1. L’importanza della CEDU quale fonte del diritto di famiglia e minorile italiano
I più rilevanti diritti dei minori sono diritti umani fondamentali, tutelati non solo da norme nazionali, ma anche da un ventaglio di altri strumenti normativi, adottati a livello internazionale ed europeo e come tali si collocano al massimo grado nella gerarchia delle fonti.
In tale quadro giuridico, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha da sempre rivolto un’attenzione specifica alla protezione dei diritti dei minori[2], sia in quanto componenti del nucleo familiare che in quanto singoli individui caratterizzati da una particolare fragilità [3] .
Nel corso degli anni, la tutela dei diritti dei fanciulli si è rafforzata particolarmente grazie ad un’interpretazione evolutiva della CEDU ad opera della Corte europea e ad oggi, proprio la CEDU, rappresenta una delle fonti normative più rilevanti per l’evoluzione del diritto di famiglia e minorile italiano. Tale tutela ha infatti sicuramente avuto negli ultimi tempi un ulteriore impulso, ad opera della Corte costituzionale mediante la “promozione” nella gerarchia delle fonti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a partire dal 2007, a testo normativo intermedio tra gli atti aventi forze di legge e la Costituzione[4].
Tuttavia, la CEDU non presenta, in apparenza, l’aspetto di un trattato child-friendly e le sue potenzialità per la tutela dei diritti dei minori non sono, pertanto, a priva vista evidenti. La Convenzione, difatti, cita espressamente i minori unicamente nei suoi articoli 5 e 6 e non contiene nessun specifico riferimento al principio del superiore interesse del minore[5].
Nello specifico, l’art. 5 della CEDU sancisce un’eccezione al diritto alla libertà personale dei minori, sancendo i casi nei quali essi possono essere legittimamente privati della loro libertà[6]. L’art. 6, invece, dedicato al diritto ad un equo processo, stabilisce che l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico, durante tutto o parte del procedimento, quando lo esigono gli interessi dei minori.
In aggiunta a tali disposizioni contenute nella CEDU, un riferimento ai fanciulli si ritrova anche nell’art. 2 del 1° Protocollo addizionale alla Convenzione, nel quale viene sancito il diritto dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose e filosofiche.
Nonostante i richiami ai minori non siano numerosi, è sempre stato pacifico che tutte le disposizioni della CEDU, e dunque non solo gli articoli 5 e 6, siano applicabili anche ai fanciulli in virtù dell’art. 1 della Convenzione che afferma che gli Stati parte devono riconoscere a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nella CEDU.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha poi chiarito che la discriminazione basata sull’età ricade nell’ambito dell’art. 14 della CEDU, che sancisce il principio di non discriminazione, nonostante essa non sia ivi espressamente menzionata.
Infine, l’art. 34 della CEDU conferisce ad ogni persona fisica, che sia stata vittima della violazione dei diritti riconosciuti nella CEDU o nei suoi protocolli addizionali, la possibilità di ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
La Corte europea di Strasburgo ha costantemente esaminato ricorsi promossi in difesa dei diritti dei fanciulli nei quali figurava come ricorrente anche il fanciullo interessato assieme all’adulto (o agli adulti) di riferimento[7], a partire dal noto caso Marckx[8]. Proprio la possibilità di poter ottenere una tutela giurisdizionale davanti alla Corte europea evidenzia che tutte le disposizioni della CEDU rappresentano dei diritti garantiti ai fanciulli e non solo dei semplici doveri di protezione posti a carico degli Stati parte.
Come sopra anticipato, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha tutelato i diritti dei minori interpretando in maniera estensiva alcuni articoli della CEDU in particolare, ovvero gli articoli 2 (diritto alla vita), 3 (proibizione della tortura ), 4 (divieto di schiavitù e lavoro forzato) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare).
L’art. 8, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, risulta essere la base giuridica più utilizzata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per tutelare i diritti dei minori in molteplici questioni familiari, tra le quali si annoverano, in particolare, i casi di adozione[9], sottrazione internazionale di minori, controversie sul diritto di visita dei genitori o sul diritto all’identità dei fanciulli.
Negli ultimi anni, l’Italia è stata condannata numerose volte per la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare in vicende in cui erano coinvolti dei minori, ma non solo le sentenze di condanna specificatamente rivolte all'Italia hanno influenzato le riforme del diritto minorile italiano; per tale ragione, anche alcune pronunce che hanno interessato ordinamenti simili meritano di essere citate nei prossimi paragrafi[10].
Prima di analizzare alcuni dei cambiamenti più rilevanti per l’ordinamento italiano, derivanti dall’applicazione della CEDU, è opportuno chiarire quale sia il modus operandi della Corte europea dei diritti dell’uomo e quale sia il suo rapporto attuale con la Corte di Giustizia dell’Unione europea in materia di tutela dei diritti dei minori.
2. Il modus operandi della Corte europea dei diritti dell’uomo a tutela dei minori
La Corte europea dei diritti dell’uomo è riuscita ad avere un forte impatto sul diritto minorile italiano attraverso l’utilizzo di diverse “tecniche”; prima fra tutte, come sopra accennato, grazie ad un’interpretazione evolutiva della CEDU, le cui disposizioni sono state lette ed interpretate alla luce di altre fonti internazionali e/o europee tutelanti i diritti dei minori[11].
In particolare la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (c.d. Convenzione di New York, siglata il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176) ha influenzato (ed influenza tuttora) enormemente il ragionamento della Corte europea dei diritti dell’uomo e l’interpretazione evolutiva della CEDU [12] ; ciò ha permesso di massimizzare il potenziale di entrambe le Convenzioni a vantaggio della promozione dei diritti dei fanciulli[13]. Una delle aree in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo è stata maggiormente influenzata dalla Convenzione di New York riguarda i casi di abusi e punizioni corporali nei confronti dei minori[14].
Un’altra “strategia” utilizzata di frequente dalla Corte europea dei diritti dell’uomo è quella di censurare le violazioni dei diritti procedurali che hanno pregiudicato la tutela effettiva dei diritti sostanziali contenuti e tutelati dalla CEDU.
In materia minorile, un tipico esempio riguarda l’adozione di sentenze nazionali che sancivano un limite al diritto al rispetto della vita privata e familiare di un minore e dei suoi genitori (ad esempio, in casi di allontanamento ed affido del minore ad una famiglia affidataria) e che sono state adottate senza porre la dovuta attenzione ai diritti procedurali delle parti in causa. Di conseguenza, in diversi casi, la Corte europea ha condannato gli Stati coinvolti per non aver garantito il diritto dei genitori di partecipare alle varie fasi giudiziarie precedenti alla decisione finale decretante l’allontanamento del minore e per non aver rispettato il diritto dello stesso minore di essere ascoltato nel corso del processo[15].
La prassi di creare obbligazioni positive in capo agli Stati parte rappresenta un’altra “tecnica” utilizzata dalla Corte europea per tutelare i diritti dei fanciulli (e non solo).
In particolare, tale meccanismo, grazie al quale vengono censurati anche comportamenti omissivi delle autorità nazionali ove pregiudizievoli per i diritti garantiti dalla CEDU, è stato molto utilizzato in casi di sottrazione internazionale di minori, diritti di custodia dei figli e abusi sui minori[16] e tramite esso la Corte europea è riuscita a generare cambiamenti dirompenti negli ordinamenti nazionali, tra cui anche in quello italiano.
Nello specifico, per quanto riguarda, ad esempio, i provvedimenti in tema di rapporto genitori-figli minori, la Corte europea ha chiarito che le autorità competenti degli Stati parte non solo non devono porre in essere comportamenti arbitrari ed intrusivi nella sfera di libertà dei nuclei familiari (a meno che non siano necessari per salvaguardare lo sviluppo psicofisico dei minori coinvolti), ma devono anche attivarsi per recuperare il legame genitori-figli minori quando quest’ultimo sia stato temporaneamente interrotto. Un minore, infatti, ha sempre il diritto di preservare i rapporti con i propri genitori in assenza di condizioni per lo stesso pregiudizievoli.
Nel corso degli anni, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha fatto ricorso allo strumento delle obbligazioni positive nei confronti dell’ordinamento italiano principalmente per denunciare e condannare le seguenti prassi: ritardi delle autorità giudiziarie nel garantire l’esecuzione del diritto di visita del genitore non coabitante; mancata proattività delle stesse autorità giudiziarie nel promuovere la cooperazione tra le parti coinvolte tramite ricorso alla mediazione familiare o a idonei specialisti in terapie di coppia e familiari; eccessiva discrezionalità lasciata ai servizi sociali dalle autorità giudiziarie nel gestire delicate situazioni familiari e assenza di responsabilità dei tribunali nel fornire limiti e direttive precise agli operatori sociali entro cui operare, nonché mancato controllo della corretta e tempestiva esecuzione dei provvedimenti giudiziari emessi[17].
Ad esempio, in una serie di pronunce[18], la Corte europea ha condannato l’Italia per aver ingiustamente interrotto i contatti tra il minore in affidamento e il genitore non convivente in quanto la ratio non derivava da una scrupolosa valutazione della situazione familiare che aveva evidenziato un potenziale pregiudizio per il minore nella frequentazione del genitore non coabitante, bensì da ritardi di carattere organizzativo/burocratico o da decisioni arbitrarie degli operatori dei servizi sociali non rispettose dei provvedimenti giudiziari adottati dai tribunali di competenza.
In particolare, nel caso Scozzari e Giunta c. Italia, la Corte europea ha criticato l’eccessiva discrezionalità lasciata ai Servizi Sociali nel fissare il calendario degli incontri madre-figli. Gli incontri stabiliti, da un lato, non erano idonei a consentire la ripresa dei loro rapporti e, dall’altro, non tenevano nemmeno in considerazione le prescrizioni del magistrato. La condotta omissiva dello Stato italiano in tale vicenda, che aveva causato un deterioramento importate dei rapporti madre-figli, è stato quindi censurato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Ciò premesso, nel paragrafo successivo verrà analizzato il delicato rapporto tra Corti (Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte di Giustizia dell’UE) e tra i rispettivi strumenti di tutela (CEDU e Carta dei diritti fondamentali dell’UE) alla luce della crescente interdipendenza dei due sistemi per la tutela dei diritti dei minori.
3. Corte EDU e Corte di Giustizia dell’UE: un dialogo da rafforzare o da costruire ex novo?
Le iniziative nel settore dell’infanzia e dell’adolescenza promosse dall’Unione europea rappresentano un continuum di quelle adottate dalle Nazioni Unite e dal Consiglio d’Europa.
Fino agli anni ’90, le questioni riguardanti i diritti dei minori sono state poco rilevanti per l’agenda UE in quanto l’Unione europea aveva limitate competenze nel campo dei diritti fondamentali in generale[19].
In questi ultimi anni, tuttavia, il ruolo dell’UE a protezione dei diritti dei minori è cresciuto, influenzato dal ritmo dell’integrazione europea, dallo sviluppo del concetto di cittadinanza europea e dall’allargamento dell’Unione[20].
Al giorno d’oggi, infatti, l’Unione europea è sempre più emancipata dalla sua originaria dimensione economica ed è in grado di porsi sempre più come una “global or postnational human rights organisation”[21].
Il Trattato di Lisbona ha reso obbligatoria l’adesione dell’Unione europea alla CEDU[22] ed ha attribuito ai diritti fondamentali, garantiti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, il valore di principi generali dell’Unione.
Questa progressiva evoluzione verso una maggiore tutela dei diritti fondamentali, ha arricchito l’agenda UE a vantaggio anche dei diritti dei minori. Negli ultimi anni, infatti, l’UE ha adottato numerose misure legislative e sponsorizzato diverse iniziative al fine di rafforzare la tutela dei minori e monitorare l’impatto delle politiche UE sui loro diritti[23].
La proliferazione di questi strumenti è dovuta anche all’adozione, nel 2011, da parte della Commissione europea, dell’”Agenda UE per i diritti dei minori’ che ha fissato una serie di priorità per le future azioni dell’Unione in questioni di interesse per i fanciulli[24].
