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Magistratura Indipendente

PENALE  

CONTINUITÀ NORMATIVA TRA MILLANTATO CREDITO E TRAFFICO DI INFLUENZE ILLECITE

  Penale 
 venerdì, 26 gennaio 2024

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di Caterina MELONE, tirocinante presso la Corte di cassazione

 
 

LA CONTINUITÀ NORMATIVA TRA MILLANTATO CREDITO “CORRUTTIVO” E TRAFFICO DI INFLUENZE ILLECITE:
ASPETTANDO LE SEZIONI UNITE.

 

Sommario:
1. Premessa
2. La questione rimessa alle Sezioni Unite. Il caso.
3. La tesi della continuità normativa
4. La tesi della discontinuità normativa
5. La ratio della riforma del 2019 e le Convenzioni internazionali
6. Brevi osservazioni sull’art. 346 c.p.
7. I rapporti tra l’art. 346, co. 2 c.p. e il novellato art. 346-bis c.p. Continuità normativa?

 

1. Premessa
Con la Legge 6 novembre 2012, n. 190[1] il Legislatore ha inserito nel Codice penale l’art.346-bis, rubricato “traffico di influenze illecite”. L’introduzione della nuova fattispecie si inseriva nell’ottica di un rafforzamento del sistema di contrasto alla corruzione. L’obiettivo principale era, infatti, quello di attuare una forma di tutela anticipata rispetto al diffuso fenomeno corruttivo. A spingere il Legislatore verso tale direzione è stata, inoltre, l’esigenza di adeguare la normativa interna agli obblighi internazionali, quali, in particolare, la Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa e la Convenzione contro la corruzione delle Nazioni Unite. Tra le diverse perplessità che la formulazione dell’art. 346-bis suscitava, una posizione di rilievo assumeva il tema del rapporto tra il vicino millantato credito e il nuovo traffico di influenze illecite.

In questo quadro normativo è intervenuta la Legge 9 gennaio 2019, n. 3[2], perseguendo il medesimo obiettivo di lotta alla corruzione del Legislatore del 2012 e concludendo il percorso di adeguamento del traffico di influenze illecite alle Convenzioni internazionali.

Nonostante l’intervento del 2019 si proponesse l’intento di dirimere i problemi interpretativi e di far confluire la figura del millantato credito in quella del traffico di influenze illecite, il rapporto tra le due figure delittuose continua ad essere un tema controverso. La giurisprudenza di legittimità ha espresso orientamenti contrastanti sul tema e, preso atto del contrasto interno alla Sesta sezione, la Seconda sezione ha adito le Sezioni Unite.

 

2. La questione rimessa alle Sezioni Unite. Il caso
Con l’ordinanza del 28 giugno 2023, n. 31478 la Seconda Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: «se sussista continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346, comma secondo, cod. pen., abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis cod. pen.».

La vicenda esaminata riguardava la condotta di un soggetto detenuto presso la Casa circondariale di Frosinone al quale gli era contestato di avere, in concorso con un agente di Polizia penitenziaria in servizio presso la medesima Casa circondariale, indotto un soggetto, anch’egli detenuto, a promettere la somma di euro 3.000,00 al fine di evitare il trasferimento presso un altro istituto penitenziario che gli era stato prospettato. La somma sarebbe stata suddivisa tra l’imputato e l’agente di Polizia penitenziaria rimasto ignoto.

Il Tribunale di Roma aveva condannato il ricorrente per il reato di cui all’art. 319-quater c.p. (induzione indebita a dare o promettere utilità); la sentenza era stata confermata dalla Corte di appello di Roma. A seguito di impugnazione dell’imputato, la Corte di cassazione disponeva l’annullamento con rinvio, ritenendo che vi fossero lacune nella ricostruzione dei fatti e che la legge penale non fosse stata correttamente applicata, «non potendo nella specie né ritenersi raggiunta la prova dell’accordo fra indotto ed induttore e neppure quella dell’abuso dei poteri da parte del pubblico agente; né, nel ragionamento dei Giudici di merito, è stato spiegato perché si debba escludere che i fatti, ove correttamente accertati, possano essere ricondotti ad altre fattispecie di reato quali la truffa o il traffico di influenze illecite».

All’esito del giudizio di rinvio, la Corte di appello di Roma riqualificava il fatto ai sensi dell’art. 346-bis c.p., ritenendo la continuità normativa tra la fattispecie di cui all’art. 346-bis e quella di cui all’art. 346 abrogato, vigente al momento di commissione del fatto contestato. Avverso tale sentenza, l’imputato ricorreva per cassazione, contestando la qualificazione giuridica operata dai Giudici di appello.

In particolare, il ricorrente sosteneva che la configurazione del reato di traffico di influenze illecite deve essere esclusa quando non sia stata accertata l’effettiva esistenza di una relazione e di una capacità di condizionare o, comunque, di orientare la condotta del pubblico ufficiale. Sosteneva, inoltre, che non vi è un rapporto di continuità normativa tra il reato di traffico di influenze illecite e il reato di millantato credito, in quanto nel millantato credito non risulta ricompresa la condotta di chi, mediante artifici o raggiri, riceve o si fa dare o promettere denaro o altra utilità con il pretesto di dover comprare il pubblico ufficiale. La condotta contestata consisteva, secondo il ricorrente, in una forma di raggiro nei confronti del soggetto passivo, indotto da una falsa rappresentazione della realtà ad un accordo che lo impegna ad una prestazione patrimoniale; dunque, una forma di millantato credito che si sostanzia in una specificazione del delitto di truffa, non potendo essere ricondotto al reato di cui all’art. 346-bis per la cui sussistenza sarebbe necessario dimostrare l’effettivo sfruttamento di una relazione.
 

3. La tesi della continuità normativa
Secondo un primo orientamento[3], «sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346, comma secondo, cod. pen. – formalmente abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 – ed il reato di traffico di influenze di cui al novellato art. 346-bis cod. pen., atteso che, in quest’ultima fattispecie risulta attualmente ricompresa la condotta di chi, vantando un’influenza, meramente asserita, presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, riceva o si faccia dare o promettere denaro o altra utilità col pretesto di dovere comprare il pubblico agente o di doverlo comunque remunerare»[4].

Per giungere a tale soluzione, la Suprema Corte ha considerato anzitutto il contenuto della Relazione introduttiva al Disegno di legge, evidenziando come uno degli scopi principali dell’intervento legislativo fosse quello di adeguare la normativa interna agli obblighi convenzionali imposti dalla Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa, firmata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e, in particolare, all’Addenda al Second Compliance Report sull’Italia[5], approvato il 22 giugno 2018 dal GRECO (Group of States against Corruption) [6]. Nell’Addenda al Second Compliance Report, il GRECO aveva evidenziato che, salvi gli ambiti in relazione ai quali il Legislatore nazionale aveva legittimamente esercitato il diritto di riserva ex art. 37 della Convenzione, vi fossero ancora difformità tra la normativa interna e gli obblighi convenzionali (specificamente all’art. 12), ed aveva sollecitato lo Stato italiano ad intervenire su specifici temi, quali l’adeguamento della disciplina interna del traffico di influenze agli obblighi convenzionali.

La Corte ha sottolineato che il Legislatore, recependo tali indicazioni, ha riformulato il delitto di traffico di influenze illecite per assorbirvi la condotta prima sanzionata sotto forma di millantato credito dall’art. 346 c.p. Si osserva che l’art. 346-bis, co. 1 c.p. «punisce anche la condotta del soggetto che si sia fatto dare o promettere da un privato vantaggi personali – di natura economica o meno –, rappresentandogli la possibilità di intercedere a suo vantaggio presso un pubblico funzionario, a prescindere dall’esistenza o meno di una relazione con quest’ultimo. Ciò a condizione – fatta oggetto di un’espressa clausola di riserva (“fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis”) – che l’agente non eserciti effettivamente un’influenza sul pubblico ufficiale o sul soggetto equiparato e non vi sia mercimonio della pubblica funzione, dandosi, altrimenti, luogo a taluna delle ipotesi di corruzione previste da detti articoli»[7].

Secondo i Giudici di legittimità, la norma equipara «sul piano penale la mera vanteria di una relazione o di un credito con un pubblico funzionario soltanto asserita ed in effetti insussistente (dunque la relazione solo millantata) alla rappresentazione di una relazione realmente esistente con il pubblico ufficiale da piegare a vantaggio del privato»[8]. Ciò consentirebbe di superare le difficoltà riscontrate in passato nel tracciare un discrimen tra delitto di millantato credito e delitto di traffico di influenze, in quanto non vi sarebbe la difficoltà di verificare l’esistenza della possibilità di influire sul pubblico agente.

Dal punto di vista strutturale, la Suprema Corte ritiene che vi siano delle differenze tra l’abrogato art. 346 ed il novellato art. 346-bis, quali la previsione della punibilità del soggetto che intenda trarre vantaggi dall’influenza ai sensi del secondo comma dell’art. 346-bis, punibilità non prevista dall’art. 346, e la non coincidenza tra le figure verso le quali la millanteria poteva essere espletata, ora il pubblico ufficiale e l’incaricato di un pubblico servizio, mentre nell’art. 346 vi era il pubblico ufficiale e l’impiegato che presti un pubblico servizio. Tuttavia, salvo questi elementi, si osserva che la norma di cui all’art. 346-bis c.p. sanziona le medesime condotte già sanzionate dall’art. 346 abrogato. In particolare, sono sovrapponibili «tanto la condotta “strumentale” (stante l’equipollenza semantica tra le espressioni “sfruttando o vantando relazioni (…) asserite” e quella “millantando credito”), quanto la condotta “principale” di ricezione o di promessa, per sé o per altri, di denaro o altra utilità»[9]. Si evidenzia, inoltre, che la fattispecie prevista dal secondo comma dell’art. 346, se in origine era stata interpretata come relativa alla vanteria di un’influenza inesistente, successivamente è stata ritenuta applicabile alle ipotesi in cui vi fosse un’effettiva influenza sul pubblico ufficiale, prescindendo dalla condotta ingannatoria. Questa estensione dell’ambito di applicabilità si basava sulla pregnanza del bene giuridico tutelato dall’art. 346 c.p., costituito dal prestigio della pubblica amministrazione e non invece dal patrimonio del soggetto che dà o promette denaro o altra utilità[10]. Rammenta la Corte che per integrare la millanteria non era più necessaria una condotta ingannatoria o raggirante, perché ciò che rilevava era la vanteria dell’influenza del pubblico ufficiale, che, da sola, a prescindere dai rapporti effettivamente intrattenuti, offende l’immagine della pubblica amministrazione[11]. Si sostiene così che la figura di millantato credito di matrice giurisprudenziale «ha costituito l’antesignano storico dell’art. 346-bis cod. pen., che prescindeva dalla esistenza effettiva delle relazioni vantate dal trafficante»[12]. In questa linea ricostruttiva si è anche evidenziato che l’art. 346-bis c.p. valorizza il profilo teleologico della condotta, ossia il fine di “remunerare” il pubblico ufficiale, dando rilievo alla direzione della condotta piuttosto che alle modalità con cui esso viene realizzato (il pretesto)[13]. La mancata riproposizione del termine “pretesto” non può costituire, secondo la Corte, un argomento decisivo al fine di negare la continuità normativa. L’assenza del termine in questione «appare ancor più funzionale all'inclusione nell'illecito delle evocate dazioni in favore dei pubblici ufficiali o pubblici impiegati, prescindendosi dall'aderenza al reale di tali relazioni per la equiparazione - introdotta con la novella del 2019 - dello sfruttamento delle relazioni esistenti al vanto di quelle asserite»[14].

