito al quale si deve preliminarmente fornire risposta negativa.

Occorre, in proposito, richiamare l’art. 10 della legge 24 luglio 2008, n. 125, che ha così riformulato l’art. 2-ter, comma 3, primo periodo, della legge n. 575 del 1965: «Con l’applicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona, nei cui confronti sia instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio credito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscono il reimpiego».

Si tratta di una modifica normativa che si è risolta, essenzialmente, in un intervento di razionalizzazione e di armonizzazione della materia della prevenzione con l’istituto disciplinato dall’art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, della legge 7 agosto 1992, n. 356.

A questi obiettivi sistematici si è aggiunta anche un’esigenza di chiarificazione testuale, in ordine all’individuazione del soggetto cui compete la prova della provenienza dei beni, a fronte della precedente formulazione normativa, che faceva riferimento alla circostanza che non fosse “stata dimostrata la legittima provenienza” dei beni nei cui confronti venivano esercitati i poteri ablatori.

Invero, già con riferimento al precedente regime, la giurisprudenza di legittimità aveva avuto occasione di affermare che, ai fini dell’applicabilità della misura della confisca di beni patrimoniali nella disponibilità di persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, occorreva una sproporzione tra le disponibilità economiche e i redditi denunciati dal proposto, ovvero indizi idonei a fare presumere che i beni dei quali si chiedeva la confisca costituivano il reimpiego dei proventi di attività illecite[44].

Ne deriva che, al riguardo, non si è verificata alcuna inversione dell’onere della prova, atteso che il nuovo contesto normativo nel quale la confisca di prevenzione si inserisce ricollega a fatti sintomatici la presunzione di illecita provenienza dei beni giuridici e non alla mancata allegazione della loro lecita provenienza, la cui dimostrazione è idonea a superare quella presunzione[45].

Analogo riparto del carico probatorio, in tema di confisca di prevenzione, deve riconoscersi nel nuovo assetto normativo, spettando alla parte pubblica l’onere della prova in ordine alla sproporzione tra beni patrimoniali e capacità reddituale del soggetto proposto, ovvero all’illecita provenienza, dimostrabili presuntivamente. Al proposto, in ogni caso, è riconosciuta la facoltà di offrire una prova contraria, finalizzata a neutralizzare quelle presunzioni iuris tantum operanti nei suoi confronti, in modo da dimostrare la legittima provenienza dei beni[46].

Nessuna innovazione, dunque, è stata introdotta dal nuovo assetto normativo della confisca di prevenzione, neppure sul piano dell’intensità dell’apporto probatorio delle parti processuali, in dipendenza della locuzione “risultino essere frutto”[47], in luogo della precedente formulazione che richiedeva l’esistenza di “sufficienti indizi”[48] di origine illecita. Infatti, l’assunto della provenienza illecita del patrimonio deve pur sempre risultare da un processo dimostrativo di natura probatoria, in relazione al quale è possibile avvalersi di presunzioni, affidate a elementi indiziari, purché connotati da coefficienti di gravità, precisione e concordanza.

E’ significativo, del resto, che identico regime probatorio sia stato riprodotto nell’art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011, in base al quale l’applicazione della confisca è subordinata al rispetto di una serie di parametri probatori, quali la mancata giustificazione della provenienza dei beni giuridici confiscati da parte del soggetto nei cui confronti risulta instaurato il procedimento di prevenzione; la titolarità ovvero la disponibilità, a qualsiasi titolo, degli stessi beni, da parte del medesimo soggetto passivo; la provenienza dei beni confiscati, che risultino essere frutto di attività illecite ovvero ne costituiscano il reimpiego.

 

6. La confisca di prevenzione dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011 e l’accertamento della pericolosità sociale qualificata del prevenuto.

 

Nella cornice descritta nei paragrafi precedenti occorre affrontare l’ulteriore problema dell’attivazione dei poteri ablatori nelle ipotesi di pericolosità sociale qualificata, riguardanti i soggetti ritenuti partecipi di consorterie mafiose o comunque contigui alla sfera di operatività di tali sodalizi.

Deve, in proposito, rilevarsi che, anche con riferimento a tale ambito applicativo, la confisca di prevenzione continua a mantenere integra la sua connotazione preventiva che, a ben vedere, appare ancora più accentuata in ipotesi di questo genere.

