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Magistratura Indipendente

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO  

Dignità delle condizioni di lavoro dei magistrati onorari in servizio

  Giudiziario 
 lunedì, 21 maggio 2018

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di SARA GATTO, giudice di Pace di Vibo Valentia

 
 

1. Premessa. - 2. Riforma della magistratura onoraria. La mancata previsione di un effettivo doppio binario. - 3. I problemi di funzionamento per gli Uffici Giudiziari. - 4. Le soluzioni praticabili. - 5. Conclusioni.

 

  1.                      Premessa.

 

La magistratura onoraria è composta da più di cinquemila professionisti (per la quasi totalità da avvocati) che svolgono una funzione giurisdizionale di ausilio o, in alcuni casi, autonoma rispetto alla magistratura di carriera.

Una delle caratteristiche principali di tale categoria di magistrati è la rinnovabilità dell’incarico ed un sistema di retribuzione strettamente collegato all’attività svolta, ossia “a cottimo”.

Orbene, nell’ultimo ventennio si è verificata una sorta di anomalia in quanto quella che era la temporaneità dell’incarico di tale categoria è stata per così dire stravolta, per necessità collegate al funzionamento degli Uffici Giudiziari, ricorrendo all’istituto delle proroghe annuali, con la conseguenza che attualmente vi sono magistrati onorari che hanno svolto il loro incarico per vent’anni.

Nel corso di questi anni vi è stato, pertanto, un sempre crescente impiego della magistratura onoraria, caratterizzato da interventi di normazione primaria e secondaria che hanno previsto una maggiore attribuzione di competenze.

A fronte di questo, il legislatore non è intervenuto con una disciplina organica ma si è limitato a rinviare, con proroghe annuali, il definitivo inquadramento di questi magistrati, aggravando così la situazione di precarietà per quelli in servizio, fino a regolamentare la materia con l’attuale riforma.

 

 

2. La riforma della magistratura onoraria. La mancata previsione di un effettivo sistema di doppio binario.

 

Il recente decreto legislativo n. 116 del 31 luglio 2017, attuativo della legge delega n. 57 del 28 aprile 2016 di riforma della magistratura onoraria, è intervenuto in modo incisivo nell’organizzazione degli uffici giudiziari - disattendendo i rilievi e le richieste della magistratura onoraria – e condizionandone, non in meglio, il funzionamento.

La ratio sottostante al decreto è, infatti, quella di prevedere un impiego eccezionale della magistratura onoraria presso gli uffici giudiziari.

In realtà, quello che la magistratura onoraria in servizio chiedeva e chiede al legislatore è di trovare una soluzione c.d. dignitosa per coloro i quali, con il sistema delle proroghe annuali, hanno svolto per innumerevoli anni dette funzioni, acquisendo una professionalità sul campo con inevitabile perdita di chance dovuta al raggiungimento di un’età tale da non consentire l’inserimento nel mondo del lavoro.

Il legislatore delegato non ha, infatti, inserito un effettivo sistema di “doppio binario” (come auspicato dall’Associazione Nazionale Magistrati in sede di discussione sulla legga delega), in quanto si è limitato a regolamentare la permanenza nelle funzioni per ulteriori 16 anni per i magistrati onorari in servizio senza prevedere per questi un impegno diverso rispetto a quelli di nuova nomina.

Infatti, nonostante i magistrati onorari siano una risorsa per gli Uffici giudiziari in virtù della professionalità e dell’esperienza acquisita, ha ipotizzato, a partire dal 2022, un organico di 8000 m.o. con un carico di lavoro tale da impegnarli non più di due giornate settimanali e corrispondenti ad una udienza a settimana.

Questo intervento ha avuto come conseguenza quella di ridurre drasticamente le indennità previste per la magistratura onoraria, un intervento lesivo dell’autonomia ed indipendenza del magistrato.

La certezza di una retribuzione per un magistrato non rappresenta unicamente un corrispettivo per l’attività svolta, ma è anche e soprattutto un presidio della sua indipendenza, per evitare che possa essere esposto ad indebite pressioni.

La Corte Costituzionale, infatti, in più occasioni ha affermato che la retribuzione dei magistrati riguarda “un aspetto essenziale all’attuazione del precetto costituzionale dell’indipendenza” ed ha ribadito che tale aspetto è fondamentale “in modo da evitare che i magistrati siano soggetti a periodiche rivendicazioni di altri poteri”.

Trattasi di un principio posto a tutela della funzione giudiziaria e non costituisce una prerogativa collegata allo status giuridico della persona del magistrato.

Questo problema è stato particolarmente sentito dal Parlamento come emerge dal fatto che la Commissione Giustizia della Camera, nel parere allo schema di decreto delegato, aveva posto tra le osservazioni, al n. 2), quella di “prevedere, comunque, a regime un congruo e ragionevole incremento della quota fissa dell’indennità”.

