Sommario
1. Modifica della custodia cautelare. I cardini della riforma: a) contraddittorio anticipato e b) collegialità nella decisione della misura della custodia in carcere. Profili ordinamentali-organizzativi.
1a. La collegialità della decisione. Ricadute sulla organizzazione dei Tribunali.
1b. L’attuale geografia giudiziaria. La valutazione dell’impatto della riforma sui Tribunali piccoli e medio piccoli.
1c. L’ossimoro: piccoli tribunali ed esigenze di specializzazione.
1d. Un recente esempio di declinazione della giustizia, coniugando organizzazione e specializzazione: i reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione europea e la Procura Europea (EPPO): le ricadute nazionali. Spunti di riflessione per una rivisitazione della geografia giudiziaria.
2. Brevi riflessioni di natura procedurale sulla prospettata riforma.
2a. L’opportunità di fissare un termine entro il quale il giudice della cautela debba provvedere.
2b. Alcune criticità: la previsione dell’interrogatorio preventivo (o successivo) condotto da un solo giudice del “collegio cautelare”.
2c. Interrogatorio preventivo.
1. Modifica della custodia cautelare. I cardini della riforma: a) contraddittorio anticipato e b) collegialità nella decisione della misura della custodia in carcere. Profili ordinamentali-organizzativi.
Punto di partenza della riflessione è la privazione della libertà personale prima della condanna[1]; da sempre oggetto di approfondimenti e rimeditazioni, come testimoniato dai numerosi interventi sia del legislatore, da quando è entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale del 1989; sia della Corte Costituzionale; sia, infine, dalla copiosa letteratura degli studiosi del processo penale[2].
Il vuoto dei fini della nostra Carta costituzionale (art. 13 Cost.), colmato dalla giurisprudenza costituzionale e da quella ordinaria, ha generato un dibattito mai sopito, che, tuttavia, ha avuto il merito di realizzare un modello processuale in continua evoluzione, il cui approdo attuale è costituito da un sistema connotato da controlli nel merito[3]; dalla pluralità di misure, graduate e proporzionali rispetto alla gravità del fatto e alle esigenze da tutelare; tenendo, come bussola, la garanzia dei diritti della difesa, la cui tutela si è andata progressivamente affinando e potenziando (si vedano, le leggi. n. 332/1995 e n. 47/2015), nonché, più di recente, della persona offesa.
Il dibattito che, talvolta, assume toni aspri, trova la sua spiegazione nel fatto che il provvedimento restrittivo, a differenza delle decisioni di merito, è connotato da peculiari elementi, fra i quali: il solipsisimo della decisione (quasi sempre) senza contraddittorio (dunque a sorpresa), posticipato al momento dell’interrogatorio di garanzia e poi, in sede, eventuale, di riesame; l’immediata esecutività[4].
Questa premessa, certamente non esaustiva, appare, tuttavia, utile per affrontare alcuni profili del ddl Nordio.
Il tema è disciplinato dall’art. 2 del d.d.l. 808, attraverso l’interpolazione di molteplici emendamenti agli artt. 291, 292, 294, 299, 309, 313 e 328 cpp.
Due sono i cardini su cui appare imperniata la riforma: a) contraddittorio anticipato e b) collegialità nella decisione della misura della custodia in carcere e della provvisoria applicazione della misura di sicurezza detentiva.
La modifica all’art. 328 cpp appare ispirata all’esigenza di garantire che la custodia cautelare in carcere preservi la sua natura di extrema ratio nel ventaglio delle misure cautelari previste dal codice e dunque di implementare le garanzie che ne accompagnano l’applicazione[5].
1a. La collegialità della decisione. Ricadute sulla organizzazione dei Tribunali.
Partiamo, immediatamente, da quest’ultimo aspetto, la collegialità, per evidenziare talune ricadute negative, soprattutto di carattere organizzativo, sugli uffici giudiziari, con serio rischio di rallentamento se non di paralisi dell’amministrazione della giustizia.
Orbene, non vi è dubbio che la collegialità della decisione dovrebbe essere un presidio di garanzia per la persona sottoposta alle indagini, in quanto assicura una maggiore ponderazione della decisione rispetto a quanto potrebbe garantire la natura monocratica del giudice, immune da sollecitazioni e osservazioni critiche rispetto ai suoi intendimenti (almeno fino all’applicazione della misura, a seguito della quale la proposizione del riesame o dell’appello garantisce un controllo, per l’appunto, collegiale, con perimetri cognitivi differenti a seconda del mezzo d’impugnazione proposto).
La previsione della “collegialità cautelare” rappresenta, dunque, una soluzione apprezzabile nella prospettiva di innalzare lo standard delle garanzie per la persona indagata, benché, anche in ordine a tale proposta, non vanno trascurate le possibili criticità nella organizzazione giudiziaria[6].
In particolare, essa genera l’aumento del numero dei magistrati da destinare, in pianta organica all’ufficio g.i.p./g.u.p.; e ciò non solo perché il numero dei giudici chiamati a pronunciarsi sull’applicazione della custodia in carcere passa da uno a tre, ma anche perché ciò comporterà, quale effetto inevitabile, l’incremento della platea dei giudici incompatibili per le successive fasi (udienza preliminare, riti alternativi come il giudizio abbreviato, dibattimento, impugnazioni). Problema che, se potrà essere adeguatamente fronteggiato con idonee misure organizzative per gli uffici giudiziari di grandi dimensioni[7] (avuto riguardo alla pianta organica[8]); potrebbe rivelarsi a dir poco disastroso per le sedi piccole e medio piccole, nelle quali, evidentemente le sole misure organizzative non saranno sufficienti ad evitare il verificarsi dei rischi testé paventati, tenendo conto, peraltro, che l’eventuale proposizione del riesame avverso la misura custodiale da parte della difesa (evento statisticamente molto frequente), comporta la definitiva “eliminazione”, dalla “cerchia” dei magistrati che possono essere chiamati a svolgere funzioni di G.u.p. o di giudici nella fase del giudizio, di almeno sei giudici (tre che, in base alla riforma, si pronunceranno sull’applicazione originaria, tre che compongono il tribunale della libertà, la cui sede ex art. 309, comma 7, cpp, potrebbe coincidere con quella del Giudice che ha emesso l’ordinanza impugnata).
