1. Che gli ultimi anni di giurisprudenza sul delicato campo della vita privata e familiare della coppia siano stati caratterizzati da un fermento solo lontanamente equiparabile al passato è fuor di dubbio. Ad imprimere alla materia una vigorosa spinta verso non isolati né scontati esiti interpretativi non è stata com’è ovvio solo la quantità delle pronunzie sino ad ora adottate ma, soprattutto, la qualità delle ricostruzioni proposte (tanto a livello di giurisprudenza statale che sopranazionale). Sul versante interno si pensi, tra le altre, alle recenti decisioni in tema di adozione in casi particolari, ex art. 44, lett. b) e d), l. n. 184/1983, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori (per come ovviamente novellata dalla l. n. 149/2001, Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile)[1].
Ma è forse su quello esterno che la magistratura si è probabilmente prodotta nel suo sforzo più impegnativo. Allorquando, cioè, si è dovuta problematicamente confrontare col limite della non manifesta contrarietà all’ordine pubblico del riconoscimento in Italia di provvedimenti stranieri ai sensi degli artt. 16, 64 e 65, l. n. 218/1995, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato nonché dell’art. 18, D.P.R. n. 396/2000, Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile: così ad esempio – e senza naturalmente pretesa di esaustività – nell’ambito dell’adozione piena o legittimante da parte del single[2] o coppie omosessuali[3] ma, soprattutto, nel campo della genitorialità legale di figli nati all’estero mediante maternità surrogata[4].
Con riferimento a quest’ultima materia, le acquisizioni dell’ultimo diritto vivente non hanno avuto solo il pregio di favorire l’indubbia fuga in avanti di un dibattito sul tema altrimenti non poco asfittico e stagnante ma, ad oggi, potrebbero pure essere da stimolo al legislatore per cogliere l’imperdibile occasione di ritornare su scelte assunte ormai più di dieci anni or sono in occasione della l. n. 40/2004, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita: magari flessibilizzando divieti altrimenti assai rigidi come, appunto, quello assoluto di gestazione per altri di cui all’art. 12, comma 6. Per farlo, tuttavia, oltremodo utile sarebbe tentare quantomeno di sgombrare l’orizzonte da molte fuorvianti convinzioni (o, diciamo pure, falsi miti) che hanno talvolta confuso la vista, non di rado impedendo di posare sulla dimensione umana della pur controversa questione uno sguardo più lucido e consapevole.
2. Nei limiti di una succinta riflessione come la presente, perciò, almeno una preliminare considerazione – rispettivamente riguardante l’informazione ex ante sul tema in discorso e l’approfondimento scientifico ex post di esso – s’impone: con riferimento alla prima, in effetti, la sensazione è che non poco deviante si sia alle volte rivelata l’informazione veicolata dai mass-media, talora sedotti più dal sensazionalismo dello scoop nel singolo caso di cronaca che non concentrati sulla drammatica quotidianità di quanti siano ricorsi alla metodica in commento (o, persino, a scapito di essa)[5]. Lungi dall’essere neutra ed indolore, tale pratica al contrario può suo malgrado mostrarsi assai manipolatoria per l’opinione pubblica, finendo ad esempio per generare nei più il superficiale convincimento che ad accedere a tali tecniche sia soprattutto, se non addirittura esclusivamente, un ben delineato e riconoscibile identikit sociale di richiedenti (vale a dire, quasi sempre molto benestante e per lo più di orientamento omosessuale).
Peccato però che la realtà della surrogazione di maternità sia molto più cruda ed amara di quanto non si percepisca sulle patinate pagine di alcune cronache giornalistiche, vedendo nella maggior parte dei casi coinvolte persone − non certo ricche, né di una predefinita tendenza sessuale – che affrontano casomai una trafila assai lunga, dolorosa e costosa spinte da un desiderio di accudimento che, in quanto tale, spessissimo poco o nulla ha a che vedere con ben più prosaiche motivazioni di tipo narcisistico[6] od economico[7]. Per la maggior parte degli aspiranti genitori è purtroppo quello della sofferenza – non solo fisica ma pure, se non soprattutto, psicologica – dunque l’unico vero leit motiv, costantemente aleggiante dalla rischiosa decisione di ricorrere alla maternità di sostituzione all’estero fino a quella di esporsi ad (o direttamente di sostenere) un procedimento civile o penale in Italia[8] (probabilmente con la sola eccezionale parentesi della breve gioia di avere finalmente un figlio)[9].
