Sommario: 1. Il danno non patrimoniale e l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione del novembre 2008. Il nuovo danno morale ed esistenziale e la successiva evoluzione della giurisprudenza. - 2. I criteri di liquidazione del danno non patrimoniale e la questione delle c.d. “Tabelle”. - 3. Il danno da lesione del rapporto parentale. - 4. Il danno biologico da morte. Il danno tanatologico. - 5. Liquidazione del danno non patrimoniale da illecito extracontrattuale e stranieri. La condizione di reciprocità.
1. Il codice civile sancisce la regola della risarcibilità del danno non patrimoniale nei soli ed esclusivi casi determinati dalla legge (art. 2059 c.c.), vale a dire, in particolare, in ipotesi di danni derivanti da reato.
Dunque vige nel nostro ordinamento il principio della non risarcibilità del danno non patrimoniale, ispirato alla tradizionale concezione del diritto privato come ordinamento costituito a tutela di interessi esclusivamente economici, con sostanziale irrilevanza di interessi di altra natura.
L’eccezione dell’art. 2059 c.c. del danno non patrimoniale da reato è giustificata dal fatto che la norma penale tutela valori di rilevanza pubblica, la cui violazione esige dalla vittima una completa riparazione del danno prodotto, economico e non economico.
Il danno non patrimoniale risarcibile era individuato nei limiti dell’art. 2059 c.c. e nel solo danno morale ([1]), il c.d. pretium doloris, inteso come sofferenza psichica transitoria conseguente al pregiudizio subito, con esclusione delle lesioni all’integrità ed alla salute della persona considerati danni materiali, risarcibile ex art. 185 c.p. in presenza di una fattispecie di reato, anche se accertato in astratto ([2]) e sulla base di semplici presunzioni legali.
Tuttavia, questa concezione economica del diritto privato è stata gradualmente abbandonata in favore della preminenza dei valori della persona e della tesi che riteneva inadeguata l’impostazione tradizionale secondo la quale non erano risarcibili le lesioni dei diritti fondamentali.
Con la storica sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 14 luglio 1986 è, altresì, affermata la risarcibilità del danno biologico come tale, a prescindere dagli effetti economici negativi.
Per il giudice delle leggi il collegamento dell’art. 2043 c.c. con l’art. 32 della Costituzione consente, alla luce dell’interpretazione estensiva affermatasi nell’evoluzione dello stesso diritto vivente, di risarcire, oltre ai danni in senso stretto patrimoniali, anche tutti quelli che, almeno potenzialmente, ostacolano le attività realizzatrici della persona umana e quindi anche, autonomamente e senza alcun ipotizzabile limite, il danno biologico.
Dunque, il danno non patrimoniale non è più limitato a quello morale ma comprende anche il danno biologico, inteso come lesione dell’integrità psicofisica della persona in sé e per sé considerata da accertare sul piano medico-legale e che può definirsi come il pregiudizio arrecato ad interessi non economici aventi rilevanza sociale, tra i quali, principalmente, i diritti fondamentali dell’individuo.
Il sistema risarcitorio del danno alla persona viene così a configurarsi come tripolare, vale a dire il danno patrimoniale, il danno morale ex art. 2059 c.c. ed il danno biologico.
Con le note sentenze della Cassazione, terza sezione civile, nn. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 ([3]) viene superato il principio che faceva coincidere il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. con il solo danno morale soggettivo, giungendo ad un sistema risarcitorio del danno alla persona non più tripolare, bensì bipolare, contraddistinto solo dal danno patrimoniale e dal danno non patrimoniale.
In tale sistema è dunque compreso il danno morale soggettivo, il danno biologico e il danno da lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona, o anche detto esistenziale ([4]).
A questa impostazione ha dato continuità la Corte Costituzionale, la quale con sentenza n. 233 del 12 luglio 2003 ha anche tributato un formale riconoscimento al danno esistenziale, quale terza sottocategoria di danno non patrimoniale ([5]).
Tutta la disciplina del risarcimento del danno non patrimoniale è, dunque, posta sotto l’egida dell’art. 2059 c.c. e, mentre l’art. 2043 c.c. sottopone il risarcimento del danno patrimoniale al principio della atipicità dell’illecito aquiliano, nel senso che la lesione di qualunque interesse dotato di protezione giuridica può generare l’obbligazione di risarcimento del danno patrimoniale, l’art. 2059 c.c. stabilisce, invece, l’opposta regola secondo cui il risarcimento del danno non patrimoniale è ammesso nei soli casi tipici previsti dalla legge.
In questo quadro sono intervenute le sezioni unite della Cassazione con le quattro sentenze gemelle nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008 ([6]), rivisitando alcuni dei più importanti tasselli della responsabilità civile e le questioni più dibattute in materia di danno non patrimoniale.
In particolare queste pronunce, dopo aver ribadito che tutti i danni non patrimoniali sono da ricondursi nell’ambito della previsione dell’art. 2059 c.c., hanno premesso che nella categoria generale del danno non patrimoniale, la formula “danno morale” non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata.
Tale danno, poi, in conformità alle precedenti pronunce ([7]), consegue alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito e, per essere risarcito, non è soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p. e, pertanto, non presuppone necessariamente la configurazione del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della stessa, ove si consideri che il riconoscimento dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale.
In conclusione è un danno che sussiste nei casi di reato o previsti dalla legge, ovvero in ipotesi di lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente qualificati, nonché in presenza di una offesa grave e di una lesione seria e, per quanto concerne l’onere probatorio, le sezioni unite operano riferimento alla prova testimoniale, documentale e presuntiva.
Si configura, inoltre, una duplice categoria di danno morale ([8]).
In primo luogo si avrà un danno morale “puro” o in senso stretto, inteso come “sofferenza soggettiva in sé considerata” e non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale, ricorrente ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferto, mentre il secondo è un danno morale con degenerazioni patologiche, il quale sussiste quando il turbamento dell’animo o il dolore intimo siano accompagnati da degenerazioni patologiche della sofferenza.
Questa seconda tipologia di danno morale, in realtà, continua la Cassazione, rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente, e, dunque, determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale, nei suindicati termini inteso, normalmente liquidato in percentuale del primo.
Le pronunce delle sezioni unite, dunque, inquadrano il danno morale come aspetto del danno non patrimoniale e negano ogni sua autonomia ontologica, affermando che la liquidazione deve essere sganciata da quanto riconosciuto a titolo di danno biologico.
In realtà, a fronte di una apparente rivoluzione in materia di danno non patrimoniale, a ben vedere, da un punto di vista pratico nulla è cambiato per il danno morale ed una lettura attenta degli enunciati motivazionali conduce a ritenere che le sezioni unite abbiano cambiato il linguaggio della responsabilità civile, ma non la sostanza, pertanto non può ritenersi che il danno morale inteso come sofferenza psichica transitoria conseguente al sinistro sia scomparso dal nostro ordinamento e non sia più risarcibile.