Su questo versante il legislatore sembra aver prestato attenzione, tanto è vero che si è preoccupato della funzionalità dei piccoli tribunali, prefigurandosi il rischio di rallentamento dell’attività giudiziaria, per effetto dell’insorgere di situazioni di incompatibilità. Ed è per tali ragioni che ha introdotto la disposizione finale, che differisce di due anni, rispetto alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, la entrata in vigore della riforma. Si tratta di un differimento strategico, volto alla copertura delle piante organiche, attraverso l’assunzione in ruolo di 250 magistrati per opera di un reclutamento straordinario.
Occorre tuttavia interrogarsi sull’adeguatezza di questo unico rimedio a scongiurare il paventato rischio di rallentare, se non addirittura, paralizzare la giustizia nei piccoli tribunali.
Sul punto appare appena opportuno soffermarsi sui numeri, al fine di immediatamente saggiare la tenuta del sistema rispetto alla riforma; per, poi, passare ad esaminare eventuali ulteriori riforme che sarebbero auspicabili sul piano ordinamentale-organizzativo.
Cominciamo dai piccoli e medio piccoli Tribunali. Uno sguardo di insieme alla geografia giudiziaria può essere di ausilio alla comprensione degli effetti che ne possono scaturire e fermo restando che sarebbe opportuna una approfondita analisi dell’impatto della nuova regolamentazione.
1b. L’attuale geografia giudiziaria. La valutazione dell’impatto della riforma sui Tribunali piccoli e medio piccoli.
Sul nostro territorio la giustizia è ripartita, per esigenze organizzative, fra 26 Distretti di Corte d’appello, fra loro dimensionate in maniera eterogenea: si va da Distretti di Corte d’appello con meno di 100 magistrati (ad es. Campobasso) a Corti d’Appello con oltre 1000 magistrati (Napoli, Roma). Con le conseguenze che è facile immaginare in termini di uniformità (sotto tutti i profili, dai contenuti ai tempi) di risposta alla domanda di giustizia, a sua volta, condizionata dagli assetti organizzativi. Su questo versante, svariate circolari del Consiglio Superiore della Magistratura fissano, a giusta ragione, regole o linee guida organizzative diverse in ragione della dimensione degli uffici, così come fa pure il Ministero della giustizia, con uno sforzo a livello centrale che non sempre riesce a conseguire l’obiettivo e con il rischio concreto di suddividere gli uffici di serie A) dagli uffici di serie B). Il dibattito consiliare è ricco di riferimenti a uffici piccoli e grandi sia per le linee guida organizzative sia per la individuazione dei criteri (differenti) per la scelta dei candidati a posti direttivi.
Del resto, è lo stesso legislatore, ad esempio, all’art. 87 delle disposizioni transitorie del d. lgs. 150/2022 (Riforma c.d. Cartabia, settore penale), a prevedere uffici a doppia velocità sul versante telematico in ragione, evidentemente, della loro dimensione[9].
Basti pensare a quanto sarebbe tutto più facile in presenza di Distretti giudiziari equidimensionati fra di loro.
Sui 140 Tribunali attualmente esistenti in Italia:
- solo 21 sono considerati uffici di grandi dimensioni, con un numero di giudici che varia fra le 50 e le 350 unità;
- 26 hanno un numero di magistrati fra le 20 e le 25 unità;
- 58 hanno meno di 20 magistrati;
- una dozzina sono micro-tribunali con meno di 10 magistrati (ad esempio, Aosta, Rovereto, Urbino, Lanciano, Lanusei).
Orbene, se già ora i Tribunali di piccole e medie dimensioni entrano in crisi, allorquando si manifestano emergenze, le più svariate, quali la scopertura di qualche unità; ovvero, ad es., la gravidanza e la maternità; l’assenza prolungata di un magistrato; la vacanza sovente prolungata a seguito di ritardi nella copertura dei posti vacanti. È facile prevedere quanto questa crisi potrà acuirsi, con la riforma sulla collegialità della decisione cautelare. E ciò proprio nel momento in cui la carenza di magistrati per i vuoti di organico è pari a quasi il 15% di scoperture non colmabili a breve (mancano circa 1500 magistrati).
Peraltro, la riforma Cartabia sulle piante organiche flessibili distrettuali non pare abbia generato gli effetti sperati. Trattandosi, invero, di un tramutamento a tutti gli effetti, i bandi di concorso sono andati per la maggior parte deserti: la copertura dei posti vacanti presso sedi disagiate forse avrebbe dovuta essere associata alla previsione di benefici economici.
La situazione delle piante organiche dei magistrati è fortemente critica anche a causa di una distribuzione non sempre razionale del personale di magistratura: al Tribunale di Napoli Nord, che insiste su un territorio con circa 1 milione di abitanti, vi è una pianta organica con meno di 100 magistrati; nel vicino tribunale metropolitano di Napoli, con una popolazione di oltre 1 milione 300 mila abitanti, la pianta organica è di circa 350 magistrati.
1c. L’ossimoro: piccoli tribunali ed esigenze di specializzazione.
Colgo l’occasione anche per approfondire la riflessione sui tribunali piccoli e medio piccoli. La tendenza del legislatore degli ultimi 30 anni è quella della concentrazione in capo agli uffici distrettuali di competenze specialistiche; e ciò sia per gli uffici giudicanti (si pensi, ad es., al tribunale delle imprese, al tribunale del riesame per le misure cautelari personali, al GIP distrettuale per le misure cautelari richieste dalla DDA, per un limitato periodo di tempo si pensi alla competenza per i reati in materia di inquinamento ambientale e roghi tossici), sia per quelli inquirenti (si pensi alla Direzione distrettuale antimafia; ai reati in materia di terrorismo, ai reati di pedopornografia); si pensi ancora alla cooperazione giudiziaria passiva, tutta concentrata presso le procure distrettuali e presso i rispettivi giudici dirimpettai. E ciò a tacere del Tribunale per i minorenni.
