Sommario:1. L’ambito d’indagine. – 2. La natura della nullità riguardante le pattuizioni commissorie. – 3. L’evoluzione giurisprudenziale. – 4. Le diverse tesi riguardanti la ratio del divieto e le relative critiche. – 5. L’analisi ricostruttiva forse preferibile e le fattispecie non vietate in tale prospettiva.
1. L’ambito d’indagine.
Il pericolo insito in ogni divieto è quello di seguirlo tralatiziamente senza soffermarsi a riflettere sul suo contenuto ridefinendone i contorni.
Rifuggendo dalle quiete lusinghe della prassi il presente contributo si propone di analizzare contenuto e portata dell’estensione ermeneutica del divieto di patto commissorio propugnata dall’elaborazione giurisprudenziale in essere alla luce della ratio di siffatto divieto .
Ciò al fine di alimentare il vivace dibattito inerente i limiti operativi dell’istituto proponendo una lettura idonea a delineare i confini applicativi dello stesso in armonia con le attuali esigenze della realtà economica e del sistema civilistico .
Ed infatti detto istituto risulta inscindibilmente connesso alla tematica delle garanzie, pertanto coessenziale all’accesso al credito in cui si declina l’economia reale dei processi produttivi.
A tal proposito occorre rilevare come alla crescente estensione ermeneutica di matrice giurisprudenziale di tale divieto faccia da pendant una velata preoccupazione da parte del legislatore che – anche in virtù degli apporti della normativa sovranazionale e comunitaria – mira a circoscriverne l’ambito applicativo.
A tal proposito la direttiva 2002/47/CE (attuata nel nostro ordinamento in virtù del D.Lgs. 21 maggio 2004 n. 170), ha espressamente escluso l’applicabilità dell’art. 2744 c.c. ai contratti finanziari che prevedono il trasferimento della proprietà di attività finanziarie con funzione di garanzia, ove volti a garantire l’adempimento di obbligazioni finanziarie allorchè le parti contraenti rientrino nelle categorie tassativamente elencate (autorità pubbliche, banche centrali, enti finanziari soggetti a vigilanza prudenziale, controparti centrali, agenti di regolamento o stanze di compensazione).
In tale novero è pertanto compreso sia il contratto di pronti contro termine sia qualunque altro contratto di garanzia reale avente ad oggetto attività finanziarie e volto a garantire l'adempimento di obbligazioni finanziarie allorchè le parti contraenti rientrino nelle predette categorie .
2. La natura della nullità riguardante le pattuizioni commissorie.
Nel silenzio della legge ci si chiede anzitutto se il negozio cui sia apposto un patto commissorio sia integralmente nullo ai sensi del art. 1419, comma primo, c.c. oppure se la nullità colpisca unicamente la pattuizione commissoria e non si trasmetta all’intero contratto ex art. 1419, secondo comma c.c., per cui la nullità di singole clausole di un contratto determina l’invalidità dell’intero negozio solo se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.
Autorevole ma risalente dottrina propende per la prima opzione teorica, giurisprudenza più recente è invece orientata nel senso della nullità parziale, anche in ossequio al principio – immanente nel nostro ordinamento – della conservazione del contratto.
3. L’evoluzione giurisprudenziale.
Il divieto di patto commissorio, come in precedenza evidenziato, ha conosciuto nell'ultimo secolo una significativa estensione ermeneutica.
A tal proposito il previgente codice civile del 1865 – in virtù di un'impostazione mutuata dal Code Civil francese – prevedeva siffatto divieto esclusivamente con riguardo al pegno (art. 1884 c.c.) e all'anticresi (art. 1894 c.c.).
Di conseguenza il predetto divieto non riguardava il patto inerente a una garanzia immobiliare e si riferiva unicamente alla pattuizione commissoria cd. in continenti, ossia quella coeva alla costituzione della garanzia.
Gli artt. 2744 e 1963 c.c. vigente in tema, rispettivamente, di cause di prelazione e di anticresi, stabiliscono invece la nullità dell’accordo con cui si conviene che – in ipotesi d’inadempimento – la titolarità del bene oggetto della garanzia si trasferisca automaticamente dal debitore al creditore.