Peraltro, rammenta la Suprema Corte che il prevalente orientamento di legittimità riteneva che «l'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 346 cod. pen. - contenente la previsione di un titolo autonomo di reato rispetto alla fattispecie descritta nel primo comma della medesima disposizione - si differenzia dal delitto di truffa, per la diversità della condotta, non essendo necessaria ne' la millanteria ne' una generica mediazione, nonché dell'oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito è esclusivamente il prestigio della pubblica amministrazione, con la conseguenza che unica parte offesa è quest'ultima e non colui che abbia versato somme al millantatore, che è semplice soggetto danneggiato (Sez. 6, n. 17642 del 19/02/2003,Di Maio ed altro, Rv. 227138)»[15].

In conclusione, le “relazioni asserite”, afferma la Suprema Corte, sono quelle «fatte oggetto di vanteria senza un minimo dato di realtà, cioè quelle inesistenti»[16], quindi «la loro spendita è tratto di condotta che ben può assorbire il richiamo, operato dalla norma abrogata, al “pretesto” di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale, perché in ambedue i casi si prescinde dall’ancoraggio della condotta ad un elemento oggettivo preesistente, ossia ad una relazione in essere col pubblico ufficiale»[17]. Il significato di “relazioni asserite” così espresso risulta, secondo questo orientamento, coerente con l’esigenza di tutela del bene giuridico posto a base della fattispecie di cui all’art. 346-bis c.p., in quanto anche la spendita di vanterie offende il prestigio e l’immagine della pubblica amministrazione, e può costituire anche un pericoloso, ancorché eventuale, antecedente delle più gravi condotte corruttive, così da giustificare l’anticipazione della tutela penale. Ed infatti, «non v’è ragione di accedere a letture restrittive dell’inciso “relazioni … asserite” (…) e che del resto sviliscono il significato della contrapposizione, voluta dal legislatore, all’interno della disposizione tra la nozione di relazioni asserite e quella di relazioni esistenti, e che altro non può essere se non che le prime sono da individuarsi soltanto nelle non esistenti e quindi fatte oggetto di vanteria senza un minimo dato di realtà»[18]. Il vanto di relazioni asserite costituisce un tratto di condotta che ben può assorbire il precedente richiamo, contenuto nell’art. 346, co 2 c.p., al ‘pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale’ «perché in entrambi i casi si prescinde dall’ancoraggio della condotta ad un dato preesistente, quello appunto della relazione effettiva col pubblico ufficiale»[19].

Quanto al tema dell’estensione della rilevanza penale alla condotta del c.d. ‘compratore di fumo’, un’utile guida è rappresentata, secondo la Suprema Corte[20], dalla sentenza delle Sezioni Unite del 24 ottobre 2013, n. 12228[21], con la quale è stata ritenuta la continuità normativa tra la previgente fattispecie di concussione per induzione e la nuova fattispecie di induzione indebita ex art. 319-quater c.p. Si sottolinea che l’art. 319-quater è stato introdotto dalla L. n. 190/2012 al fine di preservare non soltanto il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, ma anche la sua reputazione. Le Sezioni Unite hanno osservato che la previsione della punibilità del soggetto indotto non investe direttamente la struttura tipica del reato, ma interviene soltanto al suo esterno, rimanendo quindi immutata la struttura dell’abuso induttivo. Secondo la Suprema Corte, queste osservazioni ben si prestano ad analizzare il rapporto tra le fattispecie previste dagli artt. 346 e 346-bis c.p., atteso che anche quest’ultima, così come l’art. 319-quater, è stata introdotta per estendere l’area della rilevanza penale, senza alcun intento selettivo rispetto alle condotte già sanzionate. Dunque, si sostiene che la punibilità del c.d. ‘compratore di fumo’ non modifica «la fattispecie naturalisticamente intesa, il patto, cioè, da lui stipulato con il millantatore e soggetto a sanzione già secondo la norma previgente; né l’estensione della punizione anche al suo interlocutore incide, sotto il profilo assiologico, sul disvalore della condotta di esso millantatore, che rimane evidentemente identico»[22].

 

4. La tesi della discontinuità normativa
Secondo un diverso orientamento[23] «non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all'art. 346, comma secondo, cod. pen., abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis cod. pen., in quanto in quest'ultima fattispecie non risulta ricompresa la condotta di chi, mediante raggiri o artifici, riceve o si fa dare o promettere danaro o altra utilità, col pretesto di dovere comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare, condotta che integra, invece, il delitto di cui all'art. 640, comma primo, cod. pen.»[24].

A fondamento di tale orientamento vi è, anzitutto, la qualificazione della fattispecie di cui al secondo comma dell’abrogato art. 346 c.p. quale fattispecie autonoma di reato, il cui paradigma normativo è ricalcato su quello della truffa[25]. La Suprema Corte osserva che, come già ritenuto in pronunce precedenti[26], il delitto di truffa è ritenuto assorbito in quello di millantato credito previsto dall’art. 346, co. 2 c.p., in quanto il concorso formale tra i due reati non è configurabile. La condotta sanzionata dall’art. 346, co. 2, c.p., a differenza di quella prevista dal primo comma, si sostanzia in una forma di raggiro nei confronti del soggetto passivo che viene indotto ad un accordo che lo impegna ad una prestazione patrimoniale in quanto determinato da una falsa rappresentazione della realtà[27]. La ragione per cui la fattispecie di cui all’art. 346, co. 2 c.p. è sempre stata ritenuta un autonomo titolo di reato[28] «risiede nel fatto che la norma in esame censura penalmente la condotta di chi si fa dare o promettere per sé o per altri "denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare"; condotta che, a differenza di quella ricompresa nella fattispecie di cui al comma 1, non può che realizzarsi attraverso artifici e raggiri propri della truffa, contegno fraudolento ben evidente là dove la norma fa espresso e significativo riferimento al "pretesto", termine che evoca la rappresentazione di una falsa causa posta a base della richiesta decettiva idonea ad indurre in errore la vittima che si determina alla prestazione patrimoniale»[29]. Ad assumere rilevanza nella dinamica dell’operazione che si conclude con il depauperamento patrimoniale della vittima è la tutela patrimoniale accordata dalla norma al truffato.

I Giudici di legittimità hanno osservato che, nonostante l’intenzione del Legislatore fosse proprio quella di inglobare la fattispecie di cui all’art. 346, co. 1 e 2 nella fattispecie di cui all’art. 346-bis c.p., vi sono plurimi elementi che depongono per una discontinuità tra la fattispecie di cui al co. 2 e quella di cui all’art. 346-bis c.p. Inoltre, si sostiene che la Convenzione dell’ONU di Merida sancisce una mera raccomandazione, e non un vero obbligo, e che la Convenzione del Consiglio d’Europa consente agli Stati-parte di formulare riserve, rinnovabili ogni tre anni, rispetto all’introduzione di alcune figure criminose[30]. In ogni caso, la Corte ha considerato che l’orientamento che fa leva sull’intenzione del Legislatore «deve intendersi recessivo rispetto ad altri, più pregnanti, criteri interpretativi (Sez. U., n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, in motivazione)»[31].

A deporre nel senso della discontinuità normativa vi sono profili attinenti alla struttura del reato di traffico di influenze illecite, alla reale offensività delle condotte variamente realizzabili e alla concreta lesione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

La Suprema Corte osserva che l’art. 346-bis punisce condotte afferenti al traffico di influenze illecite, attività che il Legislatore ha ritenuto essere prodromiche alle più gravi condotte di corruzione, «circostanza resa ancor più evidente proprio dalla riserva di legge posta ad apertura della norma con riferimento agli artt. 318, 319, 319-ter e nei reati di cui all'art. 322-bis cod. pen.; anche l'attuale inserimento con la medesima legge del 9 gennaio 2019, n. 3, dell'art. 318 cod. pen., in precedenza non previsto, tra le norme riconnprese nella riserva di legge, rafforza tale convincimento»[32]. Dunque, il Legislatore ha inteso anticipare la soglia di punibilità «rispetto a condotte che difficilmente avrebbero potuto integrare il delitto di corruzione (neppure nella forma tentata) e che fanno chiaramente presagire come la tutela sia eminentemente volta a salvaguardare l’attività della pubblica amministrazione nelle sue varie articolazioni nazionali ed internazionali»[33]. Da ciò ne consegue, secondo i Giudici di legittimità, che «un reato che era rivolto in maniera preponderante alla tutela del patrimonio della vittima truffata dal “venditore di fumo”, difficilmente si presta a realizzare un vulnus alla pubblica funzione e a necessitare di una tutela rispetto a fatti che nessun collegamento, sia in astratto sia in concreto, potrebbero avere con gli interessi pubblici teleologicamente tutelati dalla norma penale in esame»[34].

La Corte osserva, poi, che il secondo comma dell’art. 346-bis c.p. ha previsto la punizione con identica pena del soggetto che «indebitamente» dà o promette denaro o altra utilità; tale previsione non può conciliarsi con una ipotesi, seppur particolare, di truffa. «Poiché, infatti, l’agente pone in essere raggiri per indurre il soggetto passivo in errore sull’esistenza di un rapporto con un soggetto pubblico in realtà inesistente, non si comprende come possa ipotizzarsi da parte del «truffato» un’aggressione al bene giuridico che la norma intende preservare»[35].

La Suprema Corte ha osservato che la punibilità del soggetto privato si giustifica «a condizione che il rapporto tra il mediatore ed il pubblico agente sia effettivamente esistente o, quanto meno, potenziale suscettibile di instaurarsi, posto che solo in tal caso il bene giuridico tutelato dalla norma viene leso, mentre, nel caso in cui il privato sia tratto in errore, si realizza esclusivamente un pregiudizio alla sua sfera patrimoniale»[36]. Secondo la Corte, quindi, nei casi in cui lo scopo perseguito dal soggetto privato si collochi all’esterno di qualsiasi prospettiva di pericolo per il bene protetto, per essere la capacità di influenza del mediatore inesistente o impossibile, è fondato ritenere che «il disvalore che giustifica l’incriminazione finisce con il coincidere con il disvalore della mera intenzione del soggetto»[37]. Allora, è solo nelle ipotesi in cui la relazione è esistente o potenzialmente tale che si giustifica l’anticipazione della tutela realizzata attraverso l’art. 346-bis e spiega, inoltre, l’incriminazione del “compratore”.