Anche dall’Unione europea pervengono indicazioni verso la specializzazione dei magistrati, tanto nel civile quanto nel penale. In effetti, la esigenza della creazione di gruppi di lavoro specializzati di magistrati nella fase delle indagini preliminari (e ciò riguarda, quindi, anche l’ufficio del Pubblico Ministero) è suggerita se non addirittura imposta dalle fenomenologie criminali moderne, che richiedono adeguati modelli investigativi basati su tecniche di indagine, di certo, non improntate alla genericità degli accertamenti. È da più di trent’anni, in sostanza, che si è abbandonata l’idea del magistrato del pubblico ministero in grado di saper fare, bene e contemporaneamente, ogni tipo di indagine. E al riguardo il riferimento non è solo ai reati in materia di mafia o corruzione; ma si fa riferimento alla materia ambientale, a quelli da c.d. codice rosso (violenze sessuali, violenze intrafamiliari, violenze in danno di minori), ai reati in materia di criminalità economica.
La medesima esigenza di specializzazione riguarda i giudici delle indagini preliminari e del dibattimento penale (la Commissione Parlamentare sui femminicidi della precedente Legislatura concluse i lavori con una relazione, attraverso la quale non ha mancato di stigmatizzare gli assetti organizzativi di quei tribunali che non avevano dato impulso alla specializzazione dei giudici del GIP e del dibattimento in tale materia). Essa riguarda anche il campo civile (si pensi alla materia fallimentare e societaria).
Va da sè che un tribunale di piccole o medie dimensioni non può garantire la specializzazione in suddette materie; specializzazione oggi sempre più richiesta e che necessariamente non potrebbe essere garantita in uffici giudiziari di piccole dimensioni, dove tutti i magistrati sono chiamati a giudicare su tutto.
Si tratta di argomenti a sostegno di una riforma delle circoscrizioni giudiziarie nella direzione di un equidimensionamento degli uffici.
1d. Un recente esempio di declinazione della giustizia, coniugando organizzazione e specializzazione: i reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione europea e la Procura Europea (EPPO): le ricadute nazionali. Spunti di riflessione per una rivisitazione della geografia giudiziaria.
Con la legge n. 127/2022, recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti normativi dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2021 “, viene proseguito, attraverso la delega al Governo (art. 9), “il compiuto adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 2017/1939, relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata sull'istituzione della Procura europea («EPPO»). È interessante notare come la legge di delegazione europea 2021 (n. 127/2022) abbia fatto propri gli esiti del dibattito consiliare, avendo previsto, all’art. 9[10], come punto di delega, la rivisitazione della competenza prevista dal codice di procedura penale in modo da concentrare negli uffici giudiziari distrettuali la trattazione dei procedimenti per i reati che offendono gli interessi finanziari dell'Unione europea[11] . Perdendosi altresì l’occasione per la riscrittura di una geografia giudiziaria nella direzione di una distrettualizzazione delle competenze, al fine di facilitare, semplificandoli, i rapporti di coordinamento investigativo fra i PED e le singole procure nazionali.
2. Brevi riflessioni di natura procedurale sulla prospettata riforma.
Come sopra detto, la misura cautelare sarà disposta dal collegio solo nel caso in cui si debba applicare la custodia cautelare in carcere. Si tratta di una figura inedita.
2a. L’opportunità di fissare un termine entro il quale il giudice della cautela debba provvedere.
Viene, anzitutto, da chiedersi se non sia opportuno prevedere un termine entro il quale il collegio debba pronunciarsi. L’opportunità scaturisce dalla considerazione che, sovente, la immediatezza della decisione cautelare rispetto alla data di commissione del fatto serve a contrastare effettivamente le situazioni di pericolo (inquinamento probatorio, pericolo di fuga, probabilità di commissione dei fatti della stessa specie di quelli per i quali si procede ovvero con uso di armi) che si tende a scongiurare attraverso la misura cautelare più afflittiva[12]. Pertanto, al fine di evitare che il Pubblico Ministero possa essere indotto a ricorrere alla emissione di decreti di fermo, la cui procedura di convalida e successiva emissione di ordinanza cautelare si sottrae alla decisione collegiale, ci si chiede per quali ragioni non prevedere un termine: si potrebbe colmare questa lacuna prevendo un termine finale, oltre il quale non andare e prevedere espressamente che il P.M., nelle more della decisione collegiale, possa (debba) trasmettere -mancando ogni ipotesi di arresto provvisorio- documentazione ulteriore a sostegno delle esigenze cautelari preclusive del contraddittorio; di tal che, il giudice potrebbe pronunciarsi, senza attendere la presentazione dell’indagato.
2b. Alcune criticità: la previsione dell’interrogatorio preventivo (o successivo) condotto da un solo giudice del “collegio cautelare”.
Al fine di garantire la piena esplicazione della portata garantistica della modifica sarebbe, tuttavia, più opportuno estendere la prescrizione della collegialità (quando venga richiesta l’applicazione della custodia in carcere) al giudice chiamato ad effettuare l’interrogatorio preventivo che, in base alla proposta di modifica già esaminata, dovrebbe precedere l’applicazione di tutte le misure cautelari personali: al contrario, il nuovo art. 291, comma 1-quinquies, cpp, prevede (nel testo “prospettato” dal D.d.l.) che, «Nel caso di cui all’articolo 328, comma 1-quinquies» (e cioè nel caso in cui venga richiesta l’applicazione della misura cautelare più afflittiva) «all’interrogatorio procede il presidente del collegio o uno dei componenti da lui delegato»: il rischio è di far degradare la garanzia della collegialità, rendendo gli altri due componenti del collegio, che non hanno partecipato all’interrogatorio anticipato, debitori del patrimonio informativo, costituito anche da valutazioni e percezioni raccolte dal giudice che ha condotto l’interrogatorio[13].
E criticità analoghe valgono per l’interrogatorio di garanzia “tradizionale” (ovvero successivo all’applicazione della misura): invero, benché sia prevista (a prescindere dalla necessità di procedere all’interrogatorio anticipato a norma dell’art. 291, comma 1-quater) la garanzia della collegialità per l’applicazione della misura della custodia in carcere, tale garanzia non riguarda l’interrogatorio di garanzia, in quanto allo stesso dovrà provvedere (stando al “nuovo” testo dell’art. 294, comma 4-bis) il presidente del predetto collegio o un componente da questi delegato (al pari di quanto avviene nei casi in cui la misura cautelare sia stata disposta dalla corte di assise o dal tribunale).
