1. Premessa
La normativa in materia di pornografia minorile è stata oggetto di numerose modifiche ad opera del legislatore italiano che è intervenuto con l’obiettivo di contrastare, in modo vieppiù efficace, il fenomeno dello sfruttamento sessuale dei minori che nel corso degli anni ha assunto dimensioni sempre più allarmanti.
La suddetta disciplina, introdotta al fine di tutelare l’integrità ed il sano ed adeguato sviluppo psico-fisico del minore avverso le condotte di sfruttamento del medesimo volte alla realizzazione di materiale pedopornografico, deve attualmente confrontarsi con l’emersione di nuove forme di abuso del soggetto de quo. In particolare la diffusione del materiale pedopornografico non è più, in via esclusiva, opera di organizzazioni criminali che utilizzano i minori allo scopo di trarne un profitto economico, bensì è il medesimo minore a produrre tali immagini.
Tale fenomeno è stato favorito dal progresso tecnologico che ha influito sulle modalità di socializzazione e di relazione dei giovani che si conoscono, comunicano e scambiano immagini attraverso mezzi di comunicazione virtuali quali cellulari e social network. Di riflesso altresì la scoperta della sessualità ed il corteggiamento si realizzano per mezzo di tali strumenti virtuali, accessibili a chiunque e di facile comprensione benché connotati da aspetti positivi, quali la velocità di comunicazione, ed aspetti negativi, quali l’insidiosità.
In tale contesto si colloca il fenomeno del “sexting”[1], ossia la produzione personale e la conseguente cessione volontaria di immagini erotiche realizzate dallo stesso minore.
Il pericolo della circolazione di autoscatti in tal modo realizzati aumenta in considerazione della veloce nonché facile diffusione offerta dagli strumenti digitali che implicano un possibile danno al minore laddove si verifichi un’incontrollata divulgazione delle immagini che lo raffigurano. A fronte di tale circostanza il minore da autore dell’immagine potrebbe divenire vittima ed oggetto di scherno, risultando leso il suo diritto alla libera maturazione sessuale e morale.
Il comportamento del minore che autonomamente e volontariamente produce immagini pedopornogrfiche ha suscitato l’interesse della dottrina e della giurisprudenza la quale si è interrogata in merito alla possibilità di far rientrare sotto l’egida del reato di pornografia minorile ex art. 600 ter c.p.[2] la suddetta condotta. Un simile atteggiamento risulta infatti differente rispetto agli schemi comportamentali che hanno indotto il legislatore ad intervenire a tutela dello sfruttamento minorile.
2. Il caso concreto e le questioni giuridiche affrontate dalla Cassazione
La recente pronuncia della Corte di Cassazione[3] scaturisce da una vicenda che vede protagonista una minorenne che si scatta alcune fotografie a sfondo sessuale e le invia ad alcuni coetanei che, in un secondo momento, cedono le immagini ad ulteriori amici, salvo un ragazzo che le tiene per sé. Il contenuto delle immagini era idoneo ad essere definito “pornografico”, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 600 ter c.p. Ai minori si contestava il reato di cessione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600 ter comma 4 c.p.[4], mentre all’imputato che aveva tenuto per sé l’immagine si contestava il delitto di detenzione di materiale pedopornografico ex art. 600 quater c.p.[5].
Il Tribunale per i minorenni dell’Abruzzo dichiarava di non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine ai reati loro ascritti per insussistenza del fatto giacchè rilevava che l’art. 600 ter comma 4 c.p. sanziona la cessione del materiale pedopornografico a condizione che sia realizzato da un soggetto diverso dal minore raffigurato. Nel caso di specie, a contrario, le immagini erano state prodotte e divulgate volontariamente dalla stessa minore pertanto la Corte escluse la punibilità degli imputati per le suddette ipotesi di reato affermando che una differente interpretazione avrebbe comportato una “analogia in malam partem”[6].
Il Pubblico Ministero proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza de qua deducendo l’erronea applicazione della legge penale, in particolare osservando che l’oggetto della cessione prevista all’art. 600 ter quarto comma c.p. si riferisse “sic et simpliciter al materiale pornografico riproducente minori”[7] e non, come prospettava il giudice di prime cure, al materiale formato in via esclusiva mediante l’utilizzo del minore. Di conseguenza, riteneva che le condotte poste in essere dagli imputati integrassero la fattispecie di cessione di materiale pedopornografico ex art. 600 ter comma 4 c.p. Il Pubblico Ministero evidenziava inoltre che l’interpretazione fornita dal giudice di primo grado avrebbe comportato un vuoto di tutela nelle ipotesi in cui le immagini pornografiche fossero state prodotte e cedute dallo stesso minore raffigurato.
La Corte di Cassazione nella sentenza in commento respinge il ricorso del Pubblico Ministero e condivide l’interpretazione prospettata dal giudice di prime cure affermando che la corretta lettura della disciplina de qua deve fondarsi nel primo comma. Nello specifico la Corte chiarisce che il presupposto necessario per la configurabilità della fattispecie disciplinata all’art. 600 ter c.p. è che vi sia stata l’utilizzazione del minore per la realizzazione del materiale pedopornografico ad opera di un soggetto diverso dal medesimo minore raffigurato. Ergo è necessaria l’alterità tra il soggetto che produce l’immagine ed il soggetto raffigurato, escludendo la possibilità di una coincidenza tra le due figure.
Attese tali premesse, la Corte non ravvisa la punibilità delle condotte di cessione e di diffusione di immagini autoprodotte in quanto l’autore della condotta non è un soggetto diverso dal minore rappresentato.
