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PENALE  

IL PROGETTO DI LEGGE DI RIFORMA DELLA DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA

  Penale 
 venerdì, 15 settembre 2017

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di MARIA TIZIANA BALDUINI, giudice del Tribunale di Roma

 
 

 

 L’esercizio della stampa è attualmente regolato dalla legge n.47 del 1948, nata per disciplinare le pubblicazioni su “stampa e stampati” ed oggi pacificamente riferibile anche alle pubblicazioni via web.

 

La normativa in vigore prevede, nel caso in cui vengano commessi reati a mezzo stampa ed in particolare allorché vengano pubblicate notizie ritenute lesive della dignità personale o contrarie a verità:

-   il diritto di rettifica (art. 8 );

-   la responsabilità solidale del proprietario del giornale e del direttore (art. 11);

-   la possibilità di richiedere il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 c.p., nonché un’ulteriore sanzione a titolo di “riparazione pecuniaria” (art. 12).

In ordine a tale  ultimo aspetto la Suprema Corte (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6579, del 14/03/2013) ha escluso l’applicabilità della pena pecuniaria ai reati commessi con il mezzo televisivo;

-   la pena detentiva della reclusione da uno a sei anni, nonché quella della multa (art. 13).

 

Più a monte, la libertà di espressione trova una estesa tutela in due norme di rango primario: nell’art. 21 della Costituzione e nell’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che hanno l’obiettivo di garantire a ciascun consociato, di ricevere informazioni di interesse generale, nonché ai giornalisti, l’esercizio della libertà di informazione. 

 

L’art. 10 CEDU in particolare:

-  esplicita il contenuto del ‘diritto alla libertà di espressione’, come comprensivo della libertà di opinione e di ricevere o comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere interferenza di pubbliche autorità;

- prevede, per gli ordinamenti nazionali, la possibile limitazione all’esercizio del diritto alla libertà di espressione solo allorché ricorrano motivi di: sicurezza nazionale; integrità territoriale o per la sicurezza pubblica; difesa dell’ordine e per la prevenzione dei delitti; protezione della salute e della morale; protezione della reputazione o dei diritti altrui; impedire la diffusione di informazioni riservate; garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.

 

L’interpretazione della CEDU del diritto di cronaca è sempre stata improntata a una notevole ampiezza, in particolare la Corte Europea ha sistematicamente ritenuto insufficiente, per attribuire ad uno scritto carattere diffamatorio, una valutazione del significato di una singola parola o espressione contenuta nell’articolo, valendo il principio per cui si deve valutare l’intero testo alla luce del significato complessivo.

 

Non può essere invocata la protezione dell’art. 10 della Carta Europea, in nome del diritto di cronaca e di informazione, solo quando la notizia offensiva della reputazione sia totalmente priva di interesse pubblico, perché prevale qui il diritto alla riservatezza, espressione codificata del diritto alla dignità individuale, art. 8 della Carta EDU.

Il limite da rispettare, per la CEDU, nel caso di politici coinvolti, personaggi istituzionali o funzionari pubblici è quindi, in sostanza, soltanto quello della verità della notizia pubblicata. L’interesse pubblico risulta mediamente ricavabile in modo implicito dalla tipologia di persona coinvolta e dalla sua funzione.

Quanto, cioè, alle affermazioni che possono risultare lesive della reputazione riferite a chi ricopre un ruolo politico o istituzionale, l’estensione del diritto di cronaca è amplissima.

 

Tornando alla legge 47/1948, va ricordato che questa venne approvata dall’Assemblea Costituente circa 70 anni or sono ed ancor oggi è rimasta invariata nella propria struttura.

 

Negli ultimi anni si è andata via via manifestando l’esigenza di un mutamento dell’attuale disciplina ed il legislatore ha ritenuto di intervenire per ridisegnare la fattispecie, in ciò probabilmente sollecitato anche dal clamore suscitato dalla condanna definitiva riportata da Alessandro SALLUSTI nel 2012, per un articolo pubblicato sul giornale Libero, di cui lo stesso era il direttore (la vicenda giudiziaria traeva origine da un articolo dal titolo. “Il dramma di una tredicenne. Il giudice ordina l’aborto. La legge più forte della vita”, concernente la gravidanza interrotta di una tredicenne, presentata come un aborto coattivo deciso dai genitori e dal giudice, contro la volontà della minore. Tale vicenda si concluse, come accennato, con la condanna ad un anno e due mesi di reclusione per il direttore del giornale, cui seguirono i suoi arresti domiciliari e la commutazione della pena in una multa di circa 15.000,00 euro da parte del Presidente della Repubblica, Giorgio NAPOLITANO).