Al giorno d’oggi, i minori rappresentano un terzo della popolazione europea e la centralità dei loro diritti ha finalmente trovato un riconoscimento importante nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Quest’ultima, adottata nel 2000 e diventata parte integrante del diritto primario dell’UE grazie al Trattato di Lisbona, dedica, infatti, ai diritti dei minori l’art. 24[25].
La presenza dell’art. 24, ovvero di un’esplicita disposizione dedicata alla tutela dei diritti dei minori, costituisce un’importante innovazione rispetto all’acquis comunitario[26] in quanto, prima del Trattato di Lisbona, i fanciulli venivano tutelati generalmente nell’ambito del principio del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dell’individuo.
Oltre all’art. 24, la Carta dei diritti fondamentali dell’UE contiene anche altre disposizioni rilevanti per i diritti minori come gli artt. 7 (rispetto della vita privata e della vita familiare), 14 (diritto di accesso gratuito all’istruzione obbligatoria), 21 (divieto di ogni discriminazione sulla base dell’età), 32 (divieto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro) e 33 (protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale)[27].
Inoltre, dalla lettura congiunta degli artt. 20 (uguaglianza davanti alla legge) e 21 (non discriminazione)[28], emerge che anche tutti gli altri diritti contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE siano da intendersi come riconosciuti anche ai minori.
Nella prospettiva, in verità ancora lontana dal realizzarsi, della futura adesione dell’Unione europea alla CEDU, poi, gli articoli 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali[29] assumerebbero un’importanza particolare in quanto essi garantiscono omogeneità interpretativa tra le disposizioni di quest’ultima e quelle corrispondenti della CEDU, chiarendo anche che, in caso di contrasto, prevarranno le norme della Carta solo se volte a riconoscere una tutela più estesa.
Di conseguenza, un innalzamento del livello di protezione offerto dalla CEDU, a seguito di un intervento chiarificatore della Corte europea dei diritti dell’uomo, dovrebbe determinare un obbligo di adeguamento nell’interpretazione e nell’applicazione delle corrispondenti disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Di contro, un eventuale abbassamento dello standard di tutela nel quadro della CEDU non dovrebbe consentire alle istituzioni europee e agli Stati membri di abbassare lo standard di tutela già raggiunto a livello UE, rimanendo gli stessi obbligati ad assicurare il pieno rispetto delle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Nonostante la presenza degli artt. 52 e 53 nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE sia molto positiva, vi è ancora molta incertezza in merito alla corretta applicazione di tali disposizioni da parte della Corte di Giustizia, dovuta sia a ragioni di ordine sistematico-istituzionale che si riflettono nelle differenze insite nei due ordinamenti giuridici a confronto, l’UE, da un lato, e il Consiglio d’Europa, dall’altro, sia a limiti posti dallo stesso Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE).
In particolare, se si osservano le competenze dell’UE nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale, ovvero un settore nel quale l’Unione europea ha adottato negli ultimi anni numerose direttive a tutela dei diritti dei minori (autori o vittime di reato)[30], si nota che gli articoli 82 e 83 del TFUE consentono all’Unione europea di adottare direttive contenenti soltanto “norme minime” di diritto penale sostanziale e procedurale. Questo limite, sancito nel TFUE, pertanto, può finire facilmente per creare contrasti con il principio di equivalenza sancito nell’art. 52, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e, difatti, numerose disposizioni a tutela dei fanciulli contenute nelle recenti direttive adottate dall’UE sono state criticate in dottrina proprio per aver fissato standard di tutela di gran lunga inferiori a quelli già garantiti dalla CEDU[31].
Inoltre, sinora, la Corte di Giustizia si è sempre mostrata piuttosto reticente nell’ammettere che ci sia una piena coincidenza di tutela tra i due strumenti di protezione dei diritti umani (ovvero CEDU e Carta dei diritti fondamentali dell’UE), ma lo ha ammesso esplicitamente per quanto riguarda l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali e l’art. 8 della CEDU che tutelano entrambi il diritto al rispetto della vita privata e familiare[32].
Considerata l’ampiezza della tutela offerta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il tramite dell’art. 8 della CEDU[33] e, in particolare, la sua copiosa giurisprudenza in questioni riguardanti i diritti dei minori, tale affermazione della Corte di Giustizia è particolarmente rilevante e una maggiore valorizzazione del principio di equivalenza, ad opera della Corte di Giustizia, potrebbe in futuro essere fonte di grandi novità a livello UE.
Venendo all’Unione europea, il Trattato di Lisbona ha introdotto i diritti dei minori nel Trattato sull’Unione europea (TUE) e, nello specifico, nell’art. 3, ove è sancito espressamente che tra gli obiettivi generali dell’Unione vi è la promozione della “tutela dei diritti dei fanciulli” e che l’Unione si impegna nella tutela dei diritti umani e, in particolare, nella tutela dei diritti dei minori. Questo impegno è rafforzato anche dal paragrafo 5 dell’art. 3 del TUE che identifica la protezione dei diritti dei minori come un importante aspetto della politica estera europea.
Il Trattato di Lisbona, pertanto, includendo la tutela dei diritti dei minori tra gli obiettivi dell’Unione, ha sicuramente contribuito a convogliare l’attenzione del legislatore europeo su tali tematiche.
Nonostante ciò, occorre sottolineare che a livello UE non esiste una definizione “ufficiale” di “minore” (né nei Trattati, né nella Carta dei diritti fondamentali, né in nessuna pronuncia della Corte di Giustizia).
In difetto di indicazioni sulla definizione di “minore” e tenuto conto del richiamo effettuato nel preambolo della Carta dei diritti fondamentali ai “diritti derivanti (…) dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri”[34], sarebbe pacifico ritenersi che, avendo tutti gli Stati membri ratificato la Convenzione di New York, per “minore” o “fanciullo” debba intendersi “ogni essere umano avente un’età inferiore a diciotto anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile”, così come sancito dall’art. 1 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo; in realtà, nel diritto UE derivato, il concetto di “minore” può variare considerevolmente a seconda del contesto di riferimento e questo genera incoerenze nelle varie politiche UE[35].
Inoltre, né la Carta dei diritti fondamentali dell’UE con l’art. 24, né il TUE con l’art. 3 hanno conferito all’Unione europea una competenza generale che le consenta di legiferare in materia di diritti dei minori; tali disposizioni hanno unicamente sancito degli obiettivi e dei principi guida per l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni di diritto primario e derivato, nonché posto dei limiti all’adozione di politiche europee che non siano di per sé pregiudizievoli per i minori.
Non essendoci una base giuridica generale, quindi, i provvedimenti a tutela dei minori continuano ad essere fondati sul titolo V del TFUE, dedicato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, e ad essere adottati nell’ambito dei settori della cooperazione giudiziaria in materia civile e penale[36].
Appare, pertanto, evidente che l’Unione europea, nonostante le ambizioni racchiuse in alcuni strumenti programmatici importanti, come l’Agenda UE per i diritti dei minori, possegga in realtà limitati poteri legislativi che le consentano di adottare atti normativi a tutela dei minori.
A ciò si aggiunge il fatto che il Consiglio europeo ha il compito di definire “gli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia”[37]. In pratica, quindi, sono gli Stati membri che continuano a stabilire, anche dopo Lisbona, le linee generali degli sviluppi in questo settore, nonostante lo smantellamento dei tre pilastri[38].
In tal senso, si può ben comprendere poiché gli strumenti normativi a tutela dei fanciulli, adottati sinora a livello UE, siano stati di frequente criticati in dottrina poiché poco incisivi a livello nazionale a causa del basso standard di tutela offerto: tali normative sono sempre il frutto di difficili compromessi raggiunti tra gli Stati membri in questioni delicate di preminente interesse nazionale. Il diverso grado di ottemperanza alle normative UE in materia ad opera dei vari Stati membri, poi, ha dato vita ad un’attuazione del diritto UE a tutela dei minori “a macchia di leopardo”.
Risultano, pertanto, indispensabili l’opera di vigilanza della Commissione europea assieme al ruolo della Corte di Giustizia nel guidare gli Stati membri verso la corretta interpretazione e applicazione del diritto UE al fine di ottenere quella (anche minima) armonizzazione che da soli gli strumenti normativi spesso non riescono a stabilire con chiarezza e, di conseguenza, nemmeno ad imporre agli Stati membri.
Al riguardo, è interessante analizzare ora quale sia stato sinora il ruolo della Corte di Giustizia nella tutela dei diritti dei fanciulli e confrontare il suo intervento con quello della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Innanzitutto, negli ultimi anni, la Corte di Giustizia si è occupata di pochi casi direttamente rilevanti per i diritti dei fanciulli[39], dei quali la maggioranza verteva sui diritti connessi alla cittadinanza europea e al diritto al rispetto della vita privata e familiare. Per fare un paragone, la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel medesimo arco temporale, si è occupata di più di mille casi riguardanti i diritti dei fanciulli[40].
A differenza della Corte di Strasburgo, inoltre, i riferimenti alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo da parte della Corte di Giustizia sono estremamente rari, sebbene la Convenzione di New York abbia comunque una certa forza vincolante a livello UE.
In base all’art. 6, par. 3, del TUE, infatti, “i diritti fondamentali (…) risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali” e tutti gli Stati membri sono vincolati al rispetto della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. Inoltre, la stessa formulazione dell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE si basa sulla Convenzione di New York[41]. La Corte di Giustizia ha anche dichiarato espressamente che la Convenzione sui diritti del fanciullo rappresenta il principale punto di riferimento per verificare la compatibilità del diritto UE con i diritti fondamentali dei minori[42], ma risale al 2006 l’unico caso in cui la Corte ha deciso una causa attribuendo un peso decisivo a detta Convenzione nel suo percorso decisionale[43].
L’analisi delle sentenze della Corte di Giustizia mostra anche che, sinora, sono ancora poco numerosi i casi in cui la Corte abbia fatto riferimento all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE per supportare il proprio ragionamento o per guidare gli Stati membri verso la migliore soluzione per i diritti dei fanciulli coinvolti a seguito di un rinvio pregiudiziale[44].
In generale, infatti, l’art. 24 è stato utilizzato quando era necessario per conservare il “sistema UE”, ovvero in maniera strumentale all’esigenza di non scardinare il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri (che regola il funzionamento di molti istituti legati alla circolazione delle decisioni nell’Unione europea) o in maniera subordinata alla tutela delle quattro libertà fondamentali[45]. In altri casi, la Corte di Giustizia ha citato l’art. 24, ma l’interesse superiore del minore è stato valutato meramente in astratto o oppure il principio del superiore interesse del minore è stato invocato come semplice “clausola di stile” senza che ciò influisse sul ragionamento giuridico e sulla motivazione finale della Corte[46].
Per contro, nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il principio del superiore interesse del minore ha conosciuto, nel tempo, un’evoluzione importante, passando da mero criterio interpretativo a principio generale avente portata autonoma e capace, quindi, di condurre a importanti revirement giurisprudenziali.
Il caso Neulinger e Shuruk c. Svizzera[47], in materia di sottrazione internazionale di minori, rappresenta il leading case dell’inizio di questo cambiamento nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (non esente, tuttavia, da critiche come si vedrà).
Prima del caso Neulinger, la Corte europea dei diritti dell’uomo riteneva in maniera presuntiva che il ritorno immediato ed automatico del minore, illegittimamente sottratto da uno dei genitori e portato in un altro Paese, rispettasse non solo la Convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori e il regolamento UE n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, ma anche l’art. 8 della CEDU che tutela il diritto del minore sottratto al rispetto della sua vita privata e familiare precedente al suo allontanamento dal Paese di origine.
Nella sentenza Neulinger, invece, la Corte europea ha affermato che la Convenzione dell’Aja è uno strumento essenzialmente procedurale e, pertanto, le sue disposizioni devono essere sempre interpretate alla luce dei principi e dei diritti garantiti ai fanciulli.