Il codice civile del 1942 ha pertanto espressamente esteso il divieto de quo al patto riguardante la garanzia immobiliare nonché al cd. patto stipulato ex intervallo, ovvero successivamente al sorgere della garanzia.
Una prima estensione interpretativa della sfera di applicabilità di siffatte disposizioni ha portato alla sussunzione entro il paradigma normativo di tale divieto delle pattuizioni relative a cespiti soggetti a privilegio legale o convenzionale nonché dell’accordo avente ad oggetto il trasferimento di diritti reali di godimento (superficie, enfiteusi, servitù, uso, usufrutto e abitazione).
Tuttavia – stante l’espresso divieto normativo – l’ipotesi del patto commissorio cd. tipico ossia accessorio a una garanzia reale o a un contratto di anticresi è ben presto divenuta meramente scolastica.
Nella prassi recente la pattuizione commissoria si presenta perciò il più delle volte come un’alienazione a scopo di garanzia.
Sono queste pertanto le fattispecie più discusse in quanto risulta assai ardua l’individuazione degli esatti confini dell’istituto.
In tema di patto commissorio autonomo (ossia non collegato a una contestuale o preesistente garanzia tipica) l'evoluzione giurisprudenziale si accompagna infatti a un vivace e mai sopito dibattito concernente i limiti oggettivi della fattispecie.
L'impostazione tradizionale era a tal proposito imperniata sul criterio temporale e ciò che rilevava era l'immediatezza dell'effetto traslativo .
Tale prospettazione riteneva pertanto che impingesse nel divieto di patto commissorio (e nella relativa nullità) soltanto la vendita condizionata sospensivamente all'inadempimento del debitore in quanto dissimulante un mutuo con patto commissorio.
Al di fuori di tale circoscritta ipotesi l'alienazione in garanzia era invece qualificata come tendenzialmente lecita così come la vendita con patto di riscatto, il trasferimento del bene sottoposto alla condizione risolutiva dell'adempimento del debito, le vendite con patto di retrocessione o di retrovendita.
Tale prospettazione mirava infatti ad evitare al debitore pressioni nella fase dell'adempimento e in quest'ottica il segmento caratterizzante del negozio vietato risiedeva nella coincidenza fra inadempimento e trasferimento della proprietà.
Di conseguenza esulavano dal novero delle pattuizioni illecite i negozi in cui il trasferimento della proprietà si verificava in un momento anteriore o posteriore rispetto a quello dell'inadempimento.
Nel 1989, però, due pronunciati gemellari delle Sezioni Unite – facendo propria l'impostazione seguita da un'isolata decisione del 1983 – hanno determinato un significativo mutamento di prospettiva aderendo al differente principio per cui il divieto di patto commissorio dovrebbe essere interpretato estensivamente avendo riguardo al reale assetto d'interessi sotteso all'operazione posta in essere dalle parti indipendentemente dallo schema negoziale impiegato.
In particolare la Suprema Corte ha ricondotto la fattispecie entro il paradigma normativo del contratto fraudolento ex art. 1344 c.c. privilegiando il criterio funzionale della realizzazione di un effettivo scopo di garanzia e sancendo l'irrilevanza – ai fini dell'operatività del divieto – del momento in cui si produce il trasferimento della titolarità del bene in capo al creditore.
Siffatto revirement giurisprudenziale e la contestuale interpretazione estensiva degli artt. 2744 e 1963 c.c. ha comportato perciò l'inclusione nell'area della difformità al divieto del patto commissorio di operazioni come il sale and lease back , il riporto , il mandato irrevocabile a vendere conferito dal creditore al debitore , la vendita con patto di riscatto , ove poste in essere in pendenza di un rapporto obbligatorio fra le parti.
In particolare il sale and lease back si sostanzia nell'operazione con cui un'impresa commerciale o industriale vende un bene di sua proprietà a un imprenditore finanziario che ne paga il corrispettivo – diventandone proprietario – e contestualmente lo cede in leasing alla stessa società alienante, che corrisponde periodicamente un canone per una durata temporale determinata, con facoltà di riacquistare la proprietà del bene venduto versando alla scadenza del contratto il prezzo stabilito per il riscatto.