L’esegesi prospettata dalla Corte si fonda su un’interpretazione letterale della fattispecie di pornografia minorile: in particolare i giudici di legittimità, ripercorrendo la struttura dell’articolo di cui all’art. 600 ter c.p., esaminano i due requisiti necessari per la lettura della disciplina de qua, ossia il sintagma “utilizzando minori” previsto dal capoverso n.1 del primo comma dell’art. 600 ter c.p. ed il rifermento al “materiale pornografico di cui al comma 1” menzionato nei commi successivi.
A sostegno di tali argomentazioni la Suprema Corte richiama inoltre una precedente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite[8], che si era preoccupata di esaminare la condotta sanzionata dall’art. 600 ter comma 1 c.p. In detta pronuncia la medesima Corte aveva chiarito che il verbo “sfruttare”[9], presente nella versione antecedente alla riforma 2006, dovesse essere inteso nel significato di utilizzare il minore per qualsiasi fine, id est usufruire del minore quale mezzo. Il legislatore difatti intendeva tutelare il libero sviluppo sessuale, psichico e morale del minore avverso comportamenti di sfruttamento o abuso in suo danno sanzionando tutte le attività prodromiche al fenomeno in questione; di talchè si individuava la fattispecie come reato di pericolo concreto.
Rebus sic stantibus sussisteva il reato ex art. 600 ter comma 1 c.p. laddove la condotta dell’agente che sfruttasse il minore a fini pornografici implicasse un concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto.
La Suprema Corte, condividendo il percorso argomentativo delle Sezioni Unite del 2000, sostiene la necessaria diversità tra l’autore della condotta ed il minore utilizzato per la produzione di materiale pornografico individuando inoltre in tale requisito un elemento costitutivo della fattispecie[10].
3. Il delitto di pornografia minorile: evoluzione della disciplina e ragioni dell’intervento del legislatore
Il delitto di pornografia minorile, disciplinato dall’art. 600 ter c.p., è stato introdotto dal legislatore con la l. 3 agosto 1998 n. 269. Tale diposizione si inseriva in un contesto di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei minori, in linea di continuità con la l. 15 febbraio 1996 n. 66[11], e perseguiva l’obiettivo di reprimere il fenomeno della strumentalizzazione dei minori a fini commerciali, ossia il cosiddetto fenomeno di “mercificazione” degli stessi[12]. In altri termini il legislatore, con la suddetta disciplina, le cui pene edittali erano particolarmente elevate, auspicava ad estinguere il mercato della pornografia minorile al fine di scongiurare il pericolo che chiunque abusasse della sessualità dei minori potesse trarne un profitto economico.
Per vero, è necessario specificare che in merito all’originale formulazione della norma la dottrina aveva elaborato interpretazioni differenti circa il significato da attribuire alla condotta di sfruttamento. Secondo un primo orientamento, lo sfruttamento del minore doveva essere inteso quale utilizzazione dello stesso a fini commerciali: di conseguenza era integrato il delitto di cui all’art. 600 ter c.p. allorchè l’autore della condotta avesse ricavato un profitto economico dall’impiego del minore[13]. A contrario, un secondo orientamento affermava che la sussistenza del reato de quo fosse estranea alla percezione di un vantaggio economico[14].
In materia si auspicava da tempo un intervento normativo sollecitato in primis dal contesto internazionale ed in secondo luogo dalla presenza di ulteriori elementi: da una parte, l’emersione di organizzazioni criminali, anche transnazionali, che sfruttavano i minori a fini di lucro e, dall’altra, la sensibilità dell’opinione pubblica che a fine anni novanta aveva prestato più attenzione al fenomeno della pedofilia, circostanza motivata, in parte, dal verificarsi di gravi episodi di violenza in danno di minori[15].
La volontà di ottemperare agli obblighi internazionali emergeva dal preambolo della l. 269 del 1998 ove si esprimeva in modo chiaro l’intento del legislatore. In particolare si voleva dare attuazione ai principi della Convenzione dei diritti del fanciullo firmata a New York nel 1989, ratificata in Italia con l. 176 del 1991, e della Dichiarazione Finale della Conferenza Mondiale di Stoccolma contro lo sfruttamento sessuale dei bambini a fini commerciali adottata il 31 agosto 1996. A tal proposito, è interessante sottolineare il contenuto dell’art. 34[16] della Convenzione sui diritti del fanciullo che sancisce la necessità di proteggere il minore da tutte le forme di abuso o sfruttamento sessuale in ragione dell’assenza di una piena maturità fisica e sessuale[17].
Merita pertanto osservare che il legislatore italiano del 1998, ispirandosi ai sopra citati documenti internazionali, intendesse contrastare in via principale il fenomeno economico derivante dallo sfruttamento dei minori e diretto a realizzare un profitto dalla mercificazione degli stessi piuttosto che sanzionare l’esclusivo utilizzo della sessualità del minore a scopi personali[18]. Giusto tale profilo è esemplificativa la definizione di sfruttamento sessuale quale “forma di schiavitù contemporanea” emersa nella Dichiarazione Finale di Stoccolma.
Il minore soggetto incapace di autodeterminarsi e in via di formazione diviene pertanto vittima nonché strumento di quelle condotte di abuso che, animate o meno da uno scopo di lucro, ledono la sua libertà individuale e il suo diritto di crescita.
Parte della dottrina aveva criticato la formulazione adottata dal legislatore del 1998 a causa dell’eccessiva ampiezza ed indeterminatezza delle fattispecie incriminatrici i cui contenuti sembravano avere un notevole “valore simbolico”[19]. Tale caratteristica si rilevava difatti osservando che erano punite specifiche forme di aggressione all’integrità sessuale del minore quali, ad esempio, la pornografia minorile e la detenzione di materiale pornografico. Nondimeno si sottolinea che la specificità delle condotte sanzionate rappresentava un elemento di novità rispetto alla riforma dei reati contro la violenza sessuale[20].
