Sommario: 1. Danno ingiusto, danno in re ipsa - 2. Le conseguenze dell’inadempimento - 3. Alcuni esempi - 4. Il ristoro del danno in re ipsa
- Danno ingiusto, danno in re ipsa
L’espressione danno in re ipsa identifica situazione nella quale una condotta è intrinsecamente generatrice di un pregiudizio per il patrimonio del danneggiato, cosicché il rimedio risarcitorio è imprescindibile per la tutela dell’offeso, che non ne deve fornire specifica dimostrazione ([1]). Per molti versi il senso del danno in re ipsa aderisce alle vicende nelle quali la condotta giuridicamente riprovata colpisce inscindibilmente l’altrui patrimonio o, si direbbe più estensivamente, il bene della vita, secondo un paradigma che appartiene alle logiche che guidano le norme di condotta, la cui trasgressione comporta la lesione di un altrui diritto; e non soltanto il turbamento dell’ordine e della pace sociale, nella prospettiva di un abbinamento della responsabilità civile a quella penale, il danno in re ipsa è chiave che apre la porta al ristoro della parte lesa, della vittima dell’azione delittuosa ([2]).
La responsabilità civile ha nel tempo acquisito autonomia dalla responsabilità penale e non solo per la configurabilità di illeciti civili in assenza dei connotati soggettivi occorrenti per il compiersi del reato ([3]).
La formulazione dell’art. 2043 c.c. adottata dal legislatore ha impresso al fatto illecito fisionomie i cui elementi caratteristici includono il danno ingiusto, quale effetto di comportamenti colpevoli o intenzionali. Diversamente dall’art. 1151 c.c. del 1865 il danno rilevante è stato qualificato come ingiusto. L’ingiustizia, ciò che non si giustifica di fronte all’ordinamento, ne è condizione necessaria, pur se non sufficiente, perché si abbia un illecito ([4]). L’interpretazione dell’art. 2043 c.c. ha portato ad una lettura estensiva del danno ingiusto con la sua traduzione nell’interesse giuridicamente protetto ([5]). Il ventaglio degli interessi rilevanti di fronte all’ordinamento si estende al di là del diritto soggettivo assoluto, per includere le aspettative, gli interessi legittimi ed anche i diritti soggettivi relativi, sino alle situazioni di fatto, come il possesso ([6]). La disposizione dell’art. 2043 c.c., con l’incremento degli effetti lesivi riconducibili a comportamenti colpevoli o intenzionali, ha dato luogo all’espansione della responsabilità civile, a cui si assegna la funzione rimediale di pregiudizi immanenti nel fatto illecito. In questa declinazione dell’argomento, il danno in re ipsa o forse meglio un danno in re ipsa, potrebbe rinvenirsi in ogni illecito.
2. Le conseguenze dell’inadempimento
Il risarcimento del danno è materia che ha disciplina nell’ambito delle norme che il codice civile dedica all’inadempimento della obbligazione. L’art. 2056 c.c. rinvia, fatta eccezione per il disposto dell’art. 1225 c.c.., a quelle regole. Diversamente da quanto previsto in tema di illecito, il risarcimento del danno non è una costante dell’inadempimento. Sebbene l’art. 1218 c.c. abbia stabilito la presunzione di imputabilità dell’inadempimento al debitore, il risarcimento del danno è un succedaneo dell’azione di adempimento ([7]). La reazione del creditore di fronte all’inadempimento del debitore, in particolare quando l’obbligo abbia fonte contrattuale, emerge dallo stesso contenuto dell’art. 1453 c.c. che pone il risarcimento come eventuale ([8]). L’art. 1454 c.c. dà evidenza alla manifestazione dell’interesse del creditore a ricevere l’esecuzione della prestazione, anche se non tempestiva ([9]). Il risarcimento del danno resta in secondo piano rispetto a rimedi specifici stabiliti a protezione del venditore (art. 1490-1495 c.c.) e del committente (art. 1667-1669 c.c.) in caso di vizi della cosa compravenduta o dell’opera eseguita.