Come si è detto[49], sulla correlazione cronologica tra pericolosità sociale del prevenuto e acquisto del bene confiscato, nel passato, si registravano posizioni ermeneutiche eterogenee[50], che tuttavia le Sezioni unite, con la sentenza “Spinelli”[51], hanno ricondotto a unità interpretativa.

Rimane comunque fermo che, in linea teorica, un problema di retroattività delle modifiche normative introdotte con il d.lgs. n. 159 del 2011 non si pone nemmeno con riferimento ai profili inerenti alla pericolosità sociale qualificata, tanto più per il fatto che restano immutati i presupposti sostanziali richiesti per l’applicazione della confisca di prevenzione.

Per quanto riguarda, invece, il principio secondo cui l’applicazione della confisca di prevenzione prescinde dalla verifica dell’attualità della pericolosità, occorre osservare che rimane imprescindibile l’accertamento della pregressa pericolosità sociale del prevenuto, nel cui ambito temporale di esplicazione si deve collocare l’acquisto del bene sottoposto a confisca[52].

Occorre, pertanto, ribadire che la pericolosità sociale del prevenuto, oltre a costituire il presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, rappresenta la misura temporale della sua efficacia acquisitiva, fondata sulla pericolosità del bene nei cui confronti vengono esercitati i poteri ablatori; pericolosità che è la conseguenza delle modalità illecite di acquisizione della res confiscata da parte del soggetto nei cui confronti viene espresso un giudizio di pericolosità sociale qualificata.

E’ pur vero che, in queste ipotesi, l’individuazione cronologica rappresenta un’operazione non del tutto agevole, soprattutto con riferimento alla sfera di operatività di soggetti imprenditoriali di notevoli dimensioni, rispetto ai quali la pericolosità del bene rappresenta una connotazione non sempre circoscrivibile in un determinato arco temporale; ciò non toglie, però, che la correlazione cronologica tra acquisto del bene e pericolosità sociale del prevenuto permane un presupposto indefettibile per l’esercizio nei suoi confronti dei poteri ablatori.

Resta ovviamente salva la facoltà dell’interessato di fornire prova contraria e liberatoria, attraverso la dimostrazione della legittimità degli acquisti, in conseguenza dell’impiego di fonti economiche lecite; con l’imprescindibile corollario che una prova siffatta, specie per gli acquisti risalenti nel tempo, non deve trasmodare, neppure in questo caso, in una probatio diabolica, potendo il prevenuto ricorrere a mere allegazioni, ovvero a prospettazioni, riscontrabili, di fatti e situazioni che rendano ragionevole ipotizzare la legittima provenienza dei beni giuridici.

 



[1] Non è possibile dare conto in termini esaustivi del dibattito che si è sviluppato in dottrina sulla confisca di prevenzione; con questa indispensabile precisazione, ci si permette di richiamare i seguenti studi: S.P. Fragola, Le misure di prevenzione, Padova 1992; V. Maiello, Profili sostanziali: le misure di prevenzione personali, in Giur. it., 2015, 6, pp. 1524 ss.; A. Mangione, La misura di prevenzione patrimoniale tra dommatica e politica criminale, Milano, Giuffrè, 2001; A.M. Maugeri, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Giuffrè, Milano, 2011; F. Menditto, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali, Giuffrè, Milano 2012.   

[2] Per una ricostruzione storica del dibattito giurisprudenziale sviluppatosi sull’istituto in esame si rinvia alla risalente pronuncia Cass. pen., Sez. un., n. 18 del 3 luglio 1996 (dep. 17 luglio 1996), in C.E.D. Cass., n. 205262. 

[3] Su questi profili dogmatici, si vedano gli studi di R. Alfonso, I problemi e le prospettive del sequestro e della confisca dei patrimoni mafiosi, in L’attività di contrasto alla criminalità organizzata, a cura di C. Parano e A. Centonze, Giufrrè, Milano, 2005, pp. 207 ss.; Id., Confisca e sequestro, in Criminalità organizzata transnazionale e sistema penale italiano, a cura di E. Rosi, Ipsoa, Roma, 2007, pp. 223 ss.; Id., La confisca nel procedimento di prevenzione, in La giustizia patrimoniale penale, a cura di A. Bargi e A. Cisterna, UTET, Torino, 2011, pp. 802 ss.

