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Magistratura Indipendente

CIVILE  

IL GIUDICE CIVILE E LA RESPONSABILITA’ SANITARIA

  Civile 
 martedì, 24 novembre 2015

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Dr. Corrado CARTONI
Giudice Tribunale Roma

 
 

Sommario:

1. La natura contrattuale della responsabilità sanitaria.

2. Onere della prova e nesso causale.

3. Il rapporto tra pa-ziente e struttura ospedaliera.

4. La cartella clinica.

5. La questione del c.d. “consenso informato” quale presupposto di liceità del trattamento medico-chirurgico.

6. Casistica del Tribunale di Roma sulla responsabilità sanitaria (Progetto “OR.Me”).

1. La giurisprudenza inquadra la responsabilità dell’ente ospedalie-ro nella responsabilità contrattuale, sul rilievo che l’accettazione del pa-ziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, com-porta la conclusione di un contratto (1). A sua volta anche l’obbligazione del medico dipendente dall’ente ospedaliero, così come quella del medico privato nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto ma sul c.d. “contatto sociale”, ha natura contrattuale (2), considerato che le obbligazioni possono sorgere anche da rapporti contrattuali di fatto nei casi in cui taluni soggetti entrano, appunto, tra loro in contatto, dai quali derivano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garan-tire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a peri-colo in occasione del contatto stesso.
La situazione descritta si riscontra, in particolare, nei confronti dell’operatore di una professione che ha per oggetto beni costituzional-mente garantiti, come avviene per la categoria medica, la quale incide sul bene della salute tutelato dall’art. 32 della Costituzione.
La responsabilità sia del medico che dell’ente ospedaliero per ine-satto adempimento della prestazione, dunque, è quella tipica del profes-sionista, con la conseguenza che trovano applicazione sia il regime pro-prio di questo tipo di responsabilità quanto alla ripartizione dell’onere della prova, come vedremo dopo, sia i principi delle obbligazioni da con-tratto d’opera intellettuale professionale relativamente alla diligenza, al grado della colpa ed alla prescrizione ordinaria.
Peraltro, in tema di obbligazioni inerenti all’esercizio di una attività professionale, l’inadempimento del professionista non può essere desun-to ipso facto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri relativi allo svolgimento dell’attività professionale e, in particolare, a quello di dili-genza.
Al riguardo trova applicazione, in luogo del tradizionale criterio della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176, comma 2, c.c., il quale comporta il ri-spetto di tutte le regole e degli accorgimenti che nel loro insieme costitui-scono la conoscenza della professione medica (3)
Pertanto, la diligenza va, a sua volta, individuata con riguardo alla natura dell’attività di medico chirurgo, la quale implica scrupolosa atten-zione ed adeguata preparazione professionale.
Dunque è richiesta, in primo luogo, la conoscenza ed attuazione delle regole tecniche proprie di una determinata arte o professione, vale a dire la c.d. diligentia in abstracto, mentre, per il resto, il grado di diligenza deve essere apprezzato in relazione alle circostanze concrete e tra queste rientrano anche le dotazioni della struttura ospedaliera in cui il medico opera.
Sul punto occorre ulteriormente precisare che a norma dell’art. 2236 c.c., applicabile anche ai medici, qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera, per quanto concerne la perizia, risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave, ma non per l’imprudenza e la negligenza (4).
Per la giurisprudenza, peraltro, la limitazione della responsabilità del medico alle sole ipotesi di dolo o colpa grave si applica unicamente a quelle ipotesi che trascendono la preparazione professionale media, ov-vero quando la particolare complessità del caso discende dal fatto che non è stato ancora studiato a sufficienza o dibattuto con riferimento ai metodi da adottare (5).  

2. In tema di onere della prova nelle controversie di responsabilità professionale del medico si è più volte enunciato il principio secondo cui, quando l’intervento da cui è derivato il danno non è di difficile esecuzio-ne, la dimostrazione da parte del paziente dell’aggravamento della sua si-tuazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie è idonea a fondare una presunzione semplice in ordine all’inadeguata o negligente prestazio-ne, spettando all’obbligato fornire la prova che la prestazione professio-nale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi so-no stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (6).
Più specificamente, nel caso di intervento di difficile esecuzione, il medico ha l’onere di provare soltanto la natura complessa dell’operazione ed il paziente deve dimostrare quali siano state le modali-tà di esecuzione ritenute inidonee, mentre, nel caso di intervento di facile o di semplice esecuzione, il paziente ha il solo onere di provare la natura “routinaria” dell’intervento, ed è il medico, se vuole andare esente da re-sponsabilità, a dover dimostrare che l’esito negativo non è ascrivibile alla propria negligenza od imperizia.
I risultati sopra riassunti ai quali sono pervenuti i giudici di legitti-mità sono stati riletti alla luce del principio enunciato in termini generali dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533 (7), in tema di onere della prova dell’inadempimento e dell’inesatto adempimento.
Le Sezioni Unite, come è noto, hanno infatti stabilito che il credi-tore quando agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve dare la prova della fonte nego-ziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circo-stanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore conve-nuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.
Analogo principio è stato enunciato con riguardo all’inesatto adempimento, atteso che al creditore istante è sufficiente la mera allega-zione della inesattezza (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza o difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto ed esatto adempimento.
Quindi, il paziente dovrà provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove pato-logie per effetto dell’intervento, restando a carico del sanitario o dell’ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento a loro non imputabile.
La distinzione tra prestazione di facile esecuzione ed intervento implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, dun-que, non rileva più quale criterio di distribuzione dell’onere della prova, ma dovrà essere apprezzata per la valutazione della diligenza e del corri-spondente grado di colpa (8), restando comunque a carico del sanitario la prova che la prestazione era di particolare difficoltà, non potendo l’allocazione del rischio essere rimessa alla maggiore o minore complessi-tà della prestazione.
In merito al nesso causale tra condotta del medico ed evento lesi-vo, la giurisprudenza penale è intervenuta con la celebre e fondamentale sentenza Franzese (9), stabilendo il criterio di cui deve tenersi conto al fine di individuare tale nesso di causalità.
Per tale sentenza, in sintesi, il collegamento eziologico nel proces-so penale sussisterà tutte quelle volte in cui, in base alle circostanze di fatto ed esclusa l’interferenza di fattori alternativi, risulti processualmente certo che la condotta omissiva del medico sia stata condizione necessaria dell’evento “con alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabi-lità logica”, ovvero “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Per l’accertamento del nesso causale in materia civile, invece, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi, vige la regola ispirata al principio della normalità causale della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, caratterizzata, dunque, dall’accedere ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale (10), con la conseguenza che l’accertamento della responsabilità del sanitario in sede penale è molto più difficile rispetto al giudizio civile, dove, in sostanza e per semplificare, è sufficiente accertare che la condotta, commissiva od omissiva, del medico si pone come causa dell’evento secondo un criterio probabilistico del 51%.