Lo stesso, in realtà, gode solo di un diverso inquadramento sistematico, costituendo non più una categoria autonoma, bensì un aspetto meramente descrittivo del danno non patrimoniale unitariamente inteso. Il danno morale con degenerazioni patologiche, invece, altro non è che il danno biologico da invalidità permanente, già riconosciuto e liquidato da tempo dalla giurisprudenza.
Dunque il danno morale è sempre da riconoscere e da liquidare e, del resto, le successive pronunce della Cassazione ne hanno ribadito la piena risarcibilità ([9]).
Infatti, se è vero che danno biologico e morale non sono categorie di danno, bensì semplici nozioni descrittive, è anche vero che il giudice, esattamente come prima, li utilizza e li considera ai fini del risarcimento del danno e, dunque, pur cambiando le terminologie e le collocazioni sistematiche, non muta la sostanza ([10]).
In definitiva oggi la giurisprudenza di legittimità, pur sottolineando la necessità di evitare duplicazioni risarcitorie del danno non patrimoniale, ha ribadito l’esistenza del danno morale ([11]), ne ha confermato il ristoro pur in presenza di semplici presunzioni ed ha sganciato la sua risarcibilità dall’accertamento incidentale della presenza di un reato ([12]).
Sul punto, inoltre, è da registrare un importante intervento del legislatore con il d.p.r. 3 marzo 2009, n. 37 ([13]) ed il d.p.r. 30 ottobre 2009, n. 181 ([14]), il quale, seppur in materie del tutto peculiari e disciplinando settori speciali, rivela un ragionamento in evidente contrasto con quello fatto dalle sezioni unite.
Peraltro, anche quei Tribunali che non individuano espressamente come danno autonomo il pregiudizio morale, ma lo considerano come aspetto descrittivo di un unico danno, quello non patrimoniale ([15]), giungono, in sostanza, alle medesime conclusioni pratiche, nel senso che trattasi di danno comunque risarcito e riconosciuto.
Appare opportuno rammentare che in materia di circolazione stradale il risarcimento del danno morale, come per l’intera area del danno non patrimoniale, non richiede la responsabilità penale dell’autore del fatto illecito, ovvero la necessaria sussistenza di un fatto-reato accertato in concreto, ed è, dunque, risarcibile anche nel caso in cui la responsabilità sia fondata sulla sola presunzione di colpa ex art. 2054, 2° comma, c.c. ([16]).
Per le sentenze gemelle del novembre 2008 anche il danno esistenziale non può essere inteso come categoria autonoma, ma come figura individuata ai fini meramente descrittivi di un particolare aspetto del danno non patrimoniale e consiste in un pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma permanente, oggettivamente accertabile e provocato sul fare areddittuale del soggetto, il quale altera le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno ([17]) e sussiste solo nei casi di reato o previsti dalla legge, ovvero in ipotesi di lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente qualificati, ed in presenza di una lesione grave e di un danno serio.
Dunque, così come per il danno morale, non può ritenersi che il danno esistenziale sia stato cancellato dalle sezioni unite, ma, al pari di quello, è stato semplicemente collocato sistematicamente nella più ampia categoria unitaria del danno non patrimoniale e ne è stata delimitata in termini ristretti l’area di applicazione ([18]).
Non possono, per tali motivi, essere risarcibili i danni “bagatellari” riconosciuti dalla giurisprudenza di merito, in particolare dai Giudici di Pace, come la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l’errato taglio di capelli, l’attesa in aeroporto, il disservizio dell’ufficio pubblico, l’invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell’animale da affezione o il mancato godimento della partita di calcio in tv determinato da “black out” elettrico.
Insomma, non sono meritevoli di tutela risarcitoria non patrimoniale i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie o varie insoddisfazioni relative ai più disparati aspetti della vita quotidiana e non esiste un diritto risarcibile ad essere felici ed alla qualità della vita.
In sostanza il pregiudizio di tipo esistenziale è riconosciuto solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno e senza lesione di diritti fondamentali non c’è tutela, con l’ulteriore filtro della serietà e gravità della lesione e, per quanto concerne l’onere probatorio, si rinvia ancora alla prova documentale, testimoniale o per presunzioni ([19]).
Peraltro appare evidente, anche per evitare la duplicazione del danno risarcibile, la distinzione del danno esistenziale da quello morale.
In particolare, è stato osservato che poiché il danno esistenziale si sostanzia in un non poter più fare, un dover agire altrimenti, la prova della sola lesione di un diritto fondamentale dell’individuo non è sufficiente a giustificarne il risarcimento, costituendo invero la stessa un semplice indizio di danno; la sua esistenza deve, perciò, essere dimostrata mediante elementi che confermino il carattere permanente del pregiudizio, risolvendosi altrimenti lo stesso in un pati transitorio risarcibile solo sotto il diverso profilo del danno morale ([20]).
Dunque, il danno morale attiene alla sfera dell’emotività ed il pregiudizio esistenziale concerne il modo di estrinsecarsi ([21]).
Una volta liquidato il danno morale anche sotto il profilo relazionale, vale dire anche come esistenziale nei termini sopra precisati, non può aggiungersi alla liquidazione del morale una ulteriore liquidazione del danno esistenziale, non venendo in rilievo il nomen iuris adottato dal giudice e dalle parti, ma i tipi di pregiudizio che vengono complessivamente risarciti nella liquidazione del danno non patrimoniale ([22]), e lo stesso è da dirsi se nel danno biologico sono considerati anche gli aspetti relazionali o esistenziali, con la ulteriore precisazione che è necessario caso per caso verificare quali di questi aspetti relazionali siano stati valutati dal giudice ([23]).
La conclusione, sia per il danno morale, sia per il danno esistenziale, appare dunque la stessa, nel senso che, come lo si voglia nominare ed inquadrare, è un pregiudizio che deve essere liquidato, sempre nell’ottica della personalizzazione e nel rispetto dell’esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie ([24]).
2. Dopo le sentenze delle sezioni unite del novembre 2008 si è aperto un ampio dibattito in seno ai Tribunali italiani in ordine ai criteri di determinazione del punto delle tabelle normalmente utilizzate per la liquidazione del danno biologico ([25]).
Una prima impostazione seguita dal Tribunale di Milano, le cui tabelle sono largamente le più diffuse sul territorio nazionale ([26]), ha adottato il criterio del c.d. “punto pesante”, nel senso di comprendere nel punto in una liquidazione congiunta i valori riferibili al danno biologico ed a quello morale.
In particolare, l’Osservatorio per la giustizia civile di Milano ha elaborato tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale complessivamente inteso, con le quali viene proposta la liquidazione congiunta del danno non patrimoniale quale lesione dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale, sia nel suo aspetto “statico”, vale a dire la lesione in sé e per sé considerata, sia nel suo aspetto “dinamico”, vale a dire dei risvolti anatomo-funzionali e relazionali, e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di “sofferenza soggettiva”.
