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Il filtro in appello: bilancio minimo di una riforma mancata

  Civile 
 venerdì, 1 maggio 2020

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di MAURO MOCCI, Consigliere della Corte di cassazione

 
 
Sommario: 1. Una fine ingloriosa. - 2. La genesi. - 3. Il meccanismo. - 4. La classe forense e la dottrina. - 5. La giurisprudenza. - 6. Il problema (collegato) della doppia conforme. - 7. Conclusioni

 

 

1. Una fine ingloriosa. - Intoneremo il “De Profundis” per il filtro in appello? Sembra proprio di si.

   Il disegno di legge delega per il processo civile, licenziato dal Consiglio dei Ministri il 5 dicembre 2019 scorso, prevede infatti l’abrogazione degli artt.  348 bis e 348 ter c.p.c., introdotti nel codice di rito con la riforma del 2012. La relazione illustrativa afferma in proposito che quelle disposizioni avevano creato <<un’ulteriore ipotesi di ricorso in cassazione all’interno del medesimo giudizio, sicché la complessiva valutazione dell’istituto in termini costi/benefici appare negativa>>[1].

 

2. La genesi. - In realtà, il meccanismo del filtro in appello ha avuto una storia tormentata fin dall’inizio. Bisogna ricordare che, all’epoca, era l’estremo tentativo di incidere sui tempi di durata dei processi davanti alle Corti d’Appello, considerate allora il <<ventre molle>> del sistema giudiziario e mai prima interessate direttamente e peculiarmente da provvedimenti normativi così radicali[2].

   Invero, l’incapacità delle Corti di smaltire le sopravvenienze si era progressivamente manifestata a partire dalla fine del secolo scorso, allorquando in primo grado (ossia nei Tribunali, fra l’altro non più giudici di appello delle appena soppresse Preture) era ormai andata a regime la riforma del 1990 sul giudice unico ed il <<collo di bottiglia>> si era trasferito sul secondo grado, che neppure aveva potuto contare su adeguati aumenti d’organico. Mancava poi, probabilmente, anche una preparazione culturale ad affrontare tale emergenza: i singoli consiglieri – abituati a lavorare in una struttura statica, se non immobile, ove la decisione sarebbe dovuta sovente essere un piccolo trattato di diritto (<<per non fare brutte figure in Cassazione>>, si sentiva spesso ripetere) ed ai quali era stata fino ad allora richiesta la stesura di una/due sentenze la settimana – avrebbero dovuto cambiare radicalmente la loro impostazione nel giro di poco tempo, tenendo una media di almeno cinque sentenze settimanali, il minimo indispensabile per poter governare l’arretrato.

   Del resto, lo strumento del filtro era già operante presso la Corte di Cassazione[3], anche se la struttura delle Corti territoriali, spesso non in grado di esprimere una sezione ad esso dedicata (a parte le tre o quattro realtà più grandi), rendeva inevitabile che competesse essenzialmente a ciascun consigliere stabilire se ricorressero o no le condizioni per la sua applicazione[4].

 

3. Il meccanismo. - Va altresì considerato che l’impianto della riforma era generalmente ritenuto compatibile con i principi costituzionali e con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha sempre ritenuto le limitazioni ai mezzi di impugnazione contrastanti con l’art. 6, comma primo CEDU, solo qualora esse non perseguano uno scopo legittimo, ossia qualora non vi sia una ragionevole relazione di proporzionalità tra il mezzo impiegato e lo scopo desiderato[5].

  Come è noto,  l’art. 348 bis c.p.c. riconduce la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione alla mancanza di “una ragionevole probabilità di essere accolta”.

    Diversamente da quanto prevede l’art. 375 n°5) c.p.c., a proposito del giudizio di cassazione, la decisione immediata del gravame non è dunque legata ad una prognosi di manifesta fondatezza o infondatezza del suo contenuto: è sufficiente qualcosa di meno, ossia un apprezzabile grado di inaccoglibilità.. Una volta pronunciata l’ordinanza di inammissibilità, può essere proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado.

   La possibilità di escludere il secondo grado è già prevista, a livello ordinamentale, dall’art. 360 comma 2° c.p.c. (revisio per saltum), ma, nell’ipotesi di cui all’art. 348 ter,  lo scrutinio dei giudici di legittimità ha una portata ben più ampia, pur – anche in tal caso – nei limiti del c.d. <<giudicato implicito>>, con la conseguenza di non poter dedurre a fondamento del ricorso questioni processuali non sollevate col gravame[6].