 

Tale riscrittura  ha preso avvio dall’anno 2013 ed ha avuto un iter lungo e complesso che ancora appare lontano dalla sua conclusione.

In particolare il disegno di legge cd. COSTA, dal nome del suo proponente:

-    il 17/10/2013 è stato approvato dalla Camera dei deputati;

-    il 29/10/2014 è stato modificato dal Senato della Repubblica;

-   il 24/06/2015 è stato nuovamente modificato dalla Camera dei deputati e trasmesso alla Presidenza il giorno successivo;

-  si trova attualmente in corso di esame in commissione al Senato – rel. On. Rosanna FILIPPIN (PD) (ultima seduta della commissione permanente giustizia reca la data del 18/7/2017 ed l’ultimo parere della sottocommissione consultiva quella 1/08/2017).

 

In Senato giace dunque l’ultimo disegno di legge di riforma, pervenuto in quarta lettura dallo scorso giugno 2015. Si tratta del c.d. DDL S-1119-B, il cui dichiarato ed ambizioso intento è quello di disciplinare organicamente l’intera materia, andando ad incidere sulla legge sulla stampa, nonché sui codici penale e di procedura penale, civile e di procedura civile.

 

Il disegno di legge in oggetto non si limita, infatti, a rimodulare i profili sanzionatori per il diffamante, ma pone in evidenza l’esigenza di tutela del diffamato, operata principalmente attraverso l’istituto della rettifica (inizialmente era stato anche previsto il diritto all’oblio, da concretizzarsi mediante: “l’eliminazione, dai siti internet e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione di disposizioni di legge”, ma tale istituto è stato soppresso nell’ultimo passaggio al Senato).

 

La novità maggiore della riforma è comunque data dall’eliminazione della pena detentiva per il diffamante ed ha il merito di equiparare, quanto a disciplina applicabile, le testate dei quotidiani o dei periodici in versione on line e la carta stampata.

Non affronta, invece, le questioni legate alla responsabilità dei gestori dei siti internet e dei direttori delle testate on line, con riguardo ai blog ed ai commenti riportati in calce agli articoli.

 

Tratti salienti del DDL in oggetto, che ribadisce che per il delitto di diffamazione è competente il giudice del luogo della persona offesa, sono: 1) la modifica della disciplina del diritto di rettifica; 2) il risarcimento del danno; 3) le fattispecie sanzionatorie; 4) la modifica all'articolo 427 del c.p.p.; 5) la modifica dell'articolo 96 c.p.c.; 6) la modifica dell'articolo 2751bis c.c.

 

Passiamo ora ad esaminare i singoli punti sopraelencati:

1.  MODIFICA DELLA DISCIPLINA DEL DIRITTO DI RETTIFICA (art. 1, co.2) Si stabilisce:

-    la previsione  che le dichiarazioni o le rettifiche della persona che si ritenga lesa nella dignità, nell'onore o nella reputazione, debbano essere pubblicate senza commento, senza risposta, senza titolo e con l'indicazione del titolo dell'articolo ritenuto diffamatorio, dell'autore dello stesso e della data di pubblicazione. Ciò a meno che le dichiarazioni o le rettifiche non siano suscettibili di incriminazione penale o non siano inequivocabilmente false (art. 1, co.2, lett. a , c);

-     il termine di due giorni per procedere alla pubblicazione della rettifica, anche per le testate on line;

-      l’impiego delle: stesse caratteristiche grafiche; metodologia di accesso al sito; visibilità della notizia rettificata.