Sarebbero, poi, necessarie delle espresse disposizioni per le ipotesi problematiche, come quando viene chiesto il carcere ma si ritiene di applicare misura meno afflittiva; ovvero per la competenza sulle richieste di revoca e/o sostituzione; ovvero, ancora, per l’applicazione degli arresti domiciliari con braccialetto.
Senza tali accorgimenti, sarebbe meglio rimanere al GIP monocratico.
2c. Interrogatorio preventivo.
Inserendo, dopo il comma 1-ter dell’art. 291, cpp, cinque commi, si prevede, segnatamente, che all’interrogatorio dell’indagato il giudice debba procedere, «con le modalità di cui agli articoli 64 e 65», «prima di disporre la misura» (nuovo comma 1-quater art. 291 c.p.p.); e che l’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio vada «comunicato al pubblico ministero e notificato alla persona sottoposta alle indagini e al suo difensore almeno cinque giorni prima di quello fissato per la comparizione» (nuovo comma 1-sexies art. 291 c.p.p.). Quanto al contenuto del suddetto invito, si prescrive che quest’ultimo deve contenere, tra l’altro, «la descrizione sommaria del fatto» (nuovo comma 1-septies lett. c) art. 291 c.p.p.) e «l’avviso di deposito nella cancelleria del giudice della richiesta di applicazione della misura cautelare, degli atti presentati ai sensi dell’art. 291, comma 1, nonché della facoltà di prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti depositati, ivi compresi i verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate, con diritto alla trasposizione delle relative registrazioni su supporto idoneo alla riproduzione dei dati» (nuovo comma 1-octies art. 291 c.p.p.). Modificando l’art. 292 c.p.p. si segnala la previsione della nullità dell’ordinanza che dispone la misura cautelare «se non è preceduta dall’interrogatorio nei casi previsti dall’art. 291, comma 1 quater, nonché quando l’interrogatorio è nullo per violazione delle disposizioni di cui ai commi 1-septies e 1-octies» (nuovo comma 3 bis art. 292 c.p.p.).
L’istituto, previsto nel DDL, esiste già nell’attuale codice di rito ed attiene all’applicazione della misura interdittiva (art. 289 c.p.p.) della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, tranne se tale misura sia applicata in luogo di quella coercitiva richiesta dal pubblico ministero. In tale ultima ipotesi, infatti, non si ha l’interrogatorio preventivo dell’indagato ma si procede nei termini di cui all’art. 294 comma 1-bis cpp[14].
Si tratta di una previsione generale applicabile a tutti i reati. La riforma la prevede, invece, solo per una determinata categoria di reati e quando non ricorrono specifiche situazioni. E’ escluso infatti:
a) quando sussista un pericolo di inquinamento delle prove o di fuga dell’indagato (art. 274, comma 1, lettere a) e b) c.p.p.
b) quando sussista il pericolo di reiterazione nel reato se si tratta di uno dei delitti indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a) o nell’art. 362, comma 1-ter, ovvero di gravi delitti commessi con l’uso delle armi o con altri mezzi di violenza. Si deve quindi procedere all’interrogatorio preventivo degli indagati incolpati, ad esempio, per reati contro la pubblica amministrazione e per i reati economici se non ricorrono le ipotesi di cui alla lett. a).
In questi casi, il giudice, ove proceda all’interrogatorio preventivo, deve depositare tutti gli atti trasmessi dal pubblico ministero unitamente con la richiesta di applicazione della misura, con facoltà dell’indagato di prenderne visione ed estrarne copia. Si legge nella relazione illustrativa del DDL che tale istituto «da un lato evita l’effetto dirompente sulla vita delle persone di un intervento cautelare adottato senza possibilità di difesa preventiva, dall’altro si mette il giudice nelle condizioni di poter avere un’interlocuzione (e anche un contatto diretto) con l’indagato prima dell’adozione della misura».
Nessuna eccezione è prevista nel caso di richiesta relativa a indagati incolpati di reati diversi. Potrebbe, ad esempio, accadere che, solo per alcuni di essi, debba procedersi ad interrogatorio preventivo, previsto a pena di nullità. Con la conseguenza che la previsione di una discovery piena degli elementi probatori acquisiti può consentire anche al coimputato, su cui pende una richiesta di misura a sorpresa, di venire a conoscenza degli atti. Per evitare tale indiscutibile criticità, che minerebbe alla radice l’effetto a sorpresa tipico del giudizio cautelare, il pubblico ministero, nell’ambito dello stesso procedimento, dovrebbe operare con richieste da trasmettere al giudice delle indagini preliminari in tempi sfasati, anticipando la valutazione, applicazione ed esecuzione di quelle a sorpresa, procedendo, solo successivamente, alla richiesta di misura cautelare nei confronti degli altri indagati che non rientrano nei casi di cui alle lett. a) e b) sopra citate, per le quali il giudice dovrà procedere all’interrogatorio preventivo.
Orbene, l’interrogatorio di garanzia, a dispetto del nomen assegnato all’istituto (in contrapposizione all’interrogatorio con finalità marcatamente investigative), nel corso dei decenni successivi alla sua introduzione non ha dato buona prova sotto il profilo dell’effettiva utilità per il soggetto destinatario dell’applicazione di una misura cautelare.
Una delle più evidenti criticità evidenziate dalla dottrina consiste, infatti, nella posizione di debolezza (anche psicologica) che caratterizza l’intervento dell’indagato, già destinatario del provvedimento restrittivo, nonché nel limitato intervallo temporale concesso alla difesa per apprestare (eventualmente) un’utile strategia nella prospettiva di ribaltare o quantomeno modificare gli assunti posti alla base dell’ordinanza cautelare, sia sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza, sia sotto il profilo delle esigenze cautelari, sia, infine, con riferimento alla scelta della misura[15].
Parte di questi aspetti problematici troverebbero rimedio nella previsione dell’interrogatorio
ante cautela.