Ma soprattutto, è la mancata riproposizione del termine “pretesto” che fa propendere per una discontinuità normativa. Infatti, non vi è un’esatta corrispondenza tra la condotta in precedenza prevista dalla norma abrogata e quella attualmente inglobata nel primo comma dell’art. 346-bis c.p., nella parte in cui è stato riprodotto il sintagma «sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’art. 322-bis cod. pen., indebitamente fa dare o promettere a sé o ad altri, denaro o altra utilità (…) per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri». Il ‘pretesto’, elemento omesso nella novellata formulazione dell’art. 346-bis, fondava il carattere autonomo della fattispecie di reato di cui all’art. 346, co. 2 c.p. «Diversamente dalla falsa rappresentazione che compariva nel primo comma, basata sul sintagma "millantare un credito", e che riguardava un vasto orizzonte di significati, tale da accogliere, come è stato osservato, non solo il mendacio, ma anche la semplice magnificazione ovvero l'accentuazione di un dato tuttavia reale e dunque insuscettibile di rientrare nel tipo criminoso della truffa, «il pretesto di dover comprare il p.u. o l'impiegato» era invece chiaramente significativo di una condotta che integrava appieno gli artifici o raggiri richiesti dall'art. 640 cod. pen., proprio perché espressione dell'intenzione di indurre l'altro soggetto in errore (Sez. 6, n. 40940 del 12/07/2017, Grasso, Rv. 271352)»[38].

Osserva la Suprema Corte che l’omissione del termine ‘pretesto’ non può valutarsi indifferente neppure ove si assegni alla parte della norma che fa riferimento al vanto di relazioni asserite il significato di ritenere che tali relazioni siano meramente enunciate dall’agente. Il ‘vanto a relazioni asserite’ non può essere intesa come condotta sovrapponibile a quella posta in essere con l’inganno, «dovendosi ritenere che l’enunciazione da parte del mediatore-faccendiere al rapporto con i pubblici poteri non sia rivolta ad indurre in errore per mezzo di artifici e raggiri il cliente, quanto necessariamente a prospettare, seppur non in termini di certezza, la concreta possibilità di influire sull’agente pubblico»[39]. La condotta dovrebbe, quindi, considerarsi integrata solo quando esprima la «concreta possibilità di riuscire a influenzare l’agente pubblico, comportamento che si pone, a ben osservare, nella fase immediatamente prodromica rispetto a un eventuale reale coinvolgimento dell’agente pubblico, circostanza che, qualora si realizzi, integra le fattispecie di cui agli artt. 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’art. 322-bis c.p. enunciati nella riserva contenuta nell’incipit della norma penale di cui all’art. 346-bis c.p.»[40]. Dunque, secondo questo orientamento, il traffico di influenze illecite postula la relazione esistente e una qualche capacità di condizionare o comunque di orientare la condotta del pubblico ufficiale.

 

5. La ratio della riforma del 2019 e le Convenzioni internazionali
Per poter comprendere la questione controversa, risulta opportuno individuare la ratio complessiva della riforma del 2019, la quale, come è noto, ha abrogato l’art. 346 c.p. e contestualmente riscritto l’art. 346-bis al fine di ricomprendervi il millantato credito. Sarà necessario, poi, un chiarimento circa l’effettiva portata delle Convenzioni internazionali.

La ratio legis è chiara: ricomprendere nell’art. 346-bis c.p. le condotte prima punibili ai sensi dell’art. 346 c.p. Nella Relazione introduttiva al Disegno di legge[41] si legge che «recenti studi e pubblicazioni, indagini e procedimenti penali per fatti di corruzione gravissimi e sistematici (alcuni dei quali hanno avuto anche vasta eco mediatica) mostrano come la corruzione e gli altri reati contro la pubblica amministrazione siano delitti seriali e pervasivi, che si traducono in un fenomeno endemico, il quale alimenta mercati illegali, distorce la concorrenza, costa alla collettività un prezzo elevatissimo, in termini sia economici, sia sociali»[42].

All’esigenza ‘interna’ di contrastare il fenomeno corruttivo, si affianca l’esigenza di uniformarsi alle fonti sovranazionali.  La riforma ha, infatti, accolto le indicazioni provenienti dal GRECO per completare il percorso di adeguamento alla normativa sovranazionale già intrapreso nel 2012.

«Rimediare all’esclusione dall’ambito del penalmente rilevante della condotta di chi offre o promette il vantaggio al «millantatore» di influenza e, più in generale, per conformare fedelmente la normativa interna a quella sovranazionale»[43], questa è la ragione per cui è stata ampliata la portata applicativa dell’art. 346-bis c.p. Quanto alla doppia punibilità per entrambi i soggetti del reato, si rileva che è imposta dalla necessità di adeguamento agli obblighi internazionali. Sia la Convenzione penale del Consiglio d’Europa, sia la Convenzione dell’ONU di Merida, non distinguono la posizione degli aderenti al patto, entrambi ugualmente puniti per le rispettive condotte. Peraltro, si osserva che le Convenzioni non distinguono a seconda delle dinamiche intersoggettive sottese alla conclusione dell’accordo: l’eventuale inganno di una parte a danno dell’altra e il conseguente errore sul buon esito dell’operazione non incidono sulla configurabilità della fattispecie. Il Legislatore ha quindi voluto «prevenire il pericolo che la corresponsione di indebita utilità a un «faccendiere» che assuma di poter influire su pubblici funzionari (o a persona che si presenti come tale, a prescindere dall’attualità della relazione di influenza vantata) si traduca realmente in un contatto con i pubblici ufficiali e nella possibilità di una reale corruzione di questi ultimi, per la prospettiva di un immediato guadagno, specie in contesti a corruzione diffusa come quelli presenti nel nostro Paese»[44].

La nuova figura di traffico di influenze illecite «prescinde dalla esistenza di un reale rapporto di influenza tra il mediatore e il pubblico agente e dall’eventuale «inganno» di una parte a danno dell’altra, rendendo punibile l’acquirente di influenza anche in quest’ultimo caso; il disvalore del fatto, del resto, sta nell’acquisto stesso di una mediazione «illecita», condotta di per sé meritevole di sanzione, in quanto potenzialmente suscettibile di produrre influenze distorsive della funzione pubblica»[45]. L’acquirente dell’influenza è punito per il solo fatto di aderire al patto, perché la sua condotta potrebbe, potenzialmente, distorcere la pubblica funzione. Dunque, «la riformulazione della norma incriminatrice di cui all’art. 346-bis c.p., prescindendo la punibilità dall’esistenza o non di reali relazioni di influenza (che possono essere anche soltanto asserite), comporta l’assorbimento in essa delle condotte di millantato credito attualmente punite dall’art. 346 c.p., che viene contestualmente abrogato»[46].  

Ora, bisogna chiedersi se veramente le Convenzioni sovranazionali intendono punire anche le condotte fraudolente di colui che inganna il “compratore di fumo” per ottenere un indebito vantaggio.

La Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa, firmata a Strasburgo nel 1999 e ratificata dall’Italia con Legge 28 giugno 2012, n. 110, dispone le misure che lo Stato deve adottare per perseguire una politica penale comune volta a proteggere la società contro la corruzione. Lo Stato ha un vero e proprio obbligo di incriminazione, posto che la Convenzione si esprime nei seguenti termini: «each Party shall adopt» (Ciascuna parte deve adottare).  All’art. 12 è previsto il “Trading in influence”, il quale intende punire, quando è commesso intenzionalmente, «il fatto di promettere, offrire o dare, direttamente o indirettamente, qualsiasi vantaggio indebito, per sé o per terzi, a titolo di remunerazione a chiunque dichiari o confermi di essere in grado di esercitare un’influenza sulla decisione» dei pubblici funzionari, e «il fatto di sollecitare, ricevere, o accettarne l’offerta o la promessa a titolo di remunerazione per tale influenza, indipendentemente dal fatto che l’influenza sia o meno esercitata o che la supposta influenza sortisca il risultato auspicato»[47].
Nel Rapporto esplicativo alla Convenzione[48] si spiega che l’art. 12 permette di contrastare la c.d. “background corruption”, che mina la fiducia riposta dai cittadini nella correttezza dell’attività della pubblica amministrazione. La ratio della Convenzione sta nel delineare un sistema di norme efficace per contrastare il fenomeno della corruzione, nelle sue varie forme[49].  

Quanto all’art. 12, si specifica che descrive sia il traffico di influenze attivo, sia passivo. Il traffico passivo di influenza presuppone che una persona, che ottiene un vantaggio da una reale o asserita influenza su una terza persona, richiede, riceve o accetta l’indebito vantaggio, al fine di assistere la persona che ha dato l’indebito vantaggio esercitando l’influenza. Il traffico attivo di influenza presuppone che una persona promette, dà o offre un indebito vantaggio a qualcuno che asserisce o conferma di essere in grado di esercitare una influenza su una terza persona. L’interesse che l’illecito è volto a tutelare è la trasparenza e l’imparzialità nel processo decisionale della pubblica amministrazione. Inoltre, un elemento necessario sembra essere l’intento di corrompere il pubblico ufficiale da parte del soggetto agente: «Improper” influence must contain a corrupt intent by the influence peddler»[50]; con la specificazione che le forme di lobbyng[51] riconosciute non ricadono sotto questa nozione. Dunque, la Convenzione vuole che siano puniti sia il ‘trafficante’ di influenze, sia il ‘cliente’ che vuole trarre vantaggio dall’influenza vantata, esistente o asserita. L’art. 37 prevede la possibilità di effettuare riserve «al momento della firma o al momento del deposito del proprio strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione», che sono rinnovabili ogni tre anni ai sensi dell’art. 38. L’Italia aveva la possibilità di effettuare una riserva e, quindi, scegliere di non vincolarsi ad incriminare il traffico di influenze; tuttavia, occorre constatare che tale diritto di riserva non è stato esercitato in merito all’art. 12 della Convenzione[52].

Altri utili elementi per interpretare l’art. 12 della Convenzione sono ricavabili dai Rapporti del GRECO. Nel Secondo Rapporto di conformità del 2016[53], espresso nel Terzo ciclo di valutazione, il GRECO aveva osservato che vi fossero ancora delle carenze nella normativa italiana. In particolare, il fatto che solo l’inganno ad opera dell’autore del traffico di influenza in ordine alle proprie capacità di esercitare l’influenza costituiva reato ai sensi dell’art. 346 c.p., e che il ricevere un vantaggio da parte dell’autore che si trovi effettivamente in una posizione di esercitare tale influenza e che la esercita non costituiva reato secondo l’art. 346 c.p. Successivamente, il GRECO aveva accolto con favore la L. n. 190/2012, rilevando tuttavia che l’art. 346-bis c.p. prevede l’esistenza di un rapporto di influenza tra l’autore del traffico di influenza e il funzionario, mentre, secondo la Convenzione, è sufficiente la semplice asserzione. Rilevava altresì che l’art. 346 c.p. non è stato modificato e non comprendeva l’aspetto attivo, ossia del soggetto che dà il vantaggio all’autore del traffico. Per questi motivi la normativa italiana era stata ritenuta non conforme ai requisiti dell’art. 12 della Convenzione. Nell’Addendum al secondo Rapporto di Conformità del 2018[54], nel Terzo ciclo di valutazione, il GRECO ribadiva le osservazioni espresse nel precedente rapporto di conformità in merito alle lacune normative nella qualificazione come reato del traffico di influenze, ritenendo la normativa italiana non ancora conforme all’art. 12 della Convenzione.

La Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 ed entrata in vigore a livello internazionale il 14 dicembre 2005, è stata ratificata dall’Italia con la Legge 3 agosto 2009, n. 116. Lo scopo della Convenzione è la prevenzione e il rafforzamento delle misure volte a prevenire e contrastare la corruzione, promuovendo la cooperazione internazionale e l’integrità e la responsabilità nella gestione degli affari pubblici. La Convenzione si esprime nei seguenti termini: «Each State Party shall consider adopting» (Ogni Stato Parte dovrebbe considerare l’adozione); non sembra quindi che tale linguaggio indichi la volontà di imporre un obbligo. L’art. 18 prevede il “Trading in influence[55] e richiede agli Stati Parte di considerare l’adozione di misure necessarie per prevedere quale illecito penale, quando sono commessi intenzionalmente: «a) il fatto di promettere, di offrire o di dare a un pubblico ufficiale o a ogni altra persona, direttamente o indirettamente, un vantaggio indebito affinché il pubblico ufficiale o l’altra persona abusi della sua influenza reale o supposta al fine di ottenere da una amministrazione o da una pubblica autorità dello Stato parte un indebito vantaggio per l’istigatore iniziale dell’atto o per ogni altra persona»; e «b) il fatto, per un pubblico ufficiale o per ogni altra persona, di sollecitare o di accettare, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio per sé o per un’altra persona al fine di abusare della sua influenza reale o supposta per ottenere un indebito vantaggio da un’amministrazione o da un’autorità pubblica dello Stato parte». È previsto sia il traffico di influenze attivo, sia passivo.

La Convenzione di Merida sembra richiedere il dolo specifico del ‘fine di abusare della influenza per ottenere un indebito vantaggio’ da una pubblica amministrazione. Il nesso causale deve intercorrere tra l’offerta o il vantaggio e l’induzione del funzionario ad abusare della sua influenza, reale o supposta, al fine di ottenere dall’amministrazione pubblica un vantaggio indebito per l’istigatore o per altra persona. Il soggetto deve avere l’intenzione di corrompere il destinatario della tangente[56]. Il medesimo elemento soggettivo deve sussistere in capo al soggetto che sollecita o accetta il vantaggio indebito, il quale deve avere lo «scopo di abusare della propria influenza per ottenere un vantaggio indebito a favore di un terzo da parte dell’amministrazione pubblica»[57].

Venendo ora a qualche considerazione utile per ragionare sulla questione oggetto del presente contributo, occorre anzitutto osservare che l’obiettivo perseguito dal Legislatore di adeguamento della normativa interna agli obblighi internazionali non va sottovalutato. Le Convenzioni vincolano il nostro Legislatore ai sensi dell’art. 117, co. 1 Cost. e, pertanto, è necessario che se ne tenga conto, sia da parte del Legislatore sia da parte dell’interprete. Se la Convenzione dell’ONU non impone allo Stato di incriminare il traffico di influenze[58], un tale obbligo discende invece dalla Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa. Orbene, un elemento che emerge dalle Convenzioni è che debba esserci, in capo ad entrambi i soggetti del reato di traffico di influenze illecite, l’intenzionalità di utilizzare la propria o altrui influenza nei confronti di un pubblico ufficiale al fine di ottenere un indebito vantaggio dal pubblico ufficiale medesimo. Deve esserci un nesso causale tra la dazione/promessa/offerta e l’utilizzo dell’influenza per far conseguire l’indebito vantaggio. Una tale considerazione permetterebbe di ritenere la condotta di cui all’abrogato art. 346, co. 2 c.p. non sussumibile in tali fattispecie. Nell’ipotesi prevista dall’art. 346, co. 2 c.p., infatti, il soggetto agente ha sin dall’inizio l’intenzione di raggirare il privato, prospettandogli la remunerazione del pubblico ufficiale unicamente per ottenere un vantaggio indebito. In questa ipotesi è assente l’intenzione di far ottenere il vantaggio al soggetto passivo: il ‘millantatore’ non ha nessuna intenzione di corrompere il pubblico ufficiale. Il dolo richiesto dall’art. 346 c.p. è il dolo tipico della truffa. L’elemento psicologico della truffa consiste infatti nella volontà e nella intenzione di indurre taluno in errore mediante artifici o raggiri, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. In altre parole, il millantatore strumentalizza la necessità di dover corrompere il pubblico ufficiale, consapevole che tale elemento indurrà in errore la vittima e la porterà a porre in essere una disposizione patrimoniale. Per il traffico di influenze illecite le Convenzioni richiedono un dolo diverso, esigendo che il soggetto agente sia animato dalla finalità di corrompere il pubblico ufficiale. Si tratta di un’interpretazione aderente alla fattispecie di cui all’art. 346 c.p. e, peraltro, sembrerebbe maggiormente conforme alle Convenzioni internazionali[59].

 

6. Brevi osservazioni sull’art. 346 c.p.
Appare necessario a questo punto fare delle brevi osservazioni sul reato di millantato credito, noto anche come “venditio fumi”. L’art. 346 c.p. prevedeva due autonome fattispecie di reato[60]: il fatto di chi «millantando credito presso un pubblico o ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato»; e il fatto di chi «riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare».

In entrambe le ipotesi, la vanteria del soggetto agente era fondata su un inganno: la falsa rappresentazione della possibilità di influenzare un pubblico agente. Il paradigma era quello della truffa[61], il “venditore di fumo” ingannava il “compratore” ed otteneva un vantaggio indebito come prezzo della propria mediazione. Le similitudini con la truffa emergevano ancor di più dal secondo comma dell’art. 346 c.p., laddove il “pretesto” di dover comprare il favore del pubblico ufficiale o di doverlo remunerare riecheggiava l’aggravante prevista dall’art. 640, co. 2, n. 1[62]. Dunque, le due fattispecie, seppur autonome e strutturalmente diverse, presentavano il carattere comune dell’inganno[63]. La non punibilità del cliente, peraltro, confermava che la struttura era quella della truffa: il “compratore di fumo” era la vittima dell’illecito, in quanto ingannato da una falsa rappresentazione della realtà che lo ha indotto ad una prestazione che diversamente non avrebbe eseguito. Come è noto, il nostro ordinamento ammette la protezione del privato anche quando mosso da un fine illecito. In tema di truffa, infatti, il soggetto passivo che ha agito per una causa illecita è comunque tutelato, perché «non vengono meno l’ingiustizia del profitto e l’altruità del danno, né vengono meno l’esigenza di tutela del patrimonio e della libertà del consenso nei negozi patrimoniali, che costituisce l’oggettività giuridica del reato»[64].

Anche la giurisprudenza riconosceva che il raggiro fosse un elemento presente nel millantato credito, precisando talvolta che si trattava di un «raggiro particolare, consistente nelle vanterie, esplicite o anche implicite, di ingerenze o pressioni da parte del millantatore presso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, senza che occorra che l’agente spenda il nome o indichi la specifica funzione di quest’ultimo, essendo sufficiente che la persona offesa comprenda che il presunto referente sia persona investita di dette funzioni»[65]. La distinzione del millantato credito rispetto alla truffa sembrava rinvenirsi nella circostanza della spendita del credito presso il pubblico ufficiale, con conseguente lesione del prestigio dell’amministrazione[66]. Questa distinzione è stata evidenziata dalla Suprema Corte più recentemente, la quale, nel ritenere il fatto qualificabile ai sensi dell’art. 640 c.p. e non invece ai sensi dell’art. 346, co. 1 c.p., ha affermato che «l’elemento distintivo del reato di millantato credito rispetto alla truffa è del resto costituito dalla sussistenza di vanterie di ingerenze o di pressioni presso pubblici ufficiali che invece difettano nel reato di truffa»[67]. Dunque, due reati accomunati dal medesimo schema, ma collocati a tutela di beni giuridici diversi. Ed infatti, il bene giuridico tutelato dal reato di millantato credito ha rappresentato una forte argomentazione per ammettere il concorso tra l’art. 346 c.p. e l’art. 640 c.p. Un’argomentazione che persuade, ma solo ad una prima lettura.

Con riferimento all’ipotesi prevista dall’art. 346, co. 1 c.p., la giurisprudenza prevalente ammetteva il concorso tra i due reati, perché tutelano interessi distinti e perché, inoltre, è diverso il mezzo utilizzato per la loro commissione. Nel millantato credito la condotta consiste in un raggiro del tutto particolare consistente nelle vanterie esplicite o implicite di ingerenze o pressioni sull’attività pubblica[68]. Una parte della giurisprudenza escludeva invece la possibilità del concorso con la truffa. In applicazione del principio di consunzione, si riteneva che il millantato credito previsto dal comma 1 assorbisse la truffa, «in quanto la contiene»[69]. Entrambi gli orientamenti, in ogni caso, riconoscono la forte vicinanza tra truffa e millantato credito.

Con riferimento all’ipotesi prevista dal comma 2 dell’art. 346 c.p., il problema del concorso con la truffa si poneva in termini diversi. Questa fattispecie, si affermava in giurisprudenza, era ricalcata sullo schema della truffa, e anzi era proprio «una figura particolare di truffa»[70]. Infatti, a differenza dell’ipotesi di cui al primo comma, la condotta sanzionata dall’art. 346, co. 2 non può che realizzarsi attraverso artifici e raggiri e ciò lo si ricava dal riferimento al “pretesto”, evocativo di un contegno fraudolento. La Suprema Corte affermava che «la condotta richiesta non sembra poter prescindere dagli artifizi o raggiri indicati per il delitto di truffa: anche nella fattispecie in esame la condotta dell’agente consiste in una forma di raggiro nei confronti di un soggetto che viene indotto da una falsa rappresentazione della realtà ad un accordo che lo impegna ad una prestazione di pagamento», precisando altresì che «ciò che differenzia le due ipotesi di millantato credito è l’elemento del “pretesto” contenuto nel comma 2 dell’art. 346 c.p., un elemento che richiama il mendacio e l’inganno, in quanto corrisponde sostanzialmente alla falsa causa addotta dall’agente per indurre con l’inganno il “compratore di fumo” ad una prestazione patrimoniale, che diversamente non sarebbe ottenibile»[71]. Questa sentenza, coerentemente con il suo sviluppo logico, ritiene che la sovrapposizione con la truffa si colga anche da un altro punto di vista: il fatto che la condotta dell’agente è protesa «al conseguimento di un profitto patrimoniale attraverso l’induzione in errore del c.d. compratore di fumo, il quale non è punibile proprio in considerazione di tale struttura della norma, considerazione questa che porta a ritenere che il bene oggetto della tutela penale, almeno nell’ipotesi di cui al capoverso dell’art. 346 c.p., sia anche quello patrimoniale»[72]. Qualificata in questi termini la fattispecie prevista dal secondo comma, si escludeva il concorso con la truffa, in ragione del medesimo disvalore penale che le accomunava[73]. Altra parte della giurisprudenza ammetteva, invece, la possibilità di concorso con la truffa. Secondo questo indirizzo, l’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 346 c.p. si differenzia dal delitto di truffa per la diversità della condotta, non essendo necessaria né la millanteria né una generica mediazione, nonché per la diversità dell’oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito è esclusivamente il prestigio della pubblica amministrazione[74].

Fondamentale appare allora individuare il bene giuridico tutelato dall’art. 346 c.p.

