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Magistratura Indipendente

PENALE  

Confisca per equivalente e concorso di persone

  Penale 
 lunedì, 6 maggio 2024

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di Caterina MELONE, praticante Avvocato

 
 

Sommario:

1. Premessa
2. L’orientamento prevalente
3. L’orientamento minoritario
4. L’unità del reato concorsuale
5. La funzione della confisca per equivalente

 

  1. Premessa.

Nell’ambito della disciplina del concorso di persone nel reato si assiste ad una originale interpretazione della confisca per equivalente[1]. La finalità di assicurare l’ablazione del provento illecito ha comportato, infatti, l’introduzione di una ‘confisca solidale’. Nel caso di concorso di persone nel reato, la confisca per equivalente può essere applicata per l’intero importo nei confronti di uno qualsiasi dei concorrenti, anche se il profitto o il prezzo del reato non sia transitato nel suo patrimonio.

Con la presente riflessione si cercherà di comprendere tale soluzione ermeneutica, ponendo l’attenzione sulle ragioni su cui essa si fonda.

Dall’analisi delle ragioni poste a fondamento dell’orientamento prevalente della giurisprudenza emergerà un quadro confuso, nel quale l’unica certezza sembra essere che né la pena né la misura di sicurezza sono categorie adatte a contenere la confisca.

 

  1. L’orientamento prevalente
    Secondo l’orientamento prevalente[2], la confisca per equivalente è applicabile, nel caso di concorso di persone nel reato, nei confronti di uno qualsiasi tra i concorrenti per l’intero importo del ritenuto profitto o prezzo del reato, anche se lo stesso non sia affatto transitato o sia transitato in minima parte nel suo patrimonio e sia stato, invece, materialmente appreso da altri. Il principio trova un limite nel divieto di duplicare la misura ablativa, la quale non può superare l’utilità complessivamente ricavata dal reato.

Tale soluzione si è affacciata nel panorama giurisprudenziale a seguito dell’introduzione nel codice penale dell’art. 322-ter ad opera della legge 29 settembre 2000, n. 300 ed è stata avallata dalla Corte a Sezioni Unite nel 2008[3]. In tale occasione, le Sezioni Unite hanno affermato che «di fronte ad un illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico che informa la disciplina del concorso nel reato e che implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente. Più in particolare, perduta l’individualità storica del profitto illecito, la confisca di valore può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato (entro logicamente i limiti quantitativi dello stesso), non essendo esso ricollegato, per quello che emerge allo stato degli atti, all’arricchimento di uno piuttosto che di un altro soggetto coinvolto, bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito, senza che rilevi il riparto del relativo onere tra i concorrenti, che costituisce fatto interno a questi ultimi»[4]. La Corte ha precisato che «ove la natura della fattispecie concreta e dei rapporti economici ad essa sottostanti non consenta d’individuare, allo stato degli atti, la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascun concorrente o la sua esatta quantificazione, il sequestro preventivo deve essere disposto per l’intero importo del profitto nei confronti di ciascuno, logicamente senza alcuna duplicazione e nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra i concorrenti»[5].

Dunque, secondo le Sezioni Unite il principio solidaristico opera soltanto laddove non si possa individuare la quota di profitto attribuibile al singolo concorrente.

Il “principio della responsabilità solidale tra correi”[6] in riferimento alla confisca per equivalente si è consolidato nel tempo in una cospicua parte della giurisprudenza di legittimità, la quale ha, però, ritenuto irrilevante la quota effettivamente percepita dal singolo concorrente.

A fondamento di tale orientamento depongono due ordini di ragioni: l’unità del reato concorsuale e la natura sanzionatoria della confisca.

Quanto alla prima ragione, secondo i Giudici di legittimità, il principio «trova giustificazione, a livello dogmatico, ove si osservi che, per la teoria monistica cui è, notoriamente, ispirata la disciplina del concorso di persone nel reato, ciascun concorrente, la cui attività si sia inserita con efficienza causale nel determinismo produttivo dell’evento, risponde anche degli atti posti in essere dagli altri compartecipi e dell’evento delittuoso nella sua globalità, che viene considerato come l’effetto dell’azione combinata di tutti. Questo principio solidaristico, che implica l'imputazione dell'intera azione delittuosa e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente, quale che sia l'entità del contributo prestato, comporta anche solidarietà nella pena, nel senso che, a norma dell'art. 110 c.p., ciascuno risponde della pena stabilita per il reato, salve le disposizioni di legge volte a graduare la sanzione penale a seconda della valenza che ciascuna partecipazione assume nel contesto generale del concorso, sulla base dei parametri normativi di cui agli artt. 112 e 114 c.p. »[7].

La soluzione è coerente, poi, con la natura della confisca per equivalente, che costituisce «una vera e propria misura sanzionatoria, che si affianca alla pena detentiva»[8], e, pertanto «è irrilevante quale sia la “quota” di profitto eventualmente incamerata dall’indagato o anche solo se egli abbia effettivamente ricavato una parte dello stesso a seguito della consumazione in concorso con altri. Ciò che conta è solo che il suddetto profitto sia effettivamente conseguito e che lo stesso non sia più (in tutto o in parte) acquisibile nella sua identità fisica "storica" o in quella che gli autori del reato gli hanno impresso procedendo alla sua trasformazione»[9].