Qualora la parte alienante non eserciti detta facoltà ben potrebbe comunque optare per la continuazione del leasing a canoni ridotti.
L’ulteriore evoluzione giurisprudenziale – pur nel solco delle predette decisioni delle Sezioni Unite – si è soffermata ancora sulla funzione concretamente assolta dal negozio traslativo .
Ed infatti si afferma che la vendita con patto di riscatto o di retrovendita – anche qualora sia previsto il trasferimento effettivo del bene sarebbe nulla ove stipulata per una causa di garanzia piuttosto che per una causa di scambio .
Ciò sul rilievo che nella fattispecie il versamento del denaro da parte dell’acquirente non costituirebbe il pagamento del prezzo ma l’esecuzione di un mutuo e il trasferimento del bene servirebbe solo per determinare l’insorgenza di una posizione di garanzia provvisoria idonea ad evolversi variamente a seconda che il debitore adempia o meno l’obbligo di restituire le somme ricevute.
Detta operazione – pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato ai sensi dell’art. 2744 c.c. – costituirebbe uno strumento idoneo a eludere siffatta norma imperativa, esprimendo pertanto una causa illecita ex art. 1344 c.c.
Dall’applicazione dell’art. 1344 c.c. deriverebbe l’ammissibilità della prova testimoniale anche inter partes ai sensi dell’art. 1417 c.c.
A proposito del sale and lease back occorre poi sottolineare come la funzione nomopoietica di un'accorta giurisprudenza pretoria – soprattutto di merito – ha determinato la genesi di distinzioni e classificazioni fra un lease back cd. normale nonché lecito e diverse varianti cd. anomale e illecite perchè in frode al disposto dell'art. 2744 c.c.
In particolare questo processo ha condotto all'elaborazione di tutta una serie di indici da cui desumere l'anomalia dell'operazione.
Tale impostazione è stata peraltro seguita anche dalla Cassazione .
A giudizio della Suprema Corte, infatti, il divieto di patto commissorio dovrebbe ritenersi violato allorchè risulti che il lease back sia volto al rafforzamento della posizione del creditore-finanziatore in base a dati sintomatici e obiettivi quali la presenza di un rapporto debitorio preesistente o contestuale alla vendita, la sproporzione fra entità del prezzo e valore del bene alienato o le difficoltà economiche del venditore.
La sopra menzionata linea ermeneutica ha perciò ampliato in maniera considerevole l’ambito applicativo del divieto di patto commissorio.
In quest’ottica applicativa caleidoscopica parte della giurisprudenza ha ricondotto fra i negozi nulli ex art. 2744 c.c. anche le alienazioni poste in essere da terzi in favore del creditore al fine di garantire il debito altrui .
Altre decisioni ritengono nullo il contratto di vendita stipulato fra il mutuatario e un soggetto diverso dal mutuante allo scopo di costituire garanzia dell’adempimento del primo nei confronti del creditore in virtù dell’elusione del disposto dell’art. 2744 c.c. che si verificherebbe in tal caso attraverso una pluralità di negozi collegati.
Sulla scia di tali apporti una corrente dottrinale e giurisprudenziale è altresì pervenuta ad asserire la nullità del patto commissorio cd. obbligatorio, in cui cioè il debitore non trasferisce un diritto al creditore ma si limita ad obbligarsi in tal senso (ad es. attraverso la stipula un contratto preliminare).
Detta interpretazione estensiva del divieto in esame ne esclude l’applicazione soltanto in caso di datio in solutum concordata liberamente dai contraenti nonché eseguita in un momento successivo rispetto all’inadempimento del debitore e nell’ipotesi del cd. patto marciano .
Quest’ultimo si sostanzia nell’accordo con cui si prevede che il venditore insoddisfatto diventi proprietario del bene in ipotesi d’inadempimento del debitore ma con l’obbligo di restituirgli l’eventuale differenza fra il valore del bene (generalmente determinato da un terzo arbitratore) e l’importo del credito.