Ribaltando, quindi, la prima pronuncia resa sul caso, che era in linea con l’orientamento interpretativo tradizionale precedente[48], la Grande Camera della Corte europea ha accertato una violazione dell’art. 8 della CEDU tenendo in considerazione una serie di fattori che, nel caso di specie, rendevano maggiormente pregiudizievole il ritorno del minore nel Paese dal quale era stato sottratto dal padre (ovvero Israele)[49], considerato anche che il minore si era ormai ambientato in Svizzera da 5 anni (luogo in cui era stato condotto dalla madre).
Questa sentenza è molto rilevante perché la Corte europea dei diritti dell’uomo ha costruito il suo ragionamento basandosi sulla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. La Corte europea, infatti, ha affermato la prevalenza della CEDU, letta alla luce della Convenzione di New York, sulla Convenzione dell’Aja, ponendo fine alla prassi di applicare quest’ultima in maniera automatica senza un’analisi del caso concreto e, soprattutto, senza una valutazione del superiore interesse dei minori coinvolti[50].
Questo approccio case by case è stato molto criticato in dottrina poiché in grado di sovvertire non solo il sistema della Convenzione dell’Aja del 1980, ma anche quello, più recente, messo in campo dall’Unione europea tramite il regolamento UE 2201/2003.
Nel successivo caso Sneersone e Campanella c. Italia[51], infatti, la Corte europea, nel nome del principio del superiore interesse del minore, ha sostanzialmente disapplicato le disposizioni del Regolamento UE 2201/2003 che erano state introdotte dal legislatore europeo proprio per arginare le problematiche legate ad un’applicazione troppo discrezionale della Convenzione dell’Aja del 1980 e per limitare le possibilità di evitare il rientro dei minori illegittimamente sottratti invocando il principio del superiore interesse del minore[52].
Nel caso Sneersone e Campanella c. Italia, la Corte europea ha, infatti, accertato una violazione dell’art. 8 della CEDU ad opera dell’Italia, colpevole di aver disposto il ritorno del minore in maniera troppo automatica, senza tenere in considerazione l’interesse del fanciullo nel momento in cui lo stesso provvedimento era stato adottato.
L’interesse del minore è dunque sempre più spesso individuato dalla Corte di Strasburgo nel restare nel luogo dover ormai si sia stabilizzato ed ambientato.
Nonostante le due sentenze sopra citate possano essere discutibili sotto vari punti di vista, esse mostrano come, nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il perseguimento del superiore interesse del minore sia ormai un elemento in grado di introdurre flessibilità al normale funzionamento di certi istituti giuridici, nonché una sorta di “correttivo eccezionale” in grado di frenare gli automatismi.
Al contrario, invece, la prassi della Corte di Giustizia è piuttosto quella di citare l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali per limitarne la portata.
Ad esempio, la Corte di Lussemburgo ha affermato che l’applicazione dell’art. 24 non può portare a deroghe di competenza o di altre norme contenute nei regolamenti UE (casi Detiček e Povse[53]), né essere invocato per aumentare il controllo sul rispetto dello stesso articolo ad opera del giudice dell’esecuzione (caso Zarraga[54]) o per limitare la libertà di scelta del giudice competente per la separazione ad opera dei genitori del minore (caso A c. B[55]) o ancora per limitare la discrezionalità degli Stati membri nell’esaminare le domande di ricongiungimento familiare (caso O. e S.[56]).
Il rafforzamento, la valorizzazione e la corretta applicazione in concreto del principio del superiore interesse del minore sono necessari per rispettare l’obbligo dell’Unione europea di promuovere e contribuire alla tutela dei diritti dei minori (ex art. 3 TUE) e allo stesso modo lo è il dialogo tra le due Corti (Corte EDU e Corte di Giustizia) che allo stato attuale appaiono ancora molto distanti l’una dall’altra.
4. L’impatto della CEDU sull’ordinamento italiano
Come più volte ribadito, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha rappresentato sinora uno stimolo importante per l’evoluzione del diritto familiare e minorile italiano e importanti riforme sono nate proprio dall’esigenza di rispettare i diritti sanciti dalla CEDU.
Alcune sentenze della Corte EDU, in particolare, hanno spinto il legislatore italiano ad intervenire a tutela dei diritti dei minori in Italia.
Un primo esempio dell’influenza della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è rappresentato dalla legge del 10 dicembre 2012 n. 219, recante “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”, e dal successivo decreto legislativo n. 14 del 2013[57], con i quali la disciplina italiana in materia di filiazione è stata ampiamente riformata, attraverso la consacrazione del principio di unicità dello status di figlio[58].
Al riguardo, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha tutelato, sin dalla fine degli anni settanta, il rapporto tra genitori e figli, anche in caso di filiazione fuori dal matrimonio, sancendo il principio di uguaglianza tra i figli e bandendo ogni forma di discriminazione che discendesse dalla scelta dei genitori di contrarre o meno matrimonio[59].
Sin d’allora, pertanto, era pacifico che l’art. 8 della CEDU tutelasse una nozione di vita familiare che include non solo la filiazione legittima, ma anche quella naturale. L’ordinamento italiano ha finalmente recepito tale importante principio con la legge 219/2012, dopo che anche la Corte Costituzionale era intervenuta, in nome del principio di uguaglianza giuridica, eliminando alcune discriminazioni tra figli legittimi e naturali insite nell’ordinamento italiano[60].
Un altro esempio dell’importante influenza della CEDU sul diritto minorile e familiare italiano è la legge n. 173 del 2015 sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare che ha attuato i principi sanciti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza Moretti e Benedetti c. Italia del 27 aprile 2010.
In tale sentenza, la Corte europea ha condannato l’Italia poiché, nel valutare la soluzione migliore per una bambina che non era stata riconosciuta dalla madre biologica ed era stata affidata subito dopo la nascita ad una coppia di affidatari, i giudici non avevano considerato con priorità la domanda di adozione presentata nelle more dell'affidamento dagli stessi affidatari con i quali la bambina aveva instaurato uno stretto rapporto affettivo e la minore era stata adottata da un’altra famiglia. La Corte europea ha quindi ravvisato una violazione dell’art 8 della CEDU poiché lo stretto legame di fatto instauratosi tra la minore e gli affidatari andava tutelato, nonostante l’assenza di un rapporto giuridico di parentela, in quanto la coppia di affidatari aveva già vissuto con la minore le prime tappe importanti della sua vita.
La legge n. 173 del 2015 ha, pertanto, riconosciuto il diritto del minore alla continuità degli affetti con gli affidatari sia nel caso di un ritorno del minore nella famiglia di origine al termine dell'affidamento, sia in caso di affidamento del minore ad una nuova famiglia, sia quando, nelle more dell’affidamento, come nel caso Moretti, si ritenga che le difficoltà della famiglia di origine siano divenute tali da giustificare una pronuncia di adottabilità del minore.
Un altro caso che merita di essere menzionato per l’effetto che ha avuto sull’ordinamento italiano è la vicenda Godelli c. Italia[61] nella quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia poiché la normativa in materia di adozione tutelava in maniera eccessivamente sproporzionata il diritto della madre biologica all’anonimato, impedendo una valutazione degli altri interessi in gioco, tra cui, primo tra tutti, il diritto del minore abbandonato a conoscere la propria identità.
Gli automatismi del sistema italiano sono stati considerati contrari alla CEDU e, in particolare, all’art. 8, potendo il mancato soddisfacimento del desiderio di conoscere la propria identità e storia personale procurare sofferenze psicologiche e fisiche sull’individuo adottato[62].
Tale sentenza ha posto le basi per la riforma in materia di tutela giurisdizionale del diritto all’accesso alle origini da parte del figlio nato da madre che al momento del parto aveva dichiarato di voler rimanere anonima.
A seguito della sentenza Godelli, infatti, è intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza n. 278 del 2013[63], dalla quale è sorto un vivace dibattito in seno alla giurisprudenza di merito che è stato risolto con l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 1946 del 25 gennaio 2017.
Tale pronuncia ha riequilibrato nell’ordinamento italiano il rapporto tra due interessi contrapposti, quello del figlio ad accedere alle proprie origini e quello della madre al mantenimento dell’anonimato (in precedenza sbilanciato a favore di quest’ultima), riportando la tematica del diritto a conoscere le proprie origini nel perimetro della tutela offerta dall’art. 8 della CEDU.
Le Sezioni Unite hanno, infatti, chiarito che i giudici sono tenuti ad accertare, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini, la persistente volontà della madre biologica di mantenere il segreto sulla sua identità, interpellando la donna ai fini di un eventuale revoca di tale dichiarazione e ciò con modalità idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della sua dignità; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché, anche in seguito all’interpello, persista il diniego della madre di svelare la propria identità.
In seguito, la Cassazione si è pronunciata anche in merito al diritto del figlio ad accedere alle proprie origini in caso di morte della madre biologica[64].
Ancora più recentemente, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, con la sentenza n. 6963 del 20 marzo 2018, ha esteso, richiamando la sentenza Godelli della Corte EDU, il diritto di accesso dell’adottato non solo a conoscere i propri genitori, ma anche gli stretti congiunti, come fratelli e sorelle biologici ormai adulti[65], sempre previo interpello e “con procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza e il rispetto della dignità delle persone interessate”.
Infine, di grande rilevanza per il diritto familiare e minorile italiano, è stata la legge n. 76 del 20 maggio 2016 (entrata in vigore il 5 giugno 2016, cd. legge Cirinnà) che ha regolamentato le unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplinato le convivenze.
Tale legge ha colmato le lacune dell’ordinamento italiano individuate dalla sentenza Oliari e altri c. Italia del 21 luglio 2015 nella quale la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l’Italia per l’ingiustificabile ritardo nel legiferare in materia di riconoscimento e tutela delle unioni omosessuali e, di conseguenza, per la violazione dell’art. 8 della CEDU.
La legge Cirinnà non estende ai partners uniti da unioni civili la possibilità di adottare un minore.
Mentre in materia di adozione di minori in stato di abbandono da parte di coppie omosessuali, sono ancora numerose le differenze tra gli Stati parte della CEDU[66], per quanto riguarda la stepchild adoption (ovvero l’adozione del figlio del partner), la compatibilità della legge Cirinnà con la CEDU, ove prevede di non estendere alle unioni civili l'istituto dell'adozione del figlio del coniuge, di cui all'art. 44, lett. b, legge n. 184/1983, ha sempre fatto discutere.
Tale incompatibilità, infatti, è evidente sia alla luce della prassi della Corte europea dei diritti dell’uomo che tutela i rapporti affettivi esistenti e consolidatisi de facto tra adulti e minori, sia per la crescita in Europa di una tendenza favorevole alla sua ammissibilità.
In linea con tali osservazioni, la Corte di Cassazione ha avallato l’uso dell’adozione in casi particolari (ex. art. 44 e ss. l. n. 184/1983) per riconoscere il vincolo di filiazione tra un minore e il convivente omosessuale del genitore biologico (c.d. stepchild adoption).
Nella sentenza del 22 giugno 2016 n. 12962, la Suprema Corte ha, infatti, ufficialmente sancito l’ingresso della stepchild adoption nell’ordinamento italiano[67], richiamando la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso X & altri c. Austria[68].
In tale pronuncia, la Corte europea, dopo aver ribadito che anche le unioni omosessuali godono del diritto alla vita familiare (ex art. 8 CEDU) e che, pertanto, tali coppie non possono essere ritenute a priori inidonee a crescere un figlio, aveva condannato l’Austria per non aver garantito alle coppie omosessuali non coniugate la medesima possibilità di accedere alla stepchild adoption così come riconosciuto alle coppie non coniugate eterosessuali.
Dopo la Corte di Cassazione, anche la Corte costituzionale si è pronunciata in materia di stepchild adoption su un caso riguardante una coppia italiana che aveva fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero rientrando poi in Italia con un minore che risultava avere legami biologici solo col padre[69].