L’art. 2, comma 1, lett. d), n. 2 del D.d.l. dispone che all’art. 291 c.p.p., «dopo il comma 1-ter, sono inseriti i seguenti: “1-quater. Fermo il disposto dell’articolo 289, comma 2, secondo periodo, prima di disporre la misura, il giudice procede all’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini preliminari con le modalità indicate agli articoli 64 e 65, salvo che sussista taluna delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274, comma 1, lett. a) e b), oppure l’esigenza cautelare di cui all’articolo 274, comma 1, lett. c), in relazione ad uno dei delitti indicati nell’articolo 407, comma 2, lett. a), o nell’art. 362, comma 1-ter, ovvero a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale».
La disposizione, esordendo con la clausola di salvezza relativa a quanto disposto dall’art. 289, comma 2, secondo periodo, c.p.p., lascia intatta la (più ampia) portata applicativa dell’interrogatorio anticipato nell’ipotesi in cui venga richiesta dal Pubblico Ministero, nel corso delle indagini preliminari, l’applicazione della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio. Con riferimento a quest’ultima, infatti, l’interrogatorio dovrà essere disposto in anticipo rispetto alla decisione del G.i.p. (salvo che la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio sia disposta dal giudice in luogo di una misura coercitiva richiesta dal pubblico ministero) anche laddove le esigenze cautelari sottese alla richiesta del P.M. siano quelle contemplate alle lettere a) e b) dell’art. 274, comma 1 (anche se in concreto appare difficilmente ipotizzabile l’applicazione di una misura interdittiva per prevenire un pericolo di fuga).
Proprio la sussistenza di tali esigenze, nel quadro normativo che dovrebbe scaturire dalla novella, rappresenta il criterio che inibisce l’operatività dell’istituto con riferimento a tutte le altre misure cautelari personali. Più precisamente, l’interrogatorio anticipato non dovrebbe avere luogo, qualora sussista taluna delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. a) e b) (ovvero le esigenze cautelari consistenti, rispettivamente, nel “pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova” e nella circostanza che “l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga”), oppure l’esigenza cautelare di cui all’articolo 274, comma 1, lett. c) (definita con espressione di sintesi come pericolo di reiterazione del reato), in relazione ad uno dei delitti indicati nell’articolo 407, comma 2, lett. a)[16], o nell’articolo 362, comma 1-ter[17], ovvero a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale: «Restano pertanto suscettibili di interrogatorio anticipato le situazioni di reiterazione di reati della stessa specie con i relativi limiti di pena per la misura applicabile. Si tratta, a ben vedere, delle ipotesi per le quali si era celebrato il referendum che tuttavia non aveva raggiunto il quorum».
La previsione di tali “eccezioni” all’applicabilità dell’interrogatorio anticipato (eccezioni che di fatto, data la loro “vastità”, invertono l’ordine regola-eccezione al punto da mantenere l’interrogatorio anticipato nella categoria degli istituti di potenziale scarsa frequenza applicativa) ridimensiona fortemente la portata innovativa della novella, atteso che, al netto delle menzionate circostanze ostative, la nuova previsione dovrebbe trovare applicazione soltanto laddove sussista esclusivamente l’esigenza cautelare di cui alla lett. c) dell’art. 274, comma 1 (giacché la ricorrenza di almeno una delle esigenze di cui alle lettere a) e b) sarebbe di per sé sufficiente a escludere l’applicabilità della norma in esame) e sempre che la menzionata esigenza di cui alla lett. c) non sia riferibile alle (molteplici) fattispecie richiamate (tramite un rinvio mobile agli artt. 407, comma 2, lett. a) e 362, comma 1-ter, c.p.p.).
In astratto, la ratio delle eccezioni de quibus appare condivisibile: invero, ricorrendo un pericolo di inquinamento probatorio o un pericolo di fuga, l’avviso all’indagato della fissazione dell’interrogatorio di garanzia (propedeutico all’eventuale applicazione di una misura cautelare e non posticipato rispetto ad essa) sarebbe certamente percepito come un segnale di “allarme” che, anziché preservare le esigenze cautelari emergenti nel caso concreto, imprimerebbe un’accelerazione alla relativa compromissione. In altri termini, ove fosse effettivamente sussistente (dunque non solo ipotizzato) un concreto e attuale pericolo per l’acquisizione e la genuinità della prova, la consapevolezza della possibilità (recte:della probabilità) di un’imminente limitazione delle proprie libertà potrebbe spingere il soggetto interessato a concretizzare proprio il suddetto pericolo (id est: ad attivarsi, personalmente o per interposta persona, al fine di eliminare e/o modificare quegli elementi di prova eventualmente a suo carico). Analogamente, ove fosse realmente sussistente un pericolo di fuga, questa si concretizzerebbe ben prima dell’interrogatorio e (anche) in ragione dell’avviso dello stesso, che escluderebbe qualsiasi dubbio circa la sussistenza di indagini a proprio carico. Come si osserva nella Relazione al D.d.l., dunque, il contraddittorio anticipato è stato imposto in quelle situazioni in cui, «nel corso delle indagini preliminari, non risulti necessario che il provvedimento cautelare sia adottato “a sorpresa”. In tal modo, quindi, ove consentito dalle concrete circostanze, da un lato si evita l’effetto dirompente sulla vita delle persone di un intervento cautelare adottato senza possibilità di difesa preventiva, dall’altro si mette il giudice nelle condizioni di poter avere un’interlocuzione (e anche un contatto diretto) con l’indagato prima dell’adozione della misura».
In concreto, però, le eccezioni esaminate rischiano di vanificare il senso della novella: invero, nella prassi le disposizioni che disciplinano le due esigenze in parola è oggetto di un’interpretazione scarsamente selettiva e dunque idonea a far ritenere integrati i pericoli ivi contemplati con eccessiva frequenza. E proprio il rapporto di reciproca esclusione fra la sussistenza di tali esigenze e l’interrogatorio anticipato priverebbe quest’ultimo di un’ampia fascia di potenziali occasioni applicative.
Non è chiaro, inoltre, se l’interrogatorio debba essere disposto, ogniqualvolta il Pubblico Ministero formuli una richiesta di applicazione di misure cautelari (fondate sulle esigenze di cui alla lett. c) dell’art. 274, con le eccezioni già descritte), o soltanto laddove il G.i.p., dopo un primo esame (e prima dell’interrogatorio), non escluda la possibilità di accogliere la suddetta richiesta[18].