Il medesimo rilievo è stato inserito nella Commissione Giustizia del Senato tra le condizioni, alla lettera w), rendendolo così vincolante per il governo.

La problematica è stata affrontata, con soddisfazione della m.o., dalla Giunta dell’ANM in due comunicati del 27.02.2018 e del 23.03.2018.    

La soluzione auspicata dalla GEC del  27.02.2018 (ribadito con il comunicato del 23.03.2018) ha precisato che: “Con riferimento alla normativa transitoria, si ribadisce la linea dell'ANM, ossia la necessità di prevedere un tangibile "doppio binario" disciplinando il maggiore impiego dei magistrati onorari in servizio con un proporzionale incremento dell'indennità, finalità che può essere garantita ad invarianza finanziaria attraverso un contingentamento (o quanto meno una riduzione) dei nuovi ingressi”.

Oltre a ciò altri gravi aspetti critici derivano: a) dalla riduzione del limite di età per l’esercizio della funzione a 68 anni (prima era a 75 anni), b) dall’eliminazione della gradazione delle sanzioni, prima prevista per i giudici di pace; c) dal mancato esercizio della delega sui trasferimenti, anch’essi prima previsti per i giudici di pace.

 

 

3. I problemi di funzionamento per gli Uffici Giudiziari.

 

La Legge delega 57/2016, oltre ad istituire uno statuto unico per la magistratura onoraria prevedeva, con riferimento alla magistratura onoraria giudicante, la possibilità di assegnare il giudice onorario all’Ufficio per il Processo [art. 2 co. 5, lett. a) e co. 7 lett. e)], all’Ufficio del Giudice di Pace [art. 2 co. 1 lett. a) e co. 15] o, in alternativa, presso il Tribunale [art. 2 co. 5, lett. b) e c)], mentre la scelta del legislatore delegato, è stata nel senso dell’alternatività di impiego tra l’Ufficio del Giudice di Pace e l’Ufficio per il Processo.

Questa impostazione, oltre a configurare una violazione della legge delega, comporterà gravi conseguenze in materia di funzionamento degli Uffici Giudiziari.

Dall’esame del combinato disposto di cui agli artt. 10 e 11 D.lgs. 116/2017 si ricava, infatti, che la possibilità di assegnare al magistrato onorario la trattazione di procedimenti presso il Tribunale, sarà più teorica che reale.

In primo luogo, il Presidente del Tribunale, diversamente da quanto ipotizzato nella legge delega, non potrà provvedere con interpello presso gli Uffici del Giudice di Pace ma dovrà intervenire disponendo l’assegnazione alla trattazione di procedimenti facendo unicamente riferimento ai magistrati onorari già inseriti nell’Ufficio del Processo, con ovvie ripercussioni sull’organizzazione del lavoro dei magistrati togati del suo ufficio.

Ulteriore problema attiene alle condizioni che subordinano l’adozione di questa scelta.

Le lettere a), b), c) e d) del comma 1 dell’art. 11 del decreto attuativo individuano, in via alternativa, situazioni che presuppongono uffici giudiziari con una scopertura di organico tale da ridurre di oltre il 30% l’attività dei giudici assegnati al Tribunale o alla sezione; il superamento del limite di ragionevole durata del processo di cui alla L. 89/2011 pari al 50% del numero complessivo dei procedimenti civili pendenti avanti al medesimo tribunale (per i procedimenti penali il limite è al 40%) ed un numero medio di procedimenti civili pendenti o sopravvenuti che superi del 70% il numero medio nazionale (per i procedimenti penali il limite è fissato nel 50%).

Si tratta di ipotesi che difficilmente potranno concretizzarsi nella realtà operativa degli uffici di primo grado.

In ogni caso, anche in presenza di una di queste condizioni, la norma impone un ulteriore adempimento al Presidente di Tribunale, ossia quello di motivare l’impossibilità di “adottare misure organizzative diverse” [art. 11 co. 1] oltre ad uno stringente limite temporale, ossia tre anni [art. 11 co. 8].

Inoltre, il comma 5 dell’articolo 11 prevede che il carico di lavoro assegnato non potrà essere superiore ad un terzo del numero medio nazionale mentre non potranno essere assegnati, a norma del successivo comma 6, nel settore civile, i procedimenti cautelari, possessori, d’impugnazione avverso i provvedimenti del giudice di pace, in materia di lavoro ed assistenza obbligatoria mentre nel settore penale i procedimenti diversi da quelli previsti dall’art. 550 c.p.p., le funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell’udienza preliminare; i giudizi di appello avverso i provvedimenti emessi dal giudice di pace ed i procedimenti di cui all’art. 558 c.p.p.