3. Per diverso tempo il legame contrattuale tra il paziente e la struttura ospedaliera è stato interpretato e disciplinato sulla base dell’applicazione analogica delle norme in materia di contratto di presta-zione d’opera intellettuale vigenti nel rapporto medico-paziente, con il conseguente appiattimento della responsabilità della struttura su quella del medico.
Da ciò derivava che il presupposto per l’affermazione della re-sponsabilità contrattuale della struttura fosse l’accertamento di un com-portamento colposo del medico in essa operante.
Oggi, invece, il suddetto rapporto è ormai inquadrato in termini autonomi da quello paziente-medico e considerato come un contratto atipico a prestazioni corrispettive, chiamato di spedalità o di assistenza sanitaria, nell’ambito del quale la struttura deve fornire al paziente una prestazione assai articolata, definita genericamente di “assistenza sanita-ria”, la quale ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale me-dica, anche una serie di obblighi cd. di protezione ed accessori.
In particolare la giurisprudenza ha valorizzato la complessità e l’atipicità del legame che si instaura tra struttura e paziente, il quale va ben oltre la fornitura di prestazioni alberghiere, comprendendo anche la messa a disposizione di personale medico ausiliario e paramedico, non-chè l’apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie, an-che per eventuali complicazioni (11).
Dunque, sono ormai individuate forme di responsabilità autono-me dell’ente per inadempimento delle obbligazioni direttamente riferibili alla struttura e si può avere una responsabilità verso il paziente danneg-giato, non solo per il fatto del personale medico dipendente o del perso-nale ausiliario che operano presso la struttura ex art. 1228 c.c., ma anche per fatto della struttura stessa, in particolare per insufficiente o inidonea organizzazione.
Il discorso è il medesimo sia che il paziente si rivolga presso una struttura del S.S.N., ovvero ad una convenzionata o privata, in quanto sono da ritenere sostanzialmente equivalenti a livello normativo gli ob-blighi dei due tipi di struttura nei confronti del fruitore dei servizi, dato anche che si tratta di violazioni incidenti sul bene della salute tutelato quale diritto fondamentale dalla Costituzione (12).

4. Particolari problematiche investono la cartella clinica, la quale adempie la funzione di diario del decorso della malattia e di altri fatti cli-nici rilevanti, i quali devono essere annotati contestualmente al loro veri-ficarsi.
Le attestazioni in essa contenute sono riferibili ad una certificazio-ne amministrativa per quanto attiene alle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, mentre le valutazioni, le diagnosi o co-munque le manifestazioni di scienza o di opinione di cui si compone non hanno alcun valore probatorio privilegiato rispetto ad altri elementi di prova (13).
La regolare tenuta della cartella clinica rientra nelle prestazioni a cui è tenuto il sanitario, tanto è vero che le omissioni imputabili al medi-co nella sua redazione rilevano sia come figura sintomatica di inesatto adempimento, per difetto di diligenza ex art. 1176, secondo comma, c.c., sia come nesso eziologico presunto, posto che l’imperfetta compilazione della stessa non può, in via di principio, risolversi in danno di colui che vanti un diritto in relazione alla prestazione sanitaria (14).
Sotto altro profilo e per altro aspetto, poi, la difettosa tenuta della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta del medico e le conseguenze dannose sofferte dal paziente, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocare il danno, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni, assumendo rilievo, al riguardo, il criterio della c.d. “vicinanza alla prova”, cioè della effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla (15).
Infatti, l’inottemperanza del medico all’obbligo di controllare la completezza ed esattezza del contenuto della cartella clinica configura difetto di diligenza nell’adempimento della prestazione lavorativa, da qualificarsi oggettivamente come di particolare gravità, avuto riguardo alla rilevante funzione che la cartella assume, sotto il profilo sanitario, nei confronti del paziente e, indirettamente, nei confronti della struttura sa-nitaria a cui il paziente stesso si è affidato (16).
Da ultimo è opportuno evidenziare come la struttura debba risar-cire il danno sofferto dal paziente in conseguenza della diffusione di dati sensibili contenuti nella cartella clinica, a meno che non dimostri di avere adottato tutte le misure necessarie per garantire il diritto alla riservatezza ed evitare che i dati relativi ai test sanitari e alle condizioni di salute del paziente possano pervenire a conoscenza di terzi (17)

