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CIVILE  

Frazionamento del credito (nei rapporti di durata) ed abuso del processo: un discorso più che mai aperto. Il punto a seguito di Cass. civ., sez. un., 16 febbraio 2017, nn. 4090 e 4091.

  Civile 
 venerdì, 20 ottobre 2017

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(di Emanuele Quadraccia)

 
 

 

Le Sezioni Unite, su impulso della sezione lavoro (ord. 25 gennaio 2016, n. 1251), sono tornate a pronunciarsi, a quasi due lustri dalla fondamentale Cass. civ., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726, sul divieto di frazionamento del credito, (ri)tratteggiandone i profili applicativi.

Va da subito precisato che non ci troviamo dinanzi ad un revirement del Supremo Collegio, bensì, più semplicemente, ad una specificazione - o, per maggior precisione, ad una mitigazione - di un principio di diritto in precedenza enunciato. 

Difatti, la decisione del 2007 (così come anche la successiva Cass. civ., sez. un., 22 dicembre 2009, n. 26961), faceva riferimento al diverso caso del frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario, ritenendo tale prassi contraria alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.[1].

Il tema sottoposto all'attenzione delle Sezioni Unite era quello - abbastanza ricorrente - della legittimità della condotta del creditore che proponga diversi e distinti decreti ingiuntivi per il recupero parcellizzato di un medesimo credito (nella specie si trattava di azioni separate per diverse fatture). La Suprema Corte, nell’occasione, aveva affermato l'illegittimità di una condotta siffatta, la quale, traducendosi in una violazione del canone ermeneutico sancito dall’art. 1375 c.c. (la cui portata espansiva giunge a permeare anche l’eventuale fase giudiziale per ottenere l’adempimento), si risolve, in abuso del processo. Tale frammentazione incide, infatti, pregiudicandola, sulla posizione del debitore. E ciò tanto sotto il profilo del prolungamento del vincolo (ove il credito sia nei suoi confronti azionato inizialmente solo pro quota, con riserva di azione per il residuo), quanto per il diverso aspetto dell'aggravio di spese cui dovrebbe sottostare, a fronte della moltiplicazione di (contestuali) iniziative giudiziarie. In aggiunta, avevano evidenziato i giudici di legittimità, la disarticolazione dell'unità sostanziale del rapporto, in quanto attuata nel processo e tramite il processo, si risolve automaticamente anche in abuso dello stesso: la prolificazione dei giudizi, oltre ad essere fonte di giudicati (potenzialmente) contraddittori, si pone altresì in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 113 della Costituzione..

La domanda abusiva va dunque dichiarata inammissibile (o, secondo altra impostazione, improponibile) per “abuso del processo” [2].

Il tema che oggi viene in discussione è parzialmente - ma, al contempo, sensibilmente - diverso: viene rimessa alle Sezioni Unite la questione avente ad oggetto la possibilità di agire separatamente nel caso in cui si facciano valere più crediti derivanti da un unico rapporto obbligatorio di durata (nella specie, un unico contratto di lavoro){C}[3].

La sezione rimettente, non condividendo, invero, l’orientamento di Cass. civ., 10 maggio 2013, n. 11256 e 3 dicembre 2013, n. 27064, secondo il quale il principio della infrazionabilità del credito espresso da Cass. civ., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726, trova applicazione anche nel caso di più crediti distinti ma relativi allo stesso rapporto di durata, pone all’esame delle Sezioni Unite i seguenti quesiti:

a)                 se debbono essere dedotti in un unico giudizio tutti i crediti derivanti da un unico rapporto di durata e, in particolare, se il lavoratore è tenuto a far valere in un unico processo tutte le pretese creditorie maturate nel corso del rapporto di lavoro cessato;

b)                 se la proposizione di più domande per crediti diversi ma relative ad un unico rapporto comporta l’improponibilità di quelle successive alla prima.

Il Giudice nomofilattico, con le sentenze gemelle nn. 4090 e 4091 in rassegna, nel rispondere negativamente ai quesiti sopra enucleati, ha stabilito che le domande su distinti diritti di credito, anche se relative ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Se tali diritti di credito sono inscrivibili nello stesso ambito oggettivo di un possibile giudicato o fondati sul medesimo fatto costitutivo, sì da non poter essere accertati separatamente senza duplicare l'attività istruttoria, le relative domande, viene chiarito, possono essere proposte in giudizi separati solo se il creditore ha un interesse oggettivo ad una tutela processuale frazionata.