La disciplina della pornografia minorile è stata modificata qualche anno dopo la sua emanazione con la l. 6 febbraio 2006, n. 38[21]: il legislatore infatti intendeva superare le difficoltà ricostruttive e valutative connesse alla rigidità dell’originaria formulazione. In tale occasione, tra i vari cambiamenti, si estendeva il novero delle condotte sanzionate, introducendo il reato di pornografia virtuale all’art. 600 quater.1 comma 1 c.p. e sostituendo all’art. 600 ter comma 1 c.p. il termine “sfrutta” con quello più ampio di “utilizzazione”. La ragione dell’intervento riformistico era motivata dalla necessità di rendere più severa la disciplina previgente in ossequio alle decisioni europee[22] e, del pari, dalla necessità di prevedere norme più efficienti avverso le nuove modalità informatiche idonee per la realizzazione di tali reati.
Da ultimo, è rilevante segnalare l’intervento legislativo attuato con la l. 1 ottobre 2012 di ratifica della Convenzione di Lanzarote del Consiglio d’Europa, finalizzato a perfezionare ulteriormente la disciplina in esame ed i cui effetti hanno coinvolto altresì le disposizioni relative ai delitti contro la persona e la famiglia nonché la violenza sessuale. Le novità più significative attengono alla definizione del concetto di pornografia collocata all’art. 600 ter comma 7 c.p.[23], all’introduzione del reato di “adescamento di minorenni” ed “istigazione a pratiche di pedofilia e pedopornografia”, alla disciplina dell’ignoranza della persona offesa.
La novella è stata oggetto di critica ad opera della dottrina che aveva evidenziato la duplice anima della medesima: giusto un profilo la riforma colmava alcune lacune, giusto altro profilo criticava sia l’eccessiva anticipazione di alcune misure volte a tutelare in forma anticipata il pericolo di abuso del minore, sia la genericità ed indeterminatezza delle condotte incriminate[24].
L’analisi dell’evoluzione normativa della disciplina in esame offre la possibilità di rilevare come l’intervento riformistico del legislatore si accompagni alla necessità di garantire un’adeguata tutela in relazione al contesto storico e culturale. Ossia la fattispecie di pornografia minorile nasce per reprimere le condotte di sfruttamento e di abuso sessuale del minore, sia esso inteso con o senza scopi di lucro, con l’obiettivo di estinguere il mercato della pornografia minorile: si estende prevedendo norme vieppiù efficaci ed adeguate altresì a sanzionare le condotte commesse con le modalità informatiche, giungendo, infine, ad introdurre forme di tutela anticipata in assenza di una concreta offensività al bene giuridico protetto.
4. La condotta di “utilizzazione” del minore ed il requisito dell’“alterità” quale elemento costitutivo del reato
Nel precedente paragrafo si sono esposte le ragioni che hanno spinto il legislatore ad introdurre la fattispecie di pornografia minorile ed a riformare la disciplina, pertanto è necessario premettere l’attuale struttura della fattispecie de quo.
Nonostante la costruzione unitaria della norma incriminatrice ogni comma prevede una diversa ed autonoma figura di illecito, di talchè risulta estesa l’area della rilevanza penale sia alle condotte di produzione che a quelle di diffusione del materiale erotico realizzato utilizzando i minori[25]. Il bene giuridico protetto dalla norma è il sereno sviluppo fisico, psicologico e morale del minore tuttavia in dottrina ed in giurisprudenza non vi è accordo in merito alla natura dell’illecito. L’orientamento dominante in dottrina ritiene che l’art. 600 ter c.p. configuri un reato di pericolo astratto in quanto la condotta di produzione di materiale pedopornografico è di per sé idonea a compromettere il sano sviluppo psichico del minore, pertanto la diffusione del materiale de quo può, in via esclusiva, incrementare l’offesa al bene giuridico che tuttavia si è già realizzata[26]. A contrario, la giurisprudenza qualifica il reato di pornografia minorile come illecito di pericolo concreto giacchè i comportamenti prodromici ledono l’integrità psico-fisica del minore laddove vi sia un concreto pericolo di diffusione del materiale pedopornografico, ossia deve verificarsi concretamente il rischio di immissione del materiale nel circuito della pornografia minorile[27].
Il delitto in commento è un reato comune in quanto può essere commesso da chiunque, soggetto passivo sono i minori di anni diciotto e l’elemento soggettivo si individua nel dolo generico, ossia nella coscienza e volontà di compiere le condotte oggetto della norma incriminatrice.
Nella vicenda giuridica oggetto di analisi la Suprema Corte, illustrando il percorso argomentativo della decisione, ha affermato che la chiave di lettura deve essere rinvenuta nell’art. 600 ter comma 1 c.p. necessario per l’interpretazione dei commi successivi il cui contenuto rappresenta il risultato della condotta di utilizzazione del minore. In altri termini, la Corte chiarisce che non vi sarebbe alcun commercio, divulgazione, distribuzione o cessione di materiale pedopornografico senza il presupposto della condotta di produzione del materiale de quo per mezzo dell’utilizzazione del minore.
A sostegno della motivazione, la Corte si richiama alla sentenza delle Sezioni Unite del 2000[28] che, quantunque emessa durante la vigenza della lettera originaria della norma, è ritenuta un “baluardo interpretativo imprescindibile”[29] altresì per le versioni successive della fattispecie ad oggetto.