Nella realtà operativa degli uffici giudiziari, questa norma avrà l’effetto di escludere ogni possibilità di impiego in Tribunale del magistrato onorario al di fuori dell’ufficio per il processo.

Conseguentemente se l’aumento di competenza porterà un beneficio a livello amministrativo ai Tribunali, sotto il profilo della movimentazione e gestione dei fascicoli, non solo non porterà alcun vantaggio all’amministrazione della giustizia, ma, proprio per l’impossibilità di assegnare procedimenti che, precedentemente, venivano, invece, affidati al magistrato onorario, determinerà gravi conseguenze in tema di esercizio della giurisdizione.

Una prima conseguenza alla impossibilità di impiego dei magistrati onorari “a tempo pieno e in via autonoma”, sarà la necessaria riduzione (in alcuni casi fino al 50%) delle sezioni di Tribunale.

Secondariamente, stante l’impossibilità di fatto di avvalersi di magistrati onorari a cui assegnare la trattazione di procedimenti, l’unica alternativa possibile sarà quella di aumentare il carico di lavoro di ogni singolo magistrato togato dell’ufficio al quale nessun aiuto in concreto potrà venire dal magistrato onorario in servizio presso l’ufficio per il processo.

Ed infatti, quanto all’Ufficio per il processo, ed in particolare con riferimento al settore penale, non si vede quale utilità possa rivestire l’assegnazione di un magistrato onorario a tale struttura, vista l’impossibilità di conferirgli deleghe in ambito processuale, con la conseguenza che il primo effetto di questa riforma sarà quello di gravare il magistrato togato destinato al settore penale di ulteriori carichi di lavoro, senza poter avere alcun ausilio da parte del giudice onorario.

Passando al settore civile, l’impiego del magistrato onorario, potrà consistere nell’attività di assunzione di testimoni; nella predisposizione di provvedimenti relativi a non meglio definite “questioni semplici e ripetitive”; nell’esperimento di tentativi di conciliazione [art. 10 comma 11], ossia di attività che, comunque, non vanno a definire il procedimento e che, pertanto, comportano il successivo intervento del magistrato professionale.

Anche la previsione, in via eccezionale, della possibilità di delegare il magistrato onorario alla pronuncia di provvedimenti definitori [art. 10. co. 12], riveste carattere residuale, se solo si consideri che la maggior parte delle cause sono di competenza dell’ufficio del giudice di pace, per valore [ad es. art. 10 co. 12 lett. d) ed e)].

 

4 . Le soluzioni praticabili.

 

L’unica soluzione praticabile sul punto è quella di prevedere per i magistrati onorari in servizio la possibilità di permanere nelle funzioni onorarie fino al raggiungimento del limite di età, sul modello della Legge n. 217/74, senza prevedere l’ingresso nei ruoli della magistratura né la costituzione di un rapporto di pubblico impiego con lo Stato, come del resto affermato dalla Cass. Sez. Lav. nella sentenza n. 11413 del 19.11.1993.  

Tale soluzione è stata oggetto di valutazione da parte del Consiglio di Stato - con parere dell’8 aprile 2017 reso su quesito formulato dal Ministero della Giustizia in ordine alla permanenza delle funzioni per i magistrati onorari in servizio - il quale ha concluso che la previsione della conservazione dell’incarico onorario in corso, così come disposto per i vice pretori onorari con la Legge 18 maggio 1974 n. 217, “offre una qualche possibilità operativa”.

La possibilità di garantire la permanenza nelle funzioni della magistratura onoraria in servizio, sul modello della Legge 217/74, costituisce, infine, quella soluzione di compromesso auspicata dalla Presidente della Commissione Parlamentare UE Dr.ssa Cecilia Wilkstrom al Ministro On. Andrea Orlando per risolvere la questione, definita “allarmante” e “critica”, della “disparità di trattamento sul piano giuridico, economico e sociale fra Magistrati togati e onorari”.

Va prevista una graduazione dell’impegno in quanto non tutti i magistrati onorari in servizio opterebbero per un impegno a tempo pieno.

Pertanto, la soluzione auspicabile sul piano retributivo è quello di prevedere un aumento della componente fissa, nonché prevedere una gradazione degli impegni in questi termini:

a) impiego di carico di lavoro e di udienza nella misura pari ad un terzo rispetto a quello del magistrato professionale di tribunale e corrispondente a non più di una udienza a settimana;

b) impiego di carico di lavoro e di udienza nella misura pari alla metà rispetto a quello del magistrato professionale di tribunale e corrispondente a non più di due udienze a settimana;

c) impiego di carico di lavoro e di udienza nella misura pari a quello del magistrato professionale di tribunale e corrispondente a non più di tre udienze a settimana”.