In virtù di questo principio si afferma la liceità tanto del pegno irregolare – espressamente disciplinato dall’art. 1851 c.c. in materia di anticipazione bancaria – quanto della cessione del credito a scopo di garanzia .
Ciò anche alla luce del disposto dell’art. 2803 c.c. in base al quale il creditore pignoratizio può trattenere soltanto la somma sufficiente al soddisfacimento delle proprie ragioni restituendo però l’eventuale eccedenza.
Una recente decisione ha inoltre escluso la violazione del patto commissorio in un'ipotesi di accordo di retrovendita intercorso fra debitore e creditore non subordinato però all'adempimento del debito.
Nella fattispecie infatti il trasferimento di un immobile risulterebbe causalmente suffragato dall'esigenza di far ottenere al debitore una cospicua somma di denaro previa iscrizione di un'ipoteca – a garanzia della banca mutuante – sul bene alienato all'acquirente.
Ciò con l'accordo fiduciario che l'acquirente creditore – dopo aver incassato una somma a copertura integrale del suo credito – avrebbe messo a disposizione il residuo mutuo e ritrasferito al debitore-venditore la proprietà dell'immobile nel breve periodo di quindici giorni dall'avvenuta vendita.
Tale operazione avrebbe perciò consentito l'accesso al credito al debitore, altrimenti impossibilitato a causa dell'inserimento del suo nome nell'elenco delle persone protestate.
Inoltre il ritrasferimento dell’immobile non sarebbe stato in nessun modo condizionato ad un preventivo obbligo di pagamento delle rate residue del mutuo ipotecario.
A tal proposito le parti hanno espressamente pattuito la retrovendita in ogni caso entro quindici giorni dalla data della stipula dell’atto notarile.
4. Le diverse tesi riguardanti la ratio del divieto e le relative critiche.
La giurisprudenza più recente sanziona dunque il patto commissorio cd. autonomo attraverso il prisma dell'art. 1344 c.c.
Siffatta norma stabilisce l'illiceità del negozio in frode alla legge, prescrivendo così la nullità di una pattuizione conforme alla lettera della legge ma contraria al suo spirito.
Preliminare alla determinazione dell'ambito applicativo e dei relativi limiti del patto commissorio cd. autonomo sembrerebbe perciò l'individuazione dello spirito degli artt. 2744 e 1953 c.c. ossia la ratio di siffatto divieto .
Secondo l’impostazione tradizionale questa risiederebbe nell’esigenza di evitare di esporre la parte contrattuale presumibilmente più debole (il debitore) ad eventuali approfittamenti da parte del creditore che – lucrando sulle difficoltà economiche del primo in ipotesi d’inadempimento – potrebbe conseguire la titolarità di beni di valore ben superiore rispetto all’importo del credito garantito .
A tale ricostruzione si obietta però che anzitutto la “debolezza” del debitore e la relativa lesione della sua sfera giuridica è soltanto potenziale, ben potendo questi essere in concreto molto più facoltoso, informato e avveduto del creditore.
Inoltre la tutela di una parte nei confronti delle possibili prevaricazioni dell’altra è di norma attuata dal sistema civilistico attraverso meccanismi azionabili unicamente su istanza della parte lesa.
Si pensi alla rescissione per lesione del contratto concluso in stato di bisogno ai sensi dell’art. 1448 c.c. oppure alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c.
Si consideri peraltro la ben più recente disciplina delle cd. “clausole vessatorie” di cui agli artt. 33 ss. del D. Lgs. n. 206/2005 (cd. Codice del Consumo) imperniata sul sistema della cd. nullità relativa per cui spetta solo alla parte contrattuale ritenuta più debole optare o meno per la caducazione dell’assetto d’interessi potenzialmente lesivo della propria sfera giuridica .
Ciò a differenza di quanto previsto dall’art. 2744 c.c. in cui la nullità della pattuizione è indisponibile, assoluta e rilevabile d’ufficio dal giudice.
Tale norma parrebbe pertanto posta a tutela di un interesse superindividuale.