Nella suddetta pronuncia, i giudici di legittimità erano stati interpellati per decidere se il fatto di sfruttare minori di anni diciotto per realizzare esibizioni pornografiche ovvero per produrre materiale pornografico integrasse o meno una finalità lucrativa. Interpretando il valore del verbo “sfruttare” presente nel testo originale della disposizione, la Corte chiarì che tale locuzione dovesse intendersi nel significato di utilizzare il minore a qualsiasi fine, non necessariamente economico, giacchè per la punibilità della condotta rilevava l’impiego dei medesimi come mezzo anzichè rispettarli come persone.
In altri termini, lo sfruttamento dei minori implica offendere la loro personalità, in particolare giusto il profilo della loro sessualità, che è fragile in quanto non è giunta alla piena maturazione[30].
La lettura della Corte fondata sul criterio semantico e sul criterio teleologico ha valorizzato l’intentio legis emersa dall’art. 1 l. 269 del 1998 laddove si affermava che l’obiettivo primario della legge era tutelare il minore avverso ogni forma di sfruttamento o abuso sessuale a salvaguardia di un sano sviluppo fisico, psicologico, morale e sociale. La Corte evidenziava inoltre in tale contesto che il legislatore introduceva una tutela penale anticipata finalizzata a reprimere le condotte prodromiche che espongono a rischi il libero sviluppo del minore mercificando il suo corpo ed immettendolo nel circuito della pedopornografia. Al contempo qualificava la fattispecie di cui all’art. 600 ter c.p. come reato di pericolo concreto individuando l’offensività nonché la sussistenza del reato, proprio nel concreto rischio di diffusione del materiale pedopornografico cosicchè fossero circoscritte le condotte punibili onde evitare una lesione principio di offensività. Il compito di accertare il concreto pericolo di diffusione del materiale pedopornografico spetterà di volta in volta al giudice che dovrà analizzare gli elementi sintomatici della condotta quali, ad esempio, l’esistenza di una struttura organizzata anche rudimentale, il concreto collegamento dell’agente con soggetti pedofili potenziali destinatari del materiale pornografico, l’utilizzo contemporaneo o differito nel tempo di più minori[31] I giudici di legittimità concludevano, infine, riconoscendo la sussistenza del delitto ex art. 600 ter comma 1 c.p. laddove si rilevasse l’impiego del minore per produrre spettacoli o esibizioni a cui seguiva il concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto.
Il Supremo collegio nella sentenza in commento aderisce alla suddetta opzione ermeneutica ribadendo la necessità che l’autore della condotta debba essere “soggetto altro e diverso rispetto al minore da lui utilizzato”[32], non essendo rilevante il fine che anima il soggetto attivo della condotta tantomeno l’eventuale consenso prestato dal minore. La Corte evidenzia inoltre che “alterità e diversità […] non potranno ravvisarsi qualora il materiale medesimo sia realizzato dallo stesso minore - in modo autonomo, consapevole, non indotto o costretto – ostando a ciò la lettera e la ratio della disposizione”[33]. Rebus sic stantibus si eleva ad elemento costitutivo del reato il requisito dell’alterità tra il soggetto che realizza il materiale pornografico ed il minore utilizzato.
Il medesimo percorso argomentativo deve essere sostenuto in relazione alla condotta di cessione ex art. 600 ter comma 4 c.p.
Il passaggio logico della Corte muove dall’inciso contenuto nel quarto comma, segnatamente la locuzione “il materiale pornografico di cui al primo comma”, riproposta in tutti i commi successivi al primo, che deve essere inteso quale materiale prodotto utilizzando minori e non deve identificarsi, a contrario, in materiale pornografico raffigurante minori. A rilevare è l’origine del materiale.
L’opzione ermeneutica adottata dalla Corte è confortata oltre che dal dato letterale della norma ad oggetto anche dalla disciplina delle circostanze aggravanti di cui all’art. 602 ter c.p.[34], relative ai delitti contro la personalità individuale. Come emerge dal tenore letterale della norma, le circostanze de quibus presuppongono la necessaria alterità tra la parte offesa dal reato ed il soggetto attivo. Il dato rileva in quanto si osserva l’intenzione del legislatore di voler proteggere il minore da qualunque condotta tenuta a suo danno, prevedendo un aumento di pena a fronte di comportamenti diversi ma tutti finalizzati all’utilizzazione del minore[35].
Alla luce di tali affermazioni risulta evidente l’importanza del valore che la Corte attribuisce al termine “utilizzando”[36] minori sostituito, come già osservato nel precedente paragrafo, con la l. 38 del 2006, fonte di attuale dibattito tra dottrina e giurisprudenza.
A tal proposito una parte della dottrina sostiene che il suddetto termine vada inteso quale strumentalizzazione del minore a fini pornografici anche se non diretto a scopo di lucro[37]. Altra parte della dottrina, quantunque minoritaria, attribuisce a contrario maggiore rilievo al pericolo di circolazione del materiale in ragione dell’incontrollabile diffusione delle immagini problematica dell’attuale periodo storico. Presupponendo che il pericolo sia individuabile nella circolazione delle suddette immagini tale orientamento individua la vittima non più nel solo minore utilizzato bensì nella collettività dei minori il cui sano sviluppo fisico e mentale deve essere tutelato onde evitare che i medesimi divengano un mero strumento di soddisfazione sessuale. Tale orientamento ritiene dunque che l’offensività del bene giuridico tutelato sia da individuare nella potenzialità diffusiva delle immagini a nulla rilevando il requisito dello sfruttamento del minore quale presupposto per la sussistenza della fattispecie de quo[38].