5. La obbligatorietà del cosiddetto “consenso informato” costitui-sce oggi problematica particolarmente rilevante in materia di colpa medi-ca.
Si tratta del principio che rappresenta il diritto del paziente di sce-gliere, accettare o anche rifiutare i trattamenti (diagnostici, terapeutici, ecc.) che gli vengono proposti, dopo essere stato pienamente informato, salvo sua esplicita rinuncia, sulla diagnosi e il decorso previsto della ma-lattia e sulle alternative terapeutiche, incluso il loro rifiuto, e le loro con-seguenze.
Ed invero, se da un lato non è lecito procurare una qualsiasi lesio-ne ad una persona, in molti casi risulterebbe oggettivamente impossibile curare un malato senza incidere sull’integrità psicofisica e l’unico modo per realizzare pienamente il rispetto dell’individuo bisognoso di cure è stato individuato, appunto, in quello di procurarsi preventivamente il suo consenso dopo averlo adeguatamente informato.
Nella concezione tradizionale l’opera del sanitario era improntata al principio paternalistico, in base al quale il medico poteva agire per il malato ove avesse ritenuto, secondo scienza e coscienza, l’intervento uti-le alla sua salute, mentre altro valore che faceva del medico l’unico inter-prete della salute e della malattia era il cosiddetto “privilegio terapeuti-co”, il quale consentiva di omettere di dare alcune informazioni in circo-stanze particolari, purché ciò fosse a vantaggio del paziente.
Il consenso informato oggi, invece, costituisce uno degli elementi del contratto tra il paziente ed il professionista sotto il profilo dell’obbligo di informazione, con la conseguenza che anche la violazione del dovere di informazione e dell’obbligo di acquisire il consenso integra una ipotesi di inadempimento contrattuale.
Sotto l’aspetto giuridico, l’acquisizione del consenso si ricollega, in primo luogo, al fatto che la Costituzione garantisce all’articolo 13 l’inviolabilità della libertà personale, intesa come libertà fisica e morale, ed al successivo articolo 32 tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo, fissando il principio secondo cui nessuno può essere sot-toposto a un trattamento sanitario contro la sua volontà, se tale tratta-mento non è previsto come obbligatorio per disposizione di legge.
La volontarietà degli accertamenti e dei trattamenti sanitari (non obbligatori), del resto, è ribadita dall’articolo 1 della legge 13 maggio 1978 n. 180 e dall’art. 33 della legge 23 dicembre 1978 n. 833.
Anche il codice deontologico dei medici, chirurghi e odontoiatri, che è norma etica, ma giuridicamente rilevante nell’ambito dell’ordinamento professionale medico, prevede all’art. 30 l’obbligo per il medico di fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive, sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate, mentre all’art. 32 dispone che il medico non deve intraprendere attività diagno-stica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del pa-ziente.
In sostanza l’abilitazione all’esercizio della professione sanitaria conferisce al medico la facoltà o la potestà di curare, ma, per aderire ai principi dell’ordinamento, è necessario il consenso della persona che de-ve sottoporsi al trattamento sanitario.
Il diritto all’autodeterminazione, il quale consente al malato di sot-toporsi facoltativamente a trattamenti sanitari e di decidere, trova limite soltanto nel caso degli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori che, nel rispetto della dignità della persona, la legge può prevedere nell’interesse della collettività.
In particolare si osserva che il consenso informato, espressione del diritto personalissimo e di rilevanza costituzionale all’autodeterminazione terapeutica, è un obbligo contrattuale del medico perché è funzionale al corretto adempimento della prestazione professionale, pur essendo au-tonomo da esso (18), e che lo stesso riveste natura di principio fonda-mentale in materia di tutela della salute in virtù della sua funzione di sin-tesi di due diritti fondamentali della persona, all’autodeterminazione ed alla salute (19).
In definitiva il consenso informato costituisce la legittimazione ed il fondamento del trattamento sanitario e senza di esso l’intervento del medico è sicuramente illecito, anche quando è nell'interesse del paziente (20).  
Per quanto riguarda la forma del consenso, in mancanza di una norma che imponga quella scritta per lo specifico intervento (21), consi-derato che nel nostro ordinamento vige il principio della libertà della forma del negozio giuridico, deve affermarsi la validità di qualsiasi forma, ivi compresa la forma orale e quella tacita, vale a dire il comportamento concludente.
L’articolo 32 del codice deontologico prima citato prevede che il consenso debba essere espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui, per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica, si renda opportuna una manifestazione chiara della volontà della persona.
Tuttavia, anche quando la prestazione del consenso informato, per lo specifico intervento, non fosse soggetta ad alcuna condizione partico-lare, la forma scritta diventa inevitabile al fine di tutelarsi sotto l’aspetto della prova di tale adempimento gravante sul sanitario (22).
Infatti, la mancata richiesta del consenso costituisce autonoma fonte di responsabilità per il medico, e di riflesso della struttura per cui egli agisce, anche quando l’intervento abbia esito positivo, atteso che il paziente potrebbe sempre obiettare di non essere stato messo in condi-zione di effettuare le proprie scelte (23).
L’attività medica oggi è posta, dunque, a tutela di due beni fonda-mentali, la salute ed il diritto all’informazione ed all’autodeterminazione nella scelta del trattamento terapeutico, e la lesione anche di uno solo dei due beni è fonte di autonoma responsabilità per il sanitario.
La giurisprudenza evidenzia anche che, per un consenso valido, il paziente deve essere opportunamente ed adeguatamente informato in modo esaustivo anche in ordine allo stato di efficienza ed al livello di do-tazioni della struttura sanitaria in cui il medico presta la sua attività (24) e che il sanitario è responsabile anche quando vengano fornite assicurazio-ni errate in ordine all’assenza di rischi o complicazioni derivanti da un intervento chirurgico necessariamente da eseguire (25), ovvero quando sottoponga al paziente per la sottoscrizione del consenso un modulo del tutto generico, dal quale non sia possibile desumere con certezza che il paziente abbia ottenuto in modo esaustivo le suddette informazioni (26).
Peraltro, il rifiuto del paziente di sottoporsi ad un trattamento medico deve risultare, perché sia efficace, da una manifestazione espres-sa, inequivoca, informata ed attuale, la quale, dunque, deve seguire e non precedere l’informazione fornitagli dai medici sulla sua effettiva situazio-ne di salute (27)
In caso di interventi chirurgici condotti in equipe, invece, se le sin-gole fasi assumono un’autonomia gestionale e presentano varie soluzioni alternative, ognuna delle quali comporti rischi diversi, il dovere di infor-mazione si estende anche alle singole fasi e ai rispettivi rischi (28).
Si è precisato inoltre che, se vi può essere un risarcimento per la semplice violazione del diritto di autodeterminazione, verificatasi per la mancata informazione da parte del medico sulle conseguenze dell’intervento terapeutico al paziente, pur senza correlativa lesione del diritto alla salute ricollegabile a quella violazione per essere stato l’intervento predetto correttamente eseguito, la risarcibilità del danno da lesione della salute, il quale si verifichi per le non imprevedibili conse-guenze dell’intervento medico, necessario ed eseguito correttamente, ma senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli, dunque, in assenza di un consenso consapevolmente pre-stato, richiede in ogni caso l’accertamento che il paziente avrebbe rifiuta-to quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato (29), con conseguente aggravio della posizione dello stesso assistito sotto il profilo dell’onere probatorio.