Le argomentazioni utilizzate al fine di giungere a tale conclusione possono essere così sintetizzate: (I) il sistema processuale vigente contempla la possibilità, per il creditore, di agire in tempi e con riti differenti per il recupero di singoli crediti facenti capo ad un unico rapporto obbligatorio complesso (artt. 31, 34, 40 e 104 c.p.c.); (II) manca, nell’ordinamento, una specifica norma che contempli la «grave sanzione» della improponibilità della domanda per il creditore che abbia in precedenza agito per il recupero di altro credito, sia pure riguardante lo stesso rapporto di durata; (III) diversamente opinando, risulterebbe particolarmente gravosa la posizione del creditore, il quale sarebbe costretto ad avanzare tutte le pretese creditorie derivanti da un medesimo rapporto in uno stesso processo; (IV) ciò priverebbe altresì il creditore di usufruire dei riti “accelerati” (i.e. ricorso monitorio e procedimento sommario di cognizione) previsti dal legislatore in relazione a talune pretese creditorie; (V) l'onere di agire contestualmente per crediti distinti - che potrebbero avere diversa natura, essere fondati su presupposti in fatto ed in diritto non perfettamente sovrapponibili, ovvero essere soggetti a regimi differenti (in termini di prova, di prescrizione, ecc.) - potrebbe, infine, ritardare di molto la possibilità di soddisfazione del creditore, traducendosi - non in un alleggerimento bensì - in un allungamento dei tempi del processo, il quale finirebbe per divenire un «contenitore eterogeneo smarrendo ogni duttilità, in violazione del principio di economia processuale, inteso come principio di proporzionalità nell'uso della giurisdizione», con conseguente pregiudizio per la speditezza dei traffici.

Osserva, da ultimo, il Suprema Consesso che non si deve valutare caso per caso l’esperibilità di processi distinti bilanciando i confliggenti interessi delle parti, né si tratta di accertare eventuali intenti emulativi o di indagare, sotto il profilo psicologico, i comportamenti processuali del creditore agente. Si tratta invece di appurare, come poc’anzi accennato, se «il creditore abbia un interesse oggettivamente valutabile alla proposizione separata di azioni relative a crediti riferibili al medesimo rapporto di durata ed inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un ipotizzabile giudicato, ovvero fondati sul medesimo fatto costitutivo» (cfr., par. 4, penultimo periodo).

Volendo tracciare delle brevi considerazioni conclusive, non può non rilevarsi come il tema dell’abuso del diritto abbia dato vita, negli ultimi anni, nell’area del diritto civile, ad un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale{C}[4]{C}. Più specificamente, soffermandoci su quella singolare tipologia di abuso che attiene allo strumento processuale e che, non a caso, è quindi denominata “abuso del processo”, deve evidenziarsi come la giurisprudenza di legittimità - in un caso in cui il creditore (nella specie si trattava di un pool di avvocati incaricati dalla regione Calabria della definizione transattiva di una pluralità di situazioni debitorie di alcuni enti locali) ha agito in via monitoria per la parte di credito certa, liquida ed esigibile ed abbia (successivamente) fatto ricorso al rito sommario di cognizione per l’altra parte di credito da accertare e liquidare -  abbia rimarcato che la condotta abusiva viene in essere (solo) allorquando «la parte pone in essere un atto processuale non per perseguire lo scopo proprio dell'atto, ma - sviando l'atto dalla sua causa tipica - per perseguire uno scopo diverso da quello per cui l'atto è funzionalmente previsto dalla legge, dando luogo - per questo ad una violazione dei doveri di correttezza e di buona fede, che è tenuta ad osservare»{C}[5].

Il concetto stesso di abuso del processo, perlomeno per quel che concerne i suoi confini ed i suoi limiti, sta allora conoscendo una fase di rimeditazione in chiave evolutiva.

Così, se verso una interpretazione funzionale dello strumentario processuale volta ad evitare lo spreco di attività giurisdizionale ed il rischio di decisioni contrastanti sembra propendere la fondamentale pronuncia sulla rilevabilità d’ufficio della nullità contrattuale (Cass. civ., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242){C}[6], in una prospettiva di ancor maggiore elasticità nella valutazione delle condotte sospettate di abusività si collocano le sentenze gemelle del febbraio 2017, nn. 4090 e 4091 in commento.