In definitiva sono liquidati unitariamente, con riferimento all’andamento dei precedenti degli uffici giudiziari di Milano, i pregiudizi in passato liquidati a titolo di danno biologico standard, in tutte le sue componenti (estetico, alla vita di relazione, alla capacità lavorativa generica, etc), di danno esistenziale e di danno morale.
Questa posizione, però, se ha l’indubbio vantaggio, in un’ottica di conciliazione e transazione delle cause, di fornire una maggiore prevedibilità della futura entità del risarcimento, comporta un eccessivo automatismo nella liquidazione del danno e comprime notevolmente il potere equitativo del giudice in un valore già elaborato a priori nei suoi standard medi, lasciando alla personalizzazione solo una funzione marginale di intervento in ipotesi rare ed eccezionali.
Altri Tribunali, invece, tra cui quello di Roma, hanno adottato un principio opposto, lasciando sostanzialmente invariato il punto di invalidità, limitato al solo danno biologico, e rimandando al potere equitativo del giudice la personalizzazione e, soprattutto, la liquidazione del danno morale.
Infatti, comprendere il danno morale nel punto tabellare tramite un “appesantimento” dello stesso incontra altri due ostacoli, uno di carattere sistematico e l’altro pratico.
Sotto il primo profilo, quello sistematico, il danno biologico è un danno permanente, mentre quello morale è, per sua definizione, un danno transitorio.
Da qui la difficoltà concettuale di comprendere nello stesso punto un danno non patrimoniale permanente, quello biologico, ed un danno patrimoniale transitorio per sua natura, quale è quello morale.
Inoltre, da un punto di vista pratico, appunto, anche comprendendo il danno morale nel punto tabellare, non potrebbe non esservi comunque sempre spazio per la c.d. personalizzazione del danno, personalizzazione che, per costante giurisprudenza di legittimità, costituisce uno specifico dovere del giudice, il quale non può limitarsi alla semplice applicazione automatica dei criteri tabellari.
In concreto, dovendosi comunque sempre personalizzare il danno non patrimoniale, appare sostanzialmente inutile includere nel punto tabellare il danno morale, oltre che parzialmente, ed inutilmente, vincolante per il giudice.
Peraltro, inserire il danno morale nel punto tabellare è più problematico rispetto al danno biologico, attesa la natura strettamente soggettiva della sofferenza psichica transitoria, la quale non può non tener conto di circostanze, quali, ad esempio, il tipo e la gravità della condotta illecita altrui, le quali ben possono cagionare un danno morale elevato a fronte di un biologico lieve o insussistente (sul punto basti pensare alla violenza sessuale, la quale, se può comportare un lieve danno sotto il profilo strettamente biologico, integra un rilevante danno morale per la vittima).
Infine, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente censurato la prassi delle corti di merito in ordine all’appiattimento del risarcimento sui criteri tabellari e, dunque, la superficiale valutazione soggettiva del danno in relazione al singolo caso concreto e, inevitabilmente, il punto tabellare “pesante” aumenta la possibilità di questo appiattimento.
Di recente la Cassazione ha stabilito che poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell’integrità psico-fisica presuppone l’adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative, vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto.
Con questo intervento sono state assunte le tabelle milanesi come criterio universale di liquidazione equitativa del danno alla persona per far fronte al fenomeno dei c.d. risarcimenti oscillanti in base al Tribunale al quale è rivolta la domanda di giustizia ([27]).
In sostanza la Corte afferma che, dovendosi di regola liquidare il danno non patrimoniale in via equitativa, equità non è arbitrio e non vuol dire solo regola del caso concreto, ma anche parità di trattamento e, dunque, solo un’uniformità pecuniaria di base può valere ad assicurare una tendenziale uguaglianza.
Questa impostazione, certamente positiva per quanto concerne l’evidente sforzo di uniformare i risarcimenti, non convince.
Infatti, sotto un primo profilo, il fondamento della tabella è la media dei precedenti giudiziari in un dato ambito territoriale e la finalità è quella di uniformare i criteri di liquidazione del danno, ma la stessa non deve essere applicata automaticamente, bensì con apprezzamento anche delle c.d. condizioni personalizzanti, tenendo conto della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, anche per evitare l’eventualità che possa giungersi a liquidazioni puramente simboliche o irrisorie ([28]).
Inoltre per costante giurisprudenza le tabelle non rientrano nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né sono recepite in norme di diritto appartenenti necessariamente alla conoscenza del magistrato ([29]) e, pertanto, il giudice che intenda utilizzarle deve, per non incorrere nell’errore di omessa motivazione, dare conto dei criteri indicati nelle tabelle e poi descriverne l’applicazione alla fattispecie concreta ([30]).
Sotto altro profilo, da un lato si ritiene non sussistente alcun diritto del danneggiato ad ottenere la liquidazione del danno in base a tabelle in uso presso un determinato ufficio giudiziario piuttosto che in un altro ([31]), e, dall’altro, il giudice, non è vincolato alle tabelle di sezione adottate dal suo Tribunale, e qualora le utilizzi la motivazione della scelta è già in re ipsa ([32]), e ben può adottare le tabelle in uso presso altro ufficio giudiziario, pur essendo tenuto, in questo caso, a dare ragione della diversa scelta ([33]).
Dunque, ciò che rileva ai fini dell’uniformità non è, in assenza di specifica previsione normativa, tanto il dato di partenza comune, dunque la stessa tabella per tutti, quanto l’utilizzo da parte dei giudici di principi comuni ed uniformi, così come elaborati dalla giurisprudenza e sopra indicati, nell’uso e nell’applicazione delle varie tabelle.
Del resto, se l’esigenza fondamentale è quella dell’utilizzo da parte di tutti i giudici del medesimo dato di partenza, del tutto contraddittoria si presenta la pronuncia n. 12408/2011 laddove non estende a tutte le lesioni psico-fisiche lievi l’art. 139 del decreto legislativo n. 209 del 7 settembre 2005, c.d. Codice delle Assicurazioni Private, vale a dire la tabella unica nazionale per le lesioni micropermanenti o le lesioni di lieve entità dall’1% al 9% derivanti da sinistro stradale.
Orbene, alcune pronunce, in considerazione del fatto che la liquidazione del danno biologico nei sinistri stradali deve avvenire con criteri equitativi, ritengono che i parametri previsti dalla legge 5 marzo 2001, n. 57 possono essere utilizzati anche per lesioni che superano il 9% di invalidità permanente ([34]), ovvero applicati in via analogica anche in ipotesi di lesioni micropermanenti non derivanti da circolazione stradale ([35]).