La Corte ha, tuttavia, precisato che non si tratta di una vera e propria pena, perché «operando la confisca - ed il sequestro - per equivalente soltanto nella ipotesi di impossibilità di applicare la ordinaria misura della confisca del profitto o del prezzo del reato, quale istituto sostanzialmente surrogatorio di quest'ultimo, non può certo presupporsi una sorta di novatio della misura, tale da trasformare il provvedimento ablatorio in una vera e propria pena patrimoniale. È del tutto evidente, infatti, che risulterebbe a dir poco eccentrica rispetto al sistema ed alla stessa tavola dei valori costituzionali, la possibilità di far discendere l'applicazione di una pena dalla semplice e casuale eventualità rappresentata dalla impossibilità di rinvenire - e conseguentemente aggredire - il profitto o il prezzo del reato. Per altro verso, ove il legislatore avesse davvero inteso imprimere alla confisca per equivalente le stigmate della sanzione criminale, non si spiegherebbe la previsione della irretroattività sancita dal richiamato L. n. 300 del 2000, art. 15, bastando a tal fine il generale precetto sancito dall'art. 25, comma 2, della Carta Fondamentale. Il paradigma della “gradualità” della confisca per equivalente in rapporto al quantum di contributo offerto nella realizzazione dell’illecito concorsuale (…) non può quindi rappresentare, in assenza di una specifica disposizione legislativa, un criterio legittimamente applicabile, muovendosi esso al di fuori dello schema legale e delle stesse finalità, indubbiamente general-preventive, che il peculiare istituto mira a soddisfare. Precludere, infatti, la realizzazione del profitto desunto da taluni reati attraverso la ablazione diretta dello stesso o del valore corrispondente, equivale a postulare, in capo ai singoli partecipi, una “responsabilità per l’intero” del tutto legittima, giacché spetta alla discrezionalità del legislatore calibrare – nel rispetto del principio di ragionevolezza – la disciplina dei presidi volti ad impedire (e prevenire) che l’utile comunque desunto dal reato possa essere, in tutto o in parte, mantenuto nella disponibilità (giuridica e patrimoniale) di chi abbia a qualsiasi titolo concorso nella realizzazione dell’illecito. E ciò – evidentemente – anche a prescindere da qualsiasi rilievo in ordine ai diversi “gradi” di responsabilità, ovvero all’ammontare effettivo del profitto che “singolarmente” ciascun coautore del fatto abbia desunto dal reato»[10].

Dunque, osserva la Corte che, «costituendo una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti, la confisca per equivalente assume preminente carattere sanzionatorio. E quale effetto sanzionatorio del reato, essa può interessare ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del prezzo o profitto accertato, salvo ovviamente l’eventuale riparto»[11].

Secondo tale orientamento giurisprudenziale, la soluzione «non può inoltre ritenersi tale da violare i principi di personalità della responsabilità penale e di proporzionalità del trattamento sanzionatorio, in ragione del fatto che la misura è conseguente e proporzionata alla produzione del profitto illecito e non alla sua effettiva disponibilità, essendo quindi ragionevole che tutti coloro che siano concorsi a produrlo rispondano con i propri beni dell'impossibilità di recuperarlo»[12].

Ancora, si è sostenuto che «non può ritenersi che nel caso in cui la misura ablativa ricada su colui che materialmente ha ricavato una minore utilità dal reato (o non ne abbia ricavato affatto) l'interferenza statale si riveli "sproporzionata", giacché la proporzione della "sanzione ablativa", così come ordita dal legislatore, va parametrata alla produzione del profitto illecito e non alla sua effettiva disponibilità, talché è ragionevole (e dunque perfettamente in linea con i principi costituzionali ed eurounitari) che tutti coloro che siano concorsi a realizzarlo rispondano con i propri beni dell'impossibilità di recuperarlo (Sez. 5, n. 25560 del 20/05/2015, Gilardi, in motivazione). In altri termini, se la confisca misura di sicurezza del profitto storico ha ad oggetto quello effettivamente rinvenuto nella disponibilità dei singoli concorrenti nel reato, la confisca di valore, proprio in ragione della sua natura, li colpisce indifferentemente - nella misura dell'ablazione complessiva di beni di valore equivalente a quello del profitto storico - per il solo fatto che essi hanno indistintamente collaborato alla produzione di un profitto. Pertanto, qualora non sia possibile individuare ed apprendere il profitto del reato nella sua identità e consistenza originaria, ed al fine di non frustrare la finalità di sottrarre all'imputato o al condannato qualsivoglia vantaggio economico conseguente all'attività illecita, pur quando se ne siano perse le tracce, si ammette la possibilità di eseguire la misura per l'intero nei confronti del singolo concorrente, indipendentemente dalla quota di profitto pervenuta nella sua disponibilità»[13].

Secondo la Suprema Corte si tratta «di principi coerenti con la finalità anche dissuasiva e deterrente riferibile alla confisca di valore in considerazione della sua ormai pacifica qualificazione come sanzione (Sez. U., n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435), ed in linea con lo scopo di sottrarre alla disponibilità del reo qualsivoglia vantaggio economico derivante dalla commissione dell'illecito, anche quando non sia esperibile la confisca diretta»[14].

Al concorrente colpito per intero dalla misura ablativa è riconosciuta la facoltà di agire in sede civile nei confronti degli altri compartecipi allo scopo di ottenere la ripetizione di quanto confiscatogli in eccedenza rispetto alla quota di profitto percepito.

 

  1. L’orientamento minoritario. – Una minoritaria parte della giurisprudenza tende a mitigare

l’applicazione della ‘confisca solidale’ tra concorrenti. La Suprema Corte ha ritenuto che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non possa eccedere, per ciascuno dei concorrenti, la misura del profitto allo stesso attribuibile[15], precisando che «laddove non sia possibile, anche in ragione dei non ancora definiti rapporti economici esistenti tra i concorrenti, accertare l’esatto ammontare del profitto riferibile all’imputato, l’entità da sottoporre a sequestro potrà essere stabilita secondo canoni presuntivi, salvo il necessario definitivo accertamento in sede di confisca»[16].

Successivamente, il principio solidaristico affermato dalle Sezioni Unite del 2008 è stato reinterpretato alla luce degli artt. 1298 e 2055 c.c. e la Corte ha precisato che in base agli articoli citati, nel caso di responsabilità per fatto illecito, le parti di ciascun debitore si presumono uguali. I Giudici di legittimità hanno osservato che la circostanza che agli altri concorrenti non possa essere chiesta la quota di spettanza, «non determina, tuttavia, che il ricorrente debba rispondere anche per le quote riferibili agli altri concorrenti e, quindi, per l’intero, assumendo, nel caso della confisca, il criterio della solidarietà e segnatamente quello della solidarietà interna, una valenza diversa rispetto al momento dell’adozione del sequestro preventivo al fine della confisca, in ragione della natura “eminentemente sanzionatoria”, della confisca obbligatoria cosiddetta “per equivalente”

»[17]. La Corte in tale occasione ha, pertanto, ritenuto che «al momento della confisca, il criterio della solidarietà interna di cui all'art. 1298 c.c., che assume, in mancanza di norme specifiche, un indubbio parametro di riferimento, per quanto concerne la determinazione delle quote, da presumersi, ai sensi del secondo comma, uguali, riveste anche valenza nei confronti dello Stato, dovendo il giudice modulare la sanzione (la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente è stata recentemente affermata da Sez. Un, n. 18374 del 31/01/2013) per il singolo concorrente»[18].