L’inadempimento incide sul diritto di credito. Ciò nonostante l’elemento del danno non assurge a circostanza consustanziale. Pure la disciplina della mora del debitore (art. 1224 c.c.) contempla il risarcimento del danno come riparazione del pregiudizio non compensato dalla decorrenza degli interessi di mora. La natura degli interessi di mora non è univocamente definita ([10]). Volendo attribuirvi funzione riparatoria, non si superano i rilievi circa le omologazioni agli interessi compensativi ([11]). Se mai, dall’art. 1224 c.c. può trarsi spunto per delineare un modello di trattamento delle conseguenze negative dell’inadempimento di obbligazioni (pecuniarie), nel senso che dalla norma può attingersi l’idea di un duplice profilo di riparazione, l’uno relativo alle conseguenze insite nel ritardo della dazione e l’altro per i pregiudizi relativi al creditore nelle sue peculiarità. La decorrenza degl’interessi assolve ad una funzione di riequilibrio fra la posizione dell’inadempiente che trattiene quanto dovuto e quella del creditore privato della disponibilità delle liquidità attese. Qualora il pregiudizio subito dal creditore a causa dell’inadempimento non trovi adeguata compensazione nell’incremento dei suoi diritti, determinato dalla decorrenza degl’interessi, il maggior danno potrà essere risarcito, ma secondo le regole ordinarie ([12]).
3. Alcuni esempi
La Suprema Corte a Sezioni Unite ha affrontato l’argomento del danno in re ipsa con riferimento al pregiudizio arrecato da occupazione abusiva al proprietario del bene occupato ([13]). Il caso verteva sulla liquidabilità di un danno per il mancato godimento del bene abusivamente occupato, sebbene l’offeso avesse rappresentato pregiudizi dipendenti più dagli ostacoli posti dall’occupazione alla facoltà di disposizione anziché alla fruizione del bene. L’intervento delle Sezioni Unite è stato promosso in ragione del contrasto di opinioni formatesi presso la seconda e la terza sezione della Corte di legittimità. I Giudici della seconda sezione, sulla premessa che l’occupazione senza titolo integri una condotta illecita, hanno ritenuto che il riconoscimento di un ristoro a favore della vittima sarebbe una conseguenza ineludibile, al di là di una effettiva rappresentazione della subita limitazione all’esercizio del godimento della cosa prodotta dalla presenza dell’occupante abusivo ([14]). La circostanza pregiudizievole nella sua effettività non potrebbe, secondo l’altra soluzione, non essere accertata in aderenza al regime generale del risarcimento ([15]). Movendo dalla considerazione che il risarcimento del danno si lega alla lesione del bene della vita giuridicamente rilevante e tutelato, rispetto alla occupazione senza titolo, tale bene ricomprenderebbe, secondo le Sezioni Unite, la facoltà di godimento, cosicché il suo pregiudizio non potrebbe essere negato a colui che della facoltà di fruizione della cosa avrebbe potuto avvalersi. In quest’ottica si potrebbe configurare un danno in re ipsa, risarcibile anche in via equitativa ricorrendo ai valori del mercato di riferimento. Diverso o maggior danno dovrebbe riconoscersi, se rappresentato e dimostrato.
Al di là dei principi enunciati, la pronuncia delle S.U. mette a fuoco alcuni dei fattori che muovono verso la figurazione di un danno in re ipsa. La censurabilità di una condotta profilata con connotati specifici e qualificanti, come la violazione di prerogativa dominicale, è in sé ingiusta; l’ingiustizia da predicato del danno ne diviene essenza e perciò fonte di responsabilità. Il risarcimento assolverebbe a funzioni sanzionatorie e indennitarie. Il fine della piena reintegrazione del danneggiato si attenuerebbe a favore dell’esigenza della ricostituzione delle condizioni patrimoniali dei soggetti implicati, attribuendo all’offeso compenso commisurato al vantaggio illegittimamente ottenuto dall’autore del comportamento censurato. Pur nel quadro di un meccanismo risarcitorio, il danno in re ipsa si accosta a logiche di elisione di fenomeni di arricchimento senza causa, almeno nel momento in cui alla sua liquidazione si proceda con parametri orientati dai costi risparmiati dal danneggiante a discapito del danneggiato .