Sul punto, invece, la citata sentenza n. 12408/2011 ha stabilito che per i postumi di lieve entità derivanti da evento diverso dalla circolazione stradale non varranno i criteri di cui all’art. 139 del codice delle assicurazioni, annullando così quell’esigenza di uniformità nel calcolo del danno a cui la stessa pronuncia si ispira nell’affermare la generale applicazione delle tabelle milanesi.
Peraltro, la stessa Cassazione ([36]) sembra correggere leggermente il tiro, potendosi, allora, concludere nel senso che il giudice non abbia l’obbligo di utilizzare sempre e comunque le tabelle del Tribunale di Milano, bensì solo di liquidare, eventualmente anche utilizzando altre tabelle, in modo non gravemente difforme dai parametri milanesi.
Altra e diversa questione è se il danno morale possa essere liquidato in percentuale su quanto riconosciuto a titolo di danno biologico, opzione che, in base a quanto sopra esposto, sembrerebbe preclusa dalle pronunce delle sentenze gemelle del 2008.
In realtà alcuni Tribunali di merito continuano a liquidare il danno morale con riferimento ad una frazione del quantum liquidato a titolo di danno biologico ([37]) e la successiva giurisprudenza di legittimità avalla tale impostazione, sottolineando però sempre il dovere del giudice di procedere poi alla necessaria personalizzazione ([38]).
Anche in questo caso, peraltro, la questione appare più formale che sostanziale, atteso che, una volta riconosciuta la risarcibilità del danno morale, il relativo criterio di liquidazione, necessariamente equitativo, è rimesso al prudente apprezzamento del giudice, il quale ben potrà utilizzare come punto di riferimento quanto liquidato a titolo di danno biologico, salvo tener conto delle circostanze del caso concreto e riconoscere un complessivo danno non patrimoniale il più possibile personalizzato.
Discorso a parte merita la liquidazione del danno alla persona da circolazione stradale, sulla quale, come già visto, incide il decreto legislativo n. 209 del 7 settembre 2005.
Il legislatore, dunque, ha adottato una tabella per lesioni di lieve entità dall’ 1% al 9% e l’art. 139, terzo comma, del suddetto decreto prevede la possibilità per il giudice di aumentare l’ammontare del danno biologico liquidato in misura non superiore ad un quinto “con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”, dando, così, spazio alla c.d. personalizzazione ([39]).
Peraltro è da ritenersi, per quanto sopra esposto, che questa personalizzazione per le lesioni di lieve entità, proprio perché limitata al 20%, concerni esclusivamente il danno biologico in senso stretto, dovendo il giudice poi ulteriormente personalizzare il complessivo danno non patrimoniale in tutti suoi ulteriori aspetti ([40]).
Questa conclusione sembra inevitabile alla luce della necessaria personalizzazione del danno non patrimoniale complessivamente inteso ([41]), mentre per la già citata Cass. 12408/11 la personalizzazione deve essere contenuta nella misura di un quinto, dunque entro la norma senza possibilità di ulteriori aumenti ([42]).
Precisato che, in quanto oggetto di specifica previsione legislativa, per le lesioni di lieve entità in materia di circolazione stradale il giudice non può più operare riferimento alle note tabelle vigenti in Tribunale, ulteriore questione è quella se per i sinistri anteriori al 4 aprile 2001, data di vigenza della legge n. 57/01 poi ripresa dall’art. 139 del d.l.vo n. 209/05, il giudice debba applicare comunque il sopravvenuto dato normativo, ovvero le tabelle di liquidazione del danno biologico adottate dall’ufficio di appartenenza, peraltro normalmente di importo superiore.
Secondo una prima impostazione la liquidazione del danno biologico da c.d. micropermanente può essere effettuata applicando i criteri previsti dalla legge n. 57/2001 anche nel caso di sinistro stradale verificatosi in data antecedente all’entrata in vigore della legge stessa, sulla base della considerazione che i criteri di cui alla detta legge, pur se contenuti in un provvedimento normativo entrato in vigore dopo il sinistro, possono costituire una base equitativa per la liquidazione uniforme dei danni ([43]), ovvero che sarebbe iniquo ed irragionevole determinare il ristoro per il medesimo danno in misura differente a seconda che il fatto lesivo si sia verificato prima o dopo l’entrata in vigore della legge n. 57 del 2001 ([44]).
Per altro orientamento, invece, non va operata l’applicazione di tale legge in via analogica, in quanto contraddice con il dato testuale della stessa, la quale dispone la sua applicabilità ai sinistri avvenuti successivamente alla data di entrata in vigore, oltre a contrastare con il principio di equità trattando con lo stesso criterio fatti avvenuti in tempi diversi ([45]).
La questione sembra oggi risolta ([46]) nel senso che le tabelle mediche per la micropermanente di cui all’art. 5, comma 5°, della legge n. 57/01, approvate con D.M. 3 luglio 2003 ed in vigore dal giorno 11 settembre 2003, non hanno effetto retroattivo, con la conseguente inapplicabilità della legge n. 57/01 quanto meno ai sinistri anteriori all’11 settembre 2003.
Per le lesioni macropermanenti da sinistro stradale, o lesioni di non lieve entità, vale a dire dal 10% in poi, l’art. 138 del d.l.vo n. 209/05 stabilisce la predisposizione di una specifica tabella unica su tutto il territorio nazionale, in realtà già prevista fin dall’art. 23 della legge n. 273 del 12 dicembre 2002, ma ad oggi non ancora elaborata ([47]), con la conseguenza che per tali lesioni il giudice dovrà continuare a fare ricorso alle tabelle in uso presso il suo Tribunale.
Da notare che anche il 3° comma dell’art. 138 prevede una personalizzazione e, come per lesioni lievi, la limitazione normativa deve ritenersi circoscritta al danno biologico in senso stretto, sempre per consentire una adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale complessivamente inteso in tutti i suoi aspetti.
3. Per la giurisprudenza la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute ([48]), e, dunque, in caso di morte senza che sia passato un apprezzabile lasso di tempo dal momento dell’illecito, non sorge alcun danno biologico da trasmettere agli eredi.
Le sentenze gemelle del 2008 sono innovative sul punto, in quanto è stato colmato il vuoto di tutela rappresentato dalla tesi che nega, appunto, in caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall’evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per perdita della vita, detto anche tanatologico, ammettendolo solo se il soggetto rimanga in vita per un tempo apprezzabile.
Infatti è riconosciuto dalle sezioni unite del 2008 che, in ogni caso, il giudice potrà invece correttamente liquidare il danno morale a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte e che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine.
Dunque, in caso di morte immediata o di sopravvivenza limitata nel tempo, se non può nascere alcun danno biologico, può essere riconosciuto un danno morale trasmissibile agli eredi ([49]).
La giurisprudenza, altresì, riconosce il danno morale jure proprio da lesione del rapporto di parentela, vale a dire il danno in favore dei congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito, lesioni personali ([50]), ovvero sia deceduto ([51]). Tale danno, il quale trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso ([52]), può essere dimostrato in via presuntiva ([53]) ed alcune pronunce qualificano questo pregiudizio non come morale, bensì come lesione alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione ([54]).