Peraltro, a parte l’ipotesi di trattamento sanitario obbligatorio, è prevista una ulteriore deroga all’obbligo di acquisire il consenso informa-to, quando, a seguito di un intervento concordato e programmato e per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, sorgano improvvisi casi di urgenza che pongano in gravissimo pericolo la vita della persona (30)
Deve, però, trattarsi di urgenza imprevedibile, perché se prevedi-bile rientra dell’obbligo di informazione, con la conseguenza che del rela-tivo ed ulteriore intervento urgente il sanitario dovrà comunque rispon-dere per violazione del diritto all’informazione, fermo il già evidenziato onere per il paziente, che lamenti anche un conseguente danno alla salu-te, di dimostrare che avrebbe rifiutato quel determinato ed ulteriore in-tervento urgente se fosse stato adeguatamente informato.
Esistono, poi, delle situazioni particolari in cui risulta impossibile, o particolarmente difficile, acquisire il consenso, vale a dire quando il pa-ziente è affetto da malattia mentale, nelle situazioni di emergenza in pronto soccorso, quando il paziente è minore d’età, il caso della persona in stato permanente di incoscienza e l’ipotesi del nascituro.
Per la malattia mentale, a parte i casi nei quali implichi un tratta-mento sanitario obbligatorio, il medico dovrà svolgere iniziative rivolte ad assicurare la partecipazione da parte di chi è obbligato e, quindi, ac-quisire il consenso del tutore (ove ci sia), altrimenti, ritengo, possa attua-re senz’altro la terapia.
Nella diversa fattispecie, invece, in cui si prospetti una situazione di emergenza tale per cui l’ammalato non sia in grado di esprimere il consenso, il medico può agire con una cura adeguata, indipendentemente dalla volontà di eventuali parenti, giustificato dallo stato di necessità ex articolo 54 c.p., da ritenersi scriminante anche in sede civile, configurabi-le quando vi sia la concreta immanenza di una situazione di grave perico-lo alle persone, caratterizzata dalla cogenza, vale a dire tale da non lascia-re all’agente altra alternativa che quella di violare la legge.
La Cassazione penale, con una decisione che ha fatto molto discu-tere ma che può essere recepita dai giudici civili, ha anche stabilito come, in presenza di un effettivo “stato di necessità”, non sia neppure necessa-rio fare riferimento alle cause di giustificazione codificate, essendo la condotta del medico “strumentale alla garanzia del diritto alla salute pre-visto dall’art. 32 Cost. e autorizzata dall’ordinamento” e, quindi, “scrimi-nata da uno stato di necessità ontologicamente intrinseco” (31).  
Per i trattamenti sanitari sui minori la questione interferisce inevi-tabilmente con il dibattito relativo alla autodeterminazione ed all’autonomia del paziente minorenne nelle questioni biomediche.
In questi casi, in sintesi ed in base ai principi generali, si può dire che il consenso va richiesto ad entrambi i genitori in quanto esercenti la patria potestà e, se separati, al coniuge affidatario, mentre, qualora i geni-tori siano stati privati della patria potestà o siano già morti, il consenso dovrebbe, invece, esprimerlo il tutore.
Tuttavia, in coerenza con il principio secondo il quale il diritto alla salute è personalissimo e la sua tutela non può essere affidata ad altri, se, malgrado la minore età, il paziente dimostra di essere emancipato, vale a dire consapevole dell’atto che compie, è necessario anche il suo consenso e, se c’è un contrasto con quanto decidono i genitori, deve essere fatta prevalere la volontà del minore, previo parere del giudice tutelare.
Sul punto si richiama la “Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedica” (32), la quale contiene una specifica disposizione riguardante i trattamenti sanitari rivolti ai minorenni e all’art. 6 stabilisce che il parere del minore è preso in considerazione come un fattore sempre più deter-minante, in funzione della sua età e del suo grado di maturità.
Alla suddetta disposizione fa da corollario l’analoga previsione del codice deontologico dei medici, il quale prevede il consenso del legale rappresentante, ma anche l’obbligo di informare il minore e di tenere conto della sua volontà, compatibilmente con l’età e con la capacità di comprensione (art. 34) e soltanto nel caso di “trattamento necessario ed indifferibile” l’opposizione del minore non viene considerata e, se il lega-le rappresentante si oppone, il medico è tenuto ad informare l’autorità giudiziaria (art. 33).
Per quanto concerne la persona in stato di totale e permanente in-coscienza, il carattere personalissimo del diritto alla salute comporta che il riferimento all’istituto della rappresentanza legale non trasferisce sul tutore o all’amministratore di sostegno un potere “incondizionato” di disporre della salute. Il rappresentante legale deve, innanzitutto, agire nell’esclusivo interesse dell’incapace e deve decidere non al posto dell’incapace o per l’incapace, ma con l’incapace stesso, tenendo conto della volontà presunta del paziente incosciente, ovvero “inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, cul-turali e filosofiche” (33).
Infine il nascituro, il quale ha soggettività giuridica ed ha il diritto a nascere sano, con il conseguente obbligo dei sanitari di risarcirlo, pur se il diritto al risarcimento è condizionato all’evento nascita ed azionabile da-gli esercenti la potestà, sia per violazione del dovere di una corretta in-formazione in ordine alla terapia prescritta alla madre, in quanto il rap-porto instaurato dalla madre con i sanitari produce effetti protettivi nei confronti del nascituro, sia per inosservanza del dovere di somministrare farmaci non dannosi per il nascituro stesso (34).
Il nascituro, dunque, è individuato come titolare di alcuni interessi personali in via diretta, quali il diritto alla vita, alla salute o integrità psico-fisica, all’onore o alla reputazione.
Tale affermazione trova conferma in numerose disposizioni nor-mative che tutelano il concepito, tra le quali l’art. 1 della legge n. 40 del 19.2.2004, il quale, nell’indicare la finalità della procreazione medicalmen-te assistita, prevede la tutela dei diritti di “tutti i soggetti coinvolti com-preso il concepito”, l’art. 1 della legge n. 194 del 22.5.1978, in base alla quale lo Stato deve garantire il diritto alla procreazione cosciente e re-sponsabile, riconoscere il valore sociale della maternità e tutelare la vita umana dal suo inizio, l’art. 254, 1° comma c.c. che prevede il riconosci-mento del figlio naturale possa effettuarsi anche dopo il solo concepi-mento e l’art. 32 Costituzione, il quale garantisce il diritto alla salute all’”individuo”, quale è anche il nascituro.
Peraltro lo stesso non ha diritto al risarcimento qualora il consen-so informato necessiti ai fini dell’interruzione di gravidanza, stante la non configurabilità del “diritto a non nascere” od a “non nascere se non sa-no” (35)
In definitiva l’esistenza di malformazioni o malattie del feto non comporta automaticamente la possibilità per la gestante di interrompere la gravidanza, così che, se non esiste un diritto a nascere se non sano, non può esistere un diritto al risarcimento del danno derivante da una nascita non sana qualora non sia ravvisabile alcuna responsabilità del medico, con la ulteriore conseguenza che il sanitario che non abbia in-formato i genitori sui rischi di malformazione del nascituro precludendo alla madre la scelta d’interrompere la gravidanza, risponde dei danni, conseguenti alla nascita del neonato malformato, nei confronti dei geni-tori, ma non nei confronti del minore, non essendo concepibile nel no-stro ordinamento un diritto a non nascere del minore malformato (36).
Ne deriva che una pretesa di risarcimento potrà essere avanzata dal nascituro esclusivamente se le malformazioni sono state determinate dalla condotta negligente del medico, mentre, qualora non risulti provato tale nesso eziologico tra condotta del medico e la patologia del nascituro, il minore non potrà dolersi del fatto di essere nato.