Nella sentenza oggetto di commento la Corte afferma dunque che il concetto di sfruttamento del minore esclude la punibilità del soggetto agente che cede il materiale pornografico laddove l’immagine sia prodotta dal medesimo soggetto raffigurato.
L’assunto rappresenta il limite della scelta della giurisprudenza che lascia impunite una serie di condotte non considerate tipiche in quanto prive dell’elemento costitutivo dell’alterità tra autore della condotta e persona offesa.
4.1 Il consenso del minore
La Suprema Corte con la recente pronuncia oggetto di commento mostra di aderire al pregresso orientamento giurisprudenziale ove la condotta di produzione di materiale pedopornografico è riconosciuta a condizione che vi sia alterità tra l’autore della condotta ed il soggetto raffigurato nel materiale pornografico. Di riflesso esclude dall’alveo della condotta punibile il materiale prodotto per mezzo di autoscatto giacchè, in tale evenienza, le figure di autore e soggetto utilizzato per produrre immagini coincidono. Tuttavia, nella motivazione la Corte non ha approfondito il profilo del valore del consenso del minore alla realizzazione di materiale pedopornografico, si sofferma su tale questione asserendone l’eventuale irrilevanza.
L’aspetto del consenso del minore rappresenta attualmente una tematica di primaria importanza in quanto si osserva il frequente fenomeno di adolescenti che utilizzano i mezzi di comunicazione virtuali come modalità di approccio alla sfera sessuale, producendo loro stessi le immagini divulgate.
A tal proposito pare opportuno segnalare due pronunce di merito che hanno valorizzato la problematica del consenso del minore.
Segnatamente, la Corte d’Appello di Milano si è espressa in merito ad un caso in cui un ventenne era entrato in contatto su internet con una minorenne ultraquattordicenne che gli aveva inviato alcune foto in cui era nuda ed altre in cui era intenta a compiere atti sessuali su sé stessa.
I giudici di merito, nel valutare la responsabilità del giovane per i reati a lui ascritti di cui agli artt. 600 ter comma 1 e 600 quater comma 1 c.p., esclusero la sussistenza del presupposto dell’utilizzazione del minore evidenziando l’elemento del consenso manifestato dalla ragazza. La Corte sottolinea che tale consenso debba essere valutato alla luce dei singoli elementi che caratterizzano il caso concreto, quali ad esempio l’età del minore, le modalità della richiesta del consenso, le modalità di espressione utilizzate nella conversazione, il coinvolgimento o meno di terzi, la destinazione successiva delle immagini autoprodotte. Nel caso di specie i suddetti elementi hanno condotto la Corte d’Appello di Milano ad escludere il delitto di detenzione di materiale pedopornografico[39].
Del medesimo avviso risulta essere una recente pronuncia del G.I.P. del Tribunale di Firenze in cui erano coinvolti due fidanzati, una minorenne, in particolare diciassettenne, e un maggiorenne che avevano realizzato video ad oggetto i loro rapporti sessuali. La prima parte del video era stato realizzato dalla ragazza, la seconda dal ragazzo su richiesta della compagna. In seguito alla fine della relazione il video era stato diffuso sul social network Facebook.
In detta circostanza l’imputato benché sia stato condannato per il reato di divulgazione di materiale pedopornografico è stato assolto per il reato di produzione di materiale a sfondo sessuale atteso che il giudice ha ritenuto necessario ai fini dell’integrazione di tale condotta l’utilizzazione del minore e, di riflesso, la presenza di un soggetto che impieghi il minore per produrre il materiale de quo. Orbene il giudice ha considerato l’utilizzazione del minore un elemento costitutivo del reato di produzione di materiale pedopornografico ex art. 600 ter comma 1 c.p. ma, del pari, ha valorizzato il consenso prestato dalla ragazza che fa venire meno la condotta e quindi uno degli elementi costitutivi del reato ad oggetto[40].
I giudici di merito, nelle pronunce suesposte, hanno approfondito il profilo del consenso del minore interpretato alla luce delle diverse fasce d’età sicchè l’età del minore è eletta a parametro di valutazione ai fini di un giudizio sulla consapevolezza di tale consenso.
Tuttavia, il legislatore, a differenza della scelta intrapresa in merito alla disciplina dei reati sessuali contro i minori, per il reato di pornografia ex art. 600 ter c.p. non ha previsto di attribuire rilevanza al consenso del minore ultraquattordicenne.
Per vero, tale opzione ermeneutica è stata oggetto di critica ad opera della dottrina che evidenzia la contraddittorietà tra la libertà di autodeterminazione riconosciuta al minore che ha compiuto il quattordicesimo anno d’età, in ordine ai reati sessuali e l’assenza di rilievo al consenso prestato dal minore stesso, per i reati di cui all’art. 600 ter c.p.[41]. In altri termini sembra incongruente la scelta del legislatore che attribuisce efficacia scusante al consenso del minore, ultraquattordicenne, oggetto di sfruttamento sessuale e non riconosce alcun valore al consenso dello stesso relativamente al reato di pornografia minorile.
La scelta del legislatore di escludere od eventualmente diminuire la pena nell’ipotesi di valido consenso del minore alla produzione di materiale pornografico è ritenuta, a parere della dottrina, chiara ed univoca. Sebbene con l’introduzione della l. 172 del 2012 fosse stata offerta al legislatore l’occasione di estendere al reato in questione l’ipotesi del valido consenso del minore, in linea con il regime previsto per i reati sessuali, è stata seguita una scelta di segno opposto. Ergo il legislatore ha ritenuto irrilevante il consenso prestato dal minore a fini della produzione di materiale pornografico considerando lo stesso incapace di autodeterminarsi alla luce della condizione di vittima che assumerebbe in tale circostanza[42].