Le Sezioni Unite del novembre 2008, poi, hanno precisato che il danno morale assorbe il danno parentale, vale a dire il danno da lesione o uccisione del congiunto ([55]), e statuito che determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato.
4. Il danno tanatologico è il danno derivante dalla morte di un congiunto per fatto illecito altrui e può essere diretto e riflesso.
Si parla di danno tanatologico diretto quando il soggetto perde la vita per un fatto ingiusto causato da terzi ed in questo caso si traduce in un vero è proprio danno biologico trasmissibile agli eredi.
Il danno tanatologico, riflesso, invece, si ha quando un soggetto subisce una menomazione psicofisica a causa dell’evento morte di un congiunto, il quale produce un ulteriore evento-lesione che danneggia la salute psichica o fisica del parente rimasto in vita, e, in definitiva, causa un danno biologico.
Dovrebbe, dunque, sostenersi la risarcibilità jure hereditario sempre e comunque del danno tanatologico diretto, anche quando l’evento morte cagionato dall’evento lesivo è pressoché immediato o interviene dopo un breve lasso di tempo, anche alla luce dell’art. 2 della Costituzione, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948), della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (4 novembre 1950) e del Patto internazionale sui diritti civili e politici (16/19 dicembre 1966), tutti ratificati dall’Italia con apposite leggi.
La prevalente giurisprudenza sostiene, invece, che il danno tanatologico diretto da morte immediata non costituisce danno biologico, poiché, come già evidenziato, la perdita della vita non è la massima lesione possibile del diritto alla salute e richiede ai fini della risarcibilità il decorrere di un certo lasso di tempo tra l’illecito e la morte.
Di conseguenza, trasmettere per via ereditaria il risarcimento della perdita della vita, equivarrebbe a dare al bene giuridico vita lo status giuridico di un bene patrimoniale, senza contare che il danno da morte nega la sopravvivenza, mentre il danno alla salute la presuppone ([56]).
Per quanto concerne i criteri di liquidazione, l’ammontare del danno biologico che gli eredi del defunto richiedono in via ereditaria è calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva ([57]), tenendo conto del fatto che nei primi tempi il patema d’animo è più intenso rispetto ai periodi successivi, ed è un danno nel quale i fattori della personalizzazione debbono valere in un grado assai elevato.
Lo stesso, dunque, non può essere liquidato attraverso l’applicazione automatica dei criteri contenuti nelle tabelle utilizzate dai Tribunali, le quali, per quanto dettagliate, nella generalità dei casi sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità, temporanee o permanenti, di soggetti che sopravvivono all’evento dannoso, ma deve essere ulteriormente e compiutamente adeguato al caso concreto ([58]).
Da notare, inoltre, che la giurisprudenza rinvia normalmente alle sole tabelle per l’invalidità temporanea assoluta e totale e non a quelle per l’invalidità permanente ([59]).
Inoltre il giudice, nell’adeguare l’ammontare di tale danno alle circostanze del caso concreto, deve tener conto del fatto che lo stesso, se pure temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte ([60]).
5. Problematica di particolare interesse è quella se, nel quantificare il danno, il giudice debba o meno tenere conto della realtà socio-economica del danneggiato, normalmente per limitarne il risarcimento.
Secondo alcune pronunce il risarcimento deve essere commisurato alla realtà socio-economica del danneggiato ([61]) e questa impostazione trova supporto in una nota pronuncia della Cassazione ([62]), la quale, relativamente a cittadini italiani residenti all’interno di Regioni dal maggiore o minore costo della vita, valorizza il fatto che l’entità compensativa dei risarcimenti in denaro possa essere diversa a seconda dell’area nella quale il denaro è speso, ritenendo corretto che i Tribunali rapportino l’importo risarcibile alla realtà socio-economica della provincia del centro-sud teatro della causa ([63]).
Altri giudici sono di contrario avviso ([64]), rifiutando il criterio delle gabbie risarcitorie del dolore sul modello delle gabbie salariali in funzione del costo della vita localmente differente, sottolineando la possibile sostanziale ingiustizia e la pericolosa incertezza sul complessivo piano giurisprudenziale.
In realtà ritengo possa ragionevolmente sostenersi che i risarcimenti non possono essere ridotti per il semplice fatto che alcuni dei danneggiati risiedano in un luogo dove la realtà socio-economica è diversa.
Infatti, venendo in rilievo diritti fondamentali dell’individuo, quali la salute e la solidarietà familiare, il risarcimento costituisce una sorta di riparazione, peraltro necessariamente equitativa e mai realmente integrale trattandosi di ridurre ad una mera valutazione economica beni primari ed intangibili, la quale, in via di principio, prescinde da come e dove il danneggiato utilizzerà il ristoro percepito.
Inoltre differenziare il risarcimento in base alla residenza ed alle condizioni sociali costituisce un criterio non convincente, atteso che non è dato sapere, in concreto, il luogo in cui il danneggiato andrà a vivere una volta ottenuto il risarcimento, il quale ben potrà essere diverso dal precedente.
Del resto le stesse tabelle per il danno biologico in uso presso i vari Tribunali nazionali, ai fini del quantum del risarcimento, non operano alcuna distinzione basata sulla condizione socio-economica del danneggiato, ovvero sulla realtà sociale del territorio, regione o città di provenienza. Tale impostazione è stata seguita anche dal legislatore nelle tabelle delle micropermanenti di cui all’art. 139 del decreto legislativo n. 209 del 7 settembre 2005, dove non è stata adottata nessuna differenza in base al luogo di apprensione e di godimento delle somme oggetto del risarcimento, il quale, dunque, non è stato considerato un valido criterio cui attribuire rilevanza ([65]).
Altra questione è posta dall’art. 16 delle disposizioni sulla legge in generale per cui “Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali”, il quale oggi non si applica gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, atteso che l’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 286 del 25 luglio 1998 attribuisce agli stessi il godimento dei diritti civili spettanti ai cittadini italiani, articolo che deve tener conto del valore preminente che nel nostro ordinamento assume la Costituzione nel garantire all’art. 2 i diritti inviolabili della persona ed all’art. 32 il diritto alla salute.
Ne consegue che il danno non patrimoniale subito in proprio, ma anche da morte o lesione del congiunto visto che gli artt. 29 e 30 della Carta garantiscono i diritti della famiglia, e, dunque, tutelano dalla lesione del rapporto parentale, attiene ad un diritto la cui protezione è sganciata dal possesso o meno della cittadinanza e, dunque, dalla condizione di reciprocità, la quale è applicabile, in definitiva, solo ai diritti civili diversi da quelli riconosciuti dalla Costituzione ([66]).