     Probabilmente, sarebbe stato più logico assoggettare al vaglio della Suprema Corte l’ordinanza di appello, avendo quest’ultima contenuto sostanziale di sentenza, piuttosto che la decisione del primo giudice. Il sistema ideato dalla novella stabilisce invece un rapporto immediato e diretto fra il primo grado e la Cassazione, in cui il segmento di appello è come un binario morto, destinato – in caso di declaratoria di inammissibilità – a concludersi con tale pronunzia. 

    La realtà ha però dimostrato che la Suprema Corte non avrebbe potuto fare a meno di valutare altresì – almeno incidentalmente – la motivazione dell’ordinanza, sia perché quest’ultima contiene la previsione sulle spese di lite, sia perché anche tale provvedimento può, in astratto, contenere vizi formali e sostanziali interni al provvedimento, sia perché, infine, la declaratoria di inammissibilità del gravame incide sull’ampiezza dei motivi denunziabili col ricorso[7]

 

4. La classe forense e la dottrina. - La riforma del 2012 è stata immediatamente avversata dalla classe forense e dalla dottrina, il che era sicuramente prevedibile[8].

   In effetti, la riconducibilità della declaratoria di inammissibilità alla mancanza “di una ragionevole probabilità” di accoglimento rende il concetto espresso pressoché <<impalpabile>>, eccessivamente generico ed indeterminato (e quindi discrezionale). Da ciò il rischio di provvedimenti sostanzialmente immotivati. Inoltre si è lamentata un’eccessiva compressione del contraddittorio, non mitigata dall’inciso <<sentite le parti>> (aggiunto in sede di conversione del d.l.), che si sarebbe prestato – come poi è accaduto -a tutta una serie di interpretazioni e di prassi[9].

    Ma, in realtà, la critica del foro e dell’accademia si è particolarmente rivolta anche nei confronti di un altro pilastro della riforma, ossia la riscrittura dell’art. 342 c.p.c., in tema di motivazione dell’appello[10]. Quest’ultima norma, nella versione in vigore dal 2012 – recependo gli orientamenti giurisprudenziali consolidatisi in precedenza[11]- ha statuito l’inammissibilità del gravame, in carenza di una serie di elementi: i punti contestati, le violazioni ipotizzate ed il peso di esse rispetto alla decisione impugnata, nonché un lavoro di demolizione dell’impalcatura su cui si reggevano i profili contestati ed una coeva parte ricostruttiva, nel senso invocato dall’appellante. E’ pur vero che l’interpretazione rigoristica è stata poi attenuata dalla Suprema Corte[12], ma il sistema di doppia selezione così congegnato – dapprima di carattere formale, ex art. 342, e poi di carattere sostanziale, ex art. 348 bis – è stato vissuto come un’intollerabile limitazione dei diritti processuali[13].

   Gli stessi contrasti in seno alla giurisprudenza di merito[14] fra chi riconduceva la ragionevole probabilità alla necessità di un’evidenza indiscutibile, in esito ad una cognizione piena, e chi propugnava, al contrario, la sufficienza di una delibazione sommaria, ancorché approfondita (nodo mai del tutto sciolto, neppure dalla Cassazione), hanno finito per dare ragione a coloro che paventavano atteggiamenti arbitrari nell’utilizzo della norma, magari dettati da ragioni contingenti (necessità di sfoltire i ruoli, timori di procedimenti disciplinari per i ritardi accumulati) o da iattanza, superficialità, sciatteria, oltre che un sostanziale vulnus del diritto di difesa[15].

 

5. La giurisprudenza. - Ma il filtro in appello ha trovato un’accoglienza fredda anche da parte dei magistrati, che pure avrebbero dovuto applicarlo.