Da ultimo è opportuno richiamare la recente pronuncia della Suprema Corte[43] che, in tema di produzione di materiale pedopornografico mediante l’utilizzo di minori, ha ritenuto sussistente il reato di cui all’art. 600 ter c.p., sottolineando l’irrilevanza del consenso prestato dai minori. Nel caso di specie era emerso che i minori avevano inviato all’imputato immagini che ritraevano le loro parti intime, unitamente ad un video di un’attività masturbatoria, dietro la promessa o la dazione di somme di denaro e di regalie. In tale circostanza la Suprema Corte, in conformità alla pronuncia del Tribunale della libertà, ha confermato la sussistenza della fattispecie di produzione di materiale pedopornografico mediante l’utilizzo di minori sulla base del rilievo che l’imputato aveva indotto i minori a realizzare ed inviare le immagine promettendo in cambio denaro e varie regalie. Di conseguenza la manipolazione dei minori indotti a formare e inviare le immagini in cambio dell’offerta di denaro, privava di qualsiasi valore esimente il consenso degli stessi.
Dunque in tale pronuncia la Corte ha ritenuto di non attribuire alcun valore esimente al consenso dei minori che avevano prodotto le immagini pornografiche in quanto è integrata la condotta induttiva, tratteggiando la differenza con il caso oggetto di analisi nel quale, a contrario, si è esclusa la fattispecie de qua in ragione della presenza di “selfie” scattati autonomamente e volontariamente.
5. Il fenomeno del “sexting” alla luce dell’orientamento della Cassazione: nuove esigenze di tutela?
La Suprema Corte con la recente pronuncia ha mostrato di aderire all’orientamento precedente affermando la necessità che alla cessione di materiale pedopornografico sia presupposta la produzione del medesimo attraverso l’utilizzazione di un minore.
Se la lettura della norma deve essere ispirata a tale interpretazione, di conseguenza, le condotte previste dai commi successivi al primo, ossia a titolo esemplificativo il commercio, la diffusione, la cessione, devono avere quale necessario presupposto che il materiale pedopornografico sia stato realizzato utilizzando il minore, in altri termini si chiede l’impiego strumentale del medesimo.
La Corte dunque considera materiale pedopornografico ai sensi dell’art. 600 ter c.p. in via esclusiva quello alla cui origine vi è l’utilizzo di un minore, il cui eventuale consenso è irrilevante.
Alla luce di tali considerazioni, i giudici di legittimità escludono la configurabilità del reato di cessione di materiale pedopornografico, ex art. 600 ter comma 4 c.p., allorchè l’immagine sia stata prodotta in modo autonomo, volontario e consapevole dallo stesso minore raffigurato.
L’opzione ermeneutica adottata dalla Corte tuttavia si mostra inadeguata in rapporto alle attuali esigenze di tutela.
Invero è sempre più diffusa tra gli adolescenti la prassi di utilizzare i mezzi di comunicazione virtuali non solo per comunicare bensì quale modalità di approccio alla sfera sessuale. Il minore produce lui stesso immagini a contenuto erotico e, in seguito, le invia a suoi coetanei integrando quello che viene definito il fenomeno di “sexting”[44]. In altri termini, il minore si autoscatta delle immagini che presentano gli elementi idonei per essere definiti pornografia minorile ai sensi dell’art 600 ter comma 7 c.p.
Attese tali premesse merita, a parere di chi scrive, sottolineare il ruolo assunto dal progresso tecnologico del nostro secolo. L’evoluzione dei mezzi di comunicazione quali computer e cellulari, la facilità di utilizzo dei medesimi e la diffusività degli stessi tra gli adolescenti rappresenta un concreto pericolo per la divulgazione di immagini pedopornografiche. Gli adolescenti sono legati al mondo virtuale, lo conoscono fin da bambini e sono in grado di utilizzare con facilità tali tecnologie adoperate sia per comunicare sia per socializzare. La pervasività di tali strumenti, da un lato, e l’immaturità degli agenti, dall’altro, implica il pericolo di una diffusione incontrollata di immagini erotiche autonomamente prodotte dal minore la cui circolazione può avvenire volontariamente, per gioco ovvero a titolo di vendetta.
Rebus sic stantibus, la struttura delle norme in materia di pedopornografia minorile risulta inadeguata a tutelare le forme di strumentalizzazione minorile che oggi si manifestano in schemi comportamentali differenti da quelli che hanno spinto il legislatore ad intervenire.
La Corte risolve la questione giuridica fornendo un’interpretazione letterale della norma, anzi da ultimo afferma che una diversa esegesi comporterebbe un’interpretazione analogica in malam partem non consentita dal nostro ordinamento. Tuttavia, a parere di chi scrive, l’interpretazione letterale adottata non si armonizza con le esigenze di tutela dell’attuale contesto storico.
Inoltre, la rigida interpretazione della Corte non consente di dare piena attuazione ai principi sovranazionali, da ultimo quelli statuti con la Convenzione di Lanzarote, il cui obiettivo era proteggere la libera e serena formazione della personalità contro quei comportamenti di sfruttamento e abuso sessuale atti a incidere negativamente sulla medesima. La Convenzione, infatti, non aveva imposto una lettura del sintagma “utilizzazione” negli esclusivi termini di “approfittamento” ai fini della configurazione del reato.