Lo straniero oggi ha, quindi, diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, a prescindere dalla reciprocità e dalla sussistenza di un valido permesso di soggiorno, mentre per il danno patrimoniale, trattandosi di pregiudizio di diritto non di rango costituzionale, opera il criterio di reciprocità.
([1]) Scognamiglio, Il danno morale (Contributo alla teoria del danno extracontrattuale), in Rivista di diritto civile., 1957, I, 273 ss.
([2]) Franzoni, Il danno alla persona, Milano, 1995, 546; Thiene, Rimedio risarcitorio e condotta del danneggiante: tramonto o riscoperta dell’ingiustizia del danno?, in La Nuova giurisprudenza civile commentata, 2002, II, 205 ss.
([3]) In Rassegna di diritto civile, 2005, 1112 ss., con nota di Caiaffa, L’art. 2059 c.c.: profili riparatori (e risarcitori?) del danno alla persona.
([4]) Sul bipolarismo tra danno patrimoniale e non patrimoniale si veda Grassi, I danni non patrimoniali ed il “doppio” art. 2043 c.c., in Rassegna di diritto civile, 2008, 943 ss.
([5]) In dottrina Ziviz, L’evoluzione del sistema di risarcimento del danno: modelli interpretativi a confronto, in Revue critique de droit international privè, 1999, 61 ss; Cendon, Esistere o non esistere?, in Responsabilità civile e previdenza, 2000, 1251 ss.
([6]) In Rivista di diritto civile, 2009, II, 97, con nota di Busnelli.
([7]) Cass. civ., 19 ottobre 2007, n. 22020, in motivazione.
([8]) Punto 4.9 della sentenza n. 26972/08.
([9]) Cass. civ., sez. III, 28 novembre 2008, n. 28407 ha chiarito che “L’autonomia ontologia del danno morale rispetto al danno biologico, in relazione alla diversità del bene protetto, appartiene ad una consolidata giurisprudenza di questa Corte, che esclude il ricorso semplificativo a quote del danno biologico, esigendo la considerazione delle condizioni soggettive della vittima e della gravità del fatto e pervenendo ad una valutazione equitativa autonoma e personalizzata”. Il collegio qui si pronuncia, espressamente, proprio a favore della netta distinzione tra biologico e morale, da un punto di vista ontologico in relazione alla diversità del bene protetto, e tale decisione trova conferma in Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2008, n. 29191, in Responsabilità civile, 2009, 2, 176, la quale, pur ribadendo come sia un error in iudicando valutare il danno morale in termini di quota del danno biologico, sostiene che “nella quantificazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto alla salute, la valutazione di tale voce di danno, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona ovvero all’integrità morale, quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall’art. 2 della Costituzione in relazione all’art. 1 della Carta di Nizza, contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008 n. 190, deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa quantificarsi il valore dell’integrità morale come una quota minore proporzionale al danno alla salute”. Per Cass. civ., sez. lav., 19 dicembre 2008, n. 29832 il danno morale e quello biologico non sono categorie di danno, ma il giudice ne deve tenere comunque conto ai fini della liquidazione del risarcimento, in quanto descrivono la lesione subita.
([10]) Cass. civ, sez. III, 13 gennaio 2009, n. 479, in Danno e responsabilità, 2009, 3, 321, si è sganciata dalle pronunce gemelle del 2008, nelle quali, come già detto, il Collegio aveva chiaramente affermato che se la sofferenza è accompagnata da degenerazioni patologiche il danno morale non va liquidato assieme al biologico, e, dunque, se c’è danno alla salute, va risarcito il solo danno biologico dinamico, il quale è comprensivo del morale così inteso, mentre per questa pronuncia costituisce violazione dell’art. 2059 c.c. negare il risarcimento del danno morale in caso di lesioni gravi riportate dalla vittima.
Nella fattispecie oggetto di giudizio le corti di merito avevano già liquidato il biologico, ma non il morale e, se il Collegio avesse confermato la lettera delle sentenze gemelle del 2008, dinanzi alle censure concernenti la mancata liquidazione del morale, questi avrebbe, comunque, affermato che andava liquidato il solo biologico seppur con adeguamento ai risvolti “dinamici”. Invece Cass. 479/09 afferma il seguente principio di diritto: “la parte che ha subito lesioni gravi alla salute nel corso di un incidente stradale, ha diritto al risarcimento integrale del danno ingiusto non patrimoniale (nella specie dedotto come danno morale), che deve essere equitativamente valutato tenendo conto delle condizioni soggettive della vittima, della entità delle lesioni e delle altre circostanze che attengono alla valutazione della condotta dell’autore del danno”.
Anche Cass. civ., sez. III, ordinanza 17 settembre 2010, n. 19816, in Danno e responsabilità, 2011, 2, 146, con nota di Hazan, nel chiarire che le sofferenze morali devono essere sempre risarcite, ha stabilito che “il giudice deve comunque tenere conto - nel liquidare l’unica somma spettante in riparazione - di tutti gli aspetti che il danno non patrimoniale assume nel caso concreto”.
([11]) Per Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2011, n. 11609, in Responsabilità civile., 2011, 7, 546, nel procedere alla quantificazione ed alla liquidazione unitaria del danno non patrimoniale il giudice deve tenere conto di tutti i diversi aspetti in cui il danno si atteggia nel caso concreto, mentre per Cass. civ., sez. III, 12 settembre 2011, n. 18641, le stesse tabelle del Tribunale di Milano non hanno mai “cancellato la fattispecie del danno morale intesa come “voce” integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale: né avrebbe potuto farlo senza violare un preciso indirizzo legislativo, manifestatosi in epoca successiva alle sentenze del 2008 delle sezioni unite, dal quale il giudice, di legittimità e non, non può in alcun modo prescindere”.
([12]) Cass. civ., sez. lav., 19 dicembre 2008, n. 29832, cit.
([13]) Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all’estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali, a norma dell’articolo 2, commi 78 e 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
([14]) Regolamento recante i criteri medico-legali per l’accertamento e la determinazione dell’invalidità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice, a norma dell’articolo 6 della legge 3 agosto 2004, n. 206.
([15]) T. Roma, sez. XII, 12 gennaio 2010; T. Milano, sez. X, 17 novembre 2009.
([16]) Corte Costituzionale n. 233 dell’11 luglio 2003; Cass. civ., sez. I, 15 gennaio 2005, n. 729; Cass. civ., sez. III, 24 novembre 2005, n. 24808.
([17]) Cass. civ., sez. un., n. 26972 del 24 giugno/11 novembre 2008, cit.; Cass. civ., sez. lav., 7 marzo 2007, n. 5221. Di “sconvolgimento foriero di scelte di vita diverse” parla Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402.
([18]) In particolare la Corte ha osservato che (punto 3.11 sent. 26972/08) “La gravità dell’offesa costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.). Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico”.