Sotto il profilo delle modalità di svolgimento dell’interrogatorio in esame, poi, giova anzitutto premettere che lo stesso debba essere preceduto, a norma del nuovo comma 1-sexies dell’art. 291 c.p.p., dalla notificazione dell’invito a presentarsi alla persona sottoposta alle indagini e al suo difensore, «almeno cinque giorni prima di quello fissato per la comparizione, salvo che, per ragioni d’urgenza, il giudice ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il tempo necessario per comparire. Il giudice provvede comunque sulla richiesta del pubblico ministero quando la persona sottoposta alle indagini preliminari non compare senza addurre un legittimo impedimento, oppure quando la persona sottoposta alle indagini preliminari non è stata rintracciata e il giudice ritiene le ricerche esaurienti, anche con riferimento ai luoghi di cui all’articolo 159, comma 1».
Il termine dilatorio concesso, qualora vengano ravviste ragioni d’urgenza (ipotesi che si preannuncia alquanto frequente dato il “contesto cautelare”), risulta dunque indeterminato nel minimo, posto che il generico riferimento al «tempo necessario per comparire» appare dotato di scarsa capacità definitoria e rimesso – di fatto – al prudente apprezzamento del giudice. Se dunque appare auspicabile la previsione di un più preciso riferimento temporale minimo (quantomeno in grado di evitare inviti ad horas), ove così non fosse si dovrebbe opportunamente parametrare il termine concesso alla consistenza degli atti depositati nella cancelleria del giudice ai sensi dell’art. 291, comma 1: infatti, il nuovo comma 1-octies del medesimo articolo prevede che l’invito a comparire, funzionale all’interrogatorio anticipato, contenga «l’avviso di deposito nella cancelleria del giudice della richiesta di applicazione della misura cautelare e degli atti presentati ai sensi dell’articolo 291, comma 1, nonché della facoltà di prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti depositati, ivi compresi i verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate, con diritto alla trasposizione delle relative registrazioni su supporto idoneo alla riproduzione dei dati».
Proprio al fine di consentire alla difesa un esame completo degli atti depositati, sarebbe anzi opportuna la previsione della facoltà di richiedere un differimento dell’interrogatorio, purché, ovviamente, tale dilazione non comporti un grave pregiudizio per le esigenze cautelari emergenti nel caso di specie.
Quanto eventualmente emerso nel corso dell’interrogatorio anticipato si riverbera, poi, nelle motivazioni dell’ordinanza applicativa della misura: si prevede, infatti, attraverso una modifica dell’art. 292, comma 2-ter, che l’ordinanza sia nulla non solo qualora (come già previsto fino ad ora) non contenga la valutazione degli elementi a carico e a favore dell’imputato, di cui all’articolo 358, nonché all’articolo 327-bis, ma anche laddove non contenga, nel caso di cui all’articolo 291, comma 1-quater (e cioè quando debba essere disposto l’interrogatorio anticipato), «una specifica valutazione degli elementi esposti dalla persona sottoposta alle indagini nel corso dell’interrogatorio».
Tale specifica comminatoria di nullità si aggiunge a quella che il D.d.l. si propone di introdurre al comma 3-bis dell’art. 292, secondo cui «L’ordinanza è nulla se non è preceduta dall’interrogatorio nei casi previsti dall’articolo 291, comma 1-quater, nonché quando l’interrogatorio è nullo per violazione delle disposizioni di cui ai commi 1-septies e 1-octies», ovvero per violazione delle disposizioni che disciplinano il contenuto dell’invito a comparire (con la conseguenza, forse non opportunamente valutata, che ogni violazione relativa al contenuto dell’invito dovrebbe integrare una causa di nullità dell’interrogatorio e conseguentemente della successiva ordinanza) e l’avviso di deposito nella cancelleria del giudice della richiesta di applicazione della misura cautelare e degli atti presentati ai sensi dell’articolo 291, comma 1, nonché della facoltà di prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti depositati, ivi compresi i verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate, con diritto alla trasposizione delle relative registrazioni su supporto idoneo alla riproduzione dei dati.
Infine, laddove venga disposto l’interrogatorio anticipato, non si provvede all’interrogatorio di garanzia “posticipato” (rispetto all’applicazione della misura), che dovrebbe svolgersi ai sensi dell’art. 294 c.p.p. Nella medesima ipotesi, qualora venga proposta la richiesta di riesame a norma dell’art. 309 c.p.p., l’autorità giudiziaria procedente dovrà trasmettere al Tribunale della libertà non solo (come già previsto) gli atti presentati a norma dell’articolo 291, comma 1, c.p.p. nonché tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini, ma altresì, «in ogni caso, le dichiarazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini ai sensi dell’articolo 291, comma 1-quater».
Occorre segnalare come non siano previste eccezioni al contraddittorio preventivo nel caso in cui i presupposti per lo stesso emergano soltanto in relazione ad alcuni degli indagati, con il rischio di vanificare “l’effetto sorpresa” anche nei confronti di coloro per i quali sussistano, ad esempio, le esigenze di cui alle lett. a) e b) dell’art. 274 c.p.p. o di cui alla lett. c) in ordine ai reati per i quali è escluso l’interrogatorio ante cautela: come suggerito dai primi commentatori, per evitare tale indiscutibile criticità, che minerebbe alla radice l’effetto a sorpresa tipico del giudizio cautelare, il pubblico ministero, nell’ambito dello stesso procedimento, dovrebbe operare con richieste da trasmettere al giudice delle indagini preliminari in tempi sfasati, anticipando la valutazione, applicazione ed esecuzione di quelle a sorpresa, procedendo solo successivamente alla richiesta di misura cautelare nei confronti degli altri indagati che non rientrano nei casi di cui alle lettere a) e b) sopra citate per le quali il giudice dovrà procedere all’interrogatorio preventivo.
[1] Il contributo è la rielaborazione dell’audizione dell’autore , in data 12 settembre 2023, dinnanzi alla Commissione Giustizia del Senato, in ordine al DDL N. 808 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al codice dell'ordinamento militare).
[2] A. Spangher, Misure cautelari, in Digesto/pen., Torino, 2014, 120 ss.