Atteso che il legislatore con l’introduzione del reato ad oggetto predispone una tutela anticipata rispetto alle condotte di sfruttamento e abuso nei confronti dei minori lesive della libertà sessuale e del sano sviluppo della loro personalità psico-fisica, non si comprende il motivo del mancato riconoscimento dell’offensività della condotta oggetto della vicenda giuridica. È vero che l’immagine era stata prodotta dalla stessa minore ma la cessione del materiale dal primo destinatario ad ulteriori coetanei, senza alcun consenso della persona offesa, rappresenta un pericolo di divulgazione che i giudici dovrebbero considerare. Il materiale pedopornografico prodotto con le suesposte modalità è pericoloso in quanto potrebbe sfuggire al controllo dei suoi creatori.
La decisione dei giudici di legittimità comporta un vuoto di tutela laddove l’interpretazione letterale non permette di considerate punibili le condotte simili a quella del caso di specie, ove l’immagine oggetto di qualsivoglia cessione, commercializzazione, divulgazione ovvero offerta è stata realizzata autonomamente dal minore raffigurato.
La Corte nella decisione non ha inoltre approfondito il profilo del valore del consenso del minore. A parere di chi scrive la fattispecie consentirebbe ai giudici di meglio vagliare le circostanze e di irrogare delle pene proporzionate se valutasse, in ordine alle fasce d’età, la rilevanza del consenso. Il legislatore ha difatti introdotto la possibilità per il giudice di vagliare il consenso del minore in relazione alla fascia d’età nei reati sessuali ma non ha seguito il medesimo criterio per il reato di pornografia minorile. Sarebbe a contrario opportuno estendere la valutazione del valore del consenso altresì al reato in questione in modo tale da individuare una sanzione idonea a punire il disvalore del fatto anche a seconda della fascia d’età interessata.
In circostanze analoghe a quelle ad oggetto sarebbe dunque vieppiù opportuno adottare interpretazioni meno rigide che considerino, oltre al criterio letterale e teleologico, il pericolo di espansione di detto fenomeno culturale e che permettano di dare risposte sanzionatorie adeguate al fine di contrastare tali condotte.
[1] A. Verza, «Sexting» e pedopornografia: i paradossi, in Ragion Pratica, 2013, 41, 569 ss.
[2] Art. 600 ter c.p.: “È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000 chiunque: 1) utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico; 2) recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164. Nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.500 a euro 6.000. Ai fini di cui al presente articolo per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”.
[3] Cass., Sez. III, 21 marzo 2016, n. 11675, in C.E.D. Cass. Rv. 266319.
[4] Art. 600 ter comma 4 c.p.: “Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164”.
[5] Art. 600 quater c.p.: “Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 600 ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a euro 1.549. la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità”.
[6] Cass., Sez. III, 21 marzo 2016, cit.
[7] Ibidem.
[8] Cass., Sez.Un., 31 maggio 2000, n. 13, Bove, in Cass. pen, 2000, 2983 ss.
[9] La legge 3 agosto 1998, n. 269, Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù, introduce l’art. 600 ter c.p. che al primo comma sanzionava: “Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa di lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni”.
[10] Cass., Sez. III, 21 marzo 2016, cit.
[11] L. 15 febbraio 1996, n. 66, Norme contro la violenza sessuale.
[12] G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo I, 4ᵃ ed., Zanichelli, Bologna, 2013, 156; L. Gizzi, Il delitto di pornografia minorile (art. 600 ter primo e secondo comma c.p. e art. 600 quater 1 c.p.), in I reati sessuali, i reati di sfruttamento dei minori e di riduzione in schiavitù per fini sessuali, a cura di F. Coppi, Giappichelli, Torino, 2007, 401.
[13] G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, cit., 173.
[14] L. Gizzi, Il delitto di pornografia minorile (art. 600 ter primo e secondo comma c.p. e art. 600 quater 1 c.p.), cit., 422 s; F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale. I delitti contro la persona, 5ᵃ ed., Cedam, Padova, 2013, 496 s.
[15] G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, cit., 153 ss.
[16] Art. 34 Convenzione sui diritti del fanciullo: “Gli Stati partecipanti si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale. A tal fine, gli Stati adottano in particolare ogni adeguata misura a livello nazionale, bilaterale e multilaterale per impedire che i fanciulli: a) siano incitati o costretti a dedicarsi a una attività sessuale illegale; b) siano sfruttati a fini di prostituzione e di altre pratiche sessuali illegali; c) siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli o di materiale a carattere pornografico”.
[17] A. Cadoppi, Sub pre-art. 600 bis (art. 1 l. 3 agosto 1998, n. 269), in Aa. Vv., Commentario delle norme contro la violenza sessuale e della legge contro la pedofilia, a cura di A. Cadoppi, 4ᵃ ed., Cedam, Padova, 2006, 35 ss; S. Delsignore, Pornografia minorile (Art. 600 ter), in Aa. Vv., Trattato di diritto penale. Parte speciale. I delitti contro l’onore e la libertà individuale, a cura di di A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M. Papa, Utet, Torino, 2010, 404 ss.
[18] L. Gizzi, voce Pornografia e pedopornografia, in Enc. Giur. Treccani, XIX, Treccani, Milano, 2006,1.; G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, cit., 170 ss.
[19] G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, cit., 155.
[20] Ibidem; M. La Rosa, Pornografia minorile e pericolo concreto: un discutibile binomio, in Cass. pen. 2008, 4171; M. Bianchi, Il “sexting minorile” non è più reato?, in Dir. pen. cont., 2016, 1, 142.
[21] L. 6 febbraio 2006, n. 38, Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet.
[22] Nello specifico la decisione quadro n. 2004/68/GAI del Consiglio d’Europa relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale bambini e la pornografia infantile, adottata il 22 dicembre 2003 e pubblicata sulla GUUE 20 gennaio 2004 , n. 13/44.
[23] Art. 600 ter comma 7 c.p.: “Ai fini del presente articolo per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”.
[24] G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, cit., 159 s.