In tale occasione, la Consulta ha affermato un importante principio ovvero che in tali casi la madre non biologica[70] non può mai essere disconosciuta (né riconosciuta) in automatico. La Corte Costituzionale ha chiarito, infatti, che il giudice competente è sempre tenuto a confrontare l’interesse alla verità con l’interesse del minore. A parere della Corte Costituzionale, tra le variabili di cui tener conto, “oltre alla durata del rapporto con il minore e, quindi, alla condizione identitaria già acquisita, oggi assumono particolare rilevanza le modalità del concepimento e della gestazione e la possibilità per il genitore sociale di statuire, mediante l’adozione in casi particolari, una relazione giuridica che assicuri al minore un’adeguata tutela. Nella stima comparativa in questione, rientra pure la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento collega alla surrogazione di maternità, la quale offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”.
Proprio al fine di operare un distinguo tra i due istituti, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 12962 del 2016 sopra citata, ha espressamente chiarito che la stepchild adoption non inquadra un’ipotesi di maternità surrogata, essendo quest’ultima vietata nel nostro ordinamento ai sensi dell’articolo 12 della legge n. 40 del 2004.
La tematica della maternità surrogata è stata oggetto di uno dei più celebri revirement giurisprudenziali della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha riguardato proprio l’Italia nel noto caso Paradiso e Campanelli c. Italia[71].
Dopo una prima sentenza[72], infatti, nella quale la Corte europea aveva ritenuto contraria all’art. 8 della CEDU una misura di allontanamento e affidamento ai Servizi Sociali di un minore nato da una coppia italiana che aveva fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero ed era poi tornata in Italia, la Grande Camera della Corte europea ha successivamente escluso la presenza di detta violazione[73].
Tale sentenza presenta un interesse particolare poiché il minore, nato dalla maternità surrogata, non aveva nessun legame biologico con i due genitori italiani.
Nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia, le autorità italiane si erano rifiutate di trascrivere l'atto di nascita del bambino, nato in Russia da madre surrogata, e avevano disposto il suo collocamento presso i Servizi Sociali dopo che il neonato aveva trascorso i primi sei mesi di vita con la coppia. Il bimbo, per un certo periodo di tempo, era stato privato della sua identità e della cittadinanza e, in assenza di documenti, non aveva potuto frequentare una scuola. Alla fine il minore era stato dato in adozione ad un’altra famiglia.
Nel 2015, la II sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo aveva ritenuto le autorità italiane colpevoli di non aver effettuato un corretto bilanciamento tra i diversi interessi in gioco. La preoccupazione del Governo italiano in merito alla salvaguardia dell’ordine pubblico, minacciato dalla condotta della coppia che era contraria alla normativa in materia di adozione internazionale e al divieto (sussistente all’epoca) di fecondazione eterologa, venne ritenuta secondaria rispetto alla tutela della vita privata e familiare del minore coinvolto. A detta della Corte europea, infatti, in base ad un concetto esteso di “vita familiare”, pur in assenza di legami biologici con i coniugi Campanelli, il minore aveva trascorso con questi ultimi un periodo di tempo significativo nelle sue prime fondamentali tappe di vita tale da potersi parlare di “vita familiare”.
La prima sentenza nel caso Campanelli è stata molto criticata in dottrina in quanto, pur essendo l’argomentazione della Corte EDU in linea con il suo consueto approccio casistico e con il suo focus (nella determinazione della nozione di famiglia) sulle relazioni fattuali, essa rischiava di legittimare il c.d. “turismo procreativo”, avvallando sostanzialmente la violazione delle garanzie sostanziali e processuali poste dal diritto italiano nelle discipline in materia di procreazione medicalmente assistita e adozioni internazionali[74].
Successivamente tale pronuncia è stata ribaltata dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, partendo dall’assunto per cui, in questioni ancora così dibattute e delicate, gli Stati parte hanno il diritto di mantenere un ampio margine di discrezionalità.
Il caso Campanelli, inoltre, era particolarmente delicato perché in tutte le precedenti sentenze decise dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di maternità surrogata vi era almeno un legame biologico del minore con uno dei due genitori.
La Grande Camera della Corte europea ha quindi affermato che l’art. 8 della CEDU, pur potendo arrivare a tutelare un concetto di vita familiare molto esteso, non garantisce comunque il diritto di adottare, né tantomeno tutela il desiderio di creare una famiglia soprattutto quando sono gli stessi genitori ad agire contra legem, compromettendo le prospettive di instaurare un rapporto stabile, attualmente o potenzialmente, con il minore.
Anche dal punto di vista del principio del superiore interesse del minore, a parere della Grande Camera, è proprio nell’interesse del minore consolidare un rapporto familiare con i propri genitori che sia basato sulla legalità. Inoltre, secondo la Grande Camera e contrariamente a quanto affermato nella precedente sentenza Campanelli dalla II sezione della Corte europea, il lasso di tempo che il minore aveva trascorso insieme ai coniugi Campanelli (sei mesi di permanenza del minore con la coppia in Italia, preceduti da un periodo di circa due mesi in cui la Sig.ra Paradiso era stata con il bambino in Russia) era troppo breve per consolidare qualsiasi tipo di relazione familiare[75].
Per tutte queste ragioni, la Grande camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto giustificate le ragioni del Governo italiano, nonché le misure adottate nel caso di specie, poiché consentivano di tutelare non solo il minore coinvolto, ma più in generale tutti i minori rispetto a pratiche illecite che la maternità surrogata potrebbe finire per incoraggiare, come la tratta di esseri umani.
È evidente che l’assenza di legami biologici tra i genitori “committenti” e il minore abbia inciso sulla decisione della Grande Camera della Corte europea nel caso Campanelli, non essendo ravvisabile la possibilità di ricorrere alla stepchild adoption per tutelare la relazione familiare di fatto che si era in ogni caso instaurata.
Al riguardo, è interessante notare che la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha recentemente adottato il primo parere consultivo in attuazione del Protocollo addizionale n. 16 (in vigore dal 1° agosto 2018 per 10 Paesi del Consiglio d’Europa)[76] proprio in materia di stepchild adoption.
Il parere è particolarmente rilevante poiché, pur non essendo vincolante e non interessando direttamente l’Italia, fornisce comunque chiarimenti sull’attuale indirizzo ermeneutico della Corte europea in materia di stepchild adoption, essendo il parere stato adottato all’unanimità.
La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo è stata, infatti, consultata dalla Corte di Cassazione francese in merito al caso di due bambini nati in California tramite maternità surrogata[77]. Il padre aveva donato il suo seme, una donatrice l’ovulo e la gravidanza era stata portata avanti da una terza donna. I bambini, pertanto, non avevano alcun legame, né biologico né genetico, con la loro madre “d’intenzione” (moglie del padre) in Francia, mentre negli Stati Uniti la donna era stata riconosciuta come genitore a tutti gli effetti. La Francia aveva inizialmente negato il riconoscimento di entrambi i genitori, ma, in seguito, dopo una prima condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo[78], aveva provveduto a registrare i minori come figli del solo padre biologico.
La Cassazione francese ha, quindi, chiesto alla Corte europea di chiarire se rientri nell’ambito del margine di apprezzamento concesso agli Stati, ai sensi dell’art. 8 CEDU, la possibilità di rifiutare la trascrizione di un atto di nascita di un minore nato all’estero da maternità surrogata per quanto riguarda la madre committente non biologica, accettando, però, la trascrizione per il padre biologico. In caso di risposta affermativa, il giudice francese ha chiesto, altresì, di chiarire se la possibilità per la madre non biologica di adottare il figlio del proprio coniuge (padre biologico del minore) consenta allo Stato di rispettare l’art. 8 della CEDU.
Nel suo parere consultivo, la Grande Camera della Corte europea ha affermato che il diritto del bambino al rispetto della vita privata, ai sensi dell'articolo 8 della CEDU, richiede che la legislazione nazionale preveda la possibilità di riconoscere una relazione genitore-figlio anche con la madre non biologica indicata nel certificato di nascita legalmente emesso all'estero.
A parere della Grande Camera, infatti, un “no assoluto” al riconoscimento della madre non biologica sarebbe incompatibile con l’interesse superiore del minore a godere di entrambi i genitori e ciò deve prevalere sulle preoccupazioni d’ordine pubblico legate ai rischi connessi alla maternità surrogata.
Secondo la Corte EDU, gli Stati mantengono un certo margine di apprezzamento solo in merito alle modalità con cui riconoscere il legame familiare attestato da un certificato di nascita acquisito legalmente all’estero. Ove non si voglia procedere alla trascrizione immediata del certificato di nascita, gli Stati possono ricorrere ad altre procedure, come ad esempio, all’adozione del figlio del partner (o coniuge) ad opera del genitore non biologico. Tale procedura, tuttavia, a detta della Grande Camera, deve essere rapida[79] e “a pieno titolo”.
Di conseguenza, appare evidente che l’istituto della stepchild adoption, per come è disciplinato attualmente nell’ordinamento italiano, non rappresenti lo strumento più adeguato per tutelare il diritto del minore al rispetto della vita privata ai sensi dell’art. 8 CEDU, non trattandosi di un’adozione piena e legittimamente[80].
In Italia, la differenza tra la trascrizione all’anagrafe dell’atto di filiazione emesso all’estero e l’adozione in casi particolari è enorme: nel primo caso, entrambe le figure genitoriali risultano genitori a “pieno titolo” e il figlio è considerato tale a tutti gli effetti, mentre nel secondo si hanno delle limitazioni in termini di rapporti di parentela e diritti successori. La differenza, pertanto, non è solo formale, ma soprattutto sostanziale.
In Italia, la trascrizione di entrambi i genitori sul certificato di nascita di un minore nato all’estero da maternità surrogata e avente un legame biologico con uno solo dei due, era stata ammessa, per la prima volta, da un’ordinanza favorevole della Corte d’Appello di Trento[81].
L’ordinanza della Corte d’Appello di Trento era quindi in linea con il primo parere consultivo della Corte europea dei diritti dell’uomo, ma la vicenda di Trento è stata recentemente rivista dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, dando vita a un esito diverso[82].
La Cassazione, infatti, nella sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019 ha affermato che “a tutela della dignità gestante e dell’istituto dell’adozione”, le coppie che hanno avuto un figlio all’estero nato con la maternità surrogata non possono ottenere in Italia la trascrizione all’anagrafe dell’atto di nascita e filiazione del bambino, riconosciuto nel paese straniero, rimanendo, invece, aperta la strada dell’ “adozione particolare”.
Al momento, pertanto, nell’ordinamento italiano la tutela dell'ordine pubblico, connessa al divieto di maternità surrogata, prevale sull’interesse del minore[83].
Ove il caso dei gemellini di Trento venisse portato davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, sarà interessante osservare se la Corte EDU manterrà il suo orientamento, espresso con forza dalla Grande Camera nel primo parere consultivo che è stato approvato all’unanimità proprio su tale ancora tanto discussa tematica.
5. Riflessioni conclusive
Sembra dunque possibile affermare che il principio del superiore interesse del minore, pur non essendo espressamente menzionato nella CEDU, rappresenti ormai un criterio interpretativo autonomo nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in grado di comprimere sia i diritti dei genitori che le pretese nazionali ove questi ultimi siano pregiudizievoli per lo sviluppo psico-fisico dei minori interessati[84].
“There is currently a broad consensus (..) in support of the idea that in all decisions concerning children, their best interest must be paramount“[85], così affermava la Corte EDU nel sopra citato caso Neulinger e Shuruk c. Svizzera.
L’operato della Corte europea dei diritti dell’uomo a tutela dei diritti dei minori è innegabile e meritevole, ma presenta comunque delle criticità.
Innanzitutto, il principio del superiore interesse del minore sta assumendo sempre più i connotati di una sorta di “formula magica”[86] nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e le conseguenze legate alla sua applicazione possono, pertanto, diventare imprevedibili. A volte la Corte EDU afferma che il principio del superiore interesse del minore “must be paramount”[87] o “must be assessed and taken into account as a primary consideration”[88], ma anche che esso “must come before any other consideration”[89] in tutte le azioni e decisioni pubbliche e private che lo riguardino.