Più recentemente, la Corte di cassazione si è posta in netto contrasto con l’orientamento maggioritario ed ha affermato che «per quanto in linea di massima debba aversi riguardo al principio solidaristico in forza del quale ciascun concorrente può essere assoggettato alla confisca, una volta che il profitto abbia perduto la sua individualità storica (…) la confisca per equivalente, che ha natura afflittiva e sanzionatoria (Sez. U. n. 31617 del 26/6/2015, Lucci, Rv. 264435) non può eccedere la concreta entità del grado di responsabilità del singolo concorrente, potendosi altrimenti prospettare una sanzione sproporzionata, non conforme neppure alla sfera dei principi convenzionalmente rilevanti, come desumibili dall'art. 7 C.E.D.U. e dall'art. 1 del Protocollo n. 1 della C.E.D.U., come interpretato dalla Corte di Strasburgo (si rinvia all'analisi del tema da parte di Corte E.D.U. Grande Camera, 28/6/2018, G.I.E.M. e altri contro Italia). Vuol dirsi in particolare che nel caso di accertato concorso di più persone del reato, se per un verso la misura cautelare del sequestro finalizzato a confisca, quale strumento propedeutico alla realizzazione dell'interesse perseguito, può coinvolgere per l'intero uno dei concorrenti (ed in tal senso possono essere letti numerosi arresti: si rinvia ad esempio a Sez. 5, n. 19091 del 26/2/2020, Buonpensiere, Rv. 279494; Sez. 3, n. 56451 del 5/12/2017, Maiorana, Rv. 273604), non altrettanto può dirsi per l'imposizione effettiva della confisca, avente natura sanzionatoria, la quale dunque non può prescindere, ove possibile, dalla definizione dei criteri di riparto della misura tra i soggetti compartecipi dell'azione criminosa. Il criterio deve essere commisurato al grado di partecipazione al profitto, pur tradottosi poi nella determinazione sostitutiva di un valore, partecipazione che può peraltro essere desunta anche da criteri sintomatici, in assenza di elementi diversi, idonei a corroborare il giudizio, fermo restando che, ove non risulti possibile utilizzare un criterio attendibile di riparto, risulta legittima la suddivisione dell'importo pro-quota tra i compartecipi. Né potrebbe incidere la circostanza che, come nel caso in esame, non tutti i concorrenti vengano giudicati contestualmente, giacchè l'attribuzione dell'importo a carico di ciascun concorrente finirebbe per dipendere irrazionalmente da elementi casuali e non previamente definibili»[19].

 

Possiamo a questo punto distinguere quattro linee interpretative:

  1. La confisca per equivalente e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare

indifferentemente uno o più concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, essendo irrilevante la quota di profitto eventualmente incamerata dall’imputato o dall’indagato[20];

  1. La confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente uno o più concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, ma solo nel caso in cui la natura della fattispecie concreta non consenta di individuare, allo stato degli atti, la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascun concorrente o la sua esatta quantificazione[21];
  2. Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può interessare per l’intero uno dei concorrenti, ma la confisca per equivalente non può eccedere, per ciascuno dei concorrenti, la quota di prezzo o profitto a lui attribuibile e, nel caso di impossibilità di una esatta quantificazione, le quote devono presumersi in parti eguali[22];
  3. Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può interessare per l’intero uno dei concorrenti ma la confisca deve essere commisurata al grado di partecipazione al profitto del singolo concorrente e, nel caso in cui non sia possibile utilizzare un criterio attendibile di riparto, risulta legittima la suddivisione dell’importo pro-quota tra i compartecipi[23].

 

Inquadrato, seppur per brevi linee, il panorama giurisprudenziale, possiamo ora soffermarci sulle ragioni poste a sostegno dell’orientamento prevalente.

 

  1. L’unità del reato concorsuale. – L’orientamento che impone la ‘regola solidale’ alla confisca per equivalente è stato sin da subito criticato dalla dottrina[24].

In particolare, si rileva che non sarebbe pertinente far discendere l’unicità del profitto dall’unitarietà della fattispecie concorsuale ex art. 110 c.p., i cui effetti si esaurirebbero nell’individuazione delle condotte penalmente rilevanti, senza ripercussioni in punto di sequestro e confisca[25]. Infatti, l’art. 110 c.p. non prevede alcuna ‘responsabilità per l’intero’ per la confisca per equivalente, né prevede una ‘solidarietà della pena’[26]. L’art. 110 c.p. dispone che “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”. La norma ha la funzione di tipizzazione della condotta al fine di ricondurla alla fattispecie incriminatrice astratta[27] e, nel caso in cui la condotta sia già tipizzata ha la funzione di ricondurla alla disciplina prevista dagli artt. 110 ss. c.p.

Il legislatore del 1930, seguendo la logica autoritaria dell’epoca, si è ispirato alla concezione monistica, seguendo un orientamento fondato sulla equiparazione eziologica e sanzionatoria dei contributi concorsuali[28]. Tuttavia, le deroghe a tale ‘monismo’ possono svolgere una funzione sistematica, consentendo di interpretare la disciplina in un’ottica di differenziazione dei singoli contributi.  La disciplina codicistica, dunque, può – e deve – essere interpretata conformemente ai valori costituzionali, che hanno nel tempo ampliato la loro portata[29]. L’unica interpretazione costituzionalmente conforme è, infatti, quella che consenta una differenziazione sanzionatoria dei contributi concorsuali.

Invero, l’unità del reato concorsuale non comprende né l’omogeneità dell’elemento psicologico di tutti i concorrenti, né la loro punibilità. Autorevole dottrina ha evidenziato che l’unità è nel fatto, «inteso nella sua dimensione lesiva ovvero come accadimento materiale penalmente significativo»[30], e non invece nel reato. Accogliendo le riflessioni della dottrina, anche la Corte di cassazione a Sezioni Unite ha affermato la possibilità di qualificare diversamente il fatto concorsuale in capo ai concorrenti[31]. L’approdo a cui sono giunte le Sezioni Unite mostra come «il dogma dell’unità del reato concorsuale»[32] sia da considerarsi ormai superato.

Di talché, dall’art. 110 c.p. non risulta possibile ricavare un principio solidaristico che comporti l’imputazione della misura ablativa per l’intero in capo ad uno qualsiasi dei concorrenti[33]. Ritenere vigente un tale principio significherebbe negare al contempo il principio di proporzionalità della pena, che impone una graduazione della sanzione penale sulla base della gravità del fatto commesso[34]. Una pena così configurata determina, peraltro, una palese disparità di trattamento tra correi, prospettando dubbi di ragionevolezza.