Nel caso dell’occupazione senza titolo si rilevano specularità fra le posizioni dell’offeso e quelle dell’autore del fatto che consentono di seguire il delineato percorso liquidatorio. Geneticamente, però, il danno in re ipsa non si pone come strumento per stabilire misure di liquidazione, bensì come momento nel quale si fissa il pregiudizio risarcibile. Per la liquidazione può sempre soccorrere l’equità (art. 1226 c.c.). Ciò nondimeno nel caso dell’occupazione senza titolo è difficile prescindere dal fatto che l’occupante senza titolo sottrae per sé al proprietario il completo utilizzo della cosa. Infatti, nel caso di occupazione illegittima da parte della P.A., se il soggetto offeso opta per il risarcimento anziché per la restituzione del bene, il suo pregiudizio è stato qualificato in re ipsa ([16]).
In materia di trascrizione abusiva di domanda giudiziale o di iscrizione ipotecaria, vicende in cui si era fatto richiamo al danno in re ipsa, la situazione pregiudizievole non corrisponde, al negativo, ad un vantaggio per l’autore della trascrizione illegittima. Il rimedio della cancellazione non si ritiene necessariamente accompagnato a quello risarcitorio, ed il danno per essere ristorato deve essere dimostrato ([17]).
La esistenza di un danno in re ipsa si mantiene ancora tesi diffusa in riferimento alla segnalazione illegittima presso la C.R. ([18]). Il pregiudizio della illegittima segnalazione viene mitigato già attraverso la tutela d’urgenza che implica la commissione di un fatto di per sé offensivo ([19]).
La tutela di urgenza è stata ammessa pure per ovviare all’abuso della trascrizione ([20]), ma il profilo risarcitorio si vuole rimesso al regime generale, allontanando il caso dal territorio del danno in re ipsa, come accennato.
L’esercizio abusivo di un diritto, sebbene riportato alla figura dell’illecito, più che una tutela risarcitoria esige la rimozione degli effetti dell’atto abusivo, con assorbimento del rimedio risarcitorio ([21]). Il danno in re ipsa non aderirebbe all’abuso del diritto, ai fenomeni così qualificabili. L’azione abusiva non potrebbe non essere pregiudizievole di altrui posizioni di diritto o anche di obbligo; ma la reazione ordinamentale si rivolge al di fuori o soprattutto al di fuori del sistema risarcitorio, in difetto di una lesione tipizzata generata dall’abuso.
Il danno in re ipsa come equivalente di un danno presunto è stato prospettato per dare corpo alle censure mosse a comportamenti che intaccano prerogative di libertà della persona o sue relazioni ([22]). La figurazione del danno diviene mezzo di valorizzazione di pregiudizi indecifrabili, dai quali scaturiscono disagi anche patrimoniali non riconducibili direttamente all’azione o all’omissione stigmatizzate, ma da queste occasionati. Danno in re ipsa e danno presunto vengono a sovrapporsi e l’evento lesivo si amalgama con il conseguente pregiudizio, quello di cui si attende il ristoro. Le linee di separazione che potrebbero marcare il danno evento dal danno conseguenza si assottigliano per lo spessore dato al secondo, per la cui liquidazione occorre presupporre un danno insito nella condotta riprovata. La riflessione sulle figure del danno evento e del danno conseguenza volta a spiegare il riconoscimento del danno non patrimoniale e non solo esistenziale o morale rimettono a tema pure la figura del danno in re ipsa, in quanto insito nelle condotte che ledono la persona o, meglio, gli interessi della persona.
4. Il ristoro del danno in re ipsa
Il ricorso alla figura del danno in re ipsa può agevolare la liquidazione del risarcimento del danno nella misura in cui abbrevia il percorso per pervenire alla quantificazione dell’entità del pregiudizio che si intende riparare, ma con riguardo al danno emergente. Questo identifica il decremento che subisce il patrimonio del danneggiato per la lesione del diritto protetto e tutelato attraverso la prescrizione comportamentale violata ([23]). Nel momento in cui si stabiliscono le situazioni di riferimento per definire il contenuto del diritto pregiudicato, si perviene ad una sorta di sistema automatico di quantificazione del danno basata su criteri standardizzati. Ciò si registra invero come fenomeno esteso a tutto il settore della responsabilità civile, a partire da quello dei sinistri stradali fino alla materia del danno alla persona. Questa impostazione origina dalle esigenze provenienti dai sistemi assicurativi, non solo privati, che necessitano di poter predefinire il costo del rischio assunto. Rispetto alla prospettiva della pienezza del risarcimento del danno, il metodo di una liquidazione ottenuta in base ad un calcolo più che all’accertamento del pregiudizio lamentato può dare luogo a dei gap, compensati dalla certezza dei risultati. Peraltro, poiché la voce del danno emergente non conclude il discorso risarcitorio, si avrà modo di far emergere quanto effettivamente perduto dal danneggiato attraverso adeguata dimostrazione del pregiudizio.