([19]) Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572.; Cass. civ., sez. lav., 16 maggio 2007, n. 11278.
([20]) T. Roma, Sez. XII, 1 dicembre 2009, in Foro Italiano, 2010, 2, 1, 677.
([21]) Interessante, per quanto concerne i rapporti tra il danno esistenziale e quello morale, è Cass. civ., sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3677, in Giurisprudenza italiana, 2009, 8-9, 1989, con nota di Didone, Il nuovo filtro in Cassazione: esercitazione sul danno esistenziale, la quale ha evidenziato come “Il danno c.d. esistenziale, non costituendo una categoria autonoma di pregiudizio, ma rientrando nel danno morale, non può essere liquidato separatamente solo perchè diversamente denominato”.
([22]) Cass. civ., sez. III, 15 aprile 2010, n. 9040, in motivazione.
([23]) Cass., sez. III, n. 14402 del 30 giugno 2011, cit., in motivazione.
([24]) Si veda anche Cass., civ., sez. III, 13 luglio 2011, n. 15373 in base alla quale “Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici”.
([25]) Sui criteri di liquidazione del danno non patrimoniale Navarretta, I danni non patrimoniali - Lineamenti sistematici e guida alla liquidazione, Milano, 2004, 175 ss.
([26]) La dottrina ha più volte sottolineato l’esigenza di una tabella unica normativa da applicare su tutto il territorio nazionale: Busnelli, Il danno alla salute ad una svolta: legge si? Legge no? Quale legge?, in Danno e responsabilità, 1998, 305 ss.
([27]) Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408. La pronuncia in esame precisa che le disparità nei risarcimenti “incidendo sui fondamentali diritti della persona, vulnera elementari principi di eguaglianza, mina la fiducia dei cittadini nell’amministrazione della giustizia, lede la certezza del diritto, affida in larga misura al caso l’entità dell’aspettativa risarcitoria, ostacola le conciliazioni e le composizioni transattive in sede stragiudiziale, alimenta per converso le liti, non di rado fomentando domande pretestuose (anche in seguito a scelte mirate: cosiddetto “forum shopping”) o resistenze strumentali”. In termini anche Cass. civ., sez. III, 31 agosto 2011, n. 17879 e Cass. civ., sez. III, 12 settembre 2011, n. 18641, cit.
([28]) Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2007, n. 12247; Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2007, n. 392.
([29]) Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2007, n. 394; Cass. civ., sez. III, 1 giugno 2006, n. 13130; Cass. civ., sez. III, 16 dicembre 2005, n. 27723. Di “notorio locale”, vale a dire limitato ad una stretta cerchia di soggetti, parla Cass. civ., sez. III, 12 marzo 2008, n. 6684, in Responsabilità civile, 2008, 5, 464.
([30]) Cass. civ., sez. III, 23 maggio 2003, n. 8169; Cass. civ., sez. III, 9 agosto 2001, n. 10980.
([31]) Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1524.
([32]) Cass. civ., sez. III, 3 agosto 2005, n. 16237.
([33]) Cass. civ., sez. III, 1 giugno 2006, n. 13130; Cass. civ., sez. III, 2 marzo 2004, n. 4186.
([34]) T. Venezia, 11 luglio 2002; T. Dolo, 11 luglio 2002.
([35]) T. Catania, sez. V, 16 gennaio 2006; T. Bari, sez. III, 31 marzo 2006; T. Milano, 2 luglio 2001; T. Venezia, 11 maggio 2001.
([36]) Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402, cit. La pronuncia in questione ha precisato che è incongrua “la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una liquidazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui si perviene mediante l’adozione dei parametri esibiti dalle c.d. tabelle di Milano”.
([37]) T. L'Aquila, 5 marzo 2010.
([38]) Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2009, n. 16448; Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2010, n. 702.
([39]) La Corte costituzionale con ordinanza del 16 aprile 2003, n. 16, ha dichiarato manifestamente inammissibile la eccezione di illegittimità di tale normativa la quale, in pratica, fissa livelli di risarcimento inferiori a quelli riconosciuti dalle pronunce dei giudici anteriormente alla sua entrata in vigore.
([40]) App. Torino, 5 ottobre 2009: “Le soglie massime per il risarcimento del danno biologico previste dagli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209/2005 operano unicamente con riguardo al danno alla validità biologica medicalmente accertato e non invece con riguardo al pregiudizio alla integrità morale della persona”. In termini anche T. Varese, Sez. I, 8 aprile 2010, in Corriere del Merito, 2010, 10, 923.
([41]) Per tutte Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2007, n. 7740.
([42]) La pronuncia in esame stabilisce che “Quante volte, dunque, la lesione derivi dalla circolazione di veicoli a motore e di natanti, il danno non patrimoniale da micro permanente non potrà che essere liquidato, per tutti i pregiudizi areddituali che derivino dalla lesione del diritto alla salute, entro i limiti stabiliti dalla legge mediante il rinvio al decreto annualmente emanato dal Ministro delle attività produttiva (ex art. 139, comma 5), salvo l’aumento da parte del giudice “in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato” (art. 139, comma 3)”.
([43]) T. Modena, 23 maggio 2008.
([44]) T. Reggio Emilia, 19 aprile 2001. Nello stesso senso anche T. La Spezia, 27 ottobre 2005; T. Mantova, Sez. II, 17 febbraio 2004; T. Milano, 20 settembre 2001.
([45]) App. Genova, Sez. I, 18 luglio 2005. Nello stesso senso T. Massa, 23 marzo 2002.
([46]) Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2009, n. 11048, in Responsabilità civile, 2009, 8-9, 759.
([47]) Il testo del d.p.r. attuativo dell’art. 138 è stato approvato il 3 agosto 2011 dal Consiglio dei Ministri ma non ha concluso il suo iter parlamentare.
([48]) Per tutte Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 2010, n. 79, in Danno e responsabilità., 2010, 8-9, 807, con nota di Arnone.
([49]) Si vedano oggi sulla questione in esame Cass. civ., sez. III, 8 aprile 2010, n. 8360, in Responsabilità civile, 2010, 6, 467, per la quale “Deve essere risarcito iure hereditario ai familiari della persona deceduta dopo mezz’ora il danno morale patito dal de cuius che in tale lasso di tempo sia rimasto lucido durante l’agonia, in consapevole attesa della fine”; Cass. civ., sez. III, 12 febbraio 2010, n. 3357 secondo cui “In caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza psichica patita dalla vittima delle lesioni fisiche integra un danno che deve essere qualificato, e risarcito iure hereditatis (con liquidazione ancorata alla gravità dell’offesa ed alla serietà del pregiudizio), come danno morale e non come danno biologico, giacché una tale sofferenza, di massima intensità anche se di durata contenuta, non è suscettibile, in ragione del limitato intervallo temporale di tempo tra lesione e morte, di degenerare in patologia” e Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2009, n. 458, in base alla quale “Nel caso in cui il de cuius sia sopravvissuto per un apprezzabile lasso di tempo all’evento lesivo è ammissibile il risarcimento del danno morale terminale”.