A tal proposito autorevole dottrina rinviene la ratio del divieto di patto commissorio nella tutela della par condicio creditorum.
In quest’ottica il predetto divieto sarebbe precipuamente posto a tutela degli eventuali ulteriori creditori, che correrebbero il rischio della sottrazione di un cespite alla garanzia comune dei loro crediti.
Siffatta analisi ricostruttiva è stata non senza mordente criticata da chi sottolinea come anche in tal caso la lesione del ceto creditorio sarebbe meramente potenziale.
Altra visione sostiene poi che alla base del predetto divieto vi sarebbe l’incompatibilità fra la causa di vendita e quella di garanzia e, pertanto, l’inammissibilità di un negozio a effetti traslativi atipici.
Ma per tale via si giungerebbe a ritenere nullo anche il patto marciano di cui – come in precedenza evidenziato – dottrina e giurisprudenza costante e consolidata sostengono la validità.
Ulteriore prospettazione asserisce invece che il fondamento del divieto in esame riposerebbe sull’esigenza d’impedire la realizzazione di una forma di autotutela privata che sarebbe contraria al principio di ordine pubblico perché idonea a erodere il monopolio statuale sull’attività esecutiva . Si è però a contrario rilevato che l’ordinamento ammette forme di autotutela consensuale diverse dall’esecuzione forzata quale ad esempio la cessione dei beni ai creditori prevista dagli artt. 1977 ss. c.c. oppure il sequestro convenzionale disciplinato dagli artt. 1798 ss. c.c.
Inoltre ove si accogliesse la tesi dell’inderogabilità delle procedure esecutive si escluderebbero dall’ambito di operatività del divieto de quo gli accordi svincolati dalla costituzione di garanzie reali atipiche come i patti commissori cd. autonomi .
Un'impostazione recentemente riproposta con una certa frequenza individua altresì il fondamento del divieto de quo nel generale perturbamento della disciplina dei rapporti obbligatori che deriverebbe da un'applicazione costante e tralatizia del patto commissorio.
Secondo tale visione, infatti, il patto commissorio diventerebbe – ove fosse lecito – una mera clausola di stile che si sostanzierebbe in uno strumento generalizzato di abuso ai danni del debitore foriero di un marcato danno sociale.
Siffatta impostazione – seppur autorevolmente sostenuta e pregevolmente argomentata – parrebbe tuttavia posare sul poco condivisibile presupposto per cui il patto commissorio configurerebbe sempre e comunque un danno sociale, circostanza che sembrerebbe invece meramente potenziale .
Nè parrebbe condivisibile l'idea per cui la ratio del divieto sia quella di preservare le garanzie tipiche dal rischio che una generalizzata applicazione del patto commissorio depauperi la loro funzione sociale .
Tale funzione potrebbe peraltro riguardare soltanto il patto commissorio connesso ad una garanzia reale tipica e non già quello autonomo.
Ulteriori orientamenti ritengono di individuare invece il fondamento del divieto del patto commissorio nel concorso di tre fattori: 1) la sproporzione fra il valore dei beni oggetto della garanzia e il credito garantito; 2) la circostanza che il trasferimento in garanzia induce il debitore a confidare in una possibilità di recupero del bene; 3) la posizione debitoria dell'alienante nei confronti dell'acquirente.
In particolare si impernia sulla sproporzione fra il valore del bene oggetto della garanzia e l'ammontare del credito garantito quell'analisi ricostruttiva che ritiene d'individuare la ratio della sanzione di nullità del divieto in esame – e a contrario la validità della vendita con patto di riscatto – nella sovrapposizione fra tale rischio e quello del perimento del bene, che nel trasferimento commissorio graverebbe in ogni caso in capo al debitore alienante.
Ciò diversamente da quanto avviene nella fisiologica ipotesi di vendita con patto di riscatto, ove il rischio dell'intuitus rei cede a carico del creditore .
A siffatta asserzione si potrebbe però obiettare che basterebbe stipulare un'espressa clausola con cui le parti della convenzione commissoria traslano i rischi del perimento dell'oggetto della garanzia sul creditore-acquirente al fine di eludere il divieto .