Oltre alle ambiguità connesse al peso effettivo di tale principio nel bilanciamento effettuato dalla Corte EDU tra i diversi, e spesso contrastanti, interessi in gioco, è opportuno tenere a mente che la quasi totalità dei ricorsi presentati alla Corte europea dei diritti dell’uomo vedono come ricorrenti degli adulti che agiscono sia in nome proprio che dei minori interessati. Ciò ha portato in alcuni casi ad una strumentalizzazione molto evidente del principio del superiore interesse del minore a vantaggio degli interessi degli adulti[90].
Inoltre, la tutela del “fatto (illecito) compiuto” nel nome del superiore interesse del minore, finisce per legittimare la violazione di norme nazionali, europee ed internazionali poste proprio a garanzia della sicurezza dei gruppi più vulnerabili, come i minori vittime di tratta di essere umani o i minori illegittimamente sottratti da uno dei genitori, problematiche emerse particolarmente nei casi Paradiso e Campanelli c. Italia e Neulinger e Shruruk c. Svizzera[91].
La proliferazione di strumenti a tutela dei diritti dei minori a più livelli, ovvero nazionale, UE ed internazionale (c.d. tutela multilivello), può condurre a situazioni nelle quali uno Stato si ritrova vincolato contemporaneamente a normative che promuovono una diverso utilizzo del principio del superiore interesse del minore. Si è avuto modo di notare, infatti, quanto siano diversi gli approcci della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di Giustizia in merito. Queste incompatibilità possono finire per rendere difficile il dialogo fra le due Corti, aprendo la strada ad una tutela sempre più differenziata dei diritti dei minori.
Per arginare tale rischio e salvaguardare il rapporto tra la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte di Giustizia, l’adesione dell’Unione europea alla CEDU, i cui negoziati sono attualmente in stallo dopo il parere negativo della Corte di Giustizia sul progetto di adesione[92], è assolutamente auspicabile. L’adesione dell’Unione europea alla CEDU, infatti, influenzerebbe positivamente le iniziative e le politiche dell’UE a tutela dei fanciulli in quanto il controllo giurisdizionale esterno della Corte europea dei diritti dell’uomo servirebbe da sprone affinché l’Unione non scenda al di sotto del livello minimo di tutela offerto ai fanciulli dall’interpretazione vivente della CEDU, la quale, come abbiamo visto, è stata sinora un importate canale per rendere vivente anche la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo.
Al fine di tutelare i minori e i loro diritti, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha portato avanti una vera e propria battaglia contro tutti gli “automatismi” che non permettono di compiere un adeguato bilanciamento degli interessi in gioco alla luce del superiore interesse del minore.
Un altro elemento caratteristico della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è il continuo allargamento del concetto di “vita privata e familiare” e, di conseguenza, anche della nozione di “famiglia”, ovvero il fondamento della società e il primo luogo in cui i minori devono sentirsi (ed essere) protetti.
Inoltre, la Corte europea, in ossequio al principio del superiore interesse del minore, tutela le relazioni di fatto instaurate dal minore anche con soggetti diversi dai genitori o dai parenti, valorizzando l’intensità del rapporto affettivo di fatto esistente e non la sua rilevanza giuridica.
Tuttavia, proprio l’applicazione costante di uno dei maggiori “mantra” della Corte europea dei diritti dell’uomo, ovvero l’interesse del minore a mantenere i legami con la sua famiglia, ha dato vita a pronunce che hanno ridimensionato il ruolo della Corte nel combattere gli automatismi[93].
Secondo la Corte europea, infatti, la privazione di assistenza materiale e la negligenza nelle cure da parte dei genitori non possono essere, da sole, causa di allontanamento dei minori dal nucleo familiare. “Solo” violenze, maltrattamenti e abusi sessuali possono legittimarne un allontanamento[94]. Tale focus, posto essenzialmente sulle fragilità genitoriali che le autorità nazionali sono (giustamente) tenute a sostenere, appare in alcune pronunce eccessivamente sbilanciato dalla parte degli interessi dei genitori, perdendo così di vista l’interesse superiore del minore nel caso di specie, il cui benessere psico-fisico può essere gravemente ed irrimediabilmente pregiudicato anche “solo” in presenza di gravi negligenze nelle cure e nell’accudimento[95].
Tutto ciò premesso, l’aumento costante del numero di ricorsi fondati, in cui sono coinvolti minori, davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, chiamata a svolgere un ruolo sussidiario rispetto a quello delle autorità nazionali, è indubbiamente sintomatico di un funzionamento insoddisfacente dei meccanismi di tutela dei diritti dei fanciulli in Europa.
Sembra, infatti, che quanto più solennemente i diritti dei minori sono riconosciuti e proclamati a più livelli, tanto più gli stessi sono messi in discussione nella realtà giudiziaria quotidiana, oggetto di processi che ne riducono o ignorano la portata[96].
Ecco perché il ruolo della giurisprudenza di merito nel comprendere le potenzialità del richiamo alla CEDU si rivela spesso fondamentale per colmare le lacune delle leggi, nonché i silenzi e le omissioni del legislatore.
Negli anni l’ordinamento italiano è stato oggetto di numerose condanne ad opera della Corte europea dei diritti dell’uomo e col tempo è riuscito ad evolversi, diventando più child-friendly ed in linea con la CEDU. Le sfide all’orizzonte, tuttavia, sono ancora numerose e il rapporto con la Corte europea dei diritti dell’uomo è “vivente” e in evoluzione proprio come la CEDU.
[1] Il presente lavoro costituisce la rivisitazione di un lavoro già pubblicato di M. Magli e G. Spadaro, La rilevanza della CEDU sui diritti dei minori, in Le ricadute pratiche della CEDU nel diritto italiano, a cura di M. Pappone, Key Editore Roma, 2019, 91 ss.
[2] La Corte europea dei diritti dell’uomo definisce “minore” ogni individuo che non abbia ancora compiuto 18 anni (si veda, ad esempio, Corte EDU, 12 ottobre 2000, Koniarska c. Regno Unito). Ugualmente alla Convenzione ONU sui diritti del Fanciullo (c.d. Convenzione di New York), la CEDU non affronta la questione dell’inizio della vita e, sinora, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha preferito non entrare nel merito (sul punto si veda Corte EDU, 8 luglio 2004 (GC), Vo c. Francia, 79 e ss).
[3] V. ZAMBRANO, “Consiglio d’europa” in C. CARLETTI (a cura di), Promozione, protezione ed attuazione dei diritti dei minori. Strumenti normativi, politiche e strategie a livello internazionale ed europeo, Giappichelli, 2009, 91.
[4] Cfr. Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007. Cfr. sul punto L. Delli Priscoli, I diritti fondamentali della collettività, tra tutela del mercato da parte della Corte di Giustizia e dei diritti fondamentali dell’uomo da parte della Corte di Strasburgo”, in Riv. dir. comm., 2018, I, 174.
[5] D’altronde, le origini di tale principio nel diritto internazionale sono successive all’adozione della CEDU e risalgono alla Dichiarazione sui diritti del minore del 1959.
[6] Sebbene l’art. 5 della CEDU, a differenza di molte altre disposizioni dello stesso tenore contenute in altri strumenti internazionali (come, ad esempio, gli artt. 10 (2) (b) e 14 (4) del Patto Internazionale sui diritti civili e politici e gli artt. 37 e 40 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo) non faccia alcun riferimento al tipo di trattamento da riservare ai minori privati della libertà, la Corte europea dei diritti dell’uomo non ha mancato di porre l’accento sui particolari bisogni e diritti di tale vulnerabile categoria di minori (si vedano, ad esempio, le seguenti pronunce: Corte EDU, 28 ottobre 1998, Assenov e altri c. Bulgaria, par. 137; Corte EDU, 29 febbraio 1988, Bouamar c. Belgio; Corte EDU, 21 febbraio 1996, Hussain c. Regno Unito, par. 52-54; Corte EDU, 2 marzo 1987, Weeks c. Regno Unito; Corte EDU, 21 febbraio 1996, Singh c. Regno Unito). Sul punto si veda anche G. VAN BUEREN, Children’s Rights in Europe: Convergence and Divergence in Judicial Protection, Strasbourg, 2007,17.
[7] Come sottolinea E. LAMARQUE (E. LAMARQUE, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016, 88), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sempre cercato di allargare il numero dei ricorrenti che potevano legittimamente presentare un ricorso a nome di un minore. La Corte, ad esempio, ha consentito al genitore naturale che nel diritto nazionale era stato privato dei diritti parentali, e quindi della rappresentanza legale del minore, di presentare ricorso anche in nome del figlio (Scozzari e Giunta c. Italia, 13 luglio 2000, par. 138. Si veda anche, Corte EDU, 9 maggio 2003, Covezzi e Morselli c. Italia, nella quale l’Italia è stata condannata per violazione dell’art. 8 della CEDU perché non aveva consentito ai genitori ricorrenti (che agivano anche nell'interesse dei figli sui quali non avevano più la potestà genitoriale) di intervenire nella procedura di affidamento e adozione dei minori, svoltasi nelle more del procedimento penale poi conclusosi con una condanna contro i genitori e altri parenti per violenze sessuali sui minori stessi). Ugualmente legittimata a presentare ricorso venne ritenuta la zia materna di tre nipoti orfani di madre e in conflitto con il padre che poté ricorrere in rappresentanza dei tre nipoti (Corte EDU, 2 febbraio 2016, N. Ts. c. Georgia, par. 52-59). Inoltre, esistono casi nei quali, a seguito di un ricorso presentato insieme dai genitori e dai figli minori, la Corte europea ha tenuto distinte le due posizioni ai fini della decisione sul merito, riconoscendo la fondatezza del solo diritto vantato dai figli e non di quello reclamato dai genitori (ad esempio, si vedano le sentenze del 26 giugno 2014 Labassee c. Francia e Mennesson c. Francia).
[8] In questo primo caso storico (Corte EDU, 13 giugno 1979, Marckx c. Belgio) la Corte europea ha affermato che il combinato disposto degli artt. 8 (diritto alla vita privata e familiare del figlio) e 14 (principio di non discriminazione) della CEDU impone agli Stati parte di eliminare ogni residua differenza tra figli nati all’interno e fuori dal matrimonio nei loro rapporti personali, patrimoniali e successori con i genitori e con i nonni. Il ricorso nel caso Marckx era stato presentato da una madre e da sua figlia.
[9] In merito alla tematica dell’adozione, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che l’obiettivo principale di questo istituto è “to provide a child with a family and not a family with a child” (Corte EDU, 26 febbraio 2002, Fretté c. Francia, par. 42); pertanto, il focus deve sempre essere il minore, la cui opinione, anche riguardo alla sua adozione, deve essere tenuta in considerazione nel caso in cui il fanciullo abbia la maturità necessaria per esprimersi in merito (sempre su tale argomento si veda: Corte EDU, 22 giugno 2004, Pini e altri c. Romania, par. 164 e ss; Corte EDU, 25 novembre 2008, Jucius a. Juciucienė c. Lituania, par. 31. Sul punto si veda anche BERRO-LEFÈVRE, Adoption et filiation. Droit à l’enfant ou droits de l’enfant?, Mélanges en l'honneur de Jean-Paul Costa, 2011, 25 e ss.).
[10] Ad esempio, la sentenza Odièvre c. Francia (Corte EDU 13 febbraio 2003) ha preannunciato la condanna del nostro Paese nel caso Godelli c. Italia (Corte EDU, 25 settembre 2012), che verrà analizzato nel prosieguo, in materia di diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini. Nel caso Odièvre, la Corte EDU ha fatto salvo l'ordinamento francese in virtù dell'introduzione di alcuni strumenti di tutela del diritto dell’adottato, figlio biologico di madre rimasta anonima, di conoscere le sue origini familiari e genetiche, in particolare, tramite l’interpello della donna sulla persistente volontà di mantenere l'anonimato al momento della richiesta del figlio adulto di conoscerne l’identità.