Qualora la testata giornalistica fornisca un servizio personalizzato, le dichiarazioni o le rettifiche vanno inviate agli utenti che hanno già avuto accesso alla notizia originaria (art. 1, co.2, lett. b);

-  la pubblicazione in rettifica - relativamente alla stampa non periodica (ad esempio libri) - nel sito internet e nelle nuove pubblicazioni elettroniche entro due giorni dalla richiesta e nella prima ristampa utile. Nel caso in cui non sia possibile la ristampa o una nuova diffusione dello stampato o la pubblicazione nel sito internet, la pubblicazione in rettifica deve essere pubblicata, comunque non oltre quindici giorni dalla ricezione della richiesta, sull'edizione on line di un quotidiano a diffusione nazionale (art. 1, co.2, lett. e);

-  la possibilità di ricorso giurisdizionale, in caso di inerzia nella pubblicazione della rettifica. Qualora il giudice accerti l’illegittima omissione della richiesta rettifica trasmetterà gli atti al competente ordine professionale ed, in caso di mancato rispetto dell’ordine  di pubblicazione, solleciterà al Prefetto l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 1, co.2, lett. g);

-  la modifica l'importo della sanzione amministrativa per la mancata o incompleta ottemperanza all'obbligo di rettifica, incrementata al range da 8.000 a 16.000 euro (art. 1, co.2, lett. h).

2.    RISARCIMENTO DEL DANNO (art. 1, co.3).

Nella legge 8 febbraio 1948, n. 47, viene introdotto l'articolo 11bis (con conseguente abrogazione dell'articolo 12 della legge cit).

La nuova disposizione prevede: a) la riduzione del termine prescrizionale dell'azione civile a due anni dalla pubblicazione (attualmente sono 5 anni); b) l’individuazione dei parametri di cui il giudice deve tenere conto nella quantificazione del danno derivante da diffamazione ovvero la diffusione quantitativa e la rilevanza (nazionale o locale) del mezzo di comunicazione usato per compiere il reato; la gravità dell'offesa; l'effetto riparatorio della pubblicazione o della diffusione della rettifica;

3.    FATTISPECIE SANZIONATORIE (art. 1, co.4).

Questa è la novità maggiormente attesa: si riformula l’art. 13 della legge sulla stampa, con eliminazione della pena della reclusione.

La diffamazione a mezzo stampa e attraverso le testate giornalistiche on line  è punita con la multa da 5.000 a 10.000 euro. La sanzione risulta poi incrementata da 10.000 a 50.000 euro  nel caso in cui l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato falso e l’autore sia consapevole della predetta falsità.

La condanna per questo delitto comporta l'applicazione della pena accessoria della pubblicazione della sentenza (articolo 36 c.p.) e nelle ipotesi di recidiva è stabilita la pena accessoria dell'interdizione dalla professione di giornalista per un periodo da un mese a sei mesi.

E’ tuttavia esclusa la punibilità dell'autore dell'offesa o del direttore responsabile che provvedano alla rettifica.

Infine, con la sentenza di condanna il giudice dispone la trasmissione degli atti al competente ordine professionale per le determinazioni relative alle sanzioni disciplinari (art. 1, co.6).

Viene modificato  l'articolo 57 c.p. (art. 2, co.1), la cui nuova formulazione  risulta ampliata, prevedendo sia i reati commessi con il mezzo della stampa, sia quelli a mezzo della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di divulgazione. Si esplicita la natura colposa della responsabilità del direttore o vicedirettore responsabile, colpa ravvisabile nella violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione. Per il direttore la pena è peraltro ridotta di un terzo ed a lui non si applica la pena accessoria dell'interdizione dalla professione di giornalista.

4.     MODIFICA ALL'ARTICOLO 427 DEL C.P.P..

Allorché il processo si concluda con sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso è stabilita una sanzione pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro, per querela temeraria, con versamento dell’importo alla Cassa delle Ammende.

5.     MODIFICA DELL'ARTICOLO 96 C.P.C..

Viene introdotta una specifica ipotesi di responsabilità civile aggravata a carico di colui che promuove un'azione risarcitoria temeraria per diffamazione commessa con il mezzo della stampa, delle testate giornalistiche on line o della radiotelevisione. Nella determinazione della somma equitativamente determinata a carico della parte soccombente, il giudice deve tenere conto dell'entità della domanda risarcitoria.