In realtà, il modus operandi del giudice e la sua capacità di “leggere” la norma nel modo più adeguato costituivano il cuore della riforma. Dopo il deposito del ricorso  o della citazione notificata, una volta assegnato il fascicolo al relatore, quest’ultimo avrebbe dovuto esaminarlo approfonditamente prima dell’udienza fissata nella citazione o nel decreto che seguiva il ricorso. L’art. 348 ter impone, infatti, la pronunzia di inammissibilità nel corso dell’udienza di cui all’art. 350 c.p.c. e prima di procedere alla trattazione. E’ evidente che la necessità di stendere un’ordinanza – sia pur succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati negli atti di causa ed il riferimento ai precedenti conformi – avrebbe determinato per il relatore un notevole aggravio del lavoro di studio dei nuovi fascicoli. Infatti solo una conoscenza approfondita e completa della prima udienza di trattazione, attraverso la lettura della sentenza impugnata, della citazione (o del ricorso) di appello e della comparsa (o della memoria) di risposta avrebbero consentito di fare una prima scrematura ragionata fra le impugnazioni. Ed anche il contenuto dell’ordinanza (che deve coprire tutti i motivi di gravame, compresi quelli incidentali) avrebbe dovuto dare ragione di ogni scelta, ponendo in luce la ragionevolezza del percorso prescelto e la fondatezza dei profili che lo supportavano. Il successo del filtro dipendeva da questo e quindi dalla capacità del giudice di governare il suo ruolo e di avere una visione d’insieme delle cause a lui assegnate. Lo scarso utilizzo dell’istituto ha mostrato che non tutti sono stati all’altezza.

   A quasi otto anni dal suo ingresso nel sistema processuale, il fiasco del filtro in appello (in termini percentuali, rispetto alle aspettative) si deve probabilmente, oltre che a resistenze ideologiche ed ad un meccanismo applicativo alquanto farraginoso[16], a vistose lacune individuali nella capacità di auto-organizzarsi.

 

6. Il problema (collegato) della doppia conforme. -  Eppure la riforma, se attuata con onestà intellettuale, avrebbe potuto incidere favorevolmente sull’attività delle Corti d’Appello.

    Fra l’altro, la potenzialità degli artt. 348 bis e 348 ter è stata colta dalla stessa Corte di Cassazione, la quale – nella nota sentenza  delle sezioni unite n. 8053 del 7 aprile 2014 – con una valutazione di carattere eminentemente pretorio ha richiamato proprio l’art. 348 bis per estendere l’esclusione dell’art. 360 n. 5) c.p.c. a tutte le fattispecie di c.d. doppia conforme (e quindi di rigetto nel merito) e non solo a quelle di declaratoria di inammissibilità, come pure previsto dalla norma al penultimo comma[17]. Sul punto, il testo della pronunzia recita: <<rientra certamente, nonostante la non felice collocazione "topografica" tra le norme preposte alla regolamentazione dell'appello, la disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 348-ter, aggiunto dalla norma in esame, al codice di rito, giusta il cui disposto non è ammesso ricorso ai sensi del n. 5) dell'articolo 360 cod. proc. civ. avverso quelle sentenze d'appello che confermino la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione appellata>>. La suddetta estensione praeter legem non è stata dunque motivata e c’è da chiedersi se potrà essere ancora adottata la sanzione dell’inammissibilità per la deduzione del motivo ex art. 360 n. 5) c.p.c., nell’ipotesi di doppia conforme, una volta venuta meno la base normativa che la consentiva[18].

   

7. Conclusioni. - Il destino del filtro in appello sembra dunque segnato: espunzione pura e semplice, senza neppure la sorte di altre norme, le quali, pur avendo inciso ancor meno sulla celerità del processo, come l’art. 186 quater (ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione), una volta cadute in desuetudine sono tuttavia rimaste al loro posto.

   La scelta del Parlamento è ovviamente sovrana ed, in definitiva, può essere anche compresa da un punto di vista sostanziale: eccessiva discrezionalità del giudice, dimidiazione dei diritti difensivi, carenza delle strutture, complessità della procedura, scarsa applicazione pratica. Ma, per carità, non si ricorra ad una motivazione superficiale e sciatta[19], di sapore vagamente aziendalistico, che, oltre a far credere che la Suprema Corte sia inondata dai doppi ricorsi generati dal meccanismo del filtro - mentre è vero il contrario - non rende giustizia né all’intento del legislatore del 2012, né ai giudici di secondo grado che quelle norme hanno applicato con scrupolo e coscienza.