3. Né, vi è da ammettere, a tale deformata visione sembra talvolta sfuggire lo stesso studioso chiamato ex post all’approfondimento della materia: quando – fin troppo piegato sul proprio vetrino alla ricerca dei dettagli per accorgersene – pare malauguratamente anch’egli perdere di vista la drammatica dimensione umana delle vicende in epigrafe. D’altro canto, non si spiegherebbe altrimenti l’indifferente disinvoltura con cui ancora di recente – a proposito appunto del dilagante fenomeno della maternità surrogata praticata oltre i confini nazionali – taluna dottrina persevera nell’utilizzare espressioni (certo evocative eppure non meno ingannevoli) quali, per tutte, quella di “turismo procreativo”. Basta davvero poco, tuttavia, per accorgersi come della spensieratezza e leggerezza tipiche dei viaggi turistici siffatte esperienze non condividano nulla (e da esse, anzi, non potrebbero essere più distanti). Ragione questa per cui, già in passate occasioni, si è sommessamente suggerito l’uso di locuzioni sostitutive quali, ad esempio, “emigrazione procreativa”[10]: vocabolo meno suggestivo, certo, ma forse più aderente al vero e magari più rispettoso di quella umana sofferenza che a vario titolo lambisce non poche volte tutti i soggetti potenzialmente coinvolti in tali frangenti[11].
A ben vedere – in chiusura delle presenti notazioni e con la speranza di ritornare più ampiamente sul tema de quo – pare insomma che sia il dolore più sordo ad accomunare la triade genitori c.d. d’intenzione-madre gestante-figlio surrogato. Spinge i primi a rivolgersi all’estero pur di placare il disagio psico-fisico di non poter procreare che li tormenta; affligge la seconda, qualora sia costretta a (e non scelga liberamente di) compiere un gesto – come appunto quello di affidare per sempre ad altri il bambino che ha portato in grembo – ab ovo controistintivo[12]; rischia di prostrare infine il minore dopo l’esperienza della separazione dal corpo materno (che inizialmente vive come qualsivoglia altro nascituro). Con riferimento in particolare al best interest del figlio, la pratica dei più recenti casi giudiziari ha sfortunatamente insegnato come – quasi per effetto di una sorta di tragico gioco del domino – il bambino rischi in concreto di subire un vero e proprio calvario di molteplici traumi da separazione[13]: una prima volta, allorquando venga sottratto agli intended parents che lo hanno accolto ed amorevolmente accudito per essere temporaneamente affidato dal giudice ad un istituto all’uopo previsto (ad es. una casa-famiglia); ed almeno una seconda, allorché sia a quest’ultimo tolto per essere infine consegnato ad altra coppia dichiarata idonea.
Proposte alternative alla assolutistica rigidità dell’attuale divieto normativo che consentano di preservare – in un’ottica costituzionalmente orientata − la dignità di tutte le persone coinvolte non parrebbero, ad ogni modo, mancare: a condizione, però, che il diritto legislativo vigente smetta di arroccarsi in valutazioni che la quotidiana esperienza giudiziaria ha dimostrato essere ormai irragionevoli ed antistoriche; e decida magari di aprirsi alle maggiormente equilibrate soluzioni già individuate dal più sensibile diritto giurisprudenziale vivente in materia.
[1] A partire da Trib. Min. Milano, dec. 28 marzo 2007, cfr., ex plurimis, Corte d’App. Firenze, dec. 4 ottobre 2012; Trib. Min. Torino, dec. 14 settembre 2015 (nel caso di coppie eterosessuali); Trib. Min. Roma decc., rispettivamente, 30 luglio 2014, 22 ottobre 2015 e 23 dicembre 2015 (relativamente all’ipotesi di coppie same sex).
[2] Cfr. Trib. Min. Bologna, dec. 21 marzo 2013.