6. I dati che seguono sono il risultato di uno studio realizzato da “OR.Me” (Osservatorio sulla Responsabilità Professionale Medica), espressione di una convenzione sottoscritta dal Tribunale Civile e Penale di Roma, l’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri di Roma e Pro-vincia e l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata - Facoltà di Giuri-sprudenza”, avente lo scopo di monitorare i procedimenti giudiziari in tema di responsabilità professionale in ambito sanitario.
Sono state analizzate tutte le sentenze emesse dal Tribunale Civile di Roma in materia di responsabilità professionale del medico e delle strutture sanitarie dal 2001 al 2007, con un dato finale di 1938 sentenze e 2244 posizioni mediche esaminate.


Il primo dato che emerge è che circa il 32% delle domande di ri-sarcimento sono rigettate, il 12% trovano accoglimento parziale, con un aumento significativo nel 2006 e nel 2007, ed il 56% sono accolte.
Solo 19 di esse (1,49%) si sono basate in via esclusiva, nel loro giudizio di colpevolezza, su un deficit di consenso informato, mentre per quanto riguarda il giudizio di responsabilità 456 sentenze (32,52%) han-no basato la loro valutazione negativa sulla condotta omissiva del sanita-rio mentre 946 (67,48%) sulla condotta commissiva. Occorre però con-siderare che in alcune di queste sentenze il giudizio di responsabilità si è basato su ambedue i profili di colpa.
Per i consulenti tecnici d’ufficio 1723 sono stati gli incarichi indi-viduali, di cui 1244 medico-legali, mentre 135 sono stati gli incarichi con-giuntamente assegnati al medico-legale ed allo specialista, mentre in 406 casi è stata disposta una CTU collegiale.
           In 635 sentenze (34,72%) la CTU ha escluso la colpa mentre in 1194 (65,28%) l’ha individuata.