[1] Sul punto cfr. G. SCARSELLI, Note critiche sul disegno di legge delega di riforma del processo civile approvato dal Consiglio dei Ministri in data 5 dicembre 2019, in www.Judicium.it del 23 gennaio 2020

[2] Parla giustamente di appello come di <<cenerentola processuale>> A. CONVERSO, Il processo di appello dinanzi alla Corte d’Appello, in Giur. it., 1999, 3, 661 e ss. Cfr. altresì, la lucidissima e condivisibile analisi di C. CEA, L’organizzazione dell’ufficio del giudice civile di appello, in Foro it., 2010, V, 169 e ss.

[3]  Approfondiscono il profilo del filtro in cassazione P. VITTORIA,  Il filtro per l’accesso al giudizio di legittimità, in Il nuovo giudizio di cassazione, a cura di G. Ianniruberto e U. Morcavallo, Milano 2010, 137 e ss.; F. FERRARIS, Primi orientamenti giurisprudenziali sul c.d. “filtro” in Cassazione, in Riv. dir. proc. 2012, 2, 490; E. SILVESTRI, Note in tema di giudizio di cassazione riformato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 3, 1027; F.S. DAMIANI, La riforma del c.p.c. art. 375, 376, 380 bis, 380 ter, in Le nuove leggi civili commentate, Padova 2010, 4-5, 981 e ss.; C. CONSOLO, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Padova, 2009, 513 e ss.; G. ARIETA, F. DE SANTIS, L. MONTESANO, Corso base di diritto processuale civile, 4a ed., Padova, 2010, 520; C. MANDRIOLI, Diritto Processuale Civile, Torino, 2011, 585 e ss.

[4] A. BRUGUGLIO, Un approccio minimalista alle nuove disposizioni sull’ammissibilità dell’appello, in Riv. Proc., 2013, 3, 573.

[5]   E’ l’opinione di R. CAPONI, La riforma dei mezzi d’impugnazione, in Riv. trim., 2012, 4, 1168, che cita Corte EDU, 21 giugno 2011, Dobrić v. Serbia, con riferimenti alla precedente giurisprudenza della stessa Corte. Cfr. anche Cass. Sez. VI del 23 dicembre 2016 n. 26936 che richiama Corte EDU, 15 settembre 2016, Trevisanato v. Italia

[6] G. BALENA, Le novità relative all’appello nel d.l. n. 83/2012, in Giusto proc, 2013, 2, 344, suggerisce l’opportunità di indicare nell’atto introduttivo del ricorso per cassazione - ogni qualvolta la decisione di primo grado consti di una pluralità di capi - l’avvenuta impugnazione davanti alla Corte d’Appello di tutti i capi della medesima sentenza e di allegare al ricorso una copia dell’atto di gravame.  Cfr altresì Cass. Sez. VI, 23 dicembre 2016 n. 26936 in Foro it., 2017, fasc. 5, parte 1, 1656, con nota di O. DESIATO, Inammissibilità del ricorso per cassazione spiegato ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.: un triste esempio di denegata tutela.

[7] Cass. Sez. Un. 2 febbraio 2016 n. 1914, che ha sancito l’ammissibilità del ricorso in cassazione per vizi propri dell’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., allorquando si tratti di ragioni processuali. E’ pubblicata su Foro it. , 2016, fasc. 7-8, 1, 2478, con nota di N. LUDOVICI, Appello civile, mancanza di una ragionevole probabilità di accoglimento, ordinanza, ricorso straordinario per cassazione, e su Corriere giur., 2016, 8-9, 1125, con nota di R. TISCINI, Impugnabilità dell’ordinanza filtro per vizi propri. L’apertura delle Sezioni Unite al ricorso straordinario.

[8]  R. CAPONI, Contro il nuovo filtro in appello e un filtro in Cassazione nel processo civile, in Giur. cost., 2012, 2, 1539;  G. SCARSELLI, Sul nuovo filtro per proporre appello, in Foro it., 2012, 10, 5, 287; C. CONSOLO, Nuovi ed indesiderabili esercizi, normativi: le impugnazioni a rischio <<svaporamento>>, in Corriere giur., 2012, 10,  1133; G. IMPAGNATIELLO, Il "filtro" di ammissibilità dell'appello, in Foro it., 2012, 10, 5, 295; Id., Pessime nuove in tema di appello e ricorso in Cassazione, in Giusto proc., 2012, 3, 735; G. VERDE, Processo civile. Con un nuovo "filtro" in appello garanzie e tradizione giuridica segnano il passo, in Guida dir., 2012, fasc. 30, 6; Id., Diritto di difesa e nuova disciplina delle impugnazioni, in Riv. trim., 2013, 2, 507; C. FERRI, Filtro in appello: passa lo svuotamento di fatto e si perpetua la tradizionale ipocrisia italiana, in Guida dir., 2012, fasc. 32, 10.; A. TEDOLDI, Il maleficio del filtro in appello, in Riv. dir. proc., 2015, 3, 751

