Alcune attività rischiose, fra le quali rientra quella relativa alla circolazione stradale, sono svolte in concomitanza con le attività di altri soggetti: in tali situazioni si pone il problema di stabilire se la diligenza dell’agente debba estendersi sino alla valutazione delle condotte incaute altrui.
E’ evocato il cd. principio di affidamento: a ciascuno è attribuita la possibilità di fare affidamento sull'altrui diligenza, quale osservanza delle regole cautelari proprie del contesto in cui l’agente opera; tale potere è espressione della natura personale e rimproverabile della responsabilità colposa, circoscrivendola entro limiti ragionevoli allo scopo di evitare la paralisi ogni azione i cui effetti dipendano anche dal comportamento altrui.
Il principio di affidamento trova pacifica affermazione nell'ambito della responsabilità medica in equipe: nell'organizzato svolgimento di attività complesse e plurisoggettive, che implicano l’esercizio di conoscenze multidisciplinari, ciascun agente deve poter confidare sul fatto che gli altri specialisti si comportino in modo appropriato[2].
Un simile contenimento della responsabilità è dalla giurisprudenza attenuato con la ricorrente affermazione per la quale il principio di affidamento trova limitazione nei casi in cui siano presenti altrui errori evidenti e non specialistici, tali cioè da poter essere governati dal professionista dotato delle comuni competenze, come tali rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista ordinario (Sez. 4, n. 30991 del 06/02/2015 - dep. 16/07/2015, Pioppo e altro, Rv. 264315).[3]
Diverso è l’orientamento della giurisprudenza in tema di circolazione stradale, laddove si registra la tendenza a escludere la praticabilità del principio di affidamento: poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attenga alle prescrizioni comandate dal Codice della Strada, se mal riposta, costituisce di per sé condotta negligente (Sez. 4, n. 32202 del 15/07/2010 - dep. 20/08/2010, Filippi, Rv. 24835401).
Su tali basi si è stata ritenuta la responsabilità dell'automobilista che alla guida della propria vettura aveva effettuato un repentino cambio dalla corsia di sorpasso a quella di destra senza segnalare per tempo la sua intenzione, andando a collidere con un motociclo che sopraggiungendo dietro di lui aveva tentato imprudentemente di sorpassarlo a destra (Sez. 4, n. 5691 del 02/02/2016 - dep. 11/02/2016, Tettamanti, Rv. 265981); del guidatore per omicidio colposo di un pedone il quale, sceso dalla portiera anteriore dell'autobus in sosta lungo il lato destro della carreggiata, era passato davanti all'automezzo ed era stato investito dall'imputato, che aveva rispettato il limite di velocità ma non aveva provveduto a moderarla in ragione delle condizioni spazio-temporali di guida, segnatamente della presenza in sosta del pullman (Sez. 4, n. 12260 del 09/01/2015 - dep. 24/03/2015, Moccia e altro, Rv. 263010); del conducente di autovettura entrata in collisione con la motocicletta occupata un carabiniere in servizio, che percorreva contro mano e a sirene spiegate la strada ove si era verificato l'impatto (Sez. 4, n. 8090 del 15/11/2013 - dep. 20/02/2014, P.M. in proc. Saporito, Rv. 25927701); dell'automobilista che favorito dal semaforo verde, non si era accertato della presenza, anche colpevole, di pedoni che si attardavano nell'attraversamento (Sez. 4, n. 12789 del 18/10/2000 - dep. 07/12/2000, Cerato G, Rv. 218473).
A tale ampia configurazione della responsabilità è stato apposto il limite della imprevedibilità: si è detto che in tema di circolazione stradale il principio dell'affidamento trova un temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità degli eventi, oltre il quale non è consentito parlare di colpa (Sez. 4, n. 5691/2016, cit.; Sez. 4, n. 12260/2015, cit.; per una prima affermazione, Sez. 4, n. 3903 del 08/03/1983 - dep. 28/04/1983, Franco, Rv. 158790).
In proposito, vale la pena ripercorrere il tracciato argomentativo esposto dalla recente giurisprudenza [4]: senza dubbio quello della circolazione stradale è un contesto meno definito di quello del lavoro medico in equipe: si configura infatti un'impersonale, intensa interazione che mostra frequenti violazioni delle regole di prudenza; d'altra parte, il Codice della Strada presenta norme che sembrano estendere al massimo l'obbligo di attenzione e prudenza, sino a comprendere il dovere di prospettarsi le altrui condotte irregolari: l'art. 141 impone di regolare la velocità in relazione a tutte le condizioni rilevanti, in modo che sia evitato ogni pericolo per la sicurezza; e di mantenere condizioni di controllo del veicolo idonee a fronteggiare ogni: “[...] ostacolo prevedibile”; l'art. 145 pone la regola della massima prudenza nell'impegnare un incrocio; l'art. 191 prescrive la massima prudenza nei confronti dei pendoni, sia che si trovino sugli appositi attraversamenti, sia che abbiano comunque già iniziato l'attraversamento della carreggiata.
Tali norme tuttavia non possono essere lette in modo tanto estremo da enucleare l'obbligo generale di prevedere e governare sempre e comunque il rischio da altrui attività illecita.