Tutto ciò a riprova della velleità, nella incessante produzione giurisprudenziale, di una tassonomia giuridica dell’abuso del mezzo processuale.

Il confronto dialettico si divide pertanto tra chi invoca, attraverso una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 100 c.p.c., un vaglio giurisdizionale sulla «meritevolezza della tutela richiesta»[7]{C}, e chi, da altro versante, ritiene che per evitare abusi e comportamenti scorretti siano sufficienti le disposizioni di cui agli artt. 88, 89, 91, 92 e 96 c.p.c., senza che si avverta il bisogno di demandare alla giurisprudenza, specie se di ultima istanza, l’introduzione di nuovi istituti o di ulteriori concetti, potenzialmente idonei a precludere, in rito, la domanda di giustizia{C}[8].

All’interprete, dunque, il compito (arduo) di tirare le fila di un discorso tutt’altro che concluso.

Barcellona Pozzo di Gotto, lì 17.10.2017

(di Emanuele Quadraccia)

 


{C}[1]{C} Cfr., per un’approfondita disamina delle questioni affrontate da Cass. civ., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726, Palmieri-Pardolesi, Frazionamento del credito e buona fede inflessibile, in Foro it., 2008, I, 1514 ss.; Caponi, Divieto di frazionamento giudiziale del credito: applicazione del principio di proporzionalità nella giustizia civile?, ibidem.

{C}[2] Propende per l’inammissibilità la giurisprudenza maggioritaria, anche amministrativa: v., di recente, Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2017, n. 5677; nonché, Cass. civ., sez. un., 15 maggio 2015, n. 9936; Cons. St., sez. V, 30 novembre 2012, n. 6110; alla tesi dell’improponibilità aderisce, di rimando, Cass. civ., sez. VI, 21 ottobre 2015, n. 21318.

{C}[3]{C} Per i primi commenti alle sentenze in rassegna, v., Maura, Diritti di credito diversi? Se relativi allo stesso rapporto possono essere fatti valere separatamente, in Diritto & Giustizia, 31, 2017, 7; Asprella, Il frazionamento dei diritti di credito relativi ad un medesimo rapporto di durata, in www.judicium.it; Troncone, Note minime sul frazionamento del credito a seguito di Cass., sez. un., 16 febbraio 2017, nn. 4090 e 4091, ibidem.

[4]{C} Cfr., ex aliis, Scognamiglio, L’abuso del diritto, in Contratti, 2012, 1, 5 ss.; Galgano, Qui suo iure abutitur neminem laedit?, in Contr. impr., 2011, 311 ss.; Delli Priscoli, Abuso del diritto e mercato, in Giur. comm., 2010, II, 834 ss.; Mastrorilli, L'abuso del diritto e il terzo contratto, in Danno e resp., 2010, 352 ss; Palmieri-Pardolesi, Della serie "a volte ritornano": l'abuso del diritto alla riscossa, in Foro It., 2010, I, 95 ss.; Macario, Recesso ad nutum e valutazione di abusività nei contratti tra imprese: spunti da una recente sentenza della Cassazione, in Corr. giur., 2009, 1577 ss..

 

{C}[5]{C} Cass. civ., sez. II, 7 novembre 2016, n. 22574, con nota di Brunialti, in Foro It., 2017, I, 201 ss.. Sull’abuso del processo in generale, di recente, v., Fornaciari, Note critiche in tema di abuso del diritto e del processo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2016, 593 ss.; in particolare, sulla questione del frazionamento del credito, Cariglia, L’infrazionabilità del credito tra limiti oggettivi del giudicato e divieto di abuso del processo, in Giur. it., 2016, 1124 ss..

{C}[6]{C} Proto Pisani, Rilevabilità d’ufficio della nullità contrattuale: una decisione storica delle sezioni unite, in Foro it., 2015, I, 862 ss.. La S.C., nell’occasione, ha avuto modo di sottolineare la rilevanza costituzionale, ex art. 54 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, del divieto di abuso del diritto (e del processo).

{C}[7]{C} Ghirga, La meritevolezza della tutela richiesta. Contributo allo studio sull’abuso dell’azione giudiziale, Milano, 2004, passim.

{C}[8]{C} In questo senso, criticamente, Scarselli, Sul c.d. abuso del processo, in Riv. dir. proc., 2012, 1450 ss., che propone un’efficace quadripartizione delle figure riconducibili all’abuso del processo.

 

 
 
 
 
 
 

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