È inoltre opportuno menzionare la ricostruzione che configura il patto commissorio alla stregua di una convenzione transattiva vietata in virtù di un asserito contrasto con un presunto principio tratto dall'art. 1382 c.c. in tema di clausola penale.
In quest'ottica il patto commissorio costituirebbe una predeterminazione del danno da inadempimento esorbitante rispetto agli angusti confini entro cui l'ordinamento permetterebbe tale precostituzione pattizia (efficacia meramente obbligatoria e possibilità per il debitore di chiedere giudizialmente la reductio ad aequitatem).
Tuttavia – anche a voler tacere delle differenze funzionali fra clausola penale e patto commissorio – tale prospettiva sottolinea come l'illiceità del patto commissorio risiederebbe nella sua efficacia reale così ammettendo – diversamente da quanto sostenuto dalla giurisprudenza – la liceità del patto commissorio meramente obbligatorio .
5. L’analisi ricostruttiva forse preferibile e le fattispecie non vietate in tale prospettiva.
L'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale non è dunque attualmente pervenuta a una visione unanimemente condivisa e condivisibile in relazione alla ratio sottesa al divieto del patto commissorio.
La frammentarietà del caleidoscopio di opinioni espresse sul punto è tale che un insigne giurista ha definito le conclusioni della dottrina in materia “se non sconfortanti, assai poco rassicuranti”.
L'incertezza relativa al fondamento del divieto del patto commissorio si riverbera poi inevitabilmente sulla prassi applicativa tracciando una fattispecie dai mobili contorni.
Alla luce di quanto prospettato l’analisi ricostruttiva forse più condivisibile dal punto di vista letterale e sistematico sembrerebbe essere quella che identifica la ratio del divieto di patto commissorio nell’esigenza di tutela della par condicio creditorum.
Anzitutto parrebbe muovere in tal senso la collocazione dell’art. 2744 c.c. entro il capo primo del titolo III del libro sesto del codice, recante le disposizioni generali “Della responsabilità patrimoniale, delle cause di prelazione e della conservazione della garanzia patrimoniale”.
La critica che si muove a questa tesi – come in precedenza evidenziato – risiede nell’argomento che la lesione della par condicio sarebbe soltanto potenziale.
Occorre tuttavia rilevare che il sistema civilistico già conosce ipotesi in cui si sanziona con la nullità operazioni solo potenzialmente contrarie a determinati interessi superindividuali. Si pensi ad esempio ai divieti speciali di comprare previsti dall’art. 1471, numeri 1) e 2), c.c.
Ciò in quanto in ipotesi di patto commissorio tipico perché accessorio a una garanzia reale oppure a un contratto d’anticresi la valutazione delle potenzialità lesive della par condicio creditorum sarebbe effettuata preventivamente dal legislatore ricorrendo al meccanismo della presunzione legale cd. assoluta.
In ipotesi di patto commissorio autonomo, invece, la valutazione dell’eventuale lesione della predetta par condicio spetterebbe all’interprete.
Nel silenzio della legge e in ossequio al generale principio di conservazione del negozio parrebbe adeguato imperniare tale valutazione sull’effettività di siffatta lesione.
Sembrerebbe allora opportuno – in ipotesi d’interpretazione estensiva del divieto di patto commissorio e dunque al di fuori dei casi previsti dalla legge – inserire alla tesi che ravvisa il fondamento di siffatto divieto nell’esigenza di tutela della par condicio creditorum il correttivo dell’effettività della lesione della stessa.
Il disposto dell’art. 2744 c.c., qualora si acceda ad una lettura sostanziale dello stesso nei casi non previsti dalla legge, dovrebbe pertanto ritenersi violato solo allorchè l’operazione posta in essere sia idonea a determinare un reale pregiudizio alle ragioni degli ulteriori creditori.
In quest’ottica – in tema di limiti applicativi del patto commissorio autonomo – non ogni trasferimento di un bene in funzione di garanzia sarebbe sanzionabile con la nullità, ma soltanto quello che rechi un effettivo pregiudizio alle ragioni del restante ceto creditorio.