[3] Così, Corte d’App. Milano, sez. fam., dec. 16 ottobre 2015; Corte d’App. Napoli, dec. 30 marzo 2016; Corte Cost. sent. n. 76/2016; e, assai recentemente, Trib. Firenze, dec. 8 marzo 2017.
[4] In tal senso, part. C. Cass., sent. 11 novembre 2014, n. 24001; C. Cass., sent. 30 settembre 2016, n. 19599; e, da ultimo, Trib. Trento, dec. 23 febbraio 2017.
[5] In oggetto, N. Chomsky-E.S. Herman, La fabbrica del consenso. La politica ed i mass media, Milano, 2008, 408 ma passim; R. Marini, Mass media e discussione pubblica: le teorie dell’agenda setting, Roma-Bari, 2015, par. 5.3.
[6] In questa direzione, L. Turco, Prefazione, a P. Binetti, Maternità surrogata: un figlio a tutti i costi, Roma, 2016, 15.
[7] Cfr. F. Zanuso, Autonomia, uguaglianza, utilità. Tre paradossi del razionalismo moderno, in AA.VV., Custodire il fuoco. Saggi di filosofia del diritto, a cura della stessa F. Zanuso, Milano, 2013, 76.
[8] Seppure – ancora di recente – Corte Cass. pen., sent. 10 marzo 2016, n. 1325 ha come noto assolto una coppia italiana che aveva praticato la surrogata in Ucraina con gameti dell’imputato ed ovuli donati da donna ignota dall’imputazione per i reati di cui agli artt. 12, l. n. 40 cit. e 476, 495, comma 2, n. 1, e 567, comma 2, cod. pen.: in senso analogo, peraltro, già Trib. Forlì, sent. 25 ottobre 2011 (in materia civile) nonché Trib. Trieste, sent. 6 giugno 2013, e Trib. Pisa, sent. 19 giugno 2015, in ambito penale.
[9] Così, A. Ruggeri-C. Salazar, «Non gli è lecito separarmi da ciò che è mio»: riflessioni sulla maternità surrogata alla luce della rivendicazione di Antigone, in Consulta OnLine (27 marzo 2017), 142.
[10] In tal senso, volendo, S. Agosta, Tra seguito normativo e giurisprudenziale: la riespansione del diritto di formare una famiglia con figli all’indomani della caducazione del divieto di fecondazione eterologa, in Itinerarium, n. 3/2015, 108. Di “esilio procreativo” già discorreva peraltro M. D’Amico, L’incostituzionalità del divieto assoluto della c.d. “fecondazione eterologa, in AA.VV., L’illegittimità costituzionale del divieto della “fecondazione eterologa”. Analisi critica e materiali, a cura di M. D’Amico-M.P. Costantini, Milano, 2014, 33.
[11] In oggetto, ad esempio, M.R. Spallarossa, Il modello di famiglia: normativa vigente e prospettive di riforma nella dimensione delle politiche sociali per le famiglie, in Pol. dir., 2007, 243; C. Flamigni-A. Borini, Fecondazione E(s)terologa, Roma, 2012, 33; B. Salone, La maternità surrogata in Italia: profili di diritto interno e risvolti internazionalprivatistici, e B. Sgorbati, Maternità surrogata, dignità della donna e interesse del minore, entrambi in BioLaw Journal, n. 2/2016, rispettivamente, 70 e 115.
[12] Per la considerazione che − nella gestazione per altri − la logica del dono da parte della madre surrogata sia l’unica costituzionalmente ammissibile cfr., se si vuole, S. Agosta, Il perdurante allontanamento tra diritto vivente giurisprudenziale e vigente legislativo sulla surrogazione di maternità (ed i possibili modi di ricongiungimento in una prospettiva costituzionalmente orientata), relazione alle giornate di studio su Nuove tecnologie e diritti umani: aspetti di diritto internazionale e di diritto interno, a cura di S. Agosta-A. Federico-C. Panella-L. Risicato-A. Ruggeri (Messina, 26-27 maggio 2017) i cui atti sono in corso di stampa.
[13] In questa direzione, B. Salone, op. cit., 43 e 69 s.