In merito a tale ultimo aspetto, segnalo altresì la proposta di modifica dell’art. 96 c.p.c. attualmente in corso di esame il  Commissione Senato (Disegno di legge S-2284, sulla riforma del processo civile) che,  all’art.   1, co.2 lett. i), prevede che il giudice: “nel caso in cui la parte soccombente abbia agito o resistito in giudizio con mala fede, condanni la medesima parte soccombente al pagamento di una somma in favore della controparte, determinata tra il doppio e il quintuplo delle spese legali liquidate”;

6.      MODIFICA DELL'ARTICOLO 2751BIS C.C..

Il direttore responsabile o l'autore della pubblicazione, nei cui confronti sia esclusa la natura dolosa della condotta, che abbiano risarcito il danno a seguito di una sentenza di condanna per diffamazione, vedranno riconosciuto al proprio credito il privilegio generale sui beni del proprietario della pubblicazione o dell'editore.

In tal modo vengono rafforzate le garanzie di chi abbia adempiuto all'obbligazione nascente dalla sentenza, rispetto all'eventuale fallimento dell'editore/proprietario della pubblicazione, obbligato solidale.

 

****************

 

La proposta di  riforma della normativa concernente al diffamazione a mezzo stampa ha il pregio di tentare un bilanciamento tra tutela della reputazione e del diritto di informazione, attiva e passiva, garantito dall’art. 21 Cost. e dall’art. 10 della Carta Europea e nel far ciò prende le mosse dall’abrogazione della misura della reclusione.

 

Tale scelta, sicuramente sentita da quella che potremmo definire la “coscienza sociale”, comporta tuttavia alcuni problemi collaterali, non ancora risolti, relativamente alla congruità del complessivo sistema sanzionatorio. Dovendosi sul punto considerare che:

a. per taluni delitti affini alla diffamazione è ancora prevista la reclusione, come nel caso delle diverse ipotesi di violazione della privacy (artt. 167 ss Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, cd. Codice Privacy), alla contravvenzione di pubblicazione arbitraria di atti (art. 684 c.p.), all’apologia e l’istigazione al reato (414 c.p.);

b.   mentre altri delitti, quali l’ingiuria (art. 594 c.p.), reato contro l’onore che si distingue dalla diffamazione/reato contro la reputazione, per la presenza o meno della persona offesa,  sono stati  del tutto depenalizzati (cfr.  d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.).

 

Vi è inoltre da osservare che la pena (multa da 10.000 a 50.000 euro) stabilita dal nuovo art. 13 della legge n. 47 del 1948 nei confronti di chi consapevolmente offenda l’altrui reputazione mediante l’attribuzione di un fatto determinato falso, siccome piuttosto contenuta in rapporto alla possibile lesività della condotta, potrebbe incentivare l’utilizzo dello strumento mediatico, da parte di chi, avendone la capacità economica, intenda consapevolmente diffondere una calunnia.

 

Va poi segnalato il rigore attribuito ai casi di recidiva specifica: alla seconda condanna per diffamazione, indipendentemente dall’arco temporale in cui sia compiuta, il giornalista vedrà irrogarsi la pena accessoria della interdizione dalla professione, da un mese a sei mesi. La predetta disciplina risulta inasprita dal testo del disegno di legge S-1119-B approvato alla Camera e pervenuto nel giugno 2015 al Senato rispetto al testo che la Camera aveva avuto in visione in terza lettura (nel testo precedente, l’interdizione conseguiva alla ‘ipotesi di cui al comma 4 dell’art. 99 c.p.’, e quindi alla terza condanna).

Avverso tale previsione si sono levate critiche da parte di ha ravvisato nella disposizione una limitazione delle prerogative del  Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti,  competente in merito agli illeciti commessi dai giornalisti, che si vedrebbe in tal modo sottratta la facoltà di poter graduare la sanzione da irrogare (l’art. 51, della legge 69/1963 prevede invero una graduazione delle sanzioni che vanno dall’avvertimento, alla censura, alla sospensione ed alla radiazione).

 

Uno dei punti maggiormente critici del testo in esame concerne la previsione dell’obbligo di rettifica senza note redazionali di commento, da effettuarsi entro due giorni dalla ricezione della richiesta per la stampa periodica on line, che diventa, a determinate condizioni, causa di non punibilità se il giudice lo ritiene (art. 13 comma 4 e 5).

La rettifica può essere rifiutata soltanto quando le informazioni o dichiarazioni in essa presenti abbiano: “contenuto suscettibile di incriminazione penale o non siano inequivocabilmente false” .