Tale soluzione non solo sarebbe irrealistica, ma condurrebbe a risultati non conformi al principio di personalità della responsabilità, prescrivendo obblighi talvolta inesigibili e – come è stato acutamente osservato - votando l'utente della strada al destino del colpevole per definizione o, se si vuole, del capro espiatorio (Sez. 4, n. 6967 del 16/12/2011 – dep. 22/02/2012); né può esercitare un'influenza contraria il fatto che gli altrui comportamenti imprudenti siano tanto gravi quanto diffusi – si pensi a quello di ciclomotoristi che sorpassano sulla destra veicoli fermi, del ciclista che percorra la carreggiata contromano, del pedone che valichi la strada distante dall’attraversamento pedonale e improvvisamente -: un tale approccio condurrebbe all’effetto paradossale di svuotare la forza cogente della disciplina positiva e di generare un patologico affidamento inverso da parte dell'agente indisciplinato sulla altrui attenzione anche nel prevedere le proprie intemperanze comportamentali.
Per tentare di definire la concreta portata del principio di affidamento nell'ambito della circolazione occorre considerare che i contesti fattuali possibili sono assolutamente indeterminati: non è quindi realistico che l'affidamento concorra a definire i cd. modelli di agenti, le cd. sfere di rischio e di responsabilità in modo categoriale, come invece accade nel ben più definito contesto del lavoro medico in equipe - e, entro confini peraltro assai limitati, nell'ambito della sicurezza del lavoro o della responsabilità di collegi -.
Il riferimento è alla figura del cd. agente modello o, secondo più recente terminologia, al cd. agente omologo: come puntualizzato dalla più sensibile dottrina, in tema di responsabilità per colpa il giudizio di prevedibilità dell'evento offensivo andrà effettuato: “[…] sulla base delle conoscenze note e delle prassi comportamentali riconosciute come valide all'epoca della condotta nella cerchia di coloro che svolgono l'attività o la professione della quale si discuta, avuto riguardo al contesto effettivo in cui abbia agito l'agente concreto“{C}[5]
E’ qui il caso di accennare alle molte difficoltà che insorgono nell'individuazione del cd. agente modello: basti pensare al rischio di un’autentica idealizzazione del cd. agente modello, che finisce per traguardare il giudizio di prevedibilità ad un soggetto ideale disancorato dal: ”[…] contesto situazionale concreto in cui abbia operato il soggetto agente e nella prospettiva di quanto sia stato conosciuto a posteriori”[6]; oppure alla difficoltà di costruzione stessa dell’agente modello, secondo procedimento che richiede di partire da talune note distintive desunte dalla persona dell’agente concreto, per individuare il gruppo di persone a lui omologhe, all’interno del quale infine pensare, immaginare mentalmente un agente modello quale esponente – non già medio e nemmeno sapientissimo ed espertissimo, ma – coscienzioso ed avveduto di tale gruppo[7]: con il rischio di perimetrale tali cerchie in modo eccessivamente espansivo o restrittivo, con l’affanno di restituire significato ai caratteri della coscienziosità e dell’avvedutezza.
Ciò che conta in questa sede è ribadire che le accennate esigenze della vita di relazione e di personalizzazione della responsabilità che fondano il principio in esame concorrono comunque a modellare la colpa, orientano la misura ed i limiti del dovere normativo di prevedere, ridimensionano il pervasivo dovere di prevedere sempre e comunque le altrui condotte irregolari.
D'altra parte, pure sul versante più squisitamente soggettivo della colpa il principio ha un suo rilevante spazio di azione: esso impone di valutare se nelle condizioni date l’agente dovesse e potesse realisticamente prevedere e di conseguenza se egli si potesse concentrare sulla possibile violazione da parti di altri delle dovute regole di cautela.
Le esigenze di limitazione del dovere di prudenza sono scorte dalla giurisprudenza che, come si è visto, richiede che l'altrui irregolarità sia prevedibile: un limite che naturalmente assume diversa ampiezza in relazione alle diverse norme, più o meno rigide, più o meno rigorose, che possono entrare in questione; in tale contesto, risulta problematico il confronto non solo con le norme di diligenza non positivizzate, ma anche con quelle norme cautelari che benché ascritte al paradigma della colpa specifica di fatto risultano assai generiche: fra di esse, proprio quella posta dall'art. 141, comma 1, CdS, la cui fattispecie descrittiva - come evidenziato da autorevole dottrina - è tanto ampia da rendere praticamente impossibile per il soggetto agente di poter far conto sulla correttezza della propria condotta.
E' tuttavia importante che tale limite sia enunciato, che esso sia scorto come un attributo che modella la colpa; che soprattutto ne siano definiti i tratti essenziali: non una prevedibilità astratta che risulterebbe in fin dei conti insignificante, ma piuttosto concreta, rapportata alle circostanze del caso concreto.
Occorre, in breve, che le circostanze di ciascun accidente mostrino segni, indizi anche tenui che consentano di rendere concretamente non insignificante la probabilità di condotte inosservanti.