A tal proposito l’indicatore della liceità o meno del patto andrebbe ravvisato non già nel criterio temporale rispetto all’adempimento né nella causa – di scambio oppure di garanzia – del negozio, né tantomeno nella sproporzione fra il valore del bene oggetto della garanzia e il credito garantito ma piuttosto nella capienza del patrimonio residuo del debitore.
Ove infatti questo sia abbastanza capiente da consentire la soddisfazione degli altri creditori, privilegiati e non, la par condicio creditorum sarebbe pienamente rispettata con contestuale liceità anche del trasferimento in funzione di garanzia.
In tal modo l’estensione ermeneutica della norma in esame risulterebbe pienamente conforme al suo spirito.
Ciò in completa armonia con l’architettura dell’istituto che – prevedendo una sanzione radicale quale la nullità assoluta – sembrerebbe posta a presidio di un interesse superindividuale come la parità del ceto creditorio e non già delle ragioni del singolo debitore.
Del resto la tutela delle esigenze del debitore nei confronti di eventuali operazioni di approfittamento da parte del creditore è adeguatamente assicurata dai ben più mirati strumenti della rescissione per lesione del contratto concluso in stato di bisogno e dalla disciplina penalistica inerente al reato di usura ex art 644 c.p.
Né varrebbe a contrario osservare che lo strumento specifico previsto dall’ordinamento per la tutela della par condicio creditorum sarebbe l’azione revocatoria in quanto l’ambito applicativo di siffatta azione non è perfettamente congruente con quello dell’art. 2744 c.c.
Ed infatti tale strumento richiede – per la sua esperibilità – un requisito ulteriore rispetto al divieto di patto commissorio ossia per lo meno la consapevolezza – in capo al debitore – di ledere le altrui ragioni creditorie attraverso l’atto che si pone in essere.
Questo perché l’art. 2901 c.c. prescrive che sia sanzionabile con l’inefficacia inter partes un atto dispositivo lesivo della posizione giuridica del restante ceto creditorio purchè il debitore sia conscio del pregiudizio che l’atto ha recato alle ragioni del creditore o – in ipotesi di atto anteriore al sorgere del credito – questo fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito.
In ipotesi di atto a titolo oneroso è inoltre necessaria la medesima consapevolezza o dolosa preordinazione (a seconda che l’atto sia posteriore o anteriore al sorgere del credito) in capo al terzo che sia stato parte dell’atto lesivo.
Pertanto si evince come il divieto di patto commissorio possa offrire una tutela più completa della par condicio creditorum rispetto all’azione revocatoria in quanto da un lato è applicabile anche alle lesioni inconsapevoli della stessa (oppure a quelle in cui siffatta consapevolezza non possa essere provata) dall’altro sanziona l’atto lesivo con la nullità e non già con la mera inefficacia inter partes prevista per l’azione revocatoria.
Di conseguenza possono profittare dei suoi effetti anche creditori diversi dall’istante.
Nel caso di patto commissorio cd. tipico, invece, la lesione della par condicio sussisterebbe in re ipsa, in quanto fondata su una presunzione legale a carattere assoluto connessa a quell’esigenza di certezza propria delle garanzie tipiche.
Un’interpretazione in questi termini del divieto di patto commissorio cd. autonomo avrebbe peraltro il pregio di costituire un argine al menzionato ampliamento ipertrofico dell’ambito applicativo del predetto divieto di matrice giurisprudenziale attualmente in essere tale da preoccupare anche il legislatore comunitario .
Siffatta soluzione parrebbe così realizzare un ponderato contemperamento delle distinte esigenze: da un lato quella avvertita dagli operatori del mercato di ricorrere a forme di garanzia duttili e atipiche da modulare in relazione alla rapidità dei processi economici.
Dall’altro quella propria dell’ordinamento di tutelare l’interesse superindividuale della par condicio creditorum coessenziale al cd. ordine pubblico economico.
Si realizzerebbe così una lettura funzionale del divieto di patto commissorio orientata al perseguimento della sua ragione effettiva.