Già a questo punto il ragionamento della Suprema Corte ci sembra una forzatura logica.

Tale principio solidaristico deriverebbe allora da una confusione tra l’obbligazione solidale di contenuto restitutorio e risarcitorio e la misura per equivalente[35]. Mentre nella prima ipotesi si è di fronte ad una responsabilità civilistica che incombe sul responsabile del fatto di reato, nonché su tutti coloro che rispondono per il fatto del terzo, la confisca per equivalente è una misura che consente l’ablazione del provento del reato. Se la solidarietà passiva è una soluzione comprensibilmente adottata dal legislatore per aumentare le probabilità di ristoro del danneggiato, la stessa non risulta estensibile alla confisca, perché manca una base legale e perché non vi è identità di ratio.

L'articolo 187 c.p., così come l'art. 2055 c.c., mirano infatti a garantire al soggetto danneggiato l'effettività del risarcimento ottenuto, consentendogli di rivolgersi a ciascuno dei soggetti coinvolti, a garanzia del proprio credito. La confisca, pacificamente considerata una sanzione, non può essere equiparata ad un’obbligazione.

È stato, inoltre, rilevato che l’art. 110 c.p. menziona solo la “pena”, non la confisca né le misure di sicurezza. La scelta del legislatore risiede nel fatto che si tratta di una misura che segue la cosa, e non la persona; dunque, la confisca dovrebbe applicarsi al soggetto che effettivamente disponga della cosa[36].

Sembra, allora, che la giurisprudenza qualifichi la confisca come una pena al solo fine di far valere un’equiparazione sanzionatoria, per poi assimilarla ad un’obbligazione civilistica nei confronti dello Stato, cambiando nuovamente la sua natura giuridica.

 

  1. La funzione della confisca per equivalente. – Come un’attenta dottrina ha rilevato, la giurisprudenza insiste sulla qualificazione come sanzione penale «al solo scopo di giustificare una soluzione ermeneutica dettata più che altro dall’esigenza di assicurare alle casse dello Stato l’effettiva apprensione del profitto del reato, senza preoccuparsi delle conseguenze che tale qualificazione comporta sul piano delle garanzie e del rispetto dei diritti fondamentali»[37]. Infatti, non si comprende se la natura sanzionatoria sia la premessa, da cui discende l’applicazione della confisca per l’intero nei confronti di uno qualsiasi dei concorrenti, ovvero se sia la conseguenza di tale scelta applicativa.

Se fosse la premessa, l’inferenza natura sanzionatoria–solidarietà della confisca non renderebbe condivisibile l’orientamento. Come già evidenziato, nel nostro ordinamento non c’è un principio di solidarietà della pena[38], che, peraltro, porrebbe dubbi di legittimità costituzionale.

Il carattere ‘eminentemente sanzionatorio’ della confisca per equivalente è riconosciuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina maggioritaria, le quali ritengono che la misura costituisca, sostanzialmente, una pena secondo la nozione fornita dalla Corte Edu. Ciò «comporta l’applicazione dello statuto legale della sanzione penale, presidiata dall’art. 25, secondo comma, Cost. e dall’art. 7 della CEDU»[39].

In particolare, «la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all’assenza di un “rapporto di pertinenzialità” (inteso come nesso diretto, attuale e strumentale) tra il reato e detti beni, conferiscono all’indicata confisca una connotazione prevalentemente afflittiva»[40]. Costituendo «una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti»[41], la confisca per equivalente assumerebbe «i tratti distintivi di una vera e propria sanzione»[42].

Una parte della dottrina si pone in senso critico alla tesi dominante[43], rilevando che la funzione della confisca per equivalente non presenti significative differenze rispetto alla funzione della confisca diretta. Entrambe le misure presentano una componente risarcitoria e una componente punitivo-sanzionatoria.

Non è possibile in questa sede soffermarsi sul dibattito attorno alla natura della confisca per equivalente, limitandoci solamente a rilevare che sarebbe opportuno che la misura mantenesse una funzione di riequilibrio patrimoniale, in quanto la sua funzione “naturale” è quella di sottrarre al reo il guadagno ricavato dal reato.

L’applicazione della ‘confisca solidale’ annulla la funzione “naturale”[44] e finisce per trasformare la misura in una vera e propria pena che, peraltro, colpisce il reo in misura non proporzionata alla sua colpevolezza. Infatti, confiscando beni per l’intero profitto ad un soggetto che, pur essendo concorrente del reato, non ha partecipato o ha partecipato solo in parte all’utilizzazione del profitto illecito, si genera una situazione per cui il concorrente che ha percepito il vantaggio potrebbe continuare a giovarsene. In questo modo la confisca produce, poi, un impoverimento del soggetto destinatario dell’ablazione. Tale effetto di impoverimento non è accettabile, perché trasforma la confisca da strumento ripristinatorio in una pena patrimoniale priva di base legale. 

Inoltre, la generalizzazione indiscriminata della confisca per equivalente è preclusa dalla natura sussidiaria di quest’ultima rispetto alla confisca diretta[45].

La stessa Corte ha riconosciuto che non è possibile operare una novatio della misura ablativa diretta, «tale da trasformare il provvedimento ablatorio in una vera e propria pena patrimoniale. (…) risulterebbe a dir poco eccentrica rispetto al sistema ed alla stessa tavola dei valori costituzionali, la possibilità di far discendere l'applicazione di una pena dalla semplice e casuale eventualità rappresentata dalla impossibilità di rinvenire - e conseguentemente aggredire - il profitto o il prezzo del reato»[46]. Tuttavia, a fronte di tali considerazioni, la Corte ha ritenuto che la natura sanzionatoria ed afflittiva giustifica la confisca per equivalente per l’intero importo nei confronti di uno qualsiasi dei concorrenti.

Il carattere sussidiario della confisca per equivalente potrebbe essere sufficiente a dimostrare che non è possibile una ‘confisca solidale’.

Il nesso di pertinenzialità manca in tale forma di confisca perché il bene da confiscare – semplicemente – non è più pertinente al reato, nel senso che lo specifico provento del reato non è più confiscabile e, quindi, si confisca il suo equivalente. Un nesso di pertinenzialità continua, però, a rilevare, costituendo comunque un presupposto ‘a monte’ per poter procedere alla confisca per equivalente. Quest’ultima, quale strumento surrogatorio, interviene soltanto dopo che è stato inutilmente esperito il tentativo di rinvenire nel patrimonio del reo il provento originario del reato. In altre parole, muovendosi in una logica sostitutiva, è irrinunciabile il requisito dell’equivalenza del valore tra l’entità del prezzo o profitto diretto del reato e il quantum confiscabile[47].