[4] In generale, sulle connotazioni di neutralità della confisca di prevenzione, quele espressione della natura multifunzionale dell’istituto ablatorio, ci si permette di rinviare ai risalenti studi di G. Marino, Misure di prevenzione per una procedura moderna e civile, in Riv. pen. 1971, I, pp. 372 ss.; T. Padovani, Diritto penale della prevenzione e mercato finanziario, in Riv. it. dir. proc. pen. 1995, pp. 334 ss.; F. Tagliarini, Le misure di prevenzione contro la mafia, in Ind. Pen. 1974, pp. 382 ss. 

[5] Si veda C. cost. 25 maggio 1961, n. 29.

[6] Si veda R. Alfonso, Confisca e sequestro, in Criminalità organizzata transnazionale e sistema penale italiano, cit., pp. 223 ss.; Id., La confisca nel procedimento di prevenzione, cit., pp. 802 ss.

[7] Si rinvia, ancora una volta, a Cass. pen., Sez. un., n. 8 del 3 luglio 1996 (dep. 17 luglio 1996), cit.

[8] Si rinvia ulteriormente a Cass. pen., Sez. un., n. 8 del 3 luglio 1996 (dep. 17 luglio 1996), cit.

[9] Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), in C.E.D. Cass., n. 262602; in dottrina, si vedano i commenti su questa pronuncia di legittimità espressi da A.M. Maugeri, Una parola definitiva sulla natura della confisca di prevenzione? Dalle Sezioni Unite Spinelli alla sentenza Gogitidze della Corte EDU sul civil forfeiture, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 2, pp. 922 ss.; P. Valerio, Confisca di prevenzione, dinamiche concorrenziali e garantismo economico-sociale, in Giur. it., 2015, 12, pp. 2721 ss.   

[10] Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 57 del 19 dicembre 2006 (dep. 8 gennaio 2007), in C.E.D. Cass., n. 234956; in dottrina, si vedano i commenti su questa pronuncia di legittimità espressi da A. Cisterna, Una retrocessione di beni incamerati che aveva suscitato molte polemiche, in Guid dir., 2007, 7, pp. 71 ss.; P.V. Molinari, La riparazione dell'errore giudiziario in tema di confisca antimafia: un annoso contrasto giurisprudenziale finalmente risolto, in Cass. pen., 2007, pp. 1429 ss.    

[11] Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), cit.   

[12] Si veda R. Alfonso, Confisca e sequestro, in Criminalità organizzata transnazionale e sistema penale italiano, cit., pp. 223 ss.; Id., La confisca nel procedimento di prevenzione, cit., pp. 802 ss.

[13] Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), cit.        

[14] Si veda Cass. pen., Sez. I, n. 25217 del 4 maggio 2016 (dep. 16 giugno 2016), in C.E.D. Cass., n. 266980.   

[15] Si veda innanzitutto Cass. pen., Sez. I, n. 2024 del 24 giugno 1980 (dep. 17 luglio 1980), in C.E.D. Cass., n. 145874; a distanza di un decennio, tale impostazione ermeneutica veniva ripresa in Cass. pen., Sez. I, n. 1057 del 28 febbraio 1991 (dep. 2 aprile 1991), in C.E.D. Cass., n. 186745.

[16] Si veda  Cass. pen., Sez I, n. 48882 del ottobre 2013 (dep. 5 dicembre 2013), in C.E.D. Cass., n. 257605.   

[17]  Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), in C.E.D. Cass., n. 262604; il principio di diritto richiamato nel testo è estratto dalla massima elaborata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione.   

[18] Si veda Cass. pen., Sez I, n. 48882 del ottobre 2013 (dep. 5 dicembre 2013), cit.   

[19]  Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), cit.   

[20] Si veda R. Alfonso, Confisca e sequestro, in Criminalità organizzata transnazionale e sistema penale italiano, cit., pp. 223 ss.; Id., La confisca nel procedimento di prevenzione, cit., pp. 802 ss.

[21] Si rinvia, sul punto, a Cass. pen., Sez. I, n. 2024 del 24 giugno 1980 (dep. 17 luglio 1980), cit.; Cass. pen., Sez. I, n. 1057 del 28 febbraio 1991 (dep. 2 aprile 1991), cit.  

[22] Sul punto, si vedano gli approfondimenti critici di A. Mangione, La misura di prevenzione patrimoniale tra dommatica e politica criminale, cit., pp. 47 ss.; A.M. Maugeri, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, cit., pp. 78 ss.   

[23] Vedi infra § 6.   

[24] Si veda  C. cost., 21 febbraio 2012, n. 21.

[25] Si veda  C. cost., 21 febbraio 2012, cit.   