Per Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2011, n. 6754, in Foro Italiano, 2011, 4, 1, 1035 “In caso di morte della vittima a poche ore di distanza dal verificarsi di un sinistro stradale (nella specie, sei o sette ore), il risarcimento del c.d. danno “catastrofale” - ossia del danno conseguente alla sofferenza patita dalla persona che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita - può essere riconosciuto agli eredi, a titolo di danno morale, solo a condizione che sia entrato a far parte del patrimonio della vittima al momento della morte. Pertanto, in assenza di prova della sussistenza di uno stato di coscienza della persona nel breve intervallo tra il sinistro e la morte, la lesione del diritto alla vita non è suscettibile di risarcimento, neppure sotto il profilo del danno biologico, a favore del soggetto che è morto, essendo inconcepibile l’acquisizione in capo a lui di un diritto che deriva dal fatto stesso della morte; e, d’altra parte, in considerazione della natura non sanzionatoria, ma solo riparatoria o consolatoria del risarcimento del danno civile, ai congiunti spetta in questo caso il solo risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta”.
([50]) Cass. civ. sez. un., 1 luglio 2002, n. 9556.
([51]) Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2005, n. 15019; Cass. civ., sez. III, 12 luglio 2006, n. 15760.
([52]) Cass. civ., sez. III, 11 marzo 2004, n. 4993.
([53]) Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 2004, n. 23291; Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2003, n. 11001.
([54]) Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 2011, n. 2557; Cass. civ., sez. III, 16 settembre 2008, n. 23725, in Danno e responsabilità, 2008, 11, 1170.
([55]) Per Cass. civ., sez. lav., 18 gennaio 2011, n. 1072 il danno da lesione del rapporto parentale assorbe sia il danno morale che quello esistenziale conseguenti a tale lesione “poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”
([56]) Si veda Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2008, n. 870 , in Responsabilità civile, 2008, 3, 276
([57]) Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 2009, n. 23053; Cass. civ., sez. III, 30 gennaio 2008, n. 2106.
([58]) Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2006, n. 25124.
([59]) per tutte Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 2009, n. 21497.
([60]) Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2007, n. 18163; Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2007, n. 3260.
([61]) T. Monza, n. 3302 del 2 novembre 2007, in Responsabilità civile, 2008, 4, 376: “Ciò in quanto il denaro non ha un valore intrinseco ed assoluto, ma è espressione di quanto è in grado di procurare: l’utilità ricavata attraverso il risarcimento in denaro non ha una consistenza oggettiva, ma varia in relazione a quanto il denaro permette di conseguire in termini di beni e di servizi. L’esigenza di riconoscere a tutti i danneggiati un uguale risarcimento non può essere soddisfatta attraverso la mera attribuzione a ciascun danneggiato di un uguale risarcimento, indipendentemente dal contesto economico in cui tale danneggiato si trovi a vivere, perché così facendo la medesima espressione monetaria verrebbe a rivelarsi insufficiente per chi viva in contesti economici con prezzi medi superiori, eccessiva per chi viva in contesti economici con prezzi inferiori”.
([62]) Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1637, in Diritto e Giustizia, 2000, f. 7
([63]) Su questa linea si sono attestati il Tribunale di Torino con sentenza della IV Sezione Civile n. 4932 del 20 luglio 2010, relativamente alla fattispecie di un risarcimento chiesto dai prossimi congiunti di un operaio morto sul lavoro residenti in Albania, nonchè App. Trieste, 25 gennaio 1995 n. 72, T. Conegliano, 8 ottobre 2008, n. 334 e lo stesso Tribunale di Torino con le sentenze 6 maggio 2003 n. 3734, 21 aprile 2004 n. 35723 e 19 febbraio 2008 n. 606.
([64]) T. Milano, X sez., 18 dicembre 2008, n. 12099, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2009, 2, 460. Il Tribunale meneghino ha precisato che “L’aspetto più preoccupante di una giurisprudenza interessata a ‘‘dove’’ verrà utilizzato l’importo versato in risarcimento è che al ‘‘dove’’ potrebbero affiancarsi il ‘‘quando’’ e il ‘‘come’’, pure rilevanti rispetto al potere d’acquisto, con pericolose aperture ad ogni sorta di arbitrarie previsioni e valutazioni delle possibili scelte del danneggiato” e che “il luogo in cui il danneggiato vive, e in cui utilizzerà (forse) il denaro ricevuto a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, sia circostanza successiva, esterna e del tutto estranea alla quantificazione del predetto danno, quantificazione che va operata dal giudice secondo i parametri economici comunemente usati – e quindi sulla base del potere d’acquisto medio, nel tempo e nel luogo in cui lo stesso giudice si pronuncia – per esprimere, seppure con l’inadeguatezza propria di ogni traduzione monetaria destinata a dare misura a dolori che misura non hanno, il valore della perdita subita”. A questo orientamento si sono uniformati T. Roma, 3 giugno 2008, n. 11335 e T. Cuneo, 10 marzo 2010, n. 119.
([65]) In questo senso si è mossa la più recente giurisprudenza, atteso che la Corte di Appello di Milano con sentenza dell’8 aprile 2010, in Foro Italiano, 2010, 7-8, 1, 2207, ha statuito che “ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale in favore di uno straniero che viveva in Italia all’epoca del sinistro in cui è rimasto coinvolto, non si deve tener conto della realtà socio-economica del paese d’origine del danneggiato”. Nella fattispecie il danneggiato era un cittadino della Romania, che aveva fatto ivi ritorno soltanto dopo l’incidente stradale e, verosimilmente, proprio per la difficoltà di riprendere a lavorare in Italia determinata dai gravi postumi invalidanti residuati dal sinistro.
([66]) Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2010, n. 4484; Cass. civ., sez. III, 7 maggio 2009, n. 10504; T. Trieste, 28 maggio 2009; T. Asti, 3 febbraio 2009; T. Milano, Sezione X, 18 dicembre 2008, n. 12099, cit.
Si veda in particolare Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2011, n. 450, la quale, nell’accogliere il ricorso di una donna albanese che, dopo aver perso il figlio in un incidente stradale, aveva presentato all’assicurazione un’azione diretta per il risarcimento del danno senza dimostrare la condizione di reciprocità, e cioè che anche in Albania agli italiani sia garantito lo stesso diritto, ha precisato che lo straniero può presentare azione diretta per il risarcimento del danno non patrimoniale, compreso il morale, nei confronti dell’assicuratore o nei confronti del Fondo di Garanzia per le vittime della strada, sottolineando, altresì, che i parenti hanno diritto all’azione diretta anche se al momento dell’incidente si trovavano all’estero, mentre l’extracomunitario non potrà far valere negli stessi termini, e cioè in assenza della condizione di reciprocità, il danno da perdita o danneggiamento di cose.