Il carattere afflittivo della confisca per equivalente deriva dal fatto che il bene confiscato non è derivato dal reato. La confisca è, però, proporzionata in quanto l’ordinamento ritiene equo recuperare un certo valore proprio da quel soggetto che tale stesso identico valore aveva ritratto[48].

Applicata in tal modo la confisca per equivalente riacquisirebbe la sua funzione “naturale” e non comporterebbe un pregiudizio per il reo in misura non proporzionale al suo fatto di reato. Del resto, se la finalità è quella di eliminare i vantaggi economici conseguiti con il reato, la confisca non può essere disposta ove tali vantaggi non siano stati realizzati[49].

Di contro, applicare la confisca per equivalente indistintamente ai concorrenti nel reato per l’intero non è in linea con la funzione ripristinatoria dell’istituto, in quanto manca il necessario rapporto di equivalenza tra illecito arricchimento e bene confiscato.

Peraltro, guardando alla giurisprudenza in materia di confisca diretta possono cogliersi le incongruità insite nell’orientamento giurisprudenziale esaminato. L’art. 240 c.p.[50], sostengono i Giudici di legittimità, «perimetra il suo ambito di applicazione, oggettivo e soggettivo. Possono essere confiscati solo i beni che hanno costituito il profitto del reato e che appartengono a chi l’ha commesso»[51]. La ratio della confisca diretta «non è quella di infliggere un’ulteriore sanzione, di natura economica, a chi abbia commesso il reato, ma quella di evitare che costui possa lucrare il profitto che ne è derivato»[52]. Osserva la Corte che, «ove operi una concreta fattispecie di tipo concorsuale, la confisca, che colpisse ciascun correo per l'intero, si manterrebbe nel perimetro soggettivo dell'istituto, colpendo chi non è estraneo al reato, ma ne travalicherebbe l'ambito oggettivo, espropriando beni di concorrenti che non abbiano tratto personale profitto dal reato, ovvero oltre la misura di tale profitto personale. Non è possibile, in altri termini, far leva sull'art. 110 cod. pen. fuori dell'ambito suo proprio, che è quello di far soggiacere alla pena stabilita per il reato tutti coloro che hanno concorso nel commetterlo; ambito che attiene alla risposta sanzionatoria e non al recupero del profitto del reato che ha una diversa specificità. Si, spiega così il vincolo di solidarietà passiva fra i coimputati nel caso della confisca per equivalente, che ha natura sanzionatoria, mentre, nella diversa evenienza della confisca diretta, sono passibili di ablazione solo le cose che abbiano costituito vantaggio economico immediatamente derivante dal reato»[53].

Ma l’oggetto della confisca di valore non dovrebbe costituire l’equivalente del vantaggio economico derivante dal reato? Non si comprende la ragione di riconoscere una diversa natura giuridica e diverse finalità alla confisca diretta e alla confisca per equivalente, posto che gli effetti economico-patrimoniali sono i medesimi per entrambe le misure ablative e la scelta di ricorrere a una forma di confisca piuttosto che all’altra è legata a una circostanza del tutto casuale, quale l’impossibilità di rinvenire le cose che rappresentano il profitto diretto del reato.

Le problematiche inerenti all’accertamento del provento di reato e al suo rinvenimento nel patrimonio del reo non possono giustificare scelte ermeneutiche che si pongono in contrasto con la Costituzione. Lo scopo di garantire l’effettiva confisca «anche nell’ipotesi che uno solo degli imputati o indagati sia alla fine riconosciuto colpevole»[54] non risulta proporzionato al pregiudizio subito dal reo.

Tirando le fila del discorso, è più probabile che la natura sanzionatoria sia la conseguenza della ‘regola solidale’. La giurisprudenza di legittimità manca, tuttavia, di confrontarsi con il quadro di valori e principi che permeano l’applicazione della pena. Se la confisca è una pena, allora non si comprende perché «non è commisurata né alla colpevolezza dell’autore del reato, né alla gravità della condotta»[55]. L’affermazione potrebbe essere corretta laddove la confisca per equivalente si riferisca al bene di valore pari al profitto ricavato dal reato dal singolo concorrente, in chiave puramente ripristinatoria. Nel caso in cui, invece, si ritiene che la confisca sia una pena e come tale vada imposta a qualsiasi concorrente per l’intero importo del profitto, allora è evidente che dovrebbero operare tutti i principi che presiedono la commisurazione della pena.

Appare, dunque, preferibile l’orientamento inaugurato dalla Corte di cassazione con sentenza n. 4727 del 20 gennaio 2021, secondo cui la confisca per equivalente, «avendo natura sanzionatoria, non può coinvolgere indifferentemente ciascuno dei concorrenti del reato per l'intera entità del profitto accertato, ma deve essere commisurata al grado di partecipazione di ciascun concorrente al profitto, che può essere desunta, in assenza di elementi diversi, anche da criteri sintomatici idonei a corroborare il giudizio di responsabilità, fermo restando che, ove non risulti possibile utilizzare un criterio attendibile di riparto, è legittima la suddivisione dell'importo pro-quota»[56]. In tale pronuncia la Corte condivisibilmente ritiene che costituirebbe una sanzione sproporzionata la confisca disposta in misura eccedente la concreta entità del profitto, in contrasto con l’art. 7 CEDU e l’art. 1 Prot. n. 1 della CEDU.

La confisca può, infatti, essere considerata legittima ai sensi degli artt. 7 CEDU e 1 Prot. n. 1 CEDU se è fondata su basi legali accessibili e prevedibili e se vi è un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse della collettività e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, che implica sempre un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito[57]. Se lo scopo che intende raggiungere la confisca per equivalente è quello di ristabilire la situazione economica anteriore al reato o comunque privare il reo del guadagno illecito, potrebbe ritenersi che la ‘confisca solidale’ non sia proporzionata allo scopo.