[26] Si vedano Cass. pen., Sez. II, n. 24276 del 29 aprile 2014 (dep. 19 giugno 2014), in C.E.D. Cass., n. 260296; Cass. pen., Sez. I, n. 41452 del 17 luglio 2013 (dep. 7 ottobre 2013), in C.E.D. Cass., n. 257535; Cass. pen., 14044 del Sez. V, 13 novembre 2012 (dep. 25 marzo 2013), in C.E.D. Cass., n. 255042.        

[27] Si veda Cass. pen., Sez. II, n. 24276 del 29 aprile 2014 (dep. 19 giugno 2014), cit.

[28] Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 12621 del 22 dicembre 2016 (dep. 10 marzo 2017), in C.E.D. Cass., n. 278085; su questa pronuncia delle Sezioni unite si veda il commento di C. Forte, Il “dialogo col morto” spiegato ai suoi eredi, in Dir. pen. contemp., 6 aprile 2017.      

[29] Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), in C.E.D. Cass., n. 262602.   

[30] Il principio di diritto richiamato nel testo è affermato nella motivazione della sentenza Cass. pen., Sez. un., 22 dicembre 2016 (dep. 10 marzo 2017), in C.E.D. Cass., n. 270081.   

[31] Il principio di diritto richiamato nel testo è affermato nella motivazione della sentenza Cass. pen., Sez. un., 22 dicembre 2016 (dep. 10 marzo 2017), in C.E.D. Cass., n. 270082.   

[32] Si veda Cass. pen., Sez. I, 18 ottobre 2012 (dep. 4 marzo 2013), Coli, n. 10153.   

[33] Si veda C. Forte, Il “dialogo col morto” spiegato ai suoi eredi, in Dir. pen. contemp., cit., pp. 7-8.      

[34] Il principio di diritto richiamato nel testo è affermato nella motivazione della sentenza Cass. pen., Sez. un., 22 dicembre 2016 (dep. 10 marzo 2017), in C.E.D. Cass., n. 270083.   

[35] Il principio di diritto richiamato nel testo è affermato nella motivazione della sentenza Cass. pen., Sez. un., 22 dicembre 2016 (dep. 10 marzo 2017), in C.E.D. Cass., n. 270083.   

[36] Si veda Cass. pen., Sez. un., 22 dicembre 2016 (dep. 10 marzo 2017), in C.E.D. Cass., n. 270086.   

[37]  Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), in C.E.D. Cass., n. 262607; il principio di diritto richiamato nel testo è estratto dalla massima elaborata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione.

[38] Si veda C. Forte, Il “dialogo col morto” spiegato ai suoi eredi, in Dir. pen. contemp., cit., pp. 16-17.    

[39] Si veda Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), in C.E.D. Cass., n. 262604.   

[40] Si veda Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), in C.E.D. Cass., n. 262605.   

[41]  Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), in C.E.D. Cass., n. 262604.   

[42]  Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), cit.   

[43] Vedi supra §§ 3 e 4.   

[44]  Si vedano Cass. pen., Sez. V, n. 13797 del 18 marzo 2002 (dep. 10 aprile 2002), in C.E.D. Cass., n. 221184; Cass. pen., Sez. I, n. 479 del 28 gennaio 1998 (dep. 10 marzo 2003), in C.E.D. Cass., n. 210012.

[45]  Si vedano Cass. pen., Sez. V, n. 228 del 12 dicembre 2007 (dep. 7 gennaio 2008), 238871; Cass. pen., Sez. V, n. 10641 del 19 febbraio 2002 (dep. 14 marzo 2002), in C.E.D. Cass., n. 221686.   

[46]  Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), in C.E.D. Cass., n. 262607.   

[47]  Questa locuzione è utilizzata dalla norma dell’art. 10 della legge n. 125 del 2008 ed è stata integralmente recepita dall’art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011.   

[48]  Questa locuzione è utilizzata dalla norma dell’art. 2-ter, comma 3, della legge n. 575 del 1965.   

[49] Vedi supra § 3.   

[50] Si vedano Cass. pen., Sez. VI, n. 35240 del 27 giugno 2013 (dep. 21 agosto 2013), in C.E.D. Cass., n. 256266; Cass. pen., Sez. II, n. 25558 del 16 aprile 2009 (dep. 18 giugno 2009), in C.E.D. Cass., n. 244151.   

[51] Vedi supra § 1.   

[52] Si veda Si veda Cass. pen., Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), in C.E.D. Cass., n. 262605.   

 

 
 
 
 
 
 

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