Con la conseguenza che per i magistrati che si avvarranno dell’opzione sub a) l’indennità fissa sarà dovuta nella misura prevista dall’art. 23 (comprensiva di fisso e variabile), per i magistrati onorari che si avvarranno dell’opzione sub b) sarà dovuta nella misura del doppio rispetto a quella prevista dall’art. 23 (comprensivo di fisso e variabile); mentre per i magistrati onorari che si avvarranno dell’opzione sub c) l’indennità fissa sarà dovuta nella misura del triplo rispetto a quella prevista dall’art. 23 (comprensivo di fisso e variabile).

Ulteriore aspetto critico attiene al mancato esercizio della delega in materia di trasferimenti.

Sul punto non può sottolinearsi il grave pericolo insito a tale sorprendente decisione, poiché l’impossibilità non potrà che avere come conseguenza quella di bloccare l’esercizio della giurisdizione in quegli uffici che si troveranno in carenza di personale giudiziario e non potranno avvalersi dei trasferimenti dei magistrati onorari.

E’ pertanto necessario non limitare la possibilità di mobilità all’interno del medesimo distretto.

Il rimedio della mobilità dei magistrati deve prescindere dai limiti circondariali e distrettuali, perché è indice di una situazione che non può trovare soluzione momentanea con le applicazioni ma necessita di un intervento definitivo, che può non trovare rimedio all’interno del singolo distretto.

Il limite territoriale non garantirebbe, inoltre, soluzioni efficienti, quali ad esempio nei casi di mobilità in uffici giudiziari posti ai limiti dei distretti, che troverebbero maggiori disponibilità di magistrati di un ufficio vicino ma di altro distretto, rispetto a quelli della sede distrettuale.

Altra cosa che mi preme sottolineare è la condizione del m.o. iscritto all’Albo degli avvocati che, raggiunta l’età di 68 anni, decade dalla funzione ma non potrà percepire la pensione degli avvocati fino al compimento del 70mo anno di età.

        Per tale ragione, sarebbe auspicabile l’elevazione dell’età per il mantenimento in servizio a 70 anni sino al raggiungimento dell’età pensionabile per i liberi professionisti.

        Dovrebbe essere rivista la parte della riforma relativa alla gradazione delle sanzioni, come richiesta anche dal Consiglio Superiore della Magistratura.

Non può, infatti, immaginarsi che per il magistrato onorario sia prevista come unica sanzione disciplinare la revoca dall’incarico. Il sistema disciplinare per un magistrato attiene alla tutela dell’autonomia della funzione giudiziaria e solo in parte agli aspetti delle violazioni del contratto di lavoro, come emerge dal fatto che non segue le procedure previste per i dipendenti pubblici e che l’organo deputato a comminare le sanzioni non è il datore di lavoro bensì l’organo di tutela dell’autonomia della magistratura, il CSM.

 

 

5. Conclusioni.

 

Questa riforma sconta una gravissima lacuna, quello dell’assenza di sistematicità.

L’unica finalità di fondo che emerge dalla lettura del D.lgs. 116/2017 è quella di costituire un complesso di norme a carattere ‘difensivo’ rispetto ad eventuali pretese della magistratura onoraria ed ai rilievi delle istituzioni eurounitarie, con la conseguenza da un lato dell’assenza di ogni coordinamento tra le singole disposizioni e dall’altro della mancanza di ogni valorizzazione dell’aspetto della tutela della funzione giurisdizionale rispetto a quello della costituzione di un rapporto di lavoro con lo Stato.

Aspetti, ad esempio, come l’organizzazione del lavoro, i disciplinari ed i trasferimenti, in un settore come quello della magistratura non attengono né presuppongono la costituzione di un rapporto di lavoro ma sono relativi all’esercizio della giurisdizione.

           Analoghe considerazioni vanno svolte per l’aspetto del mancato esercizio della delega in tema di trasferimento dei magistrati onorari in servizio, aspetto che, come sopra esposto, attiene principalmente alla funzionalità degli uffici e, quindi, all’esercizio della giurisdizione.

Prevedere una gradazione delle sanzioni o i trasferimenti non significa riconoscere un rapporto di lavoro con l’amministrazione dello Stato.

Né elevare l’età per l’esercizio delle funzioni a 70 anni determina una equiparazione al magistrato professionale.   

Per anni la magistratura ha contrastato la concezione del giudice-impiegato e, nonostante tutto, sembra essere ritornati indietro in un periodo in cui il magistrato era visto principalmente come un funzionario dello Stato.

Questa è una pericolosa visione che purtroppo sta avendo sempre più seguito e che è la nuova forma di delegittimazione della magistratura, perché altro non è che la negazione del principio dell’autonomia della magistratura ossia del principio della soggezione del magistrato solo alla legge.

E’, pertanto, importante il raffronto con la ANM e con le associazioni dei magistrati.

 

 

 
 
 
 
 
 

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