 



[1] Sull’argomento, tra i tanti v. T. Trinchera, Confiscare senza punire? Uno studio sullo statuto di garanzia della confisca della ricchezza illecita, Giappichelli, Torino, 2020; D. Fondaroli, La poliedrica natura della confisca, in Arch. pen., 2, 2019. F. Vergine, Il “contrasto” all’illegalità economica. Confisca e sequestro per equivalente, CEDAM, Padova, 2012; D. Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Ablazione patrimoniale, criminalità economica, responsabilità delle persone fisiche e giuridiche, Bononia University Press, Bologna; 2007; T. Epidendio, La confisca tra sanzione e misura di sicurezza, in L. Camaldo, A. Bana (a cura di), VI Convegno di studi- Sequestro, confisca e recuperi a tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea. La legislazione comunitaria e l’attuazione nei Paesi membri, Bruxelles, 2010; V. Manes, L’ultimo imperativo della politica criminale: nullum crimen sine confiscatione, in Riv. it. dir. proc. pen., 3, 2015, pp. 1259 ss.; V. Manes, Nessuna interpretazione conforme al diritto comunitario con effetti in malam partem, in Cass. pen., 1, 2010, pp. 101 ss.; V. Maiello, Confisca, CEDU e Diritto dell’Unione tra questioni risolte ed altre ancora aperte, in Dir. pen. cont., 3-4, 2012, pp. 43 ss.; V. Maiello, La confisca per equivalente non si applica al profitto del peculato, in Dir. pen. proc., 2010, pp. 440 ss., S. Finocchiaro, Riflessioni sulla quantificazione del profitto illecito e sulla natura giuridica della confisca diretta e per equivalente; in Dir. pen. cont., 3, 2020, pp. 322 ss.; V. Mongillo, Confisca (per equivalente) e risparmi di spesa: dall’incerto statuto alla violazione dei principi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, pp. 724 ss.; E. Nicosia, La confisca, le confische. Funzioni politico criminali, natura giuridica e problemi ricostruttivo-applicativi, Giappichelli, Torino, 2012; M. Romano, Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 1692.

[2] Cass. pen., Sez. 2, 17 marzo 2023, n. 22073, Rv. 284740 - 01; Cass. pen., Sez. 5, 26 febbraio 2020, n. 19091, Rv. 279494-01; Cass. pen., Sez. 5, 20 ottobre 2020, n. 36069, Rv. 280322; Cass. pen., Sez. 2, 24 novembre 2020, n. 9102; Cass. pen., Sez. 6, 10 aprile 2018, n. 26621, Rv. 273256; Cass. pen., Sez. 3, 5 dicembre 2017, n. 56451, Rv. 273604; Cass. pen., Sez. 3. 12 maggio 2015, n. 27072, Rv. 264343; Cass. pen., Sez. 5, 20 maggio 2015, n. 25560, Rv. 265292; Cass. pen., Sez. 2, 9 gennaio 2014, n. 5553, Rv. 258342; Cass. pen., Sez. 2, 16 novembre 2012, n. 8740, Rv. 254526; Cass. pen., Sez. F., 28 luglio 2009, n. 33409, Rv. 244839; Cass. pen., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, Rv. 239926; Cass. pen., Sez. 2, 6 novembre 2008, n. 45589, Rv. 242777; Cass. pen., Sez. 2, 20 settembre 2007, n. 38599; Cass. pen., Sez. 2, 21 febbraio 2007, n.  9786; Cass. pen., Sez. 2, 6 luglio 2006, n. 30729, Rv. 234849; Cass. pen., Sez. 2, 14 giugno 2006, n. 31989, Rv. 235128; Cass. pen., Sez. 5, 16 gennaio 2004, n. 15445, Rv. 228750.

[3] Cass. pen., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, Rv. 239926.

[4] Cass. pen., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, Rv. 239926.

[5] Cass. pen., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, Rv. 239926.

[6] Cass. pen., Sez. 5, 20 ottobre 2020, n. 36069, Rv. 279494.

[7] Cass. pen., Sez. 2, 17 marzo 2023, n. 22073, Rv. 284740.

[8] Cass. pen., Sez. 6, 10 aprile 2018, n. 26621, Rv. 273222.

[9] Cass. pen., Sez. 6, 10 aprile 2018, n. 26621, Rv. 273222; Cass. pen., Sez. 5, 20 maggio 2015, n. 25560, Rv. 258342.

[10] Cass. pen., Sez. 2, 9 gennaio 2014, n. 5553, Rv. 258342; v. Cass. pen., Sez. 2, 6 luglio 2006, n. 30729, Rv. 234849.

[11] Cass., Sez. 5, 16 gennaio 2004, n. 15445, Rv. 228750.

[12] Cass. pen., Sez. 5, 26 febbraio 2020, n. 19091, Rv. 279494; Cass. pen., Sez. 6, 10 aprile 2018, n. 26621, Rv. 273256; Cass. pen., Sez. 5, 20 maggio 2015, n. 25560, Rv. 265292.

[13] Cass. pen., Sez. 5, 20 ottobre 2020, n. 36069, Rv. 280322.

[14] Cass. pen., Sez. 5, 26 febbraio 2020, n. 19091, Rv 279494.

[15] Cass. pen., Sez. 6, 23 giugno 2006, n. 25877, Rv. 234850; v. Cass. pen., Sez. 6, 5 giugno 2007, n. 31690; Cass. pen., Sez. 6, 20 febbraio 2009, n. 10690, Rv. 243189.

[16] Cass. pen., Sez. 6, 5 giugno 2007, n. 31690, Rv. 236900.

[17] Cass. pen., Sez. 5, 12 dicembre 2014, n. 20101.

[18] Cass. pen., Sez. 5, 12 dicembre 2014, n. 20101; Cass. pen., Sez. 1, 16 novembre 2016, n. 4902.

[19] Cass. pen., Sez. 6, 20 gennaio 2021, n. 4727, Rv. 280596.

[20] Cass. pen., Sez. 5, 26 febbraio 2020, n. 19091; Cass. pen., Sez. 5, 20 ottobre 2020, n. 36069; Cass. Pen., Sez. 2, 24 novembre 2020, n. 9102; Cass. pen., Sez. 6, 10 aprile 2018, n. 26621; Cass. pen., Sez. 3, 5 dicembre 2017, n. 56451; Cass. pen., Sez. 5, 20 maggio 2015, n. 25560.

[21] Cass. pen., Sez. 2, 18 aprile 2023, n. 22053; Cass. pen., Sez. 6, 10 giugno 2022, n. 33757; Cass. pen., Sez. 6, 21 ottobre 2020, n. 6607; Cass. pen., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654; Cass. pen., Sez. 5, 15 luglio 2008, n. 37693.