Il delitto si trova nel capo relativo ai delitti dei privati contro la pubblica amministrazione. Non ci sono dubbi in ordine al fatto che la pubblica amministrazione è offesa dal reato. La giurisprudenza, a parte qualche indirizzo minoritario, è ferma nel riconoscere che il reato ha natura monoffensiva e che il bene tutelato è il prestigio della Pubblica amministrazione. Prima dell’intervento delle Sezioni Unite[75], non vi era uniformità di vedute in tema di interesse tutelato. L’orientamento maggioritario[76] riteneva che l’interesse protetto dall’art. 346 c.p. era da considerarsi il prestigio della Pubblica amministrazione, che viene leso quando si faccia credere che il pubblico ufficiale o il pubblico impiegato, anziché uniformarsi ai criteri di onestà e correttezza, si lasci corrompere. Da ciò ne conseguiva che la persona offesa era la pubblica amministrazione, e non chi avesse corrisposto il denaro o l’utilità al millantatore, il quale era mero soggetto danneggiato dal reato[77]. Secondo un orientamento minoritario, l’interesse tutelato non era solo il prestigio della pubblica amministrazione, ma anche l’integrità patrimoniale del soggetto passivo[78]. Le Sezioni Unite affermarono che il bene tutelato è «il retto e imparziale funzionamento»[79] della pubblica amministrazione, dando atto del processo evolutivo teso ad intendere il bene tutelato dall’art. 346 c.p. come il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, e non più il prestigio della stessa.

Invero, la valenza della promessa o della dazione di denaro o altra utilità ai fini della configurazione del reato, nonché la non punibilità del privato, portano a ritenere che l’art. 346 c.p. tuteli anche l’interesse del privato. La natura plurioffensiva del reato di millantato credito è riconosciuta dalla dottrina prevalente[80]. Accanto alla pubblica amministrazione, come soggetto leso vi è anche il privato, il quale subisce un pregiudizio patrimoniale connesso alla corresponsione dell’utilità a vantaggio dell’agente.  Anche la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il privato, ingannato dal millantatore, rivestisse la qualifica di persona offesa. Una pronuncia risalente, ma attuale, ricostruisce l’art. 346 c.p. come norma plurioffensiva con un interessante ragionamento. La Corte ritiene che «la persona offesa dal reato è certamente la pubblica amministrazione»[81], ma, il bene tutelato è quello tutelato dall’art. 97 Cost., ossia il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione. Questa concezione è sicuramente preferibile a quella che ritiene che il bene leso sia il ‘prestigio’ della pubblica amministrazione, «in quanto il prestigio della P.A. non può essere un fine dell’ordinamento»[82]. Ora, per ritenere che un reato sia plurioffensivo occorre che l’elemento materiale del reato preveda la lesione di diversi beni giuridici come momento imprescindibile per il perfezionamento della fattispecie. Nel caso del millantato credito, la condotta dell’agente si perfeziona con il ricevere, il farsi dare o promettere denaro o altra utilità, «ne consegue che, poiché l’elemento essenziale di detta condotta è anche la lesione dell’integrità patrimoniale del soggetto vittima della millanteria, anche detta integrità patrimoniale costituisce interesse tutelato»[83].

Che il prestigio della pubblica amministrazione sia il bene tutelato dall’art. 346 c.p. è affermazione diffusa in giurisprudenza[84]. Ma una tale affermazione merita qualche riflessione. Come già osservava un’autorevole dottrina, «un simile punto di partenza mette un poco a disagio chi guardi alla norma con sensibilità aggiornata: siamo di fronte a un’altra manifestazione legislativa di quell’ossessione del prestigio che si tradisce nella repressione smodata degli oltraggi? Un’ossessione, si è tentati di aggiungere, che trae alimento da una concezione superata dell’amministrazione pubblica, in termini di autoritarismo fine a sé stesso, piuttosto che di servizio pubblico. L’origine storica della figura, che risale all’Età imperale, parrebbe accreditare questo sospetto»[85].

L’art. 346, co. 2 c.p. è rivolto a punire un soggetto che inganna un altro soggetto al fine di ottenere un’utilità da quest’ultimo, e l’inganno avviene tramite una rappresentazione, pretestuosa, di utilizzare quell’utilità per corrompere il pubblico ufficiale. L’agente ha intenzione di appropriarsi dell’utilità, non ha mai avuto l’intenzione di comprare il favore del pubblico ufficiale. E allora, ci si chiede come concretamente sarebbe lesa la pubblica amministrazione da siffatta fattispecie. L’unica offesa possibile è quella al nome, al prestigio. Il soggetto agente ha utilizzato il “pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato”; tale condotta, avendo fatto sembrare il pubblico ufficiale come una persona corruttibile, lede il prestigio della pubblica amministrazione. Che sia chiaro, ben potrebbe il Legislatore re-introdurre una fattispecie così configurata; tuttavia, è opportuno domandarsi se una tale concezione del prestigio della pubblica amministrazione sia accettabile alla luce dell’evoluzione della concezione dello Stato democratico moderno. Una speciale figura di truffa, quale è quella di cui all’art. 346, co. 2 c.p., può essere concepita a tutela della pubblica amministrazione soltanto affermando che il bene leso è il prestigio della pubblica amministrazione. In ogni caso, se il bene tutelato è il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, non permangono dubbi in ordine al fatto che la fattispecie di cui all’art. 346, co. 2 c.p. non è idonea ad offenderlo.

Proprio avendo riguardo al bene tutelato dall’art. 346 c.p., la giurisprudenza ha nel tempo fornito del millantato credito una lettura molto ampia. Soprattutto con riferimento all’art. 346, co. 1 c.p., si riteneva che la fattispecie dovesse ricomprendere anche le condotte di millanteria basate su un credito effettivamente esistente[86]. Secondo una posizione, la collocazione dell’art. 346 c.p. tra i delitti contro la pubblica amministrazione e la sua vicinanza alla materia della corruzione, ha orientato il millantato credito verso la tutela della pubblica amministrazione[87]. Dunque, si è affermata una concezione più ampia della millanteria, intesa anche come amplificazione di una relazione esistente.

La giurisprudenza, tuttavia, non si è spinta fino al punto di ricomprendervi il traffico di influenze realmente esistenti[88], limitandosi ad includervi le condotte di vanteria di relazioni esistenti. Il mendacio era (ancora) un elemento valorizzato dalla giurisprudenza. Come è stato osservato, una interpretazione che prescindesse dall’inganno non sarebbe stata compatibile con la non punibilità del “compratore” di influenze e con la natura fraudolenta della fattispecie prevista dall’art. 346, co. 2 c.p.[89] Se l’art. 346 c.p. avesse ricompreso anche il fatto di chi beneficiava di reali conoscenze per far ottenere al privato un vantaggio, non si sarebbe spiegata la non punibilità di quest’ultimo. Per rendere ragionevole la non punibilità del soggetto passivo, occorreva che, anche laddove il credito fosse esistente, vi fosse una amplificazione da parte dell’agente delle sue reali capacità[90].

Dunque, la L. n. 190/2012 ha sicuramente colmato una lacuna[91], introducendo l’art. 346-bis e consentendo di punire quelle condotte in cui vi era una reale capacità di influenza nei confronti del pubblico ufficiale. La norma puniva «chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio». Il secondo comma prevedeva che «la stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale». La relazione doveva essere effettivamente esisteste. Risultava ragionevole, poi, la punibilità del privato, in quanto controparte dell’accordo illecito concluso[92].

Con l’introduzione della norma è emerso il problema di delineare l’ambito applicativo rispetto al vicino art. 346 c.p.[93] Il tratto tipizzante del traffico di influenze illecite era costituito dall’esistenza della relazione e del potere di influenza sul pubblico funzionario. La Suprema Corte affermava che «il delitto di millantato credito si differenzia da quello di traffico di influenze, di cui all'art. 346 bis cod. pen. in quanto presuppone che non esista il credito né la relazione con il pubblico ufficiale e tanto meno l'influenza; mentre il traffico di influenze postula una situazione fattuale nella quale la relazione sia esistente, al pari di una qualche capacità di condizionare o, comunque, di orientare la condotta del pubblico ufficiale»[94]. Accanto all’esistenza della relazione, era richiesto anche che vi fosse un effettivo potere di influenza del mediatore sul pubblico funzionario. In altre parole, doveva sussistere il concreto pericolo che il trafficante, sfruttando la relazione con il soggetto qualificato, potesse alterare il buon funzionamento della pubblica amministrazione. La distinzione con il millantato credito era ravvisata nel fatto che nel millantato credito è assente il ‘potere di influenza’, siano le relazioni esistenti o inesistenti[95].

 

7. I rapporti tra l’art. 346, co. 2 c.p. e il novellato art. 346-bis c.p. Continuità normativa?
L’art. 346-bis c.p. punisce «chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319 ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322 bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri». Il secondo comma prevede la punizione con la medesima pena del soggetto che «indebitamente dà o promettere denaro o altra utilità»[96]. Per includere anche le fattispecie del millantato credito, il Legislatore ha modificato la condotta tipica, prevedendo, accanto allo sfruttamento di relazioni esistenti, la ‘vanteria di relazioni asserite’. La lettera della norma potrebbe indurre a ritenere che le relazioni asserite costituirebbero quelle prima riconducibili al millantato credito e che quindi vi sarebbe una continuità normativa tra le due fattispecie. Tuttavia, ad una diversa conclusione si perviene proprio seguendo l’insegnamento della Corte di cassazione secondo cui «è solo il confronto strutturale a consentire, in via autonoma, l’individuazione della continuità o della portata demolitoria che l’intervento legislativo posteriore ha eventualmente spiegato sugli elementi costitutivi del fatto tipico previsto dalla normativa precedente»[97].

Ebbene, da un confronto strutturale dovrebbe invece ritenersi che ci sia una discontinuità. La dottrina ha evidenziato i plurimi profili di differenza tra l’art. 346 e l’art. 346-bis c.p., ponendo l’attenzione sulla valenza del termine “pretesto”, sulla previsione di non punibilità del soggetto ingannato e sulla natura plurioffensiva dell’art. 346 c.p.

Per seguire tale linea ricostruttiva, occorre avere ben chiara la funzione dell’art. 346-bis c.p., evidenziata dalla clausola di sussidiarietà posta in apertura della norma. Le condotte di traffico di influenze illecite sono prodromiche alle più gravi condotte di corruzione e, quindi, l’offensività della condotta deve necessariamente essere calibrata avendo riguardo a tale funzione. La prospettiva offensiva del traffico di influenze illecite si rispecchia, d’altronde, nella configurazione quale reato-accordo[98].

In primo luogo, l’art. 346-bis c.p. è volto a tutelare il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, mentre l’art. 346 c.p. era volto in maniera preponderante alla tutela del patrimonio del soggetto truffato dal venditore di fumo[99].

Le condotte previste dall’abrogato art. 346 c.p. e dall’art. 346-bis c.p. non sono sovrapponibili, in quanto la prima richiedeva necessariamente gli artifici e raggiri tipici della truffa.  Il venditore di fumo realizza una condotta inidonea ad offendere il bene tutelato dall’art. 346-bis c.p., realizzando invece una condotta fraudolenta tesa ad ottenere un ingiusto vantaggio. L’art. 346-bis c.p. punisce una condotta tesa a realizzare una corruzione. L’elemento soggettivo non è il medesimo.

Inoltre, come efficacemente osservato, «l’inganno del “cliente” sulla circostanza che il “faccendiere” (il mediatore) non ha alcuna capacità di influire sul pubblico agente, in quanto con quest’ultimo non ha e non potrà mai avere una “relazione”, appare incompatibile con una sanzionabilità a livello penale. Si punirebbe altrimenti una mera intenzione malvagia del cliente, senza alcun pericolo per il corretto e imparziale funzionamento della P.A., perché è assente qualsivoglia capacità del “mediatore” di porsi in relazione con agenti pubblici nel caso specifico»[100].