[11] “The Convention is a living instrument which, as the Commission rightly stressed, must be interpreted in the light of present-day”: questo affermava la Corte EDU, per la prima volta, nel caso Tyrer c. Regno Unito, sentenza del 25 aprile 1978.
[12] Già in una sentenza molto risalente (caso Burghartz c. Svizzera del 22 febbraio 1994), la Corte EDU, per rimediare all’assenza nell’art. 8 della CEDU di una prescrizione esplicita relativa alla protezione del diritto al nome, ha fatto appello all’art. 8 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo che assicura una tale garanzia ai minori di 18 anni (al riguardo si veda: G. MEUNIER, L'application de la Convention des Nations Unies relative aux droits de l'enfant dans le droit interne des états parties, L'Harmattan, 2002, p. 171). Tra le sentenze più recenti nelle quali la Corte europea dei diritti dell’uomo ha richiamato la Convenzione ONU sui diritti del fanciulli vi è, ad esempio, la causa Söderman c. Svezia del 12 novembre 2013, emessa dalla Grande Camera della Corte.
[13] U. KILKELLY, The impact of the Convention on the case-law of the European Court of Human Rights in D. FOTTRELL (edited by), Revisiting children’s rights, 10 years of the UN Convention on the rights of the child, Kluwer Law International, 2000, p. 88.
[14] Infatti, proprio uno dei primi richiami alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo ad opera della Corte EDU risale al caso Costello-Roberts (Corte EDU, Costello-Roberts c. Regno Unito, 25 marzo 1993) che riguardava le punizioni corporali subite da un minore in una scuola privata nel Regno Unito. Sebbene la lamentata violazione, nel caso di specie, degli artt. 3 e 8 della CEDU non trovò conferma da parte della Corte europea, il caso rappresentò la prima occasione utile per chiarire che gli Stati parte sono responsabili anche per le violazioni della CEDU che avvengono nella sfera privata dei propri cittadini quando non dispongono di un’adeguata legislazione a tutela dei soggetti più deboli. Visto il contesto scolastico della vicenda, la Corte affermò, più nello specifico, che gli Stati devono assicurarsi che la disciplina scolastica sia conforme alla CEDU e soprattutto con la dignità degli alunni minori di età. Il caso Costello-Roberts è rilevante anche perché mostra che non sempre la volontà della Corte europea dei diritti dell’uomo di ispirarsi alla Convenzione di New York si traduce in un pieno rispetto delle opinioni del Comitato per i diritti dei fanciulli. In tale pronuncia, infatti, la Corte europea ha stabilito che gli Stati parte hanno il diritto di distinguere le forme legittime di violenza sui minori da altre forme non ammissibili, mentre il Comitato ONU ha sempre ritenuto tutte le forme di violenza sui minori inammissibili ai sensi della Convenzione sui diritti del fanciullo, sia all’interno degli istituti educativi che in famiglia. Sul punto si veda G. VAN BUEREN, Les droits de l’enfant en Europe. Convergence et divergence dans la protection judiciaire. Strasbourg, Editions du Conseil de l’Europe, 2008, nota 105, p. 23.
[15] Ad esempio, si vedano le seguenti sentenze: Corte EDU 8 luglio 1987, W c. Regno Unito; Corte EDU, 25 febbraio 1995, McMichael c. Regno Unito, par. 87 e il più recente caso Covezzi e Morselli c. Italia del 9 maggio 2003.
[16] Fattispecie rientranti tutte sotto la copertura degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 3 (proibizione della tortura) della CEDU.
[17] Si vedano le seguenti sentenze della Corte EDU: 2 novembre 2010, Piazzi c. Italia, par. 61; 17 dicembre 2013, Santilli c. Italia, par. 69 e 73; 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia, par. 81 e 93; 17 novembre 2015, Bondavalli c. Italia, par. 80; 28 aprile 2016, Cincimino c. Italia, par. 73-74 e 122; 23 giugno 2016, Strumia c. Italia, par. 119. Si vedano anche le più recenti sentenze Solarino c. Italia (9 febbraio 2017), D’Alconzo c. Italia (23 febbraio 2017) e Endrizzi c. Italia (23 marzo 2017).
[18] Corte EDU, 16 novembre 1999, E P c. Italia; Corte EDU, 13 luglio 2000, Scozzari e Giunta c. Italia. Corte EDU, 21 novembre 2006, Roda e Bonfatti c. Italia; Corte EDU, 24 febbraio 2009, Errico c. Italia.
[19] Il silenzio dei Trattati istitutivi in materia di garanzie dei diritti fondamentali è stato colmato, inizialmente, dall’attività giurisprudenziale della Corte di Giustizia che si è basata sul richiamo alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, ai trattati internazionali a cui gli stessi Stati membri avevano aderito, alla CEDU e alla relativa giurisprudenza della Corte europea. E’ stato il Trattato di Maastricht, nel 1992, ad introdurre l’obbligo dell’Unione di rispettare i diritti fondamentali in tutte le sue azioni e politiche (art. F, par. 2 del Trattato di Maastricht). Successivamente, nel 2000, è avvenuta la codificazione dei diritti fondamentali nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla quale il Trattato di Lisbona ha poi riconosciuto “lo stesso valore giuridico dei Trattati” (art. 6, par. 1, TUE).
[20] European Parliament, Directorate General for Internal Policies, Eu Framework of law for children’s rights, PE462.445, Bruxelles, April 2012.
[21] Cfr. In questo senso, L. Delli Priscoli, I diritti fondamentali della collettività, tra tutela del mercato da parte della Corte di Giustizia e dei diritti fondamentali dell’uomo da parte della Corte di Strasburgo”, in Riv. dir. comm., 2018, I, 172 ss.; S. BESSON, The European Union and Human Rights: Towards a post-national human rights institution? in Human Rights Law Review, 2006, n. 6, 325.
[22] Art. 6, par. 2, TUE.
[23] Per approfondimenti si veda H. STALFORD, E. DRYWOOD, Coming of age? Children’s rights in the European Unione, in Common Market Law Review, 2009.
[24] European Commission, An EU Agenda for the Rights of the Child, Communication COM (2011) 60 final. In tale importante documento, la Commissione ha indicato la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo come il punto di riferimento principale per formulare e mettere in pratica la strategia UE sui diritti dei minori (p. 3). Alcuni in dottrina hanno criticano l’Agenda UE per i diritti dei minori perché considererebbe questi ultimi più come vittime bisognose di protezione che come attori economici, politici e sociali da tutelare per far valere i loro diritti (H. STALFORD, N. THOMAS, E. DRYWOOD, The European Union and Children’s Rights: Editorial, in International Journal of Children’s Rights, 2011, p. 379.
[25] Art. 24, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: 1. I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione. Questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2. In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente. 3. Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse.
[26] A. FURIA, “L’Unione europea”, in C. CARLETTI (a cura di), Promozione, protezione ed attuazione dei diritti dei minori. Strumenti normativi, politiche e strategie a livello internazionale ed europeo, Giappichelli, 2009, p. 114.
[27] È interessante notare che gli articoli 24, 14 e 32 sono stati definiti come la “carta europea del fanciullo”. Tale definizione si deve a A. GOUTTENOIRE, Article II-84: Droit de l’enfant, in Ls. Burgorgue-Larsen, Levade A., Picod F. (eds.), Traité établissant une Constitution pour l’Europe. Partie II Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne. Commentaire article par article, Brussels, Bruylant, 2005.
[28] L’art. 21 della Carta cita espressamente anche le discriminazioni sulla base dell’età.
[29] Art. 52 della Carta (Portata e interpretazione dei diritti e dei principi): 1. Eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. 2. I diritti riconosciuti dalla presente Carta per i quali i trattati prevedono disposizioni si esercitano alle condizioni e nei limiti dagli stessi definiti. 3. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell'Unione conceda una protezione più estesa. 4. Laddove la presente Carta riconosca i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, tali diritti sono interpretati in armonia con dette tradizioni. 5. Le disposizioni della presente Carta che contengono dei principi possono essere attuate da atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell'Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto dell'Unione, nell'esercizio delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini dell'interpretazione e del controllo di legalità di detti atti. 6. Si tiene pienamente conto delle legislazioni e prassi nazionali, come specificato nella presente Carta. 7. I giudici dell'Unione e degli Stati membri tengono nel debito conto le spiegazioni elaborate al fine di fornire orientamenti per l'interpretazione della presente Carta.
Art. 53 della Carta (Livello di protezione): Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell'Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l'Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri.
[30] Specificatamente rivolta ai minori vittime di reato è la direttiva 2011/93/UE contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile. La direttiva 2016/800/UE regola, invece, i diritti procedurali dei minori indagati o imputati nell'ambito di procedimenti penali.
[31] Per un’analisi si veda M. CAIANIELLO, Dal terzo pilastro ai nuovi strumenti: diritti fondamentali, “road map” e l’impatto delle nuove direttive, in Diritto penale contemporaneo, 4 febbraio 2015.
[32] Si vedano, ad esempio, le seguenti sentenze: Corte Giust. UE, 5 ottobre 2010, C-400/10, caso McB; Corte Giust. UE, 15 novembre 2011, C-256/11, caso Dereci e altri.
[33] L’art. 8 della CEDU si applica, infatti anche “whenever there was the potential for family life to develop at a future stage” ovvero anche quando la vita familiare è stata semplicemente “progettata” e al momento esiste solamente un legame familiare di fatto. Tale principio è stato enunciato dalla Corte EDU nella sentenza D. e altri c. Belgium dell’8 luglio 2014 e anche nelle più risalenti sentenze Pini e altri c. Romania del 22 giugno 2004 e Nylund c. Finland del 29 giugno 1999.
[34] Art. 6, par. 3, TUE.
[35] Ad esempio, nella Direttiva 94/33/CE relativa alla protezione dei giovani sul lavoro si opera una distinzione tre a) “giovane”, ogni persona di età inferiore a 18 anni come definita all'articolo 2, paragrafo 1; b) “bambino”, ogni giovane che non ha ancora compiuto 15 anni o che ha ancora obblighi scolastici a tempo pieno imposti dalla legislazione nazionale; c) “adolescente”, ogni giovane di almeno 15 anni che non ha ancora compiuto 18 anni e che non ha più obblighi scolastici a tempo pieno imposti dalla legislazione nazionale.
[36] Oltre a dover rispettare i generali principi di sussidiarietà e proporzionalità, nel complesso dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, l’Unione europea è tenuta a tutelare anche i diversi ordinamenti giuridici e le tradizioni giuridiche degli Stati membri e questo rappresenta, pertanto, il primo ostacolo nella costruzione di politiche unitarie UE in un settore caratterizzato, per sua natura, da una “geometria variabile” (S. MONTALDO, I limiti della cooperazione in materia penale nell'Unione europea, Editoriale scientifica, 2015, p. 535). Tale dovere, infatti, è espressamente imposto all’Unione dall'art. 67 TFUE, disposizione inaugurale del titolo V. Gli artt. 82, par. 2, e 83 TFUE, par. 1, sono le due disposizioni che sono state utilizzate maggiormente come basi giuridiche per emanare direttive a tutela dei diritti dei fanciulli nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale (tali articoli disciplinano, rispettivamente, l’adozione di direttive volte a fissare norme comuni minime di diritto processuale penale e di diritto penale sostanziale), anche se le uniche due norme che richiamano espressamente i minori sono l’art. 83 TFUE e l’art. 79 TFUE (dedicato alla politica comune in materia di immigrazione), nel quale viene fatto un riferimento al contrasto della tratta di esseri umani, soprattutto di minori. Nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, invece, la base giuridica fondamentale per i minori è l’articolo 81 del TFUE, il cui paragrafo 3 richiede l’unanimità da parte del Consiglio, previa consultazione del Parlamento europeo, per emanare degli strumenti di cooperazione giudiziaria in materia familiare (ovvero quelli che normalmente vedono coinvolti anche dei minori). Unanimità che, visti i delicati interessi in gioco, non sempre viene raggiunta, potendo finire per attivare il meccanismo della cooperazione rafforzata, come è avvenuto, ad esempio, per il Regolamento Roma III, in materia di divorzio e separazione personale, e per i due Regolamenti che regolano i regimi patrimoniali tra coniugi e gli effetti patrimoniali delle unioni registrate. È, tuttavia, ammessa la possibilità che il Consiglio, su proposta della Commissione, possa adottare una decisione che determini gli aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali e che potrebbero formare oggetto di atti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria. Il Consiglio deve comunque deliberare all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo (art. 81, par. 3, TFUE).