[3] A. De Caro, Libertà personale (profili costituzionali), in Digesto/pen., Agg. I, Torino, 2005, 289 ss.
[4] E. Marzaduri, Misure cautelari (principi generali e disciplina), in Digesto/pen., VIII, Torino, 1994, 62 ss.
[5] Per questo modello, cfr. E. Marzaduri, Misure cautelari (principi generali e disciplina), cit., 62 ss.
[6] La dottrina ha da tempo segnalato l’opportunità di affidare ad un organo collegiale la valutazione cautelare, anche laddove la decisione abbia ad oggetto misure meno afflittive della custodia in carcere: tra gli altri, v. E. Amodio, Inviolabilità della libertà personale e coercizione cautelare minima, in Aa.Vv., Le fragili garanzie della libertà personale. Per una effettiva tutela dei principi costituzionali. Atti del convegno di Trento, 11-13 ottobre 2013, Milano, 2014, p. 17 ss.; G. Conso, La collegialità del g.i.p.: per un’ipotesi praticabile, in Dir. pen. proc., 1996, p. 401 ss.
[7] Per “uffici di grandi dimensioni” s’intendono i Tribunali di Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Firenze, Foggia, Genova, Lecce, Messina, Milano, Napoli, Napoli nord, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Salerno, Santa Maria Capua Vetere, Taranto, Torino, Venezia e le Corti di appello di Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Lecce, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Salerno, Torino e Venezia.
[8] Peraltro, occorrerebbe por mano alla modifica -di competenza del CSM- del rapporto fra numero dei magistrati che compongono l’Ufficio GIP/GUP ed il numero dei pubblici ministeri; e ciò soprattutto presso i 26 tribunali distrettuali, dove hanno sede gli uffici del GIP distrettuale competente a provvedere sulle richieste di misura cautelare della Direzione distrettuale antimafia. Attualmente alle sezioni g.i.p./g.u.p. dei tribunali, per assicurarne la piena funzionalità, deve comunque essere assegnato un numero di magistrati adeguato alle esigenze e non inferiore ad un terzo rispetto al numero di magistrati previsti in organico presso la relativa Procura della Repubblica e ad un decimo rispetto all’organico dell'intero tribunale. Tale percentuale dovrà essere maggiorata in misura non inferiore ai 2/5 rispetto all’organico della Procura per gli uffici del tribunale capoluogo del distretto presso il quale opera la direzione distrettuale antimafia, e ciò al fine di assicurare la massima celerità nella trattazione dei procedimenti ex art 51, comma 3-bis cpp. Il dimensionamento della sezione GIP/GUP deve tenere espressamente conto del rapporto con il carico di lavoro dei giudici del dibattimento, avuto riguardo in particolare al numero di definizioni di procedimenti nel corso della fase delle indagini preliminari o all’esito dell’udienza preliminare.
[9] Art. 87. Disposizioni transitorie in materia di processo penale telematico 1. …; 2. … ; 3. Con decreto del Ministro della giustizia, da adottarsi entro il 31 dicembre 2023 ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense, sono individuati gli uffici giudiziari e le tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione, nonché i termini di transizione al nuovo regime di deposito, comunicazione e notificazione.
[10] Art. 9, legge 127/2022: 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, uno o più decreti legislativi per il compiuto adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 2017/1939 del Consiglio, del 12 ottobre 2017, attuato con il decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 9, modificando la disciplina della competenza prevista dal codice di procedura penale in modo da concentrare negli uffici giudiziari distrettuali la trattazione dei procedimenti per i reati che offendono gli interessi finanziari dell'Unione europea in ordine ai quali la Procura europea può esercitare la sua competenza, indipendentemente dalla circostanza che detta competenza sia esercitata. …”.
[11] Sul punto appare illuminante il passaggio della relazione di accompagnamento del ddl di delegazione europea 2021 (XVIII LEGISLATURA A.C. 3208): “Come osservato dal Consiglio superiore della magistratura nel parere reso il 25 marzo 2021 in merito alla proposta di accordo con il procuratore capo europeo formulata dal Ministro della giustizia, la circostanza che « i due/tre PED che opereranno presso le varie sedi si troveranno ad esercitare le proprie funzioni almeno in due distretti, in alcuni casi addirittura quattro (come i PED assegnati alla sede di Roma [...] o alla sede di Palermo [...]), comprendenti numerosi uffici giudiziari dislocati anche in regioni diverse », comporterà che tali magistrati « dovranno coordinare le indagini in ambiti territoriali molto vasti, ma soprattutto garantire la presenza in udienza, in primo e secondo grado, presso numerosi uffici giudiziari, tra loro distanti, e non sempre raggiungibili con i mezzi di trasporto in dotazione all’Amministrazione della Giustizia (si pensi ai PED assegnati alla sede di Roma che comprende anche la Sardegna) ». Al fine di contenere, nei limiti del possibile, la frequenza e la durata gli spostamenti dei PED durante la fase processuale, con il criterio di delega in esame si prevede, dunque, di « modificare la disciplina della competenza prevista dal codice di procedura penale in modo da concentrare negli uffici giudiziari distrettuali la trattazione dei procedimenti per i reati che offendono gli interessi finanziari dell’Unione europea in ordine ai quali la Procura europea può esercitare la sua competenza, indipendentemente dalla circostanza che detta competenza sia esercitata ».
[12] G. Illuminati, Le modifiche al processo penale nel d.d.l. Nordio: una prima lettura, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2023, 890 ss.
[13] G. Spangher, Pacchetto Nordio: timidi ma significativi segnali di cambio di prospettiva, in PenaleDP, 27 giugno 2023.
[14] E.N. La Rocca, Misure cautelari (profili innovativi), in Digesto/pen., Torino, 2016, 223 ss.