[9] G. BALENA, Le novità,  op. cit., 340

[10]              G. SCARSELLI, Sulla incostituzionalità del nuovo art. 342 c.p.c., in Foro it., 2013, 1, 160

[11]  Cass. Sez. Un. 29 gennaio 2000, n°16, ampiamente commentata da G. BALENA, Nuova pronunzia delle Sezioni Unite sulla specificità dei motivi d’appello: punti fermi e dubbi residui, in Foro It. 2000, 5, I, 1607, e da A. PROTO PISANI, In tema di motivi specifici d’impugnazione, ibidem, 1615. Nello stesso senso: cfr. Cass. 3 agosto 2007, n°17057; Cass. 16 dicembre 2009, 26414; Cass. 19 ottobre 2009, n. 22123. In dottrina, B. SASSANI Le Sezioni unite della cassazione e l’inammissibilità dell’atto di appello carente di motivi specifici in  Riv. proc., 2000, 511 e ss.; N. RASCIO, Ancora sui motivi di appello: il requisito della specificità e le conseguenze della violazione dell’art. 342 c.p.c. nella giurisprudenza della Suprema Corte,  in Foro It. 2000, I, 218.

[12]              Cass. Sez. Un. 16 novembre 2017 n. 27199, in Corriere giur. 2018, 1, 70, con nota di F. GODIO, Le Sezioni Unite confermano: l’appello “specifico” non richiede all’appellante alcuna sorta di “progetto alternativo di decisione” ed in Giur. it., 2018, 6, 1413, con nota di M. MARCHESE, La specificità della “motivazione” nell’appello secondo le Sezioni Unite

[13]              G. VERDE, La riforma dell’appello civile: due anni dopo, in Riv. trim. dir. proc. Civ., 2014, 3, 971; E. TICCHI, Considerazioni sugli ultimi orientamenti in tema di inammissibilità dell’appello, ibidem 2015, 3, 1067.

[14]              App. Roma 23 gennaio 2013, App. Milano 8 febbraio 2013 e Trib. Vasto 20 febbraio 2013, in Giur. it., 2013, 1629, con nota di A. DIDONE.

[15]  M. PACILLI, L’abuso dell’appello, Bologna, 2015, p. 240 e ss.; S. DALLA BONTA’, Contributo allo studio del filtro in appello, Trento, 2015, p. 198 e ss.

[16]              Cfr. C. Mandrioli – A. CARRATTA, Diritto processuale civile, XXV ed., vol. II, Giappichelli, Torino, 2016, p. 526.

[17]              La sentenza è riportata per esteso in Riv. proc. civ., 2014, 6, 1600, con nota di  F. PORCELLI, Sul vizio di  “omesso esame di un fatto decisivo”, nonché in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 1, 179, con nota di L. PASSANANTE Le Sezioni Unite riducono al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità nella motivazione della sentenza civile. Per il resto, a parte Sez. Un n.1914/2016 (infra, § 3, nota 7), l’unica pronunzia della Suprema Corte che abbia lambito il filtro è Sez. Un. 21 marzo 2017 n. 7155, Foro it. 2017, 4, I, 1177, con nota di G. COSTANTINO, Note sull’inammissibilità sopravvenuta di merito: dal ricorso “antipatico al ricorso “sarchiapone”.

 

[18]              Cfr. R. POLI, L’evoluzione dei giudizi di appello e di cassazione alla luce delle recenti riforme, in Riv. dir. Proc.,  2017, 128; A. Tedoldi, Il maleficio op. cit.

[19]              L’impressione è che la successione dei termini logici di ragionamento sia stata invertita, nel senso che la decisione, già assunta, abbia dovuto trovare una motivazione posticcia

 

 
 
 
 
 
 

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