[25] L. Gizzi, voce Pornografia e pedopornografia, cit.,1; S. Delsignore, Pornografia minorile (Art. 600 ter), cit., 425 s.
[26] G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, cit., 174; S. Delsignore, Pornografia minorile (Art. 600 ter), cit., 420 ss.; G. Ariolli-F. Ottaviano, sub art. 600 ter c.p., in Aa. Vv., Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di G. Lattanzi-E. Lupo, Nuova edizione, Giuffrè, Milano, 2015, 653 s.
[27] Cass., Sez. III, 11 ottobre 2011- 23 gennaio 2012, n. 2681, R., in Foro it., 2012, II, 468 ss., con nota G. Fiorani; G. Ariolli-F. Ottaviano, sub art. 600 ter c.p., 653.
[28] Cass., Sez. Un., 31 maggio 2000, n. 13, Bove, cit., 2983 ss.
[29] Cass., Sez. III, 21 marzo 2016, cit.
[30]Cass., Sez. Un., 31 maggio 2000, n. 13, Bove, cit., 2985 ss.
[31] Cass., Sez. Un., 31 maggio 2000, n. 13, Bove, cit., 2987.
[32] Cass., Sez. III, 21 marzo 2016, cit.
[33] Ibidem.
[34] Art. 602 ter c.p.: “La pena per i reati previsti dagli articoli 600, 601, 602 è aumentata da un terzo alla metà: a) se la persona offesa è minore degli anni diciotto; b) se i fatti sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi; c) se dal fatto deriva un grave pericolo per la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa. Se i fatti previsti dal titolo VII, capo III, del presente libro sono commessi al fine di realizzare od agevolare i delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, le pene ivi previste sono aumentate da un terzo alla metà. Nei casi previsti dagli articoli 600 bis, primo e secondo comma, 600 ter, primo comma, e 600 quinquies, la pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto è commesso con violenza o minaccia. Nei casi previsti dagli articoli 600 bis, primo e secondo comma, 600 ter, primo comma, e 600 quinques, la pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto è commesso approfittando della situazione di necessità del minore. Nei casi previsti dagli articoli 600 bis, primo e secondo comma,600 ter e 600 quinquies, nonché dagli articoli 600, 601 e 602, la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni sedici. Nei casi previsti dagli articoli 600 bis, primo comma, e 600 ter, nonché, se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni diciotto, dagli articoli 600, 601 e 602, la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso da un ascendente, dal genitore adottivo, o dal loro coniuge o convivente, dal coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale, dal tutore o da persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell'esercizio delle loro funzioni ovvero ancora se è commesso in danno di un minore in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata. Nei casi previsti dagli articoli 600 bis, primo comma, e 600 ter, nonché dagli articoli 600, 601 e 602, la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso mediante somministrazione di sostanze alcoliche, narcotiche, stupefacenti o comunque pregiudizievoli per la salute fisica o psichica del minore, ovvero se è commesso nei confronti di tre o più persone. Nei casi previsti dagli articoli 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quater.1. e 600 quinquies, la pena è aumentata: a) se il reato è commesso da più persone riunite;b) se il reato è commesso da persona che fa parte di un'associazione per delinquere e al fine di agevolarne l'attività; c) se il reato è commesso con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave. Le pene previste per i reati di cui al comma precedente sono aumentate in misura non eccedente i due terzi nei casi in cui gli stessi siano compiuti con l'utilizzo di mezzi atti ad impedire l'identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche. Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, concorrenti con le circostanze aggravanti di cui alla presente sezione, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.
[35] M. Bianchi, Il “sexting minorile” non è più reato?, cit., 141; S. Corbetta, Osservatorio Corte di Cassazione. Diritto penale, in Dir. pen. proc., 2016, 5, 612 s.
[36] Art. 600 ter comma 1 c.p.
[37] F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale. I delitti contro la persona, cit., 496 s.; G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, cit., 173; L. Gizzi, Il delitto di pornografia minorile (art. 600 ter primo e secondo comma c.p. e art. 600 quater 1 c.p.), 401 s.
[38] L. Picotti, I delitti di sfruttamento sessuale dei bambini, la pornografia virtuale e l’offesa dei beni giuridici, in Aa. Vv., Scritti per Federico Stella, II, a cura di G. Forti-M. Bertolino, Milano, 2007, 1292 ss.
[39] Trib. Milano, C. App., 17 gennaio 2014, in Dir. pen. cont., 2014, consultabile sul sito www.dirittopenalecontemporaneo.it.
[40] Trib. Firenze, 27 gennaio 2015- 10 febbraio 2015, in Dir. pen. cont., 2015 consultabile sul sito www.dirittopenalecontemporaneo.it.
[41] M. La Rosa, Pornografia minorile e pericolo concreto: un discutibile binomio, cit., 4174 s.; L. Gizzi, Il delitto di pornografia minorile (art. 600 ter primo e secondo comma c.p. e art. 600 quater 1 c.p.), cit., 402 ss.; A. Verza, Sulla struttura speculare e opposta di due modelli di abuso pedopornografico, in Dir. pen. cont., 2015, 9 ss. consultabile sul sito www.dirittopenalecontemporaneo.it.
[42] M. La Rosa, Pornografia minorile e pericolo concreto: un discutibile binomio, cit., 4174; A. Verza, Sulla struttura speculare e opposta di due modelli di abuso pedopornografico, cit., 10 ss.
[43] Cass. Sez. III, 17 novembre 2016 (dep. 16 gennaio 2017), n. 1783.
[44] A. Verza, «Sexting» e pedopornografia: i paradossi, in Ragion Pratica, cit., 570.