[15] Cfr., al riguardo, le osservazioni critiche di C. Valentini, Com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire: note sparse sul futuribile interrogatorio ante cautela, in AP., 2023, 1 ss., la quale osserva: «Triste manifestazione tipica dei diritti apparenti di cui è cosparso il nostro codice di rito, conosciamo bene l’istituto, amichevolmente noto come interrogatorio di garanzia, tratteggiato dall’art. 294 c.p.p. Cordero lo definirà – ancora “fresco di stampa” – nei termini di “istituto ignoto” al previgente codice, e non per caso, posto che sin da subito si è letta in esso l’ispirazione ad un’autentica congerie di principi di elevatissimo valore: diritto di difesa, ovviamente, e presunzione di non colpevolezza, ma anche il diritto di ogni persona arrestata o detenuta ad essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice, secondo i termini dell’art. 5, par. 3, CEDU. E invece, nei molti anni trascorsi dall’entrata in vigore, nel 1989, ad oggi, l’interrogatorio ex art. 294 c.p.p. ha mostrato in pieno le sue fattezze di garanzia apparente; sarebbe sufficiente chiedere ad un qualsivoglia rappresentante della classe forense che ne abbia fatto esperienza in un processo di altrettanto qualsivoglia livello, per comprendere appieno la conclamata inutilità di un orpello normativo ormai buono solo per ragioni, diciamo così, culturali, ovvero per tentare di imprimere in giovani menti studentesche il concetto che la privazione di libertà di un essere umano non può avvenire senza che questo essere umano abbia avuto una reale occasione di colloquio con il suo Giudice. Purtroppo, per quanto a conoscenza di chi scrive, mancano statistiche ministeriali sul punto ed anzi duole notare che non si riscontra traccia dell’argomento neppure nell’ultima Relazione al Parlamento ex L. 16 aprile 2015, n. 47 del Ministero della Giustizia, aggiornata ad aprile 2022. Il possesso di dati numerici sarebbe interessante, poiché varrebbe a dimostrare l’assoluta sterilità di una norma condannata dalla prassi al limbo dell’inefficacia: non si va lontani dal vero, probabilmente, nell’immaginare che in trent’anni a stento sia rintracciabile una sola ipotesi di revoca o attenuazione della misura cautelare disposta a seguito di interrogatorio di garanzia. Insomma, l’art. 294 c.p.p. potrebbe sottotitolarsi: ode ad un istituto inesistente. Del resto, sono stati molteplici, negli stessi anni, i rilievi degli studiosi sul punto. Fondato com’è su di una piattaforma conoscitiva formata solo da atti dell’inquirente, per di più uno ormai prasseologicamente inottemperante all’obbligo di approfondire anche tutti gli eventuali fondali ridondanti a discarico, come pure impostogli dall’art. 358 c.p.p., l’interrogatorio di garanzia muove proprio da questa debolezza intrinseca, per poi mostrarla, sfaccettata sotto plurimi aspetti: l’inesistenza di un obbligo giudiziale di emettere un provvedimento motivato dopo l’interrogatorio; la violazione dei tempi imposti dalla CEDU per l’accesso ad un giudice; per converso, l’inflessibilità di quei cinque giorni, che non tollerano rinvii su richiesta della difesa; l’ineffettività di un contraddittorio che, in buona sostanza, avviene in condizioni di totale sbilanciamento: da una parte l’inquirente, che richiede la privazione della libertà sulla scorta di un compendio probatorio raccolto per mesi, se non anni; dall’altra l’individuo in custodia, sconvolto dalla frattura psicologica dell’entrata nell’ “istituzione totale”, anzi inebetito e dunque per lo più incapace di attendere a quell’aspetto troppo spesso sottovalutato del diritto di difesa, che consiste nella cooperazione tra la difesa personale e la difesa tecnica. Insomma, la crassa inutilità dell’istituto disciplinato dall’art. 294 c.p.p., anzi il suo atteggiarsi come vera e propria garanzia canzonatoria, fa tornare forzosamente alla mente i noti strali filosofici lanciati, proprio all’alba del nuovo codice, contro il persistere dell’istituto medesimo della custodia cautelare: “Io penso … che la stessa ammissione in via di principio della carcerazione ante iudicium, qualunque fine le si voglia associare, contraddice alla radice il principio di giurisdizionalità: che non consiste nel poter essere arrestati solo per ordine di un giudice, ma per poterlo essere sulla base di un giudizio”, giudizio tanto inesistente, nel caso di specie, da lasciar dire appresso che “il tratto inconfondibilmente poliziesco dell’istituto… resta il carattere arbitrario e in tutti i casi non cognitivo ma potestativo dei suoi presupposti”».
[16] Si tratta, come è noto, dei delitti in ordine ai quali la durata massima delle indagini preliminari è di due anni, ovvero, nel dettaglio:
- delitti di cui agli articoli 285, 286, 416 bis e 422 del codice penale, 291-ter, limitatamente alle ipotesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del comma 2, e 291-quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43;
- delitti consumati o tentati di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello stesso codice penale;
- delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo;
- delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, e 306, secondo comma, del codice penale;
- delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo, escluse quelle previste dall’articolo 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110;
- delitti di cui agli articoli 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, comma 2, e 74 del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni;
- delitto di cui all’articolo 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio l’arresto in flagranza;7-bis) dei delitti previsti dagli articoli 600 600 bis, comma 1, 600 ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609 bis nelle ipotesi aggravate previste dall’articolo 609 ter, 609 quater, 609 octies del codice penale, nonché dei delitti previsti dagli articoli 12, comma 3, e 12 bis del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni”.
- 7-bis) dei delitti previsti dagli articoli 600 600 bis, comma 1, 600 ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609 bis nelle ipotesi aggravate previste dall’articolo 609 ter, 609 quater, 609 octies del codice penale, nonché dei delitti previsti dagli articoli 12, comma 3, e 12 bis del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni”.
[17] A norma del quale “Quando si procede per il delitto previsto dall’articolo 575 del codice penale, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 612 bis del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa”.
[18] Dubbi analoghi sembrano paventati da G. Spangher, Pacchetto Nordio, op. cit.: «Non è chiaro se il giudice debba sempre procedere all’interrogatorio ovvero solo nel caso in cui valuti la possibilità della sua applicazione. Quid iuris in caso di richiesta di attenuazione del carcere ovvero di arresti domiciliari disposti invece del carcere? Il conservato riesame pone problemi in caso di doppia conforme in quanto disposta collegialmente, nonché quelli relativi al rischio di confessioni e di collaborazioni effettuate per evitare la misura cautelare inframuraria».