[37] Art. 68 TFUE.
[38] In linea generale, il Trattato di Lisbona ha esteso alle materie rientranti nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia la regola della procedura legislativa ordinaria, eliminando la precedente distinzione tra materie “comunitarizzate” (tra le quali rientrava la cooperazione giudiziaria in materia civile) e materie “intergovernative” (nelle quali rientrava, invece, la cooperazione giudiziaria in materia penale e di polizia e nel quale le decisioni venivano prese all’unanimità dal Consiglio). Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia rimane un settore peculiare, caratterizzato ancora da aspetti nei quali è stata mantenuta la regola dell’unanimità o ai quali si adotta una procedura legislativa speciale (nell’ambito della cooperazione giudiziaria civile, l’unica eccezione alla “procedura legislativa” ordinaria riguarda, come abbiamo visto, il diritto di famiglia, per il quale rimane in vigore l'unanimità in Consiglio, peraltro superabile con apposita disposizione “passerella”. Gli Stati membri possono poi sempre attivare il c.d. “freno di emergenza” per portare all’attenzione del Consiglio europeo le proposte di direttive che influenzano aspetti fondamentali del loro ordinamento giuridico penale, come prevedono gli articoli 82, par. 3, TFUE e l’art. 83, par. 3, TFUE, aprendo la strada alla possibilità di attivare una cooperazione rafforzata tra gli altri Stati membri interessati ad adottare l’atto in questione). Tuttavia, il cambiamenti introdotti da Lisbona hanno avvantaggiato la tutela dei diritti dei minori, soprattutto in ambito penale, poiché il Parlamento europeo è sempre stato un grande sostenitore dell’Agenda UE sui diritti dei minori (in prima linea in tutte le iniziative child-friendly e fermo sostenitore di una maggiore partecipazione dei minori al processo decisionale europeo) e quindi degno “avversario” del Consiglio che, invece, rappresenta gli interessi statali dei vari Stati membri.
[39] Per maggiori dettagli, si veda http://curia.europa.eu. Di particolare rilievo è Corte Giust. UE 27 ottobre 2016 (causa C-428/15), sentenza ove è stato affermato il principio secondo cui per poter stabilire che un'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro con il quale il minore ha un legame particolare è più adatta, il giudice competente di uno Stato membro deve accertarsi che il trasferimento del caso a detta autorità giurisdizionale sia idoneo ad apportare un valore aggiunto reale e concreto al trattamento dello stesso, in particolare tenendo conto delle norme di procedura applicabili in detto altro Stato membro; inoltre, per poter stabilire che un siffatto trasferimento corrisponde all'interesse superiore del minore, il giudice competente di uno Stato membro deve in particolare accertarsi che tale trasferimento non rischi di ripercuotersi negativamente sulla situazione del minore.
[40] Per maggiori informazioni, si veda https://hudoc.echr.coe.int.
[41] Come esplicitato nelle spiegazioni relative alla Carta “questo articolo si basa sulla Convenzione Onu del 1989 “e, in particolare, sugli articoli 3, 9, 12, e 13 di detta Convenzione” (2007/C 303/02, 14 febbraio 2007).
[42] Corte Giust. UE, 27 giugno 2006, C-540/03, Parlamento europeo c. Consiglio. In questa pronuncia, la Corte di Giustizia, dopo aver richiamato simbolicamente la Convenzione ONU sui diritti dei fanciulli, non ha poi accolto la visione del Parlamento europeo che riteneva (giustamente) illegittime alcune disposizioni contenute nella direttiva 2003/86/CE, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, per violazione del principio del superiore interesse del minore e del diritto alla vita privata e familiare. Come sottolineato da E. DRYWOOD, Giving with one hand, taking with the other: Fundamental rights, children and the family reunification decision, in European Law Review, 2007, p. 396 “…practical application of relevant international legal standards to the Directive raises doubts as to the Court’s capacity and expertise in pursuing a children’s rights agenda….The Court never asks itself the question whether the disputed provisions ensure that the child’s best interests are a primary consideration, as a faithful interpretation of the provision would require. This approach is indicative of a frequently cited problem with the best interests principle: that although the question is posed from the child’s perspective it is often answered from that of the adult”. Prima di questa pronuncia l’unico riferimento alla Convenzione sui diritti del fanciullo era stato fatto nelle opinioni dell’Avvocato Generale Jacob in merito alla causa C-148/02, Garcia Avello c. Belgio, del 2 ottobre 2003, ma la Corte di Giustizia non aveva poi richiamato la Convenzione nella sua decisione.
[43] l riferimento è al caso Dynamic Medien che verteva sull’importazione dal Regno Unito di cartoni animati giapponesi da parte della società tedesca Avides Media (Corte EDU, 14 febbraio 2008, Dynamic Medien Vertriebs GmbH c. Avides Media AG). I cartoni animati giapponesi venivano sottoposti, prima di essere importati, a dei controlli inglesi. In applicazione delle disposizioni sulla tutela dei minori in vigore nel Regno Unito, essi era stati classificati nella categoria “vietato ai minori di anni quindici” e provvisti di uno specifico adesivo che indicava l’età minima per la loro visualizzazione. A parere di un’altra società tedesca, la Dynamic Medien, concorrente dell’Avides Media, la legge tedesca sulla tutela dei minori vietava la vendita per corrispondenza dei supporti video che non erano stati oggetto di controllo in Germania e che erano sprovvisti dell’indicazione relativa all’età a partire dalla quale ne era consentita la visione.Il tribunale tedesco aveva dato ragione alla Dynamic Medien, ritenendo che la vendita di quei cartoni provvisti solo dell’indicazione dell’età minima fosse contraria alla legge tedesca. La questione arrivò davanti alla Corte di Giustizia che dovette chiarire se le restrizioni della normativa tedesca erano conformi con quella UE in materia di libera circolazione delle merci. La Corte di Giustizia ritenne del tutto legittima la normativa tedesca proprio perché diretta a proteggere il benessere dei minori e quindi conforme con l’art. 17 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo che afferma che gli Stati devono promuovere l’elaborazione di principi direttivi appropriati destinati a proteggere i minori dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al loro benessere.
[44] In alcuni casi, la Corte di Giustizia non ha citato l’art. 24 nemmeno quando i giudici remittenti nell’ambito di un rinvio pregiudiziale le avevano espressamente richiesto indicazioni su come interpretare le normative nazionali in conformità con detto articolo (si veda, ad esempio, Corte Giust. UE, Alokpa, 10 ottobre 2013, Alokpa, C-86/12).
[45] C. HONORATI (in C. HONORATI, Sottrazione internazionale dei minori e diritti fondamentali, in Riv. dir. int. priv. proc., 2013, pp. 33 e ss) sottolinea come la giurisprudenza della Corte di Giustizia sia “granitica” nella difesa del principio di mutuo riconoscimento “anche a costo di apparire poco sensibile ai diritti fondamentali”. Si vedano anche le osservazioni di E. LAMARQUE, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, op. cit., p. 86.
[46] Ad eccezione, ad esempio, dei seguenti casi: Corte Giust. UE, 6 giugno 2013, C‑648/11, MA and Others c. Secretary of State for the Home Department, Corte Giust. UE, 13 septembre 2016, C-304/14, Secretary of State for the Home Department c. CS. e Corte Giust. UE, 13 settembre 2016, C-165/14, Alfredo Rendón Marín c. Administración del Estado.
[47] Corte EDU, 6 luglio 2010, Neulinger e Shuruk c. Svizzera.
[48] Corte EDU, 8 gennaio 2009, Neulinger e Shuruk c. Svizzera (Neulinger I).
[49] Il caso riguardava la sottrazione internazionale del piccolo Noam Shuruk perpetrata dalla madre, la signora Neulinger di nazionalità svizzera, ai danni del padre, il signor Shuruk, cittadino israeliano. La signora Neulinger, prima che la sentenza venisse eseguita, si rivolgeva alla Corte europea dei diritti dell’uomo, a nome proprio e come tutore del piccolo Noam, ritenendo violato il loro diritto al rispetto della vita privata e famigliare, stante l’eccessiva ingerenza delle autorità elvetiche nel disporre il ritorno del bambino in Israele senza tenere in dovuta considerazione le circostanze del caso di specie che imponevano di ritenere integrata la causa ostativa di cui all’art. 13, lett. b), della Convenzione dell’Aja del 1980. Secondo la madre, infatti, il ritorno del bambino in Israele appariva controproducente per il suo benessere psicofisico stante i trascorsi violenti del padre, considerate l’inadempimento dell’obbligo di mantenimento nei confronti della prole e considerato come, nelle more del giudizio, il signor Shuruk aveva contratto un nuovo matrimonio, salvo poi separarsi avuta notizia della gravidanza della nuova moglie e il successivo inadempimento dell’onere di mantenere il neonato. Inoltre, il piccolo Noam rischiava la separazione dalla madre una volta rientrati in Israele considerato come la stessa poteva essere sottoposta all’esercizio dell’azione penale, in ragione della sottrazione del figlio in violazione del divieto di espatrio, fattispecie per la quale in Israele è prevista anche una pena detentiva.
[50] N. DI LORENZO, Il principio del superiore interesse del minore nel sistema di protezione del fanciullo all’interno delle relazioni familiari, disponibile al seguente indirizzo http://www.cde.unict.it.
[51] Corte EDU, 12 luglio 2011, Sneersone e Campanella c. Italia.
[52] Mentre, infatti, l’art. 13 della Convenzione dell’Aja consente di non far rientrare un minore, illegittimamente sottratto da un genitore, nel caso in cui sussista un fondato rischio per lo stesso di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile nel Paese d’origine; l’art. 11 del Regolamento UE 2201/2003 statuisce che il ritorno di un minore possa essere disposto anche in caso di rischio grave per lo stesso nello Stato d’origine purché quest’ultimo sia in grado di adottare delle misure protettive per tutelarlo. Per tali ragioni, la Corte europea ha condannato l’Italia anche per la violazione dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja.
[53] Corte Giust. UE, 23 dicembre 2009, C-403/09, Detiček.; Corte Giust. UE, 1° luglio 2010, C-211/10, Doris Povse c. Mauro Alpago.
[54] Corte Giust. UE, 22 dicembre 2010, C-491/10, Aguirre Zarraga.
[55] Corte Giust. UE, 16 luglio 2015, C-184/14, A c. B.
[56] Corte Giust. UE, 6 dicembre 2012, O. e S. c. Maahanmuuttovirasto (causa C-356/11) e Maahanmuuttovirasto c. L. (C-357/11).
[57] Tramite il decreto legislativo 28 dicembre 2013 n. 154 «recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012 n. 219, il Parlamento ha delegato il Governo a sostituire, in tutta la legislazione vigente, i riferimenti ai figli legittimi e ai figli naturali con il termine “figli”, pur mantenendo la distinzione tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori dal matrimonio a certi specifici fini, primo tra tutti, per le modalità di acquisto dello status.