Il risarcimento del danno provato come conseguenza dell’inadempimento o del fatto illecito non si pone in dubbio. Le criticità insorgono se sul postulato di un danno in re ipsa si provveda alla sua liquidazione in via presuntiva, perché è innegabile il valore del pregiudizio arrecato al bene della vita pregiudicato. Constatata l’esistenza di un danno in re ipsa, il suo risarcimento è passo successivo ineludibile, segnatamente nell’ordine dell’id quod plerumque accidit anziché, o, forse meglio, del quod interest in generale.
L’esito del ragionamento si traduce in una liquidazione del risarcimento non aderente per difetto o per eccesso al pregiudizio subito dal danneggiato. La funzione compensativa del risarcimento legata alla reintegrazione dell’offeso si opacizza a favore di una finalità indennitaria, per definizione non satisfattiva di perdite effettivamente patite oppure punitiva, perché scollegata dal reale danno inferto.
Il tema del danno in re ipsa di fronte al momento risarcitorio si pone come argomento costante in ogni riflessione sul danno ed il suo ristoro, sia in ordine ai criteri di liquidazione che in ordine alle finalità del rimedio. Il che induce a rafforzare l’idea che la figura più che un significato concettuale valga come formula per liquidare un risarcimento rei ipsae imperfetto, forse, ma dovuto secondo giustizia e per giustizia.
[1] G. Alpa, Trattato di diritto civile, IV, Giuffrè, Milano, 1999, 18.
[2] P. Cendon, Trattato dei nuovi danni, V, Cedam, Padova 2011, 25.
[3] G. Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, Cedam, Padova, 1999, 233.
[4] Cfr. G. Visintini, Deviazioni dottrinali in tema di danno ingiusto, in «Contratto e impresa», 2023, 31.
[5] Cass., 28 febbraio 2012, n. 3003; T. Napoli, 21 luglio 2022, n. 7300.
[6] C. Tenella Sillani, Il risarcimento del danno da lesione del possesso, Giuffrè, Milano, 1989.
[7] G. Amadio, Lezioni di diritto civile, Giuffrè, Milano, 2014, 87.
[8] A. Luminoso, sub art. 1453 c.c., in A. Luminoso, U. Carnevali, M. Costanza, Della risoluzione per inadempimento, I/1, in Commentario Scialoja-Branca, art. 1453-1454, Zanichelli, Bologna-Roma, Zanichelli, 1990, 81.
[9] Cass., 22 giugno 1994, n. 5979, in Gius, 1994, 21, 15.
[10] M. Libertini, Interessi, in Enciclopedia del diritto, XXII, Giuffrè, Milano, 1972, 95 sgg.; C.M. Bianca, La responsabilità, Giuffrè, Milano, 1994, 198.
[11] L’applicazione estesa a tutte le obbligazioni pecuniarie quale che ne sia la fonte, seppure sotto il profilo del tasso (Cass., 3 gennaio 2023, n. 61), avvicina le due specie di interessi.
[12] Cass., 20 novembre 2007, n. 24142.
[13] Cass., S.U., 15 novembre 2022, n. 33645.
[14] Cass., 31 agosto 2018, n. 21501; Cass., 9 giugno 2008, n. 15238.
[15] Cass., 25 maggio 2018, n. 13071; Cass., 4 dicembre 2018, n. 3123.
[16] Cass., 7 settembre 2020, n. 18566, in Foro it., I, 2021 591.
[17] Cass., S.U., 23 marzo 2011, n. 6597.
[18] T. Modena, 20 marzo 2012; T. Mantova, 27 maggio 2008.
[19] T. Bari, 13 gennaio 2022.
[20] T. Verona, 9 marzo 2001, in Corr. giur., 2001, 924.
[21] F. Galgano, Trattato di diritto civile, V, Cedam, Padova, 2011, 339.
[22] Cass., 23 marzo 2018, n. 7260.
[23] M. Franzoni, Il danno risarcibile, Giuffrè, Milano, 2001, 55 sgg.