Se si considerassero ricomprese nell’art. 346-bis c.p. le condotte prima previste dall’art. 346, co. 2 c.p. si porrebbero dei problemi di compatibilità con il principio di necessaria offensività del fatto di reato[101]. Peraltro, non sarebbe ragionevole punire entro la medesima cornice sanzionatoria due fatti eterogenei[102]. Non è quindi condivisibile l’indirizzo ermeneutico che intravede una continuità normativa tra l’art. 346, co. 2 e l’art. 346- bis c.p. lasciando, poi, al Giudice «la graduazione della risposta sanzionatoria in funzione dell’effettiva gravità in concreto dei fatti»[103], perché il principio di offensività deve essere rispettato anche dal Legislatore nella formulazione della fattispecie astratta di reato[104]. Una lettura ossequiosa dei principi di ragionevolezza, di offensività e di proporzionalità richiederebbe di non ritenere una continuità normativa tra l’art. 346, co. 2 c.p. e l’art. 346-bis c.p.[105]

Una discontinuità dovrebbe, inoltre, configurarsi anche per la fattispecie di cui al comma primo dell’art. 346 c.p., quando la remunerazione dell’attività di mediazione aveva il solo scopo di raggirare il compratore di fumo[106].

Il ‘vanto a relazioni asserite’ potrebbe, allora, essere riferito a quelle condotte in cui l’agente ha intenzione di influenzare il pubblico ufficiale, ma non vi è la certezza in ordine alla concreta possibilità di influenza. La capacità di influenza dovrebbe costituire un parametro per individuare il fatto da sussumere nell’art. 346-bis c.p.

L’art. 346-bis c.p. andrebbe interpretato come fattispecie a tutela dell’«uguaglianza di influenza»[107], ossia la capacità di ciascun cittadino di poter influire sull’azione amministrativa, secondo canali legittimi e a parità di condizioni, punendo le condotte che creano il pericolo per l’imparzialità della pubblica amministrazione[108]. Difatti, una cosa è ritenere che il bene tutelato sia il prestigio, altra cosa è ritenere che il bene tutelato sia la fiducia riposta dai cittadini nella pubblica amministrazione, la quale deve conformarsi ai principi di correttezza e imparzialità, senza favorire alcuno a danno di altri.

In conclusione, come affermato dalla Suprema Corte, dovrebbe ritenersi che «l'enunciazione da parte del mediatore-faccendiere al rapporto con i pubblici poteri non sia rivolto ad indurre in errore per mezzo di artifici e raggiri il cliente, quanto necessariamente a prospettare, seppure non in termini di certezza, la concreta possibilità di influire sull'agente pubblico; condotta tesa non a sfruttare una relazione inesistente ma a vantare la concreta possibilità di riuscire ad influenzare l'agente pubblico»[109].

Dunque, tutte le condotte fraudolente andrebbero espunte dall’art. 346-bis c.p. e ricondotte alla figura della truffa, poiché una truffa a danno del privato è inoffensiva rispetto al bene alla cui salvaguardia è orientato l’art. 346-bis c.p. Una tale ricostruzione giustificherebbe la punibilità del cliente[110] e sarebbe più rispettosa del principio di offensività, in quanto il fatto di reato così tipizzato realizzerebbe un pericolo per il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione. Inoltre, anche le Convenzioni internazionali sembrano orientate in tal senso, volendo punire le condotte prodromiche alla corruzione.

Quanto alla sorte delle sentenze di condanna definitive pronunciate per il reato di cui all’art. 346, co. 2 c.p., si prospettano diverse soluzioni. Secondo la Suprema Corte si dovrebbe applicare retroattivamente l’art. 640 c.p., in ragione del più favorevole regime sanzionatorio rispetto a quello di cui all’art. 346, co. 2 c.p. È stato, tuttavia, osservato che una tale soluzione appare condivisibile soltanto se si accerti l’atto dispositivo della dazione di denaro, integrante il danno della truffa, ritenendo, invece, che nei casi in cui l’accordo si era fermato allo stadio della promessa si potrebbe applicare il tentativo di truffa[111]. Un’attenta dottrina ha, invece, evidenziato che non vi sarebbe omogeneità strutturale tra l’art. 346-bis, co. 2 c.p. e l’art. 640 c.p., dovendosi quindi applicare l’art. 640 c.p. soltanto “per il futuro” e dovendosi ravvisare una abolitio criminis “per il passato”[112].



[1] Per un commento, v. M. ROMANO, Legge anticorruzione, millantato credito e traffico di influenze illecite, in Riv. it. dir. proc. pen., 3, 2013, pp. 1397 ss.

[2] Per un commento, v. M. GAMBARDELLA, Il grande assente della nuova legge “spazzacorrotti”: il microsistema delle fattispecie di corruzione, in Cass. pen., 2019, 1, pp. 44 ss.

[3] L’orientamento è stato inaugurato da Cass., Sez. 6, 14 marzo 2019, n. 17980, Rv. 275730; nello stesso senso v. Cass. pen., Sez. 6, 19 giugno 2019, n. 51124, Rv. 277569; Cass. pen., Sez. 6, 12 novembre 2019, n. 1659; Cass. pen., Sez. 6, 23 marzo 2021, n. 16467; Cass. pen., Sez. 6, 28 aprile 2021, n. 22101; Cass. pen., Sez. 6, 12 maggio 2021, n. 35581, Rv. 281996; Cass, pen., Sez. 6, 8 giugno 2021, n. 26437, Rv. 281583; Cass. pen., Sez. 6, 22 marzo 2022, n. 20935, Rv. 283270; Cass. pen., Sez. 6, 26 maggio 2022, n. 32574, Rv. 283724.

[4] Cass. pen., Sez. 6, 26 maggio 2022, n. 32574, Rv. 283724.

[5] Addendum to the Second Compliance Report on Italy, in www.coe.int.

[6] Il GRECO (Group of States Against Corruption) è un organo istituito nel 1999 dal Consiglio d’Europa per monitorare il rispetto da parte degli Stati delle norme anticorruzione.

[7] Cass. pen., Sez. 6, 14 marzo 2019, n. 17980, Rv. 275730.

[8] Cass. pen., Sez. 6, 14 marzo 2019, n. 17980, Rv. 275730.

[9] Cass. pen., Sez. 6, 14 marzo 2019, n. 17980, Rv. 275730.

[10] Cass. pen., Sez. 6, 4 marzo 2003, n. 16255, Rv. 224872; Cass. pen., Sez. 6, 17 marzo 2010, n. 13479, Rv. 246734.

[11] Cass. pen., Sez. 6, 4 marzo 2003, n. 16255, Rv. 224872; Cass. pen., Sez. 6, 17 marzo 2010, n. 13479, Rv. 246734.

[12] Cass. pen., Sez. 6, 26 maggio 2022, n. 32574, Rv. 283724.

[13] Cass. pen., Sez. 6, 26 maggio 2022, n. 32574, Rv. 283724.

[14] Cass. pen., Sez. 6, 7 ottobre 2020, n. 1869.

[15] Cass. pen., Sez. 6, 7 ottobre 2020, n. 1869.

[16] Cass. pen., Sez. 6, 26 maggio 2022, n. 32574, Rv. 283724.

[17] Cass. pen., Sez. 6, 26 maggio 2022, n. 32574, Rv. 283724.

[18] Cass. pen., Sez. 6, 5 maggio 2021, n. 23877.

[19] Cass. pen., Sez. 6, 5 maggio 2021, n. 23877.

[20] Cass. pen., Sez. 6, 5 maggio 2021, n. 23877.

[21] Cass. pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013, n. 12228, Rv. 258473.

[22] Cass. pen., Sez. 6, 12 maggio 2021, n. 35581.

[23] L’orientamento è stato inaugurato da Cass. pen., Sez. 6, 19 settembre 2019, n. 5221, Rv. 278451; nello stesso senso v. Cass. pen., Sez. 6, 2 febbraio 2021, n. 28657, Rv. 281980; Cass. pen., Sez. 6, 10 marzo 2022, n. 23407, Rv. 283348; Cass. pen., Sez. 6, 8 luglio 2022, n. 49657; Cass. pen., Sez. 6, 12 dicembre 2022, n. 11342, Rv. 284567.

[24] Cass. pen., Sez. 6, 18 settembre 2019, n. 5221, Rv. 278451.

[25] Cass. pen., Sez. 6, 18 settembre 2019, n. 5221, Rv. 278451.

[26] Cass. pen., Sez. 6, 7 giugno 2006, n. 30150, Rv. 235429.

[27] Cass. pen., Sez. 6, 12 luglio 2017, n. 40940.

[28] Cass. pen., Sez. Un., 21 gennaio 2010, n. 12822.

[29] Cass. pen., Sez. 6, 18 settembre 2019, n. 5221, Rv. 278451.

[30] Cass. pen., Sez. 6, 12 dicembre 2022, n. 11342, Rv. 284567.

[31] Cass. pen., Sez. 6, 12 dicembre 2022, n. 11342, Rv. 284567.

[32] Cass. pen., Sez. 6, 18 settembre 2019, n. 5221, Rv. 278451.

[33] Cass. pen., Sez. 6, 18 settembre 2019, n. 5221, Rv. 278451.

[34] Cass. pen., Sez. 6, 18 settembre 2019, n. 5221, Rv. 278451.

[35] Cass. pen., Sez. 6, 18 settembre 2019, n. 5221, Rv. 278451.

[36] Cass. pen., Sez. 6, 2 febbraio 2021, n. 28657, Rv. 281980; Cass. pen., Sez. 6, 10 marzo 2022, n. 23407, Rv. 283348.

[37] Cass. pen., Sez. 6, 12 dicembre 2022, n. 11342, Rv. 284567.

[38] Cass. pen., Sez. 6, 10 marzo 2022, n. 23407, Rv. 283348.

[39] Cass. pen., Sez. 6, 18 settembre 2019, n. 5221, Rv. 278451.

[40] Cass. pen., Sez. 6, 18 settembre 2019, n. 5221, Rv. 278451.

[41] Relazione illustrativa al Disegno di Legge, A.C. 1189/2018, Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, 24 settembre 2018, in www.camera.it. V. M. GAMBARDELLA, Considerazioni sull’inasprimento della pena per il delitto di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) e sulla riformulazione del delitto di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.) nel disegno di legge Bonafede, in Cass. pen., 11, 2018, 3577 ss.; M. GAMBARDELLA, Il grande assente nella nuova “legge Spazzacorrotti”: il microsistema delle fattispecie di corruzione, in Cass. pen., 1, 2019, pp. 44 ss.

[42] Relazione illustrativa al Disegno di Legge, A.C. 1189/2018, cit.

[43] Relazione illustrativa al Disegno di Legge, A.C. 1189/2018, cit.

[44] Relazione illustrativa al Disegno di Legge, A.C. 1189/2018, cit.

[45] Relazione illustrativa al Disegno di Legge, A.C. 1189/2018, cit.

[46] Relazione illustrativa al Disegno di Legge, A.C. 1189/2018, cit. Il Legislatore fornisce anche uno strumento per dirimere i problemi relativi alla successione di leggi, indicando la sentenza delle Sezioni Unite Maldera (Cass. pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013, n. 12228) per risolvere, positivamente, la questione della continuità normativa per il “venditore di fumo”.