[58] L’art 315 cc prevede ora che “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”. È così venuta meno la distinzione tra figli legittimi e figli naturali. Lo status di figlio è oggi uno solo e da esso discendono una serie di diritti ed obblighi che sono uguali per tutti. Lo status filiationis si sgancia così definitivamente dallo status familiae, perché il figlio è titolare di una posizione giuridica autonoma che prescinde da quella della propria famiglia. Che la famiglia sia o meno fondata sul matrimonio, che abbia o meno un riconoscimento dal punto di vista giuridico, è oggi irrilevante ai fini del rapporto tra genitori e figli e della sua regolamentazione giuridica (sul punto si veda, in particolare, LONG J., Il diritto italiano della famiglia e minorile alla prova della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Europa e Diritto Privato, fasc. 4, 2016, 1059 e BIANCA M., Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, Nuove leggi civ. comm., 2013, 507). Da notare che l’Italia è stata l’ultima tra gli Stati europei ad eliminare tale discriminazione tra figli naturali e figli legittimi in quanto tutti gli altri Stati europei vi avevano provveduto tra la fine degli anni 90 e i primi anni del nuovo millennio.
[59] Si veda, ad esempio, il già citato caso della Corte EDU, 13 giugno 1979, Marckx c. Belgio. Sul punto si veda CAMPIGLIO C., L’accertamento dello stato di figlio: criteri sovranazionali e norme italiane, Famiglia e diritto, 3, 2016, 313 e ss.
[60] In particolare, in materia di dichiarazione giudiziale di paternità dei figli incestuosi e disciplina della prova nell’azione di disconoscimento della paternità (si veda Corte Cost., 28 novembre 2002, n. 494 e Corte Cost. 17 febbraio 2006, n. 266).
[61] Corte EDU, 25 settembre 2012, Godelli c. Italia.
[62] Si vedano, ad esempio, tali pronunce: Corte EDU, 7 luglio 1989, Gaskin c. Regno Unito e Corte EDU, 7 febbraio 2002, Mikulic c. Croazia.
[63] In tale pronuncia, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art 28 comma 7, della l.184/1983 “nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) – su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione”.
[64] Cassazione civile, sez. VI, ord. 7 febbraio 2018 n° 3004. Sussiste il diritto del figlio di conoscere le proprie origini anche dopo la morte della madre biologica, mediante accesso alle informazioni relative all'identità personale della stessa, non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre, il termine di cento anni, dalla formazione del certificato di nascita con “parto anonimo”, per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata (previsto dall'art. 93, co. 2, del D. Lgs. n. 196 del 2003).
[65] Questi ultimi, infatti, non sono menzionati espressamente nell’articolo 28, comma 5 della legge n. 184/1983.
[66] Al riguardo la stessa Corte EDU ha affermato nella sentenza Hämäläinen c. Finlandia, del 16 luglio 2014 che differenze minori tra matrimonio e unioni civili, quali l’esclusione dell’unione civile dall’adozione del minore abbandonato, sono conformi alla CEDU (par. 83).
Sia la giurisprudenza di merito che la Cassazione, tuttavia, hanno in diverse pronunce dichiarato la compatibilità con l’ordine pubblico della sentenza straniera di adozione, in favore di coppie omosessuali italiane, di minori che versavano in stato di abbandono all’estero, ordinandone la trascrizione nei registri italiani (il primo caso è del Tribunale per i Minorenni di Firenze, decreto 07/03/2017 e riguardava la vicenda di due fratellini, adottati da due uomini, cittadini italiani, residenti da tempo nel Regno Unito). Sul punto si veda anche la più recente sentenza della Corte di Cassazione, I sez. civ., ordinanza n. 14007 del 31/05/2018.
[67] Tale interpretazione era stata inaugurata la prima volta dal Tribunale per i Minorenni di Roma, nell’ordinanza del 30 luglio 2014 (poi confermata dalla Corte d’Appello di Roma con sentenza del 23 dicembre 2015). Dopo la sentenza della Corte di Cassazione, si sono pronunciate a favore anche la Corte d’Appello di Milano (9 febbraio 2017) e il Tribunale per i minorenni di Bologna (ordinanze del 6 luglio 2017 e del 31 agosto 2017- Pres., est. Giuseppe Spadaro).
[68] Corte EDU, 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria.
[69] Corte Cost., 18 dicembre 2017, n. 272. Il caso riguardava una coppia eterosessuale italiana in cui la donna aveva avuto un tumore e si era dovuta sottoporre ad una chemioterapia che le impediva sia di concepire figli che di portare avanti una gravidanza. La coppia aveva quindi cercato una madre surrogata che portasse avanti la gestazione in India e il bambino era stato concepito con il seme del futuro padre e l’ovulo di una donatrice.
[70] Viene spesso definito genitore “d’intenzione", “legale” o ”sociale, colui che non è genitore biologico o genetico, ovverosia quel genitore che non ha partorito il minore o non gli/le ha trasmesso il suo DNA.
[71] La Corte europea dei diritti dell’uomo aveva già affrontato il delicato argomento della maternità surrogata in due sentenze precedenti al caso Paradiso e Campanelli, ovvero nei casi Mennesson c. Francia (sentenza del 26 giugno 2014) e Labassee c. Francia (sentenza del 26 giugno 2014), che hanno costituito il primo intervento della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di procreazione assistita mediante surrogazione di maternità. A rivolgersi alla Corte erano state due coppie francesi che avevano fatto ricorso negli Stati Uniti ad una tecnica di procreazione medicalmente assistita che non poteva essere praticata in Francia. In tali casi, la Corte europea ritenne che, sebbene non vi fosse stata una violazione del diritto alla vita familiare dei genitori (in entrambi i casi il padre era l’unico ad avere legami biologici con i minori nati dalla surrogazione di maternità), la Francia aveva oltrepassato il margine di apprezzamento consentito per quanto riguardava il diritto alla vita privata dei figli minori delle due coppie. Gli Stati, infatti, anche quando stabiliscono legittimamente norme interne che vietano forme di maternità surrogata, non possono mai trascurare, come nei due casi di specie, l’interesse superiore dei minori coinvolti.
[72] Corte EDU, 27 gennaio 2015, Paradiso e Campanelli c. Italia.
[73] Corte EDU (Grande sezione), 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli c. Italia.
[74] Sul punto si veda LONG J., Il diritto italiano della famiglia e minorile alla prova della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., e L. LENTI, Paradiso e Campanelli c. Italia: interesse del minore, idoneità a educare e violazioni di legge, Quad. cost., 2015, 472.
[75] Si vedano, al riguardo, le perplessità espresse da L. POLI, La Grande Camera e l’ultima parola sul caso Paradiso e Campanelli, 21 febbraio 2017, su www.sidiblog.org.
[76] Il Protocollo n. 16 permette alle più alte giurisdizioni nazionali di rivolgersi alla Grande Camera della Corte europea per un parere su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione della CEDU e dei suoi protocolli. Un meccanismo che si avvicina al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, pur se con delle differenze. In particolare, il parere fornito dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo non è vincolante a differenze delle sentenze della Corte di Giustizia in risposta a un rinvio pregiudiziale. I Paesi che hanno già ratificato il Protocollo n. 16 sono: Albania, Armenia, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Lituania, San Marino, Slovenia e Ucraina, per l’Italia il processo di ratifica è in corso.
[77] Cour de cassation, Assemblée plénière, arrêt n° 638 du 5 octobre 2018. Con tale sentenza, la Cassazione francese ha sospeso il procedimento nazionale nella famosa vicenda Mennesson (citata anche sopra, si veda la nota n. 49) per chiedere un parere alla Grande Camera della Corte EDU in merito a come procedere a seguito della precedente condanna subita sempre ad opera della Corte europea dei diritti dell’uomo.
[78] Corte EDU, 26 giugno 2014, Mennesson c. Francia (si veda sopra nota n. 49).
[79] La Corte europea dei diritti dell’uomo ha precisato che l’adozione deve consentire di «prendere rapidamente una decisione, in modo che il minore non sia trattenuto per un lungo periodo in una situazione di incertezza giuridica».
[80] Per rispondere ai quesiti sottopostole, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha effettuato un’indagine comparativa su 43 Stati parte della CEDU, escludendo la Francia. Da tale indagine è emerso che la maternità surrogata è consentita in 9 Stati, tollerata in 10 e esplicitamente o implicitamente vietata in 24 Stati. In 31 di tali Stati (ivi compresi 12 in cui tale pratica è vietata) è possibile che il legame di filiazione con il padre venga riconosciuto quando sia stato utilizzato il suo materiale biologico. In 24 Stati (ivi compresi 9 che vietano la maternità surrogata) è possibile riconoscere lo status di filiazione con la madre anche se non vi è alcun legame genetico. La procedura per stabilire tale status varia a seconda degli ordinamenti.
[81] Corte d’Appello di Trento, sezione prima, ordinanza del 23 febbraio 2017 (Pres./Rel. Maria Grazia Zattoni). Il caso riguardava una coppia omosessuale di Trento, sposata secondo la legge canadese, che aveva chiesto la trascrizione del nome del secondo papà sull’atto di nascita di due gemelli partoriti in Canada. I bambini erano stati concepiti con la collaborazione di due donne: la prima aveva messo a disposizione gli ovociti, la seconda aveva portato avanti la gravidanza. Uno dei padri aveva fornito i suoi gameti. La paternità di entrambi i coniugi era stata riconosciuta in Canada ove la maternità surrogata è consentita, ma solo a titolo gratuito.
[82] Cass., Sez. Unite, 8 maggio 2019, n. 12193.
[83] La Corte di Cassazione afferma, infatti, che “i valori tutelati dal predetto divieto, ritenuti dal legislatore prevalenti sull’interesse del minore, non escludono la possibilità di attribuire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari”.
[84] M. C. RUO, “The best interest of the child" nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Minori giustizia, fasc. 3, 2011, p. 54.
[85] Corte EDU, Neulinger e Shuruk c. Svizzera, op. cit., par. 135.
[86] La definizione del superiore interesse del minore come “formula magica” si deve a J. CARBONNIER, Droit Civil, I.2, La famille, les incapacité, Presses Universitaires de France, 1969.
[87] Corte EDU, Neulinger e Shuruk c. Svizzera, op. cit. nota n. 85.
[88] Ad esempio, tra le tante, Corte EDU (Grande camera), 26 novembre 2013, X c. Lettonia.
[89] Tale affermazione, in particolare, risale a Corte EDU, 19 settembre 2000, Gnahore c. Francia, par. 59.
[90] Si vedano le osservazioni critiche di J. LONG, Il principio dei best interests e la tutela dei minori, in Questione e Giustizia, speciale aprile 2019, p. 418 e E. LAMARQUE, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, op. cit., p. 100 e ss. Uno dei rari casi di ricorso presentato direttamente da un minore risale al 2001 (Corte EDU, 10 maggio 2001, Z. e altri c. Regno Unito).
[91] Per un approfondimento sul punto si veda J. LONG, Il principio dei best interests e la tutela dei minori, op. cit., p. 417 e ss.
[92] Parere della Corte Giust. UE n. 2/13 del 18 dicembre 2014 sul progetto di accordo presentato a Strasburgo il 10 giugno 2013, par. 191 e ss.
[93] Per una lettura critica sul punto si veda E. LAMARQUE, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, op. cit., p. 100 e ss e L. LENTI, L’interesse del minore nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: espansione e trasformismo, in Nuova giur.civ.comm, 2016, vol. 32, n. 1/2016, 150.
[94] Tra le tante si vedano le seguenti sentenze, riguardanti specificatamente l’Italia: Corte EDU, 13 ottobre 2015, S.H. c. Italia e Corte EDU, 22 giugno 2017, Barnea e Caldararu c. Italia, par. 74. Altre pronunce in materia sono, ad esempio, Corte EDU, 26 ottobre 2006, Wallova e Walla c. Repubblica Ceca e Corte EDU, 18 giugno 2013, R.M.S. c. Spagna.
[95] J. LONG, Il principio dei best interests e la tutela dei minori, p. 418. Tale lettura è stata recentemente avvallata, a stretta maggioranza, dalla Corte EDU, V sezione, il 30 novembre 2017, nel caso Strand Lobben c. Norvegia che è attualmente all’esame della Grande Camera (ricorso n. 37283/13).
[96] Cfr. in questo senso L. Delli Priscoli, Famiglia e principio di uguaglianza, Napoli Edizioni Scientifiche, 2018, 123 ss.