[22] Cass. pen., Sez. 5, 12 dicembre 2014, n. 20101; Cass. pen., Sez. 1, 16 novembre 2016; n. 4902.

[23] Cass. pen., Sez. 6, 20 gennaio 2021, n. 4727.

[24]Senza pretesa di esaustività, v. F. Vergine, Il “contrasto”, cit.; V. Mongillo, Profili critici della responsabilità da reato degli enti alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale (seconda parte: misure cautelari interdittive e sequestro preventivo ai fini di confisca, in La resp. amm. soc. e enti, 2010; D. Fondaroli, Le ipotesi speciali, cit.; D. Fondaroli, La “strana coppia”: sequestro e confisca per equivalente, c.d. solidarietà passiva tra i correi, in Arch. pen., 2011, 2, 4; G. Civello, Confisca per equivalente e concorso di persone: tra responsabilità individuale e “principio solidaristico”, in Arch. pen., 1, 2024; V. Manes, Nessuna interpretazione, cit.; A. Gaito, Sequestro e confisca, cit., R. Romanelli, Confisca per equivalente, cit.; M. Amisano Tesi, voce Confisca per equivalente, in Dig. pen., Aggiornamento, IV-I, Utet, Torino, 2008; A. M. Maugeri, La lotta contro l’accumulazione di patrimoni illeciti da parte delle organizzazioni criminali: recenti orientamenti, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2007, p. 491.

[25] D. Fondaroli, La “strana coppia”, cit., p. 5.

[26] V. G. Civello, Confisca per equivalente, cit.,  p. 11, secondo l’Autore, «quand’anche si volesse far dire all’art. 110 c.p. qualcosa che, in realtà, esso non dice – e cioè che dal modello unitario del reato concorsuale derivi, necessariamente e per sillogismo, la possibilità di applicare la confisca in modo “solidaristico” rispetto a tutti i correi –, a questo punto l’argomento proverebbe troppo: infatti, se si parte dal presupposto che tale modello unitario implichi, ipso iure, l’applicazione di un identico trattamento sanzionatorio concreto a tutti i concorrenti nel reato, a questo punto si dovrebbe altresì imporre il principio dell’identica pena in concreto a tutti i concorrenti, mentre invece il nostro sistema consente – rectius, impone – al giudice di commisurare la sanzione in relazione a ciascun correo, alla luce della sua specifica “posizione” oggettiva e soggettiva».

[27] Evidenzia S. Seminara, Accessorietà e fattispecie plurisoggettiva eventuale nel concorso di persone nel reato. Considerazioni sul senso di una disputa dottrinale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2, 2021, p. 423, che «ciò risulta evidente nella prospettiva processuale, ove l’imputazione al concorrente, all’autore del tentativo e del reato commissivo mediante omissione avviene sempre mediante la contestazione della norma incriminatrice accompagnata da quella estensiva della tipicità, così dimostrando che il processo di qualificazione del fatto si realizza in forza di una convergenza fra la norma generale e le fattispecie di parte speciale». Sul tema v. T. Padovani, Le ipotesi speciali di concorso nel reato, Giuffrè, Milano, 1973; A. Pagliaro, La responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto, Giuffrè, Milano, 1966.

[28] Come è noto, il legislatore del 1930 ha accolto il modello unitario di tipizzazione del concorso di persone, modello che si contrappone a quello differenziato previsto dal previgente codice Zanardelli. La disciplina codicistica di cui agli artt. 110 ss. c.p. opera, dunque, una tipizzazione di natura causale, riconducendo alla fattispecie plurisoggettiva tutte le condotte dotate di efficacia eziologica nei confronti dell’evento lesivo. Rileva P. Semeraro, Concorso di persone, CEDAM, Padova, 1986, p. 81, che la scelta compiuta dal legislatore si fonda su ragioni di natura dogmatica, e cioè per una coerenza sistematica con il principio dell’equivalenza delle condizioni di cui agli artt. 40 e 41 c.p., nonché da esigenze di politica criminale, consistenti nell’agevolare la repressione delle forme di reità collettiva. rimuovendo le difficoltà connesse al modello differenziato.

[29] V. P. Semeraro, Concorso di persone, cit., l’Autore rileva «l’irragionevolezza della disciplina accolta nell’art. 110 c.p.; sancire un’equiparazione sanzionatoria, quale è quella prodotta tramite l’accomunamento di tutte le azioni tipiche e atipiche in una medesima pena edittale, non costituisce scelta conforme a quanto disposto dall’art. 3 Cost. che impone non solo l’obbligo per il legislatore di trattare penalmente in modo analogo fatti e comportamenti che hanno connotati analoghi, ma anche l’obbligo di disporre sanzioni penali di diversa entità per fatti e condotte che si presentano diversi (avuto riguardo alle modalità di manifestazione o al tipo di beni giuridici offesi)».

[30] S. Seminara, Sul “dogma”, cit., p. 820; v. C. Pedrazzi, Il concorso di persone nel reato, G. Priulla Editore, Palermo, p. 91, secondo l’Autore «non è di unità del reato che bisogna parlare, ma di unità del fatto: un’unificazione non può concepirsi sul piano dell’elemento soggettivo. L’unità del reato non si concilierebbe d’altronde con la pluralità delle pene: naturalissima poiché, se una è l’offesa al bene giuridico, più sono le ribellioni alla legge, tante quanti sono i concorrenti colpevoli. Più reati: dobbiamo vedere se hanno un elemento, il fatto, in comune».

[31] Cass. pen., Sez. Un., 14 dicembre 2023, con cui le Sezioni Unite hanno dato risposta affermativa alla questione: «Se, in tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico possa essere ascritto a un concorrente a norma dell'art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e a un altro concorrente a norma dell'art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R.». In attesa della pubblicazione delle motivazioni, v. Cass. pen., 25 luglio 2023, n. 32320; Memoria della Procura generale della Corte di cassazione, Udienza delle Sezioni Unite penali del 14 dicembre 2023 (RG 27140/2023), in sistemapenale.it. V. A. Morelli, Diversi titoli di reato per un medesimo fatto concorsuale? Il rompicapo della disciplina del concorso eventuale di persone nel reato: osservazioni a margine di Cass. Sez. III, ord. n. 20563 del 12 maggio 2022, in Arch. pen., 1, 2023.