Sono 1074 (86,96%) le sentenze hanno condiviso la consulenza tecnica d’ufficio, mentre 56 (4,53%) non hanno condiviso la CTU e 105 (8,50%) l’hanno parzialmente condivisa.
Relativamente ai soggetti citati e chiamati in causa, 1499 sono ri-sultate le sentenze che hanno riguardato i singoli professionisti, 73 sen-tenze hanno riguardato l’equipe, 1257 le strutture pubbliche e private, 1080 hanno riguardato la chiamata in causa delle società assicuratrici e 198 altri soggetti che sono risultati parti in tali giudizi.
Per le condanne, 657 sentenze hanno riguardato medici ed odon-toiatri in attività libero professionale, 315 medici ed odontoiatri in attività pubblica/convenzionata, 264 sentenze hanno riguardato le strutture pri-vate, 480 le strutture pubbliche e 15 sentenze hanno riguardato il perso-nale sanitario non medico.
Nel settore specialistico è risultato che 81 sentenze hanno riguar-dato il pronto soccorso, 265 l’ortopedia, 199 la ginecologia, 310 l’odontoiatria, 104 l’oculistica, 631 la chirurgia, 195 la chirurgia estetica, 10 l’anestesiologia e 256 altro.
Per quanto riguarda la tipologia di errore è emerso che 236 (17,33%) sentenze hanno ravvisato un errore clinico-diagnostico, 1007 sentenze (73,94%) un errore chirurgico-terapeutico e 119 sentenze (8,74%) hanno ravvisato dell’altro.
In ordine all’entità delle invalidità permanenti residuate e delle somme risarcite, dalla ricerca si evince come i casi derivati da responsabi-lità professionale medica con invalidità permanente superiore al 50% (molto gravi), sono stati ogni anno meno di dieci.
In questi pochi casi ovviamente i risarcimenti liquidati sono stati quelli più consistenti e la somma di essi, per ogni anno è sempre stata superiore a 1.200.000 euro con un massimo di 4.349.000 nel 2004.
Per quanto riguarda i casi in cui si sono verificate invalidità per-manenti tra il 30% e il 50% (gravi), anche questi non risultano essere molti, con una media di poco superiore a quella riguardante i casi più gravi e con una somma di risarcimenti liquidati sempre superiore ai 200.000 euro, con un picco di 996.542 euro nel 2007.
Bisogna precisare come pochi casi con indennizzi consistenti pos-sano far aumentare significativamente la media dei risarcimenti, ma resta il fatto del numero ridotto delle responsabilità con conseguenze assai gravi.
Invece nell’arco cronologico considerato dalla ricerca sono risulta-te in crescita costante le condanne per danni da lesione micropermanente (1-10% di invalidità) ed il totale dei risarcimenti in questi casi è ovvia-mente di non grande rilievo, intorno ai 200-300.000 euro per ogni anno con un picco superiore ai 400.000 euro nell’anno 2004.
Analogo aumento è emerso per i casi di media gravità (11%-30% di invalidità permanente) ed in questa fascia i risarcimenti sono più con-sistenti nel loro totale.
Da ultimo, in base ai dati forniti dall’”Osservatorio sui conflitti e sulla Conciliazione” nel primo rapporto sullo stato dei conflitti nella Cit-tà di Roma, c.d. “Mappa dei Conflitti”, elaborato in occasione dell’entrata in vigore in data 21.3.2011 del d.l.vo n. 28/2010, attuativo della delega contenuta nell’art. 60 della legge n. 69/2009 “in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione nelle controversie civili e com-merciali”, riguardante anche la materia della responsabilità medica, risulta che dal 2005 al 2010 nel Tribunale Civile di Roma si è avuto, in notevole controtendenza con tutte le altre materie oggetto di conciliazione obbli-gatoria, un incremento delle cause per responsabilità medica del 6,1%.

                                                                                             Dr. Corrado CARTONI

                                                                                         Giudice del Tribunale di Roma 

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(1) (Cass. civ., sez. unite, 11 novembre 2008, n. 577, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2008, 5, 1, 612, con nota di De Matteis; in Danno e responsabilità, 2008, 7, 788, con nota di Vinciguerra; id., 2008, 8-9, 871, con nota di Nicolussi; in Giurisprudenza italiana, 2008, 10, 2197, con nota di Cursi; id., 2008, 7, 1653; id. 2008, 10, 2197, con nota di Ciatti; in Rassegna giuridica della sanità, 2008, 289-290, 210; in Obbligazioni e contratti, 2008, 3, 195, con nota di Rubino; in Foro italiano, 2008, 2, 1, 455. Da ultimo si veda Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2011, n. 11005, in Rassegna giuridica della sanità, 2011, 325-326, 198; in Responsabilità civile, 2011, 7, 547.1) 

(2) Cass. civ., sez. III, 4 gennaio 2010, n. 13, in Danno e responsabilità, 2010, 7, 697, con nota di Feola; id., 210, 4, 404; in Contratti, 2010, 7, 662, con nota di De Feo; id., 2010, 4, 372; in Rassegna giuridica della sanità, 2010, 309-310, 149; Cass. civ., sez. III, 10 settembre 2010, n. 19277, in Rassegna giuridica della sanità, 2011, 323-324, 224.

(3) Cass. civ., sez. III, 1 febbraio 2011, n. 2334, in Danno e responsabilità, 2011, 8-9, 835, con nota di Bugatti.

(4) Il medico o la struttura sanitaria inadempiente dovrà risarcire non so-lo il danno biologico, ma anche l’eventuale danno morale o esistenziale. Si veda Cass. civ., sez. III, 4 gennaio 2010, n. 13, cit., che ha regolato il caso dei genitori di una bambina nata affetta da agenesia totale di un arto inferiore e da focomelia dell’altro, i quali avevano chiesto ed ottenuto la condanna nei confronti del me-dico e dell’Asl al risarcimento di tutti i danni subiti in dipendenza della tardiva diagnosi della menzionata malformazione fetale.

(5) Cass. civ., sez. III, 1 febbraio 2011, n. 2334, cit.. Sul punto si segnala il decreto legge n. 158 del 13 settembre 2012 del Ministro della Salute, il quale, operando riferimento agli artt. 2236 e 1176 c.c., specifica che il giudice, ai fini dell'accertamento della colpa lieve, deve tener conto nel caso concreto delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, in realtà nulla innovando su quanto già sostenuto da tempo dalla giurisprudenza.

(6) Cass. 11 marzo 2002, n. 3492, in Danno e responsabilità, 2002, 7, 791.