La giurisprudenza di legittimità ha in numerose occasioni sottolineato il ruolo fondante della prevedibilità ed evitabilità dell'evento: proprio nell'ambito della circolazione stradale che qui interessa, è stata ripetutamente affermata la necessità di tener conto degli elementi di spazio e di tempo, e di valutare se l'agente abbia avuto qualche possibilità di evitare il sinistro: la prevedibilità ed evitabilità vanno cioè valutate in concreto (Sez.. 4, n. 26239 del 19/03/2013 - dep. 14/06/2013, Gharby e altri, Rv. 255695).
Tali enunciazioni generali abbisognano di un chiarimento: l'esigenza della prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento si pone in primo luogo e senza incertezze nella colpa generica, poiché in tale ambito la prevedibilità dell'evento ha un rilievo decisivo nella stessa individuazione della norma cautelare violata; ma anche nell'ambito della colpa specifica la prevedibilità vale non solo a definire in astratto la conformazione del rischio cautelato dalla norma, ma rileva pure in relazione al profilo squisitamente soggettivo, al rimprovero personale, imponendo un'indagine rapportata alle diverse classi di agenti modello ed a tutte le specifiche contingenze del caso concreto.
Certamente tale spazio valutativo è pressoché nullo nell'ambito delle norme rigide la cui inosservanza da luogo quasi automaticamente alla colpa; ma nell'ambito di norme elastiche che indicano un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, vi è spazio per il cauto apprezzamento in ordine alla concreta prevedibilità ed evitabilità dell'esito antigiuridico da parte dell'agente modello; ciò che conta è che non sia escluso che contingenze particolari possano rendere la condotta inosservante non soggettivamente rimproverabile a causa, ad esempio, della imprevedibilità della condotta di guida dell'altro soggetto coinvolto nel sinistro (cfr. Sez. 4, n. 46741 del 08/10/2009 - dep. 04/12/2009, P.C. in proc. Minunno, Rv. 245663).
E’ allora possibile affermare che la limitazione della responsabilità per colpa introdotta dal cd. principio di affidamento conosce alcune eccezioni volte ad evitare esasperate parcellizzazione delle responsabilità: in particolare, la possibilità di fare affidamento sul altrui diligenza e prudenza viene meno quando in relazione a particolari circostanze concrete sia possibile prevedere che altri non si attrarrà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività; in tal caso all’agente incombe l'obbligo di adottare le misure cautelari per ovviare ai rischi generati dall’altrui condotta.
In conclusione: nello specifico campo della circolazione il principio di affidamento trova temperamento nell'opposto canone secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui: ma pur tuttavia è richiesto che tale condotta rientri nel limite della prevedibilità (Sez. 4, n. 12260 del 09/01/2015 - dep. 24/03/2015, Moccia e altro, Rv. 263010; Sez. 4, n. 8090 del 15/11/2013 - dep. 20/02/2014, P.M. in proc. Saporito, Rv. 259277; Sez. 4, n. 32202 del 15/07/2010 - dep. 20/08/2010, Filippi, Rv. 248354), nel senso che l'autista può contare sulla correttezza del comportamento degli altri utenti della strada sino a che circostanze concrete non rendano prevedibile una condotta scorretta.
Qualora la condotta imprudente degli altri utenti della strada si configuri quale eventualità del tutto estranea non solo al normale decorso della circolazione stradale ma anche a ricorrenti decorsi irregolari che la guida su strada può far prevedere - quali ad esempio l'eccesso di velocità del veicolo antagonista in prossimità dell'incrocio, un sorpasso azzardato, lo sbandamento del ciclista che sopravanza – si esula dal campo della normale prevedibilità e la cui rimproverabilità in capo all’agente ridurrebbe la violazione delle norme che regolano la circolazione stradale a inammissibile imputazione per responsabilità oggettiva.
[1] l’articolo compendia gli studi di Basile, Fisionomia e ruolo dell’agente‐modello ai fini dell’accertamento processuale della colpa generica, in Diritto penale contemporaneo, Milano, 2012, disponibile in http://www.penalecontemporaneo.it (accesso del 2 aprile 2017); Eusebi, Appunti del corso di diritto penale per l’a.a. 2015-2016, Milano 2015-2016, disponibile in http://www.pul.it/cattedra/upload_files/11588/pul%202016%20-%20diritto%20penale%20I.pdf (accesso del 2 aprile 2017); Lattanzi-Lupo, Codice penale, Milano, 2010, II, 494 ss; a tali Autori va riconosciuto ogni merito per gli insuperabili contributi scientifici qui utilizzati e riportati.
[2] Lattanzi-Lupo, op. cit., 507 ss.
[3] nel testo sono ripresi ampi passaggi della giurisprudenza di volta in volta citata, con l’eventuale indicazione dell’Estensore per il dovuto riconoscimento del suo apporto
[4] Sez. 4, n. 12260 del 09/01/2015 - dep. 24/03/2015, Moccia e altro, Rv. 26301001; Presidente: Zecca G. Estensore: D'Isa C. Relatore: D'Isa C.
[5] Eusebi, op. cit., 20
[6] Eusebi, op. loc. cit.
[7] Basile, op. cit., 10 ss.