[47] Art. 12, Criminal Law Convention on Corruption: «Each Party shall adopt such legislative and other measures as may be necessary to establish as criminal offences under its domestic law, when committed intentionally, the promising, giving or offering, directly or indirectly, of any undue advantage to anyone who asserts or confirms that he or she is able to exert an improper influence over the decision-making of any person referred to in Articles 2, 4 to 6 and 9 to 11 in consideration thereof, whether the undue advantage is for himself or herself or for anyone else, as well as the request, receipt or the acceptance of the offer or the promise of such an advantage, in consideration of that influence, whether or not the influence is exerted or whether or not the supposed influence leads to the intended result».

[48] CETS 173 – Explanatory Report to the Criminal Convention on Corruption, in rm.coe.int.

[49] CETS 173 – Explanatory Report to the Criminal Convention on Corruption, cit., par. 64, secondo cui «Criminalising trading in influence seeks to reach the close circle of the official or the political party to which he belongs and to tackle the corrupt behaviour of those persons who are in the neighbourhood of power and try to obtain advantages from their situation, contributing to the atmosphere of corruption. It permits Contracting Parties to tackle the so-called "background corruption", which undermines the trust placed by citizens on the fairness of public administration. The purpose of the present Convention being to improve the battery of criminal law measures against corruption it appeared essential to introduce this offence of trading in influence, which would be relatively new to some States».

[50] CETS 173 – Explanatory Report to the Criminal Convention on Corruption, par. 65, secondo cui «This provision criminalises a corrupt trilateral relationship where a person having real or supposed influence on persons referred to in Articles 2, 4, 5, and 9 – 11, trades this influence in exchange for an undue advantage from someone seeking this influence. The difference, therefore, between this offence and bribery is that the influence peddler is not required to "act or refrain from acting" as would a public official. The recipient of the undue advantage assists the person providing the undue advantage by exerting or proposing to exert an improper influence over the third person who may perform (or abstain from performing) the requested act. "Improper" influence must contain a corrupt intent by the influence peddler: acknowledged forms of lobbying do not fall under this notion. Article 12 describes both forms of this corrupt relationship: active and passive trading in influence. As has been explained (see document GMC (95) 46), "passive" trading in influence presupposes that a person, taking advantage of real or pretended influence with third persons, requests, receives or accepts the undue advantage, with a view to assisting the person who supplied the undue advantage by exerting the improper influence. "Active" trading in influence presupposes that a person promises, gives or offers an undue advantage to someone who asserts or confirms that he is able to exert an improper over third persons».

[51] Sul tema v. P. VENEZIANI, Lobbismo e diritto penale. Il traffico di influenze illecite, in Cass. pen., 4, 2016, pp. 1293 ss.; V. MONGILLO, Il traffico di influenze illecite nell’ordinamento italiano: crisi e vitalità di una fattispecie a tipicità impalpabile, in Sistemapenale.it; E. SCAROINA, Lobbying e rischio penale, in Dir. pen. e proc., 6, 2016, pp. 811 ss.

[52] L’Italia ha esercitato il diritto di riserva con riguardo all’incriminazione di condotte di corruzione passiva di pubblici ufficiali stranieri e di membri di assemblee pubbliche straniere di cui agli artt. 5 e 6 della Convenzione, ad eccezione dei cittadini di Stati membri dell’Unione europea; delle violazioni commesse ai sensi dell’art. 6 c.p.; dei reati commessi da pubblici ufficiali italiani, abusando della propria autorità o violando i doveri inerenti alle proprie funzioni (art. 7 c.p.).

V. sul punto V. MONGILLO, op. cit., secondo il quale «il disposto pattizio è divenuto pienamente vincolante per un’autonoma scelta politico-criminale del nostro Parlamento, più che per impegni internazionali cogenti».

[53] Second Compliance Report on Italy, in rm.coe.int.

[54] Addendum to the Second Compliance Report on Italy, in rm.coe.int.

[55] Art. 18 United Nations Convention against Corruption: «Each State Party shall consider adopting such legislative and other measures as may be necessary to establish as criminal offences, when committed intentionally:
(a) The promise, offering or giving to a public official or any other person, directly or indirectly, of an undue advantage in order that the public official or the person abuse his or her real or supposed influence with a view to obtaining from an administration or public authority of the State Party an undue advantage for the original instigator of the act or for any other person;

(b) The solicitation or acceptance by a public official or any other person, directly or indirectly, of an undue advantage for himself or herself or for another person in order that the public official or the person abuse his or her real or supposed influence with a view to obtaining from an administration or public authority of the State Party an undue advantage».

[56] UNITED NATIONS OFFICE ON DRUGS AND CRIME, Legislative guide for the implementation of the United Nations Convention against Corruption, in www.unodc.org, pp. 82-83, par. 285-286, nei quali si spiega che «The mental or subjective element for this offence is that the conduct must be intentional. In addition, some link must be established between the offer or advantage and inducing the official to abuse his or her influence in order to obtain from an administration or public authority of the State party an undue advantage for the instigator of the act or for any other person. Since the conduct covers cases of merely offering a bribe, that is, even including cases where it was not accepted and could not therefore have affected conduct, the link must be that the accused intended not only to offer the bribe, but also to influence the conduct of the recipient, regardless of whether or not this actually took place>>.

[57]UNITED NATIONS OFFICE ON DRUGS AND CRIME, Legislative guide for the implementation of the United Nations Convention against Corruption, in www.unodc.org, pp. 82-83, par. 289, in cui si spiega che «The mental or subjective element is only that of intending to solicit or accept the undue advantage for the purpose of abusing one’s influence to obtain an undue advantage for a third person from an administration or public authority of the State».

[58] Ritengono invece che la Convenzione di Merida preveda un obbligo di incriminazione per lo Stato E. DOLCINI–F. VIGANÒ, Sulla riforma in cantiere dei delitti di corruzione, in Dir. pen. cont., 1, 2012, p. 238.

[59] V. E. DOLCINI–F. VIGANÒ, Sulla riforma, cit., p. 238, secondo gli Autori le due Convenzioni «equiparano sul piano dell’obbligo di incriminazione la situazione di chi riceva il denaro o la promessa in relazione ad una propria influenza reale sul pubblico ufficiale da corrompere, a quella di chi semplicemente affermi di poter esercitare una simile influenza, millantando dunque un credito – per usare un’espressione familiare al penalista italiano – in realtà inesistente».

[60] È pacifico che la fattispecie prevista dall’art. 346, co. 2 c.p. costituiva una fattispecie autonoma di reato. In giurisprudenza, v. Cass. pen., Sez. Un., 21 gennaio 2010, n. 12822, Rv. 246270.

[61] F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale – II, Giuffrè, Milano, 2016, p. 518.

[62] L’art. 640, co. 2, n. 1) prevede un’aggravante speciale «se il fatto è commesso (…) col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare».

[63] C. PEDRAZZI, Millantato credito, traffic d’influence, influence peddling, in Riv. it. dir. e proc. pen., p. 923.

[64] Cass. pen., Sez. 2, 23 gennaio 2001, n. 10792, Rv. 218673, secondo cui «A fondamento tale principio, si è rilevato come, sotto il profilo testuale, la stessa norma di cui all’art. 640, secondo comma nr. 1) cod. pen. punisca quale forma aggravata di truffa, la condotta se commessa “con il pretesto di fare esonerare taluno dal servizio militare”, ossia quando il soggetto passivo persegua un obiettivo antigiuridico in relazione all’esenzione da servizio militare, costituente un illecito; inoltre, si sostiene che un’efficace tutela del bene giuridico protetto, ossia il patrimonio altrui e la libertà negoziale, imponga di reprimere quei comportamenti che traggano in inganno la vittima, cagionandole un danno ingiusto, anche se questa sia motivata da fini illeciti » V. Cass. pen., Sez. 1, 27 settembre 2013, n. 42890, Rv. 257296.

[65] Cass. pen., Sez. 6, 30 settembre 2005, n. 39932; Cass. pen., Sez. 6, 7 novembre 1997, n. 547.

[66] Cass. pen., Sez. 6, 30 settembre 2005, n. 39932, Rv. 233840.

[67] Cass. pen., Sez. 6, 23 marzo 2021, n. 16467, Nel caso di specie, l’imputato si era presentato come soggetto che, in forza della vantata qualità di dirigente territoriale di un Sindacato e dell’effettiva veste di dipendente civile del Ministero della Difesa, asseriva di aver già dimostrato la capacità di ‘piazzare’ diverse persone nelle pubbliche amministrazioni, attribuendosi la capacità di fornire materiale cartaceo utile per il conseguimento delle prove di esame, «senza tuttavia spendere il nome di pubblici ufficiali né alludere a contatti con essi».

[68] Cass. pen., Sez. 6, 25 febbraio 2003, n. 15118, Rv. 224844; Cass. pen., Sez. 6, 24 novembre 1998, n. 13657; Cass. pen., Sez. 6, 7 novembre 1997, n. 547.

[69] Cass. pen., Sez. 6, 4 maggio 2001, n. 2010.

[70] Cass. pen., Sez. 6, 7 giugno 2006, n. 30150, Rv. 235429.

[71] Cass. pen., Sez. 6, 7 giugno 2006, n. 30150, Rv. 235429.

[72] Cass. pen., Sez. 6, 7 giugno 2006, n. 30150, Rv. 235429.

[73] Cass. pen., Sez. 6, 12 luglio 2017, n. 40940.

[74] Cass. pen., Sez. 6, 5 novembre 2009, n. 9470, Rv. 246399; Cass. pen., Sez. 6, 19 febbraio 2003, n. 17642, Rv. 227138.

[75] Cass. pen., Sez. Un., 21 gennaio 2010, n. 12822.

[76] Cass. pen., Sez. 6, 22 febbraio 2005, n. 11441, Rv. 231042; Cass. pen., Sez. 6, 27 gennaio 2000, n. 2645, Rv. 215651; Cass. pen., Sez. 6, 25 febbraio 1998, n. 5569, Rv. 210524.

[77] Cass. pen., Sez. 6, 15 ottobre 1986, Rv. 174839; Cass. pen., Sez. 6, 3 dicembre 2002, n. 10662, Rv. 223812; Cass. pen., Sez. 6, 19 febbraio 2003, n. 17642, Rv 227138.

[78] Cass. pen., Sez. 6, 3 dicembre 2002, n. 10662, Rv. 223812.

[79] Cass. pen., Sez. Un., 21 gennaio 2010, n. 12822, Rv. 246270.

[80] F. CONSULICH, Millantato credito e traffico di influenze illecite, in C. F. GROSSO–M. PELISSERO (a cura di), Trattato di diritto penale, Parte speciale, Reati contro la Pubblica Amministrazione, Giuffrè, Milano, 2015, p. 612. M. GAMBARDELLA, L’incorporazione del delitto di millantato credito in quello di traffico di influenze illecite (L. n. 3 del 2019) ha determinato una limitata discontinuità normativa, facendo riespandere il reato di truffa, in Cass. pen., 4, 2020, pp. 1539 ss.

[81] Cass. pen., Sez. 6, 6 febbraio 1997, n. 2740.

[82] Cass. pen., Sez. 6, 6 febbraio 1997, n. 2740.