Ma nel brevissimo lasso temporale concesso dal legislatore, come sarà possibile per il direttore del giornale procedere ad una valutazione dei parametri sopraindicati?

Se, infatti, non si pongono particolari problemi relativamente alle rettifiche contenenti ingiurie o minacce, la questione appare più delicata con riguardo alle affermazioni che solo latamente possono essere ritenute suscettibili di incriminazione penale.

 

La questione è tanto più delicata se solo si consideri che la mancata pubblicazione di una rettifica, regolarmente richiesta, implica conseguenze sia in campo penale, sia in ambito civile.

Ricordiamo che la rettifica costituisce, a determinate condizioni, una causa di non punibilità e che per la determinazione dell’eventuale risarcimento del danno, il giudice deve tenere conto: “dell’effetto riparatorio della pubblicazione e della diffusione della rettifica”.

 

Con specifico riguardo ai profili risarcitori, risulta poi apprezzabile il principio di proporzionalità introdotto con riguardo alle dimensioni della testata: nella liquidazione del danno il Giudice è chiamato a tener conto dell’ambito di diffusione della notizia.

Si tratta di una importante novità normativa a tutela del giornalismo d’inchiesta a diffusione su scala ridotta oppure locale e dunque delle testate più piccole.

Non può, infatti, non rilevarsi come le richieste di risarcimento danni nei confronti dei giornalisti possano divenire veri e propri strumenti di intimidazione.

Si parla generalmente di richieste pretestuose e intimidatorie quando l’oggetto della citazione è evidentemente infondato, e lo stesso ricorso alla giustizia è presentato da personalità a cui il costo di proporre tale procedimento risulta minimo, in quanto appartenente al cosiddetto “potere” di cui il giornalismo dovrebbe essere il watch dog (letteralmente “cane da guardia” secondo la definizione anglosassone, ossia giornalismo che svolge una funzione di sorveglianza contro l'illegalità). Scopo di tali citazioni potrebbe essere dunque quello di intimorire l’organo di informazione o il singolo giornalista che si occupa di inchieste giornalistiche particolarmente scomode. Le sole richieste sono atti intimidatori in grado di mettere a rischio la sopravvivenza stessa di una testata di piccole dimensioni e di minare il lavoro di una redazione intera, con conseguente e concreto rischio che i giornalisti preferiscano uniformarsi a ciò che appare politically correct.

 

Va poi sottolineato che le citazioni per diffamazione gravano maggiormente sulle piccole aziende editoriali anche per un altro aspetto non di poco conto. Una volta ricevuta una richiesta di risarcimento danni, la testata è tenuta ad inserire nelle passività (potenziali) di bilancio una percentuale della somma richiesta e questo adempimento comporta certamente ripercussioni sulle scelte editoriali ed economiche dell’azienda.

 

Ultimo aspetto indubbiamente problematico è quello relativo alla responsabilità del direttore della testata,  responsabile penalmente e civilmente di ogni scritto, immagine, ecc. che viene pubblicato sulla sua testata.

Si è discusso nel passato se questa costituisse un’ipotesi di responsabilità oggettiva del direttore, ma si è oggi giunti alla conclusione che trattasi di una mera ipotesi da omesso controllo con facoltà di sostituzione (cfr. Cass. Sez. 3 Sentenza n.10252, del 12/5/2014).

Va tuttavia rilevato che nelle grandi testate, un controllo capillare di tutti i testi pubblicati può essere concretamente impossibile.

Il disegno di legge cerca ora di risolvere il problema  introducendo la possibilità di delega delle funzioni di controllo a uno o più giornalisti professionisti idonei a svolgere le funzioni di vigilanza. Ai fini della sua validità, la delega va  effettata  con atto scritto di data certa e deve essere espressamente accettata dal delegato.

 

Conclusivamente, la proposta di riforma in oggetto presenta il lodevole intento di proporre una disciplina della materia più equilibrata ed innovativa rispetto a quella vigente.

E’ tuttavia innegabile che l’esigenza di bilanciamento tra diritti contrapposti quali la libertà di espressione e di manifestazione del pensiero e la reputazione e l’onore implichi soluzioni di compromesso non sempre condivisibili dai portatori dei contrapposti interessi in gioco.

Vedremo nel futuro se e come il legislatore riuscirà a sciogliere questi nodi.

 

 
 
 
 
 
 

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