(7) In Foro italiano, 2002, I, 769, con nota di Laghezza; in Giustizia civile, 2002, I, 1934; in Danno e responsabilità, 2002, 3, 318; in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2002, I, 349, con nota di Meoli; in Corriere giuridico, 2001, 12, 1565, con nota di Mariconda; in Contratti, 2002, 2, 113, con nota di Carnevali.

(8) Cass. civ. sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297, in Foro italiano, 2005, 1, 2479; in Giurisprudenza italiana, 2005, 1413, con nota di Perugini; in Danno e re-sponsabilità, 2005, 26, con nota di De Matteis.

(9) Cass. pen., sez. unite, 10 luglio 2002, n. 30328, in Foro italiano, 2002, II, 601, con nota di Di Giovine.

(10) Cass. civ., sez. unite, 11 gennaio 2008, n. 576, in Corriere del merito, 2008, 6, 694, con nota di Travaglino.

(11) Cass. civ., sez. unite, 11 gennaio 2008, n. 577, cit.; Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2007, n. 8826, in Danno e responsabilità, 2007, 7, 811; Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2004, n. 13066, in Danno e responsabilità, 2005, 5, 537; in Contratti, 2005, 2, 145; Cass. civ., sez. unite, 1 luglio 2002, n. 9556, in Diritto e giustizia, 2002, f. 34, con nota di Rossetti; in Contratti, 2002, 12, 1150; in Giustizia civile, 2003, 2196; in Giurisprudenza italiana, 2003, 1359, con nota di Ortolani.

(12) Cass. civ., sez. unite, 11 gennaio 2008, n. 577, cit.

(13) Cass. civ., sez. III, 12 maggio 2003, n. 7201, in Rassegna giuridica della sanità, 2003, 235/236, 358; in Archivio civile, 2004, 413.

(14) Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1538, in Giurisprudenza italia-na, 2010, 8-9, 1795; in Rassegna giuridica della sanità, 2010, 313-314, 151.

(15) Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2010, n. 10060.

(16) Cass. civ., sez. lavoro, 13 marzo 2009, n. 6218, in Lavoro nella giuri-sprudenza, 2009, 8, 801, con nota di Regina.

Si veda sul punto anche Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2004, n. 12273, in Giurispru-denza italiana, 2005, 1409, con nota di Perugini; in Corriere giuridico, 2004, 10, 128; in Danno e responsabilità, 2005, 1, 99; in Rassegna giuridica della sanità, 2005, 249-250, 38; in Guida al diritto, 2004, 35, 54, per la quale “In tema di responsabilità profes-sionale del medico chirurgo, la lacunosa formazione della cartella clinica redatta dai medici del Pronto Soccorso ospedaliero non vale ad escludere per mancanza di prova l’omissione colposa della diagnosi da parte degli stessi, poiché il medico ha l’obbligo di controllare la completezza e l’esattezza del contenuto della cartel-la, la cui violazione configura difetto di diligenza ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c. ed inesatto adempimento della corrispondente prestazione medica”.

(17) Cass. civ., sez. III, 30 gennaio 2009, n. 2468, in Rassegna giuridica della sanità, 2009, 301-302, 210; in Danno e responsabilità, 2009, 4, 446.

(18) Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2009, n. 20806, in Danno e responsabi-lità, 2010, 5, 451, con nota di Siliquini Cinelli.

(19) Corte cost., 19 ottobre 2009, n. 259, in Responsabilità civile 2009, 10, 855; Corte cost., 30 luglio 2009, n. 253, in Famiglia e diritto, 2009, 11, 1046; in Corriere giuridico, 2009, 11, 1559; in Foro italiano, 2009, 11, 1, 2889.

(20) Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748, in Rivista di diritto civile, 2008, 3, 2, 363, con nota di Palmerini; in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2008, 1, 1, 83, con nota di Venchiarutti; in Danno e responsabilità, 2008, 4, 421, con note di Bonaccorsi e Guerra; in Foro italiano, 2008, 9, 1, 2609, con nota di Cacace; in Corriere giuridico, 2007, 12, 1676, con nota di Calò; in Famiglia e diritto, 2008, 2, 129, con nota di Campione.

(21) Il consenso scritto è obbligatorio quando si dona o riceve sangue, si partecipa alla sperimentazione di un farmaco, negli accertamenti di infezione da HIV, nel trapianto del rene tra vivi, nella interruzione volontaria della gravidan-za, nella rettificazione in materia di attribuzione di sesso e nella procreazione medicalmente assistita

(22) Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2010, 7-8, 1, 783, con note di Cacace e Scacchi; in Danno e respon-sabilità, 2010, 7, 685, con nota di Simone; in Foro italiano, 2010, 7-8, 1, 2113; in Corriere giuridico, 2010, 9, 1201, con nota di Di Majo; in Giurisprudenza italiana, 2011, 4, 816, con nota di Chiarini.

(23) Si veda sempre Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847, cit., per la quale “La mancata acquisizione del consenso informato da parte del medico determina la lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente, da cui deriva, nella prevalenza dei casi, uno stato di turbamento di intensità correlata alla gravi-tà delle conseguenze verificatesi e non prospettate come possibili, purché, in ca-so di reclamato danno non patrimoniale, varchi la soglia della gravità dell'offe-sa”, mentre Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2006, n. 5444, in Danno e responsabilità, 2006, 5, 564; in Corriere giuridico, 2006, 9, 1243, con nota di Meani; in Guida al di-ritto, 2006, 22, 4; id. 2006, 24, 59; in Giurisprudenza italiana, 2007, 2, 343, con nota di Petri, ha stabilito che “In tema di responsabilità medico-chirurgica, la corret-tezza o meno del trattamento sanitario non assume alcun rilievo ai fini della sus-sistenza dell’illecito per violazione del consenso informato la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del “deficit” di informazione, non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con volontà con-sapevole delle sue implicazioni”.