[83] Cass. pen., Sez. 6, 6 febbraio 1997, n. 2740.

[84] Da ultimo, Cass. pen., Sez. 6, 26 maggio 2022, n. 32574.

[85] C. PEDRAZZI, op. cit., pp. 914-916. L’Autore osserva che «l’incriminazione del millantato credito, intesa in funzione di tutela del prestigio, rappresenta una stranezza, un corpo estraneo nelle linee del sistema. Nel sistema del nostro codice il «prestigio» è sempre tutelato in capo a organi pubblici determinati (…) Qui invece una norma che tutelerebbe il prestigio dell’amministrazione in generale, indipendentemente dal riferimento a persone o uffici determinati (…) Infine come non notare la stranezza, a dir poco, di una tutela del prestigio così «settoriale»: tutta tesa a impedire che vengano messi in circolazione due tipi soltanto di voci offensive, quelle che integrano, rispettivamente, la millantazione di un credito ai sensi dell’art. 346, comma 1°, e il pretesto di corruzione del capoverso. Si tratta indubbiamente di addebiti gravi: ma non si dirà che al prestigio dell’amministrazione attenti unicamente chi dia a credere che i suoi funzionari sono sensibili a indebite pressioni, o sogliono farsi corrompere. Viene da pensare che il legislatore abbia dato tanto peso a questi due tipi di addebito più che altro per timore di un contagio: non per tutelare un prestigio nominale, ma per prevenire il moltiplicarsi di pressioni indebite sulle pubbliche amministrazioni».

[86] M. GAMBARDELLA, Punibilità del cliente ingannato, mediazione onerosa illecita e intermediazione corruttiva nel traffico di influenze, in DISCRIMEN, 2022, p. 5, secondo cui «una tale interpretazione – che ha reso configurabile il millantato credito quando il credito vantato presso il pubblico funzionario fosse effettivamente sussistente – ha spinto verso una conformazione giurisprudenziale della fattispecie, che ha oltrepassato la legittima interpretazione letterale per attingere un ambito applicativo incompatibile con il testo della disposizione, chiaramente calibrato quest’ultimo sullo schema romanistico della “venditio fumi”».

[87] M. ROMANO, op. cit., p. 1398.

[88] V. MONGILLO, Il traffico di influenze illecite nell’ordinamento italiano: crisi e vitalità di una fattispecie a tipicità impalpabile, in Sistemapenale.it.

[89] P. ASTORINA MARINO, L’unificazione di traffico di influenze e millantato credito: una crasi mal riuscita, in Sistemapenale.it, p. 6.

[90] M. ROMANO, op. cit., p. 1399.

[91] I. MERENDA, Il traffico di influenze illecite: nuova fattispecie e nuovi interrogativi, in Dir. pen. cont., 2, 2013.

[92] C. PEDRAZZI, op. cit., p. 937. V. G. PONTEPRINO, La nuova “versione” del traffico di influenze illecite: luci e ombre della riforma “spazzacorrotti”, in Sistemapenale.it, 12, 2019, p. 100.

[93] Sul punto, v. M. ROMANO, op. cit., pp. 1402 ss., secondo il quale «Ricondotto alla millanteria ingannevole nei confronti dell’interlocutore, l’art. 346 ritorna nell’alveo originario tipico di un’ipotesi di truffa, qualificata rispetto alla figura generale dell’art. 640 poiché l’intesa raggiunta dai protagonisti è costruita, malgrado l’inganno, sull’asserita o implicita “disponibilità” di pubblici funzionari, che, solo adombrata nel co. 1°, sfocia nella asserita (pretesa) corruttibilità nel co. 2°»; I. MERENDA, op. cit.; V. MONGILLO, op. cit.; P. PISA, Il “nuovo” delitto di traffico di influenze, in Dir. pen. e proc., 8, 2013, pp. 33 ss.

[94] Cass. pen., Sez. 6, 28 aprile 2017, n. 37463, Rv. 270607; Cass. pen., Sez. 6, 27 settembre 2017, n. 53332, Rv. 271730.

[95] Cass. pen., Sez. 6, 27 settembre 2017, n. 53332, secondo cui «i rispettivi ambiti delle fattispecie di cui all’art. 346 cod. pen. e 346 bis cod. pen. possono essere così ricostruiti: il traffico di influenze incrimina le condotte nelle quali le relazioni tra mediatore e pubblico agente siano esistenti e reale sia il potere di influenza del mediatore sul pubblico funzionario. Invece il millantato credito incrimina i casi in cui il potere di influenza non ci sia, siano le relazioni esistenti o inesistenti, ma tale potere è ostentato ugualmente dal millantatore, al fine di ricevere un indebito vantaggio da chi, raggirato, è configurato come vittima del reato. Il compratore di influenze, per essere considerato soggetto attivo, deve essere consapevole che il potere di influenza sia esistente e che quindi il pericolo per la disfunzione dei pubblici apparati a suo vantaggio sia obiettivo concretamente perseguibile. Viceversa, la fattispecie di millantato credito verrà in rilievo in tutte le ipotesi in cui il credito sia fasullo e posticcio e, pertanto, non esista né la relazione con il pubblico ufficiale, tanto meno l'influenza».

[96] L’art. 346-bis c.p. prevede al co. 3 un’aggravante «se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio»; al co. 4 un’aggravante «se i fatti commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie, o per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio» e al co. 5 un’attenuante «se i fatti sono di particolare tenuitàa»

[97] Cass. pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013, n. 12228; Cass. pen., Sez. Un., 26 marzo 2003, n. 25887, Rv. 224607.

[98] V. N.M. MAIELLO, op. cit.

[99] Cass. pen., Sez. 6, 18 settembre 2019, n. 5221.

[100] M. GAMBARDELLA, Punibilità del cliente ingannato, cit., p. 8.

[101] Propende per una continuità normativa A. MERLO, Traffico di influenze illecite e millantato credito: successione di leggi o abrogazione parziale?, in Foro it., 10, 2020, pp. 662 ss. Secondo l’Autore «il venir meno del termine «pretesto» nella disposizione di legge non assume un significato particolare e certamente non esclude dalla sua area semantica i comportamenti riconducibili al «vecchio» art. 346, 2° comma, c.p. ». Si sostiene che «se è vero, infatti, che l’offensività della condotta in determinati casi può risultare impalpabile, al punto da rendere irragionevole l’incriminazione anche dell’emptor fumi, la via più corretta per affrontare il problema sarebbe stata quella di eccepire l’incostituzionalità della fattispecie dinnanzi alla Corte costituzionale».

[102] N.M. MAIELLO, op. cit., p. 1507, secondo cui «la valorizzazione del principio di ragionevolezza/proporzione potrebbe, dunque, portare ad “espungere dalla fattispecie condotte incapaci di attingere ad un disvalore congeniale alla gravità del compasso edittale, limitando l’overbreadth del tipo legale”». V. anche G. PONTEPRINO, La nuova “versione”, cit., p. 113 ritiene che «sarebbe stato preferibile che il legislatore, nell’inglobare il millantato credito nel traffico di influenze, avesse quantomeno previsto una graduazione del quantum di pena irrogabile, differenziano la posizione di chi acquista un’influenza reale da quella di colui che, tutto considerato, è comunque la vittima di un inganno».

[103] Cass. pen., Sez. 6, 14 marzo 2019, n. 17980.

[104] Efficace l’esempio prospettato da V. MONGILLO, op. cit., p. 14, secondo il quale «è evidente che il nuovo disposto normativo semplifica l’accertamento. Ma la semplificazione non è un valore assoluto in diritto penale. Altrimenti, per semplificare, potremmo – per assurdo – punire allo stesso modo omicidi o lesioni tanto dolosi quanto colposi. In questo caso, avremmo risolto con un tratto di penna la vexata quaestio della linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente; ma l’esito sarebbe ovviamente aberrante».

[105] N.M. MAIELLO, op. cit., p. 1501; G. PONTEPRINO, Il “nuovo” inquadramento giuridico del c.d. millantato credito “corruttivo”. I perduranti disorientamenti giurisprudenziali, in Dir. pen. e proc., 8, 2022, p. 1110.

[106] N.M. MAIELLO, op. cit., p. 1511, secondo cui, «se così non fosse, infatti, si introdurrebbe un’irragionevole disparità di tutela tra chi ha subito un’offesa patrimoniale pagando al fine di corrompere e chi ha pagato “solo” per remunerare il mediatore, essendo entrambi parimenti vittima di un raggiro». L’Autore auspica «l’aggiunta di una circostanza aggravante di cui all’art. 640, secondo comma, c.p., che avrebbe il vantaggio di essere procedibile d’ufficio». Sul punto anche V. MONGILLO, op. cit., pp. 15-16, secondo il quale anche «le forme di venditio fumi, consistenti nella prospettazione fraudolenta non di una mediazione corruttiva ma della capacità di condizionare l’operato dell’esponente pubblico senza remunerarlo, andrebbero riallocate nella fattispecie base di truffa». Nello stesso senso anche P. ASTORINA MARINO, op. cit., p. 12.

[107] R. DWORKIN, Virtù sovrana. Teoria dell’uguaglianza, Feltrinelli, Milano, 2002, p. 206.

[108] P. ASTORINA MARINO, op. cit., p. 12.

[109] Cass. pen., Sez. 6, 19 settembre 2019, n. 5221, Rv. 278451.

[110] M. GAMBARDELLA, Punibilità del cliente, cit., p. 9.

[111] N. M. MAIELLO, op. cit., pp. 1501 ss. V. S. PRANDI, Questioni di diritto intertemporale e continuità normativa tra millantato credito e “nuovo” traffico di influenze illecite, in Dir. pen. e proc., 9, 2020, pp. 1237 ss.

[112] M. GAMBARDELLA, La discontinuità normativa tra l’abrogata ipotesi di millantato credito prevista dall’art. 346, comma 2, c.p. e il riformulato delitto di traffico di influenze illecite, in Cass. pen., 4, 2020, p. 1548, secondo cui «l’abrogazione/riformulazione del millantato credito/traffico di influenze ha comportato nel nostro caso una limitata abolitio criminis (per il “passato”) riguardo alle condotte del faccendiere che, in assenza di una effettiva relazione con l’agente, inganna il c.d. compratore di fumo per farsi corrispondere denaro o altra utilità (“abolizione della figura di reato” per il passato, ex art. 2, comma 2, c.p.). Tali condotte non potranno essere sussunte nel traffico di influenze così descritto nella legge n. 3 del 2019, ma potranno trovare rilevanza penale soltanto per il “futuro” attraverso il delitto di truffa (“nuova incriminazione” per il futuro, ex art. 2, comma 1, c.p.): ossia la truffa potrà essere contestata in relazione alle condotte storiche poste in essere dopo l’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019. Non è possibile infatti istituire un rapporto di continuità normativa tra il millantato credito (abrogato) e il reato di truffa (che si riespande), allo scopo di schivare il fenomeno della parziale abolizione della incriminazione di millantato credito. e questo perché, sulla scorta della giurisprudenza in materia di successione di leggi, in assenza di una relazione unilaterale di specialità fra incriminazioni – come nel nostro caso tra il delitto di millantato credito abrogato e quello di truffa che si riespande – va dichiarato da parte del giudice che il fatto non è previsto dalla legge come reato per l’intervenuta abolitio criminis».

 

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