1. L’indirizzo giurisprudenziale consolidato in materia di valutazione del ritardo nel deposito di provvedimenti giurisdizionali afferma che la reiterazione, pur non identificandosi con l’abitualità, richiede comunque una significativa ripetizione del comportamento, con la conseguente necessaria considerazione del rapporto percentuale tra arco di tempo considerato e numero dei ritardi; mentre la gravità va riferita all’entità in termini temporali dei ritardi, oltre che all’importanza dei procedimenti interessati; quanto poi al requisito dell’ingiustificatezza, è noto il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il termine di un anno nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali costituisce il limite massimo assoluto il cui superamento non è giustificabile se non in presenza di circostanze di carattere del tutto eccezionale, costituendo manifesta violazione dei principi che garantiscono al cittadino il diritto al giusto processo, ai sensi degli articoli 111, comma secondo, Costituzione e 6, par. 1, CEDU.
2. La rigidità del principio dell’inevitabile disvalore disciplinare conseguente ai c.d. ritardi ultrannuali ha trovato una significativa breccia in recenti decisioni delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione , secondo le quali è possibile pervenire alla esclusione della punibilità disciplinare alla stregua del parametro dell’inesigibilità, sulla scorta della dimostrazione dell'inevitabilità del ritardo malgrado il magistrato abbia fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per evitarlo.
In altre parole, il giudizio di disvalore della condotta deve essere formulato, secondo l’insegnamento della Corte, considerando le concrete condizioni operative dell’ufficio e la complessiva situazione di lavoro, dovendosi ritenere che il ritardo nel deposito dei provvedimenti giudiziari, pur se reiterato, sistematico ed anche ultrannuale, non può da solo integrare illecito disciplinare, essendo necessario verificare anche se esso sia ingiustificato, con un giudizio che ricolleghi il ritardo ad un comportamento ascrivibile al magistrato, almeno a titolo di colpa, e con una motivazione in proposito <<significativa, rigorosa e strutturata>>, come espressamente recita la recente pronuncia resa da Sez. Un., sent. n. 14268 del 10 marzo 2015, depositata il successivo 8 luglio.
3. Tale orientamento ha trovato espresso riconoscimento anche in quattro recenti decisioni della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura depositate nel maggio e nel luglio 2015, e precisamente nelle sentenze:
- n.ro 55 e n.ro 58, secondo cui non ricorre il requisito della ingiustificatezza quando i ritardi dipendano dalla particolare e complessiva situazione di lavoro del magistrato, in quanto l’obbligo di rispettare un limite di durata del processo, come richiede la CEDU, grava ed incombe in primo luogo sugli Stati <<in capo ai quali è posto il dovere di dotare la magistratura di strutture e personale efficiente, adeguati al rispetto dell’obbligo di cui si tratta >>;
- n.ro 59 e n.ro 80, secondo cui si determina una situazione di inesigibilità (e quindi di assenza di rilevanza disciplinare) quando si versa in un situazione lavorativa oggettivamente difficile perché caratterizzata da un carico di lavoro sovradimensionato, frutto non di scelte del magistrato, ma di un criterio di assegnazione degli affari non sensibile al principio della equa distribuzione.
Le sentenze sopra indicate paiono inaugurare un indirizzo giurisprudenziale dell’organo di autogoverno e del giudice delle leggi che è auspicabile si consolidi, laddove afferma con sempre maggiore incisività il principio dell’accertamento in concreto dell’effettiva colpevolezza del magistrato nella valutazione delle condotte di ritardo, anche ultrannuale, nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali, imponendo di considerare specificamente, nella valutazione del requisito della ingiustificatezza della condotta: le carenze di organico, dell’ufficio e sezionali, il numero delle udienze celebrate, il carico di lavoro sovradimensionato e la qualità degli affari trattati, la laboriosità dimostrata, in comparazione con quella dell’ufficio ovvero con quella sezionale, l’impegno, ove significativo, in caso di applicazioni presso altri uffici, la sussistenza ed entità di eventuali impegni aggiuntivi, quali l’attività di collaborazione direttiva o la temporanea assunzione di ruoli di colleghi non presenti, e più in generale e comunque le concrete modalità di organizzazione del lavoro ove non scelte né determinate dal magistrato.
Dr. Corrado Mistri - Ispettore Generale del Ministero della Giustizia
1. si ricorda che il ritardo nel deposito dei provvedimenti è sanzionato dall’articolo 2, lett. q), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, che prevede come illecito disciplinare «il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni».
2. si tratta delle pronunce n. 1241 del 18 novembre 2014, depositata il 23 gennaio 2015, n. 470 dell’11 marzo 2014, depositata il 14 gennaio 2015 e n. 7071, del 27 gennaio 2015, depositata il 9 aprile 2015.
3. principio, questo, già affermato dalla sentenza di Sez. Un., n. 470 del 2015.