Sul punto anche Cass. civ., sez. III, 29 luglio 2004, n. 14488, in Famiglia e diritto, 2004, 559, con nota di Facci; in Guida al diritto, 2004, 32, 48, con nota di Sacchettini; in Danno e responsabilità, 2005, 4, 379, con nota di Feola; in Corriere giuridico, 2004, 11, 1431, con nota di Liserre; in Foro italiano, 2004, 1, 3327; in Giurisprudenza italiana, 2005, 1147, con nota di Giovanardi; id. 2005, 2068, con nota di Di Gregorio, per la quale “Nel caso di responsabilità del sanitario per omessa od errata informazione tale da incidere sul mancato esercizio del diritto all’interruzione della gravidanza, è risarcibile non solo il danno dovuto al pregiu-dizio psicofisico della madre, ma piú genericamente ogni danno patrimoniale e non che sia conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento”.

(24) Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2011, n. 3847, in Rassegna giuridica della sanità, 2011, 323-324, 243; in Guida al diritto, 2011, 14, 42. Per Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2012, n. 10616, in Guida al diritto, 2012, 32, 73, il medico-chirurgo operatore ha un dovere specifico di controllo del buon funzionamento delle ap-parecchiature necessarie all’esecuzione dell’intervento.

(25) Cass. civ., sez. III, 28 novembre 2007, n. 24742, in Massimario della giurisprudenza italiana, 2007.

(26) Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24791, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2009, 5, 1, 540, con nota di Klesta Dosi.

(27) Si veda Cass. civ., sez. III, 15 settembre 2008, n. 23676; in Nuova giu-risprudenza civile commentata, 2009, 2, 1, 170, con nota di Cricenti; in Corriere giuridi-co, 2008, 12, 1671, con nota di Forte; in Danno e responsabilità, 2008, 12, 1282; in Giurisprudenza italiana, 2009, 5, 1124, con nota di Pellegrino; id. 2009, 6, 1397, con nota di Valore; id., 2009, 7, 1661, con nota di Petri; in Foro italiano, 2009, 1, 1, 36, con nota di Casaburi; in Rassegna giuridica della sanità, 2008, 295-296, 226, per la quale “legittimamente possono effettuarsi trasfusioni di sangue ritenute indispensabili ad un paziente in imminente pericolo di vita e non cosciente, pur se questi - testimone di Geova - portava un cartellino, redatto anteriormente al verificarsi della situazione di pericolo, con la scritta “niente sangue”.

(28) Cass. civ., sez. III, 30 luglio 2004, n. 14638, in Guida al diritto, 2004, 36, 51.

(29) Cass. civ., Sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847, cit., osserva che “La ri-duzione del problema al rilievo che, essendo illecita l’attività medica espletata senza consenso, per ciò stesso il medico debba rispondere delle conseguenze negative subite dal paziente che il consenso informato non abbia prestato, costi-tuirebbe una semplificazione priva del necessario riguardo all’unitarietà del rap-porto ed al reale atteggiarsi della questione, la quale non attiene tanto alla liceità dell’intervento del medico (che è solo una qualificazione successiva), ma che na-sce dalla violazione del diritto all’autodeterminazione del paziente, essendo al medico anzitutto imputabile di non averlo adeguatamente informato per acqui-sirne il preventivo, consapevole consenso. Che, se lo avesse fatto ed all’esecuzione dell’intervento (con le modalità rappresentategli) il paziente avesse in ipotesi acconsentito, sarebbe palese l’insussistenza di nesso di causalità mate-riale tra il comportamento omissivo del medico e la lesione della salute del pa-ziente, perché quella lesione egli avrebbe in ogni caso subito. Rispetto alle con-seguenze su tale piano pregiudizievoli occorre allora domandarsi, come in ogni valutazione controfattuale ipotetica, se la condotta omessa avrebbe evitato l’evento ove fosse stata tenuta: se, cioè, l’adempimento da parte del medico dei suoi doveri informativi avrebbe prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento chirurgico dal quale, senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato. E poiché l’intervento chirurgico non sarebbe stato eseguito solo se il paziente lo avesse rifiutato, per ravvisare la sussistenza di nesso causale tra le-sione del diritto all’autodeterminazione del paziente (realizzatosi mediante l’omessa informazione da parte del medico) e lesione della salute per le, pure incolpevoli, conseguenze negative dell’intervento (tuttavia non anomale in rela-zione allo sviluppo del processo causale: Cass., n. 14638/2004), deve potersi af-fermare che il paziente avrebbe rifiutato l’intervento ove fosse stato compiuta-mente informato, giacché altrimenti la condotta positiva omessa dal medico (in-formazione, ai fini dell’acquisizione di un consapevole consenso) non avrebbe comunque evitato l’evento (lesione della salute). Tra le due sopra prospettate, la soluzione corretta in diritto è dunque la seconda”.

(30) Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2011, n. 16543, in Massimario giurispru-denza italiana, 2004.

(31) Cass. pen. sez. I, 29 maggio 2002, n. 528, in Studium juris, 2003, 511, con nota di Vagnoli.

(32) Oviedo 4 aprile 1997 e resa esecutiva con la legge di autorizzazione alla ratifica 28 marzo 2001, n. 145.

(33) Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748, cit.

(34) Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2009, n. 10741, in Corriere giuridico, 2010, 3, 365, con nota di Liserre; in Danno e responsabilità, 2009, 12, 1167, con nota di Cacace; in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2009, 12, 1, 1258, con no-ta di Cricenti; in Foro italiano, 2010, 1, 1, 141, con note di Bitetto e Di Ciommo.

(35) Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2009, n. 10741, cit.

(36) Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2006, n. 16123, in Danno e responsabilità, 2006, 10, 1016; in Corriere giuridico, 2006, 12, 1691, con nota di Liserre; in Giuri-sprudenza Italiana, 2007, 8-9, 1921, con nota di Lubelli.

 
 
 
 
 
 

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