[32] S. Seminara, Sul “dogma”, cit.

[33] G. Civello, Confisca per equivalente, cit., p. 11.

[34] Rileva, F. Vergine, Il “contrasto”, cit., p. 416: «sottraendo la confisca del tantundem al parametro dell’effettiva percezione dell’utilità derivante dal reato e nei limiti della stessa, si crea una figura che non si è nemmeno finito di chiamare sanzione che già è in contrasto con uno dei principi cardine della pena, ossia quello della proporzionalità della punizione al grado di colpevolezza del reo».

[35] V. A. Gaito, Sequestro e confisca, cit., p. 119; F. Vergine, Il “contrasto”, cit., p. 207.

[36] In tali termini, G. Civello, Confisca per equivalente, cit., pp. 9 ss.

[37] V. T. Trinchera, Confiscare senza punire?, cit., p. 116.

[38] V. Petrocelli, Intorno alla così detta responsabilità penale in solido, in Foro pen. nap., 1927.

[39] Corte cost., 7 febbraio 2017, n. 68.

[40] Corte cost., 2 aprile 2009, n. 97; Corte cost., 20 novembre 2009, n. 301.

[41] Cass. pen., Sez. 5, 16 gennaio 2004, n. 15445. Sulla qualificazione come sanzione, v. In giurisprudenza, v. Corte cost., n. 97 del 2009; Corte cost. n. 301 del 2009; Cass. pen., Sez. Un., 29 settembre 2022, n. 4145, Rv. 284209; Cass. pen., Sez. 3, 2 febbraio 2022, n. 15655, Rv. 283275; Cass. pen., Sez. 3, 21 gennaio 2022, n. 7882; Cass. pen., Sez. 6, 11 maggio 2022, n. 32581, Rv. 282477; Cass. pen., Sez. Un., 29 settembre 2022, n. 4145; Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2015, n. 31617; Cass. pen., Sez. Un., 30 gennaio 2014, n. 4319; Cass. pen., Sez. Un., 31 gennaio 2013, n. 18374; Cass. pen., Sez. 5, 26 gennaio 2010, n. 11288; Cass. pen., Sez. 2, 29 settembre 2009, n. 41488; Cass. pen., Sez. 6, 18 febbraio 2009, n. 13098; Cass. pen., Sez. 3, 24 settembre 2008, n. 39173; Cass. pen., Sez. 2, 8 maggio 2008, n. 21566; Cass. pen., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, Rv. 239926; Cass. pen., Sez. 3, 24 settembre 2009, n. 39172; Cass. pen., Sez. 3, 29 gennaio 2009, n. 11912; Cass. pen., Sez. 2, 28 luglio 2009, n. 33409; Cass. pen., Sez. Un., 41936 del 2005; Cass. pen., Sez. 6, 30 gennaio 2019, n. 16872.

[42] Cass. pen., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654; V. in senso critico, G. Civello, Confisca per equivalente, cit., p. 17, rileva l’Autore: «dal fatto che la confisca sia qualificabile come “forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti”, per quale motivo dovrebbe poi dedursi che essa abbia “preminente carattere sanzionatorio”? Forse che tutti i prelievi pubblici a fronte di un fatto illecito sono…una pena?».

[43] V. Mongillo, Confisca (per equivalente), cit., E. Nicosia, La confisca, le confische, cit.; M. Romano, Confisca, responsabilità degli enti, cit.; Trinchera, Confiscare senza punire?, cit.

[44] T. Trinchera, Confiscare senza punire?, cit., p. 116.

[45] In tali termini F. Vergine, Il “contrasto”, cit., p. 209.

[46] Cass. pen., Sez. 2, 9 gennaio 2014, n. 5553.

[47] F. Vergine, Il “contrasto”, cit., pp. 181 ss.

[48] G. Civello, La confisca per equivalente, cit., p. 19.

[49] F. Vergine, Il “contrasto”, cit., p. 197.

[50] V. A. Alessandri, Confisca nel diritto penale, in Dig. Pen., 3, 1989, pp. 42 ss.

[51] Cass. pen., Sez. 1, 9 luglio 2021, n. 38034, Rv. 282012; nello stesso senso v. Cass. pen., Sez. 5, 7 dicembre 2017, n. 11981, Rv. 272855.

[52] Cass. pen., Sez. 1, 9 luglio 2021, n. 38034, Rv. 282012.

[53] Cass. pen., Sez. 1, 9 luglio 2021, n. 38034, Rv. 282012. V. anche Cass. pen., 9 gennaio 2014, n. 5553, secondo cui ove si aderisse alla qualificazione giuridica come misura di sicurezza «anche in relazione alla confisca prevista dall'art. 322 ter c.p., si dovrebbe logicamente ritenere che la suddetta misura non potrebbe che essere applicata solo nei confronti degli indagati che abbiano l'effettiva disponibilità del prezzo e/o profitto del reato, proprio perché, una volta confiscato prezzo e/o profitto del reato (o, comunque, l'equivalente ove il prezzo o il profitto non sia rinvenibile), automaticamente verrebbe meno “la possibilità futura del ripetersi di una attività punibile” venendo troncate, alla radice, “l'idea e l'attrattiva del reato”. Ad opposta conclusione si perviene, ove, invece, si ritenga che la confisca di cui all'art. 322 ter c.p. sia una mera sanzione patrimoniale con funzione, da una parte, di prevenzione e di strumento strategico di politica criminale, inteso a contrastare fenomeni sistemici di criminalità economica e di criminalità organizzata e, dall'altra, di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti. In tale ottica, è consequenziale ritenere che, quale effetto sanzionatorio del reato, essa può interessare ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del prezzo o profitto accertato, salvo ovviamente l'eventuale riparto del relativo onere nei rapporti interni tra i vari concorrenti, che, però, in quanto fatto interno tra concorrenti, non può ovviamente interessare l'ottica penale».

[54] Cass. pen., Sez. 2, 6 novembre 2008, n. 45589; Cass. pen., Sez. 2, 20 settembre 2007, n. 38599.

[55] Cass. pen., Sez. 2, 18 aprile 2023, n. 22053; Cass. pen., Sez. 6, 10 aprile 2018, n. 26621; Cass. pen., Sez. 3, 19 gennaio 2016, n. 4097.

[56] Cass. pen., Sez. 6, 20 gennaio 2021, n. 4727, Rv. 280596.

[57] Corte EDU, 20 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia (ric